Recensione del film "LO SCEICCO BIANCO"(di Angela Laugier)
Regia: Federico Fellini
Principali interpreti: Leopoldo Trieste, Alberto Sordi, Giulietta Masina, Brunella Bovo, Gina Mascetti,
Lilia Landi, Ernesto Almirante, Fanny Marchiò, Enzo Maggio, Ettore Maria Margadonna, Antonio Acqua, Ugo Attanasio, Jole Silvani, Mimo Billi – 86′. – Italia 1952
Federico Fellini, forse il regista più grande del nostro cinema, era nato a Rimini il 20 gennaio 1920, un secolo fa.
Su questo blog, nel mio piccolo, intendo ricordarlo per quanto possibile degnamente, con qualche recensione che si aggiunge a quelle, già presenti, di La dolce vita (1960) e Amarcord (1973), nella speranza di invitare alla conoscenza delle sue opere. Oggi è possibile vederne cinque in edizione restaurata dalla Cineteca di Bologna nelle sale che si stanno organizzando in proposito. Molte altre saranno disponibili anche sui canali televisivi pubblici o privati, sulle piattaforme delo streaming o attraverso i supporti (DVD o BluRay), fermo restando che vederle al cinema, nelle sale per le quali Fellini le aveva volute, è la migliore di tutte le opzioni possibili.
LO SCEICCO BIANCO - Uscì nel 1952: era il primo film girato interamente dal giovane Federico che nel 1951 era stato co-regista di Luci del varietà, insieme ad Alberto Lattuada, dopo qualche esperienza da sceneggiatore per Rossellini e per Germi.
Il soggetto di Lo sceicco bianco, per la verità, era stato ideato da Michelangelo Antonioni che, successivamente, lo aveva abbandonato nelle mani del produttore, (il che di frequente avveniva), in attesa di uno sceneggiatore e di un regista. Fellini aveva letto lo script, l’aveva ritenuto interessante e aveva accettato di occuparsene, purché gli si garantisse il pieno controllo di tutte le fasi della lavorazione, anticipando di una decina d’anni le richieste dei più grandi registi internazionali che, dalla seconda metà degli anni ’60, rivendicarono a sé il diritto all’intera responsabilità realizzativa dei loro film.
I personaggi e il racconto - La storia è quella di due sposini, arrivati in treno a Roma dalla Calabria nel 1950, l’Anno Santo, in occasione del quale il Papa aveva previsto udienze straordinarie per le coppie dei giovani sposi in viaggio di nozze.
Fu così che Ivan e Wanda Cavalli (rispettivamente Leopoldo Trieste e Brunella Bovo) iniziarono nella città eterna la loro luna di miele e insieme la loro … separazione, forse la prima, o forse l’unica…Non è dato saperlo.
Wanda, inopinatamente, aveva abbandonato Ivan con uno stratagemma, per un’avventura che nelle intenzioni avrebbe dovuto durare poco più di un’ora, ma che si era protratta fino al giorno dopo. Aveva, infatti, voluto vedere e conoscere da vicino l’uomo che aveva acceso la sua ingenua immaginazione: lo sceicco bianco, al secolo Fernando Rivoli (interpretato dal giovane Alberto Sordi), eroe di un popolare fotoromanzo, all’epoca molto letto dalle ragazze alfabetizzate della piccola borghesia che alla lettura dei fumetti si affidavano per evadere dalla realtà paesana alquanto monotona e priva di attrattive, allettate da un mondo altro, perfetto ma inesistente, che offriva elementi di facile identificazione sentimentale.
Con ingenua trepidazione, eludendo la sorveglianza possessiva del marito, era uscita di corsa dall’albergo e si era avventurata per le strade di Roma che stava per celebrare una festa civile, portando con sé il regalo che aveva preparato per il suo sceicco (gli aveva già indirizzato tre lettere, sempre ricevendone risposta): un ritratto che lei stessa avea disegnato e firmato con lo pseudonimo Bambola Appassionata.
Ivan non si era accorto di nulla: stanco del lungo viaggio in treno, si era addormentato, né si sarebbe svegliato senza il concitato bussare della cameriera: l’acqua calda del bagno, di cui Wanda aveva fatto richiesta, era traboccata (nella fretta di fuggire la sciagurata non aveva chiuso il rubinetto…).
Si precisano a poco a poco, nel corso del racconto, i tratti caratteristici del giovane sposo, che, all’inizio del film, appare anche troppo presuntuoso e vanaglorioso, emblematicamente rappresentativo dell’uomo del Sud di media cultura classica, convinto di avere, perciò stesso, diritto a un posto prestigioso nella pubblica amministrazione e anche alla carriera in vista di un futuro come politico democristiano: la sua famiglia, nella sua propaggine romana, e uno zio, impiegato in Vaticano, erano la garanzia di queste aspirazioni ambiziose; Ivan era anche convinto del diritto alla proprietà di Wanda, a cui avrebbe voluto insegnare a vivere secondo la stereotipata divisione dei ruoli della famiglia tradizionale.
In realtà Ivan era fragile e disorientato almeno quanto lei: due giovani inesperti entrambi, sperduti nel mondo caotico e volgare della capitale nell’immediato dopoguerra, popolata di uomini e donne apparentemente accoglienti, ma in realtà avidi, capaci di alternare cinismo e falsa condiscendenza, pur di accaparrarsi qualche mancia, o qualche favore.
Il film segue in parallelo le avventure di entrambi, prigionieri, anche se in modo diverso, di un’identità fittizia, e invischiati, senza volere in un tourbillon di eventi che li travolgono, privandoli di ogni capacità reattiva.
Fellini disegna perfettamente i due provinciali sperduti, attraverso scene che, tra lo scherzoso e il pietoso, ne definiscono il comportamento.
Di lui vorrei ricordare lo smarrimento durante la sfilata dei bersaglieri; la sosta al ristorante, costretto a recitare contro voglia una sua vecchia poesia d’amore e ad ascoltare i due menestrelli che per lui cantano un’insensata canzone; la presenza all’opera (il Don Giovanni, che Fellini riprende – con allusione maliziosa alle vicissitudini di Wanda – nel momento della seduzione di Zerlina: Vorrei e non vorrei…); l’inevitabile e dolorosamente comica denuncia alla polizia e, infine, l’incontro con le due prostitute romane (indimenticabile la Cabiria di Giulietta Masina), alla debole luce della luna.
Di lei vorrei ricordare l’incantamento per l’incontro con Marilena Alba Vellardi, la segretaria dello sceicco, attraverso la quale passava la corrispondenza per lui, che non la leggeva; lo stupore per la sfilata delle odalische e delle comparse; lo smarrimento per la direzione del fumetto da parte di un regista che urla e sbraita, maltrattando gli attori; la meraviglia per l’arrivo in altalena dello sceicco (scena davvero magistrale per la sintesi, tutta felliniana, dell’epifania favolosa con la reale volgarità dell’uomo (superbo Alberto Sordi, all’inizio di carriera); il compiacimento di essere con lui mentre le ammiratrici sono in cerca di un autografo; la solitudine disperata.
Il film si avvale della bellissima colonna sonora di Nino Rota: chi l’ascolta noterà le analogie con la musica delle opere felliniane che seguiranno.
Cercate di non perderlo.
Angela Laugier
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