Il Tele-Melonismo ha raggiunto vertici tali di vergogna, che ho ritenuto doveroso rubare parte del contenuto dell'informato articolo di Giovanna Vitale su Repubblica.it
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Rai-TeleMeloni a sua insaputa. Le censure, le nomine, gli addii ‘pesanti’ da Annunziata a Fazio e le bugie su Fuortes. Il fact checking
di Giovanna Vitale
La premier sostiene che il rapporto sullo Stato di diritto redatto dalla Commissione europea è pieno di fake news, e da Pechino attacca il nostro giornale. Ecco i punti che smentiscono la presidente del Consiglio
Sostiene Giorgia Meloni che il rapporto annuale sullo Stato di diritto redatto dalla Commissione europea è pieno di fake news e distorsioni a uso politico “nel tentativo di attaccare il governo italiano”. Una pratica a suo dire adottata dai giornali a lei avversi – citati uno per uno nella trasferta pechinese: la Repubblica, il Fatto, il Domani – soprattutto in materia di informazione e servizio pubblico radiotelevisivo che, argomenta la presidente del Consiglio nella piccata lettera di risposta a Ursula von der Leyen, non sono mai stati liberi e indipendenti come sotto il suo esecutivo. Spingendosi senza sprezzo del ridicolo a spiegarne il perché, con l’ausilio di una serie imbarazzante di falsità e mistificazioni che val la pena analizzare.
Il falso vittimismo - Dopo una breve premessa, scrive Meloni con malcelato vittimismo: non solo la legge sulla Rai è targata Renzi, dunque Pd, ma “anche l'attuale governance è stata determinata dal governo precedente (Draghi), con Fratelli d'Italia unico partito di opposizione che si è reputato allora di escludere perfino dal Consiglio di amministrazione creando, questa volta sì, una anomalia senza precedenti in Italia e in violazione di ogni principio di pluralismo del servizio pubblico".La bugia sulla “cacciata” di Fuortes
Prosegue ancora Meloni: “È bene ricordare che, salvo la nomina obbligata di un nuovo amministratore delegato nel 2023 a seguito delle dimissioni del suo predecessore, l'attuale governo e la maggioranza parlamentare che lo sostiene non si sono ancora avvalsi della normativa vigente per il rinnovo dei vertici aziendali".
Qui la distorsione è patente. Intanto perché il Cda, scaduto da due mesi, non si riesce a rinnovare per le liti furibonde fra alleati che non trovano una quadra sui nuovi assetti. E poi perché di “obbligate” in questa storia ci sono solo le dimissioni di Carlo Fuortes: la spinta a farsi da parte, con tanto di incontri irrituali a Palazzo Chigi, fu talmente brutale da non lasciare all’allora amministratore delegato altra via d’uscita. Lo scrisse lui stesso nella missiva con cui, a maggio dell’anno scorso, formalizzò il passo indietro: «Dall’inizio del 2023 sulla carica da me ricoperta e sulla mia persona si è aperto uno scontro politico che contribuisce a indebolire la Rai e il Servizio pubblico. Allo stesso tempo ho registrato all’interno del Consiglio di amministrazione della Rai il venir meno dell’atteggiamento costruttivo che lo aveva caratterizzato, indispensabile alla gestione della prima azienda culturale italiana”, le parole di Fuortes. “Ciò minaccia di fatto di paralizzarla, non mettendola in grado di rispondere agli obblighi e alle scadenze della programmazione aziendale con il rischio di rendere impossibile affrontare le grandi sfide del futuro. Il Cda deve deliberare, nelle prossime settimane, i programmi dei nuovi palinsesti ed è un dato di fatto che non ci sono più le condizioni per proseguire nel progetto editoriale di rinnovamento che avevamo intrapreso nel 2021”. Una forzatura accompagnata da una norma ad hoc, varata in Cdm e di recente dichiarata incostituzionale, per pensionare a 70 anni i sovrintendenti stranieri delle fondazioni liriche e liberare così il San Carlo di Napoli per il manager in uscita. Salvo che poi l’inquilino dell’Opera partenopea, Stephan Lissner, fece ricorso e lo vinse, costringendo il governo a dirottare Fuortes al Maggio fiorentino.
Un anno di TeleMeloni
Continua Meloni nella lettera alla Commissione europea: “Gli attuali componenti del Cda Rai, come ricordato, sono stati nominati nella scorsa legislatura da una maggioranza di cui Fratelli d'Italia non era parte, non si comprende dunque come si possa imputare a questo governo una presunta ingerenza politica nella governance della Rai". Di presunto, in realtà, c’è solo la protervia della premier a raccontarla come le pare. Dopo la “cacciata” di Fuortes, si pose il problema di come prendersi la Tv di Stato per tutti gli anni a venire: a causa del tetto dei due mandati, si scelse di piazzare direttore generale l’ex missino Giampaolo Rossi (che altrimenti, avendo già fatto il consigliere, sarebbe potuto restare alla guida dell’azienda solo per un anno, fino alla scadenza dell’attuale Cda), con la riserva di nominarlo amministratore delegato al turno dopo. A tenergli il posto in caldo, venne spedito il direttore della Radio Roberto Sergio, con l’intesa di scambiarsi i ruoli nel giugno 2024. Cioè adesso. Un patto della staffetta che ha retto fino a un paio di mesi fa, quando Sergio – convinto di poter restare al vertice – ha tentato di fare le scarpe a Rossi. Memento utile a rammentare alla presidente del Consiglio che TeleMeloni opera ai massimi livelli già da un anno abbondante. Proprio quello a cui si riferisce il da lei vituperato report Ue sullo Stato di diritto.
Le ingerenze disconosciute
Ed è proprio in quest’ultimo anno che “l’ingerenza politica” disconosciuta da Meloni si fa pesantissima. E produce danni evidenti. Appena insediato, il tandem Sergio-Rossi fa piazza pulita di tutte le prime linee nei Tg e nei Generi che hanno sostituito le Reti. Il 25 maggio 2023, in un colpo solo, vengono cambiati quasi tutti i direttori di testata e il governo prende di fatto il controllo della Rai. Un’infornata di nomine mai vista prima per dimensioni e simultaneità, che incassa il voto contrario della presidente Marinella Soldi, e spedisce sulla tolda di comando tutti uomini: al Tg1 Gian Marco Chiocci, legato alla premier Meloni da un antico sodalizio; al Tg2 il forzista Antonio Preziosi; a Rainews si conferma il fedele Petrecca. Agli Approfondimenti e al DayTime vengono promossi due meloniani doc: Paolo Corsini e Angelo Mellone. Talk e programmi sono tutti nelle mani del principale partito di destra. I palinsesti vengono infarciti di format e conduttori amici, in barba a performance disastrose: Pino Insegno è costretto a chiudere in anticipo il suo game show, anche se poi verrà ricompensato con altre due trasmissioni; così pure Nunzia De Girolamo. Incoronata Boccia ed Edoardo Sylos Labini fanno uno share da prefisso telefonico ma vanno avanti lo stesso. Viene censurato il monologo sul 25 aprile di Antonio Scurati e la conduttrice di Chesarà… Serena Bortone, sospesa per sei giorni, sarà poi di fatto epurata dal video. Una debacle, certificata dai numeri. Nel 2023, per la prima volta, il gruppo Mediaset sorpassa il gruppo Rai negli ascolti dell’intera giornata.
Le mani sull’informazione
E Meloni mente anche quando nega che “il cambiamento della linea editoriale avrebbe determinato le dimissioni di diversi giornalisti e conduttori”, invece per lei imputabili a “normali dinamiche di mercato”. È difatti vero che Fabio Fazio va via prima dell’avvento dei vertici nominati dall’attuale governo, ma è difficile non ricordare i ripetuti attacchi nei suoi confronti da parte di Matteo Salvini: fiutato il pericolo, la star di Che tempo che fa ha levato le tende per tempo. Come hanno fatto, in seguito, Bianca Berlinguer, Lucia Annunziata, Massimo Gramellini, da ultimo Amadeus. Tutti in ragione del clima inospitale, più o meno dichiarato, che si cominciava a respirare in Rai. A confermarlo, le insistenti denunce dei giornalisti, che da mesi lamentano pressioni e censure nel confezionamento dei servizi come mai era accaduto prima. Al punto da costringere l’Usigrai - il sindacato unitario contestato nel frattempo dalla nuova sigla di destra UniRai (nata su input di Rossi) - a proclamare uno sciopero generale, puntualmente boicottato dai direttori meloniani dei Tg, per accusare il governo di aver ridotto il servizio pubblico a suo megafono. Mentre Rainews nasconde le notizie scomode e trasmette i comizi integrali della presidente del Consiglio. E il Tg1 apparecchia un menu da Istituto Luce, spacciando Gioventù nazionale, la formazione baby di FdI, come un gruppo di valorosi ragazzi che coltivano tradizioni e civismo. Questi sono i fatti. Altro che fake news.
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