L’Italia dei salari più bassi d’Europa
Nel primo trimestre di quest’anno l’Italia ha mostrato una crescita del Pil, 0,6%, superiore alla media europea, laddove due paesi con cui spesso ci confrontiamo, Francia e Germania, hanno invece sperimentato una contrazione. Una buna notizia per un paese abituato da anni a essere il fanalino di coda nella crescita. Ma i dati sull’occupazione e sui salari pubblicati dall’Employment Outlook dell’Ocse mostrano le molte ombre che si accompagnano a questa perfomance positiva.
Pur condividendo la ripresa occupazionale avvenuta i tutti i Paesi Ocse nel periodo post-con relativo calo significativo della disoccupazione, l’Italia continua ad avere un tasso di occupazione molto al di sotto della media Ocse: 61 per cento rispetto al 69,9 per cento. Come emerge anche dal Rapporto Annuale dell’Istat uscito qualche giorno fa, ciò è dovuto in parte al permanere, anche se in crescita, basso tasso di occupazione femminile, in parte all’alta incidenza della disoccupazione e inattività tra i giovani, in parte dal basso tasso di occupazione anche degli uomini nelle età centrali nel Mezzogiorno – tutti fenomeni che poco o nulla hanno a che fare con scelte individuali o con la pigrizia congenita, tanto meno con la generosità dei sussidi, ma con problemi strutturali mai risolti.
A un tasso di occupazione più basso si aggiunge una riduzione dei salari reali dovuta all’inflazione più forte che nelle principali economie Ocse: alla fine del 2022, i salari reali erano calati del 7% rispetto al periodo precedente la pandemia. La discesa è continuata nel primo trimestre del 2023, con una diminuzione su base annua del 7,5%. Se si considera che, secondo il Global Wage Report dell’Ilo dello scorso anno, i salari in Italia negli ultimi trent’anni erano diminuiti in valore reale di circa il 12 per cento si comprende bene come mai una quota crescente di lavoratori e famiglie di lavoratori faccia fatica a soddisfare i propri bisogni fondamentali. L’inflazione, infatti, colpisce più duramente chi ha un reddito modesto o scarso, perché sono pochi i margini di flessibilità, le rinunce che si possono fare senza intaccare la salute propria e dei propri cari, quando si fa fatica a fare fronte alle spese essenziali: cibo, abitazione, utenze domestiche, Il rischio è che si allarghino i divari sociali.
L’Employment Outlook segnala che parte di questa diminuzione dei salari reali, cioè del loro potere d’acquisto, è dovuto al ritardo con cui si rinnovano i contratti collettivi: oltre il 50 per cento dei lavoratori coperti da un contratto collettivo hanno un contratto scaduto da oltre due anni. Non ha quindi potuto tenere il passo con l’inflazione, con le imprese che scaricano così doppiamente sui lavoratori l’aumento dei costi: prima come lavoratori, poi come consumatori, con l’aumento dei prezzi. Eppure, secondo l’Employment Outlook, i dati suggeriscono che anche in Italia come negli altri paesi Ocse c'è spazio per i profitti per assorbire aumenti salariali, almeno per i lavoratori a bassa retribuzione
A fronte del fenomeno dei lavoratori poveri e delle famiglie di lavoratori che faticano sempre più a soddisfare i propri bisogni, il governo da un lato si oppone all’introduzione di un salario minimo legale che, pur non essendo una panacea, costituirebbe un freno al proliferare di contratti più o meno “pirata” con compensi al di sotto della decenza; dall’altro lato ha fortemente ridotto il sostegno a chi si trova in povertà in nome del principio che tutti gli adulti abili devono lavorare, anche se il lavoro non c’è, o non offre un compenso decente. Non solo, nel disegnare un sostegno alle famiglie colpite dall’inflazione perché possano provvedere ai propri bisogni alimentari, la nuova card “dedicata a te” in distribuzione da oggi esclude proprio i più poveri, i beneficiari di RdC, nonostante questi abbiano un Isee (al massimo 9600 euro annui) di molto inferiore a quello, 15.000 euro, cui dà accesso la nuova card. Un accanimento sui poveri per lo meno sconcertante.
Anche le politiche attive del lavoro sembrano scomparse dal radar della politica, lasciate all’iniziativa di enti di vario tipo e con rischi di generare “corsifici” di scarsa utilità. A questo proposito il Rapporto Ocse raccomanda: “Se l’obiettivo iniziale di numero di persone in cerca di lavoro da prendere in carico è stato raggiunto, è ora essenziale garantire un sostegno effettivo e adeguato in tutte le regioni e rafforzare la verifica dei percorsi formativi realizzati” e, aggiungerei io, della loro efficacia per quanto riguarda l’accesso a una occupazione decentemente remunerata.
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