Mossa politica o smania di protagonismo, ora è ufficiale: è tornata l’Italietta

Sia come sia, qualunque sia il “movente” – raccattare qualche voto a urne aperte perché l’aria che tira è contro la guerra o dare l’ennesimo segnale politico di amicizia a Putin - vista con gli occhi di osservatori internazionali poco avvezzi alla psico-politica, le sue parole sono un macigno sulla credibilità del governo. Perché, proprio alla fine della settimana orribile della premier all’estero, manifestano in modo clamoroso una “doppia linea” (e le linee sono opposte): Meloni che si arrabbia con Macron perché non è nell’“Europa di serie A” e che incontra Zelensky a Parigi, lui che non lo incontrerebbe nemmeno se potesse. Molto peggio di Salvini che non voleva Zelensky a Sanremo (ed è stato accontentato), ma insieme all’affaire sanremese questa storia restituisce l’immagine di una incrinatura su un terreno dove Giorgia Meloni finora aveva tenuto una posizione granitica.
Sommando il Festival che ha nascosto Zelensky, Berlusconi che l’ha offeso e l’isolamento europeo di Meloni, è ufficiale: è tornata l’Italietta.
Scritto il 13 febbraio 2023 alle 12:33 nella Berlusconi, Guerra, Meloni, Politica, Tafanus | Permalink | Commenti (0)
Reblog
(0)
|
| |
26 gennaio 2023
Il Giorno della Memoria: la mia (Read-back del Tafanus del 27 Gen. 2007)
Questo post non è originale. L'ho già pubblicato, quasi identico, il 27 Gennaio 2007 e 2008. Sono trascorsi più di tre lustri! Un Giorno della Memoria dopo l'altro, da anni. Per quanti anni ancora dovremo ricordare? Forse per sempre, finchè in Italia e nel mondo ci saranno "fascisti dentro"
Un anno dopo l'altro, la memoria e la solidarietà si attenuano. Colpa del trascorrere del tempo, ma anche colpa di altri reticolati, di altri steccati, di altri muri che nascono. Quando a costruire questi muri sono i figli e i nipoti di coloro che di muri e di reticolati sono morti a milioni, la nostra solidarietà è sottoposta a dura prova, la nostra memoria si attenua.
Questo è l'ultimo anno nel quale il Tafanus ricorderà, con dolore e rispetto, la tragedia della Shoah (o forse no...) Dall'anno prossimo, ci piacerebbe parlare della fine di un'altra tragedia, quella del "muro della vergogna" dentro il quale gli israeliani stanno "piombando" il carro bestiame di Gaza. A Gaza la misura è colma. Quando decine di migliaia di persone, private di beni essenziali come il cibo, l'acqua, l'elettricità, decidono di abbattere con le bombe il muro della vergogna, e di tentare una disperata sortita verso le non amichevoli braccia dei soldati egiziani, vuol dire che lo stato di disperazione ha toccato quasi gli stessi livelli ai quali erano giunti i reclusi nei campi di sterminio, quando si determinavano a cercare una morte quasi certa con improbabili tentativi di fuga, piuttosto che affrontare una morte che arrivava "un grammo al giorno", inesorabile come il destino, inesorabile come il tempo.
Chi volesse dei particolari su questa ignobile iniziativa del "muro della vergogna", può leggere l'estratto di un informato articolo de "Le Monde Diplomatique", tradotto sul sito www.disinformazione.it: Il muro della vergogna
Quest'anno, questa celeberrima poesia di Primo Levi vogliamo dedicarla agli ebrei vittime della shoah, ma anche agli israeliani che "hanno dimenticato" il significato della parola "disperazione". Perchè anche a loro torni la memoria.
P.S.: Dopo aver scritto questa introduzione, ma prima di pubblicare il post, apprendo due notizie, di segno totalmente diverso. Ognuno dia la lettura che si sente di dare:
-1) Ieri centinaia di israeliani si sono affollati ai buchi aperti con l'esplosivo nel "muro della vergogna" di Gaza, per portare cibo, acqua e solidarietà ai confinati palestinesi della striscia di Gaza. Molti intervistati hanno sottolineato che chiudere un milione e mezzo di disperati in pochi chilometri quadrati e privarli di tutto, significa che il popolo israeliano, per primo, sta smarrendo la memoria.
-2) La Signora Letizia Arnaboldi Brichetto in Moratti, Sindaco di Milano, dopo l'exploit del diniego di iscrizione agli asili ai bimbi degli immigrati non regolarizzati (nove volte su dieci per colpevoli ritardi burocratici), ha avuto un'altra brillante pensata: quella di dare lo sfratto, alla vigilia del Giorno della Memoria, alla sede milanese dell'ANED (Associazione Nazionale Ex Deportati), associazione che da anni organizza centinaia di manifestazioni educative sui temi delle deportazioni, della shoah, della guerra. Complimenti, Signora! Potrà sempre recuperare la salvezza dell'anima il 25 Aprile, esibendo per cento metri papy in carrozzella.
_____________________________________________________________________________________
Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un si o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.
(Primo Levi)
27 Gennaio 2023: Giornata della Memoria. Quante ne abbiamo già celebrate? Oggi migliaia di blog tratteranno della shoah, e moltissimi apriranno con le pagine introduttive del libro di Primo Levi (Se questo è un uomo). Il Tafanus l’ha già fatto l’anno scorso, e a costo di apparire monotono, lo farà finchè esisterà. Lo farà perché alla perdita della memoria non dev’essere concesso alcun alibi. Un popolo che perde la propria memoria, è pronto a ripetere gli errori del passato. Il Tafanus non farà di questo post una raccolta di dati, che possono essere facilmente reperiti in mille siti (ve ne raccomandiamo a titolo esemplificativo uno che a noi è piaciuto molto, www.Binario21.org, ma la scelta è molto ampia.
Noi vogliamo piuttosto parlare della “nostra” memoria. La mia famiglia ed io riteniamo che un viaggio nei luoghi in cui l’uomo è diventato peggio delle bestie dovrebbe essere sentito come un dovere civico da tutti, così come, per altre ragioni, gli islamici sentono di dover andare, almeno una volta nella vita, alla Mecca. Noi siamo stati nei luoghi del disonore nel 2005 (nel complesso di Auschwitz-Birkenau); mia figlia è andata a Dachau e a Terezin, campo “specializzato” nel trattamento di bambini. A Terezin sono entrati, vivi, 15.000 bambini. Ne sono usciti vivi 100. L’uomo non dovrà mai più cadere nell’errore di pensare che certi orrori toccheranno sempre e solo gli altri. Una volta infranta la barriera fra umano e sub-umano, può toccare a tutti: agli ebrei e ai palestinesi, ai rom e ai brockers, agli omosessuali e ai comunisti. Ecco come l’indifferenza aiuta l’umanità a precipitare nell’abisso:
Prima vennero per gli ebrei…
" Prima vennero per gli ebrei,
e io non dissi nulla perché non ero ebreo.
Poi vennero per i comunisti,
e io non dissi nulla perché non ero comunista.
Poi vennero per i sindacalisti,
e io non dissi nulla perché non ero sindacalista.
Poi vennero a prendere me.
E non era rimasto più nessuno che potesse dire qualcosa."
Martin Niemoeller - (Pastore evangelico deportato a Dachau)
.
Il nostro “viaggio della memoria” era iniziato da una splendente Cracovia, splendente di sole, di bellezza urbanistica, di gioventù, di buone maniere. Il viaggio per il complesso dei lager non è lungo: circa un’ora di bus, attraverso una campagna non da cartolina; non è il Trentino o l’Engadina: davanti ai casolari galline e mucche non servono per fare cartolina, ma per mangiare. Si arriva ad Auschwitz quando inizia a piovigginare. E’ come te lo aspetti, con l’orrendo ingresso dei treni che arrivavano pieni e ripartivano vuoti, la scritta in ferro battuto “Arbeit Macht Frei” che sembra una bestemmia… il primo approccio è persino “deludente” per eccesso di leziosità. Piccole palazzine a due/tre piani, vialetti ordinati e persino qualche albero, niente baracche… insomma, chi non sapesse di trovarsi in uno dei luoghi più sinistri dalla storia della bestialità, potrebbe pensare di trovarsi a Crespi d’Adda, la cittadina – modello costruita dai Crespi per ospitare l’industria tessile dalla culla alla tomba (tutto insieme la fabbrica, le villette degli operai, le ville degli impiegati, le villone dei dirigenti, chiesa – ospedale – cimitero, tutto ordinato, tutto programmato… Poi qualcuno ti spiega che Auschwitz non è nata come campo di sterminio, ma come carcere per gli oppositori politici, poi gradualmente degenerato nel nucleo originario del luogo dell’orrore, il complesso Auschwitz-Birkenau, dove l’uomo ha perso il senso di se e ha trovato e fatto prevalere la bestia che si annida in ciascuno di noi…
Benvenuti nella prima palazzina: è persino bella, fuori. Ma appena dentro, inizia il viaggio nell’orrore. Il piano terra è occupato dalla mostra (raccolta differenziata) di tutto quello che veniva preso agli ebrei al loro arrivo, o dopo la “doccia” purificatrice; tutto suddiviso in stanze “specializzate”: le scarpe, i capelli, gli spazzolini da denti, le micro-valigette di fibra, gli occhiali da vista, le “protesi” (braccia, gambe artificiali)… montagne di tutto.
Il cielo fuori è sempre più plumbeo, ma cominciano ad affiorare tanti occhiali da sole, tanta gente che si soffia il naso… passi dagli oggetti alle presumibili storie sottostanti, e l’orrore diventa insopportabile. Le scarpe… dai uno sguardo, e individui centinaia di scarpine di bambini di due-tre anni, a fiorellini come un campionario di Fiorucci ante-litteram; scarpe piccolissime, quasi da bambola; colorate, graziose… cerchi di immaginare com’era fatta la bambina che le aveva ai piedi, e ti soffi il naso. Poi passi alla stanza successiva, che è piena di capelli: di tutti i colori, di tutte le età; in mezzo a masse informi di capelli, ogni tanto vedi dei “pezzi di umanità”: uno chignon bruno che ti fa immaginare una bella donna elegante, dei capelli grigiastri o bianchi, una lunghissima, integra treccia bionda… chissà se è la stessa bambina di quelle scarpine. E poi la stanza degli spazzolini da denti, quella degli occhiali, quella delle protesi… ma perché toglievano loro persino le protesi? E lo avranno fatto prima della “doccia” o dopo?
Le “facilities per gli interrogatori e le torture erano nel “basement”, dove fa freddo anche d’estate. Lo strumento-principe, geniale nella sua semplicità, era costituito da una serie di stalli, chiusi da mezze pareti, di un metro quadro; in questo metro ficcavano quattro deportati (da punire o da interrogare) completamente nudi, che potevano stare solo in piedi. Finestre senza vetri. Ogni tanto li bagnavano per affrettare i processi di idrocuzione, fiaccare la resistenza. Chi moriva non aveva lo spazio per accasciarsi al suolo. Un minimo di cibo veniva fornito, per allungare il piacere dell’agonia.
Facciamo un passo indietro, a quando “Il Treno” arrivava nel piazzale; Auschwitz non era attrezzato per contenere grandi masse, né per uccidere e cremare con grande efficienza. All’arrivo del treno, sul piazzale, c’era la prima brutale separazione: uomini da donne, bambini da adulti, sani da malati. L’80% in media degli arrivati (tutti i malati, gli anziani, gli handicappati, molte donne) venivano inviati direttamente “alle docce”, dove la morte con l’uso del Cyclon B arrivava in media dopo 20 minuti di atroci sofferenze. Poi serviva un certo tempo per “arieggiare” i locali, quindi le docce venivano evacuate da altri deportati, i cadaveri “smontati” per portar via qualsiasi cosa potesse tornare utile (capelli, denti, protesi). Ad Auschwitz non c’erano grandi crematori, quindi i cadaveri venivano ammucchiati in enormi fosse a cielo aperto, buttati dentro e bruciati. I fornetti di Auschwitz erano poco più che dei fornetti domestici, “monouso”. Ma l’allargamento di Birkenau, con le enormi baracche, i quattro grandi crematori che avrebbero mandato fumo acre, giorno e notte, per due anni, era quasi completato.
Birkenau è un’altra storia, già dal primo impatto visivo: intanto le dimensioni, enormi; baracche allineate per chilometri; chilometri di recinti doppi, elettrificati, con torrette di guardia ad ogni piè sospinto. Birkenau è una macchina per morire, con ordine teutonico; coordinamento con gli orari dei “treni”… man mano che la disfatta tedesca diventa ineluttabile, le esecuzioni aumentano; c’è sempre meno tempo, meno fabbriche in cui lavorare, meno risorse con cui sfamare questi disgraziati; e poi, perché sfamarli? In fondo li hanno portati a Birkenau per ammazzarli, non per sfamarli. Ormai solo pochissime categorie hanno qualche possibilità di allungare la vita (vita?) di qualche giorno; qualche ragazza giovane che possa sfamare gli appetiti sessuali delle bestie tedesche, qualche coppia di gemelli (materiale genetico prezioso, per gli studi comparativi del dottor Morte); per gli altri, una spaventosa catena di montaggio: arrivo – separazione – doccia - smontaggio dei ricambi, e poi via, attraverso i camini sempre fumanti dei quattro crematori.
A Birkenau tutto sembra studiato perché la gente “duri poco”, e perché quel poco sia vissuto nel massimo della sofferenza. Prendete i cessi. C’è una sola, enorme baracca adibita a cesso (come è fatta all’interno, lo vedrete in fotografia). Ma il problema è che la baracca-cesso non è sistemata a metà fra la prima e l’ultima baracca lager, ma ad una estremità. Quelli delle baracche più lontane, per arrivare ai cessi fanno quasi due chilometri fra la neve, con le scarpe che hanno o non hanno. Si defeca in tanti, alcune centinaia, tutti insieme: a contatto di natica. La gente la fa tenendosi ben stretti i pantaloni e le scarpe, perché se qualcuno ti ruba una di queste cose, sei morto. Altrimenti puoi farcela ancora per qualche giorno.
Verso la fine. Il nervosismo dei tedeschi, l’incendio continuo di documenti, l’accrescersi parossistico degli arrivi, lasciano intuire che la fine non è lontana. Il Tempo diventa prezioso. Qualcuno, forse, potrà farcela.
Auschwitz-Birkenau: la fabbrica dello sterminio – Note storiche
Situato al centro dell’Europa, il campo di sterminio di Auschwitz Birkenau divenne operativo nel 1941. Attraverso le ferrovie i nazisti vi deportarono, a partire dal 1942, gli ebrei provenienti dall’Europa occidentale e meridionale, dal 1944 essi venivano fatti scendere dai convogli direttamente all’interno del campo e passavano la “selezione” che determinava chi sarebbe sopravvissuto per il lavoro e chi, circa l’80%, sarebbe stato eliminato dopo poche ore dall’arrivo. I pochi scelti per il lavoro venivano immatricolati con un tatuaggio sull’avambraccio, e subivano ogni giorno appelli e torture. Alloggiavano in baracche, ricevevano poco cibo in attesa di passare loro stessi per le strutture di messa a morte per i motivi più diversi o semplicemente a causa della debolezza. I beni dei deportati venivano sistematicamente predati all’arrivo e smistati in una struttura del campo denominata Canada. L’eliminazione dei cadaveri divenne presto uno dei principali problemi per i nazisti che in principio e nei momenti di massimo “lavoro” bruciarono i cadaveri all’aperto seppellendoli in enormi fosse comuni. Dal 1943 vennero messe in funzione due coppie di edifici gemelli, i Krematorium 2 e 3, e 4 e 5, dove il processo di messa a morte e di smaltimento ed eliminazione dei cadaveri fu organizzato come in una moderna fabbrica a ciclo continuo. Le vittime dovevano spogliarsi in una grande stanza con l’illusione di essere condotte alle docce, poi in migliaia venivano stipati in una stanza con false docce nella quale veniva introdotto il gas che in circa 20 minuti ne provocava la morte tra orribili sofferenze . I cadaveri venivano poi estratti dalle camere a gas e spogliati anche dei capelli e dei denti d’oro. La fase finale avveniva nella sala forni dove i corpi erano ridotti in cenere. Le strutture della morte vennero distrutte dai nazisti in fuga all’arrivo degli Alleati. Rimasero piani costruttivi, macerie ma, soprattutto, testimonianze dei pochissimi sopravvissuti.
...la liberazione...
Scritto il 26 gennaio 2023 alle 23:00 nella Guerra, Politica, Razzismo | Permalink | Commenti (35)
Reblog
(0)
|
| |
24 dicembre 2022
Crisi energetica - l'Italia sta schivando con molta diligenza le soluzioni strutturali al duplice problema: costi+ecosistema
Da quando è iniziata la guerra all'Ucraina, e i connessi problemi di impennata dei costi dei combustibili fossili per i paesi occidentali, predico una sola religione: smettiamola di farneticare su fonti che non esistono, o che richiedono anni (che non abbiamo) per diventare disponibili. Puntiamo su cose che possono partire in pochi mesi, a costi sostenibili.
Oggi in Italia un governo di ignoranti straparla compatto di tornare al nucleare. Vogliono il nucleare di quarta generazione. Quello sicuro. Nessuno di loro sembra aver letto un report di fisici e di ingegneri, che stanno tentando di spiegare (senza riuscirci, vista la qualità dell'uditorio), che le centrali nucleari di quarta generazione sono, per ora, un sogno legato alla possibilità (per ora solo teorica) di ricavare energia non dalla fissione nucleare, ma dalla fusione.
Gli scienziati più ottimisti prevedono 25 anni per uscire dalla fase di ricerca, ed altri quindici per la messa a punto di sistemi funzionanti. Poi ci sarebbe da costruirle, queste centrali. Mettiamo insieme il tutto, e forse intorno al 2072 avremo la prima lampadina accesa dalla fusione nucleare. Ma vaglielo a spiegare, a questi espertoni...
Sfugge ai nuclearisti 'de noantri un altro fattore: l'Italia non ha riserve economicamente utili di minerali uraniferi. Sapete chi ce le ha??? In primis l'Australia, con poco meno del 60% delle riserve accertate. Segue, al secondo posto, la Russia di Putin, con poco meno del 40%. Vero che sarebbe una gran furbata passare dalla dipendenza dal gas russo a quella dall'uranio russo??? Già, perchè trasportare questa roba (sia grezza che arricchita) dall'Australia al Mediterraneo sarebbe un attimo...
Che ideona sarebbe quella di smettere di dipendere dalla Russia per il gas, e passare alla dipendenza dalla Russia per i combustibili nucleari! Una figata pazzesca!
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Cambiamo pagina, solo per un attimo: in questi giorni il prezzo di mercato del gas è precipitato addirittura al disotto (seppur di poco) del prezzo che c'era prima dell'inizio della "Operazione Speciale" di Putin. La ragione? E' bastato un segnale come l'accordo sul price-cap a livello europeo per far invertire direzione di marcia alla speculazione. Prima si speculava al rialzo, ora al ribasso. E questo persino a fronte di un regolamento del price cap abbastanza debole, pasticciato e provvisorio, e a dispetto delle minacce russe di chiudere del tutto i rubinetti.
Perchè la speculazione non si è spaventata a fronte della nuova minaccia russa? Semplicemente perchè chi specula sa che la Russia è alla fame, ha bisogno di vendere il suo gas, e non potrebbe campare senza le risorse della vendita del gas. Ora i russi hanno minacciato di vendere il gas ai paesi orientali e asiatici... E come, no??? In India non vedono l'ora di poter comprare gas russo a 200 euro al kilowattora!
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
I have a dream... L'Algarve portoghese
E allora??? Allora diamo uno sguardo a cosa sta accadendo a quei tre/quattro paesi europei che il problema lo hanno già risolto quasi totalmente. Parliamo del Portogallo, che non ha certamente l'immagine di paese tecnologicamente avanzato, ma che ci sta impartendo una grande lezione: il Portogallo ha puntato da alcuni anni alle energie gratuite, "piovute dal cielo": Sole e Vento. Con buona pace di chi pensa che queste fonti energetiche producano poco, comunichiamo che in meno di vent'anni il Portogallo - che ci ha creduto - è già ad una copertura del fabbisogno totale di energia elettrica del 50% del totale, e conta di arrivare al 100% nei prossimi vent'anni.
E noi??? Siamo fra i principali attori di questo successo tecnologico ed economico del Portogallo... Ma quello che fa incazzare è che in Portogallo la parte più importante e tecnologicamente avanzata del progetto è stata ed è portata avanti dall'italianissima Enel Energia!
[...] Oggi il Paese sta guardando avanti nel futuro. Anzi, si sta proponendo come uno dei più ambiziosi in termini di sviluppo delle fonti rinnovabili e di decarbonizzazione del mix di generazione elettrico. Un piccolo Paese dalle grandi risorse, molto promettente per le energie pulite, e in particolare per l'eolico e il fotovoltaico, senza trascurare una significativa produzione idroelettrica e un apporto geotermico: la bassa latitudine favorisce una forte insolazione e l’affaccio sull’Atlantico lo espone a un regime di venti favorevole. Inoltre, in prospettiva futura, si aprono scenari interessanti per l’energia marina – in particolare quella delle onde, per le quali le spiagge portoghesi sono famose nel mondo.
Passi da gigante ed obiettiivi ambiziosi - Fino a poco tempo fa, il sistema energetico del Portogallo era obsoleto, basato solo sui combustibili fossili che il Paese doveva procurarsi all’estero vista la scarsità di materie prime: ridurre la dipendenza dalle importazioni è stato uno stimolo in più ad abbracciare la transizione energetica e valorizzare le risorse naturali interne.
A fronte di questa situazione, il percorso intrapreso verso un sistema più pulito è stato avviato con decisione, e già si vedono i primi risultati: la percentuale delle fonti rinnovabili sul totale dei consumi finali di energia è salita dal 19,2% del 2004 al 28,1% del 2017. Nel 2018 poi il Paese ha fatto registrare un risultato eccezionale, con pochi uguali al mondo: l’elettricità prodotta dalle fonti rinnovabili nel mese di marzo è stata superiore a quella consumata dal Paese nello stesso periodo !
Oggi il Portogallo è il secondo Paese dopo la Danimarca per produzione di energia eolica fra quelli aderenti alla International Energy Agency IEA), ed è così diventato a sua volta un esportatore di energia [...]
Anche dal punto di vista tecnologico sta sviluppando eccellenze nazionali: è fra i leader mondiali per quanto riguarda l’integrazione tra impianti eolici e solari ed è all’avanguardia nei progetti sperimentali per ricavare energia dal moto ondoso dell’oceano.
E gli obiettivi per il futuro sono estremamente ambiziosi: arrivare a produrre l’80% dell’elettricità da fonti rinnovabili entro il 2030, e azzerare completamente le emissioni di gas serra dalla generazione elettrica entro il 2050.
Enel Green Power e una convergenza naturale - Sono obiettivi che sembrano quasi ricalcare quelli del nostro Gruppo: una sintonia che non poteva non portare a un incontro, tanto più che la confinante Spagna è uno dei Paesi più importanti per Enel ed Endesa fin dal 1993 è attiva in Portogallo, dove è il secondo più grande rivenditore nel mercato liberalizzato.
Una tappa fondamentale in questo percorso di avvicinamento è stata la seconda gara per le rinnovabili indetta dal governo portoghese nell’estate del 2020: il nostro Gruppo, tramite la controllata Endesa Generación Portugal, si è aggiudicato 99 MW di capacità di un impianto solare con accumulo di energia che sarà realizzato nell’Algarve, nell’estremo Sud del Paese.
Il parco solare, che sarà sviluppato, costruito e gestito da Enel Green Power, entrerà in funzione nel 2024 ed Enel avrà il diritto di collegarlo alla rete nazionale, sulla base di un contratto di 15 anni con il Sistema Elettrico Nazionale portoghese.
Ma, soprattutto, sarà il primo impianto rinnovabile integrato con un sistema di accumulo di energia del Gruppo Enel nella penisola iberica: un dato di grande rilievo, considerando il ruolo decisivo che lo storage sta sempre più assumendo per la flessibilità della rete elettrica e, in particolare, per consentire la piena integrazione delle fonti rinnovabili [...]
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
E veniamo all'Italia, e al Nuovo Governo, così preparato e con lo sguardo rivolto al futuro... Questo ha stanziato ben due terzi della finanziaria (21 miliardi di euro) ad aiuti economici per il pagamento delle bollette alle famiglie meno abbienti, ed alle imprese (comprese quelle alle quali si è già regalata la flat tax, e si tenta di regalare sempre più strumenti facilitatori dell'impunità fiscale. Si potevano spendere per provvedimenti strutturali, questi 21 miliardi? (nella fotina a destra: il "Bignami" parlamentare di FDI)
Facciamo due conti. In Italia ci sono 25 milioni di nuclei familiari. Ventuno miliardi divisi per 25 milioni di famiglie, PER UN TRIMESTRE, SONO PARI A 280 EURO AL MESE, MA SOLO PER TRE MESI. O si pensa che dal 1° di aprile la faccenda potrà rinnovarsi? Se si dovesse estendere il beneficio su tutto un anno, servirebbero 84 miliardi, che lo Stato non avrebbe neanche se mandasse i Carabinieri a rapinare le banche.
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Vediamo quale sia stato il crollo del prezzo del gas, negli ultimi tempi, addirittura mal di sotto - sia pur di poco - di quello che veniva praticato prima della vergognosa "Operazione Speciale" di Putin. Attingiamo ad un articolo de lastampa.it di ieri:
[...] Il price-cap non è ancora scattato, ma gli effetti sul prezzo del gas sono già netti. Questa mattina il costo è tornato a quota 85 euro al Megawattora (MWh), sotto i livelli precedenti alla guerra in Ucraina: il 24 febbraio 2022, giorno dell'invasione della Russia, il prezzo era schizzato a 127 euro al MWh mentre tra il 22 e il 23 febbraio il prezzo si aggirava tra i 79 e gli 88 euro al MWh. Una situazione in cui non si sente l’effetto delle minacce russe. Il vice primo ministro Alexander Novak ha annunciato che Mosca è pronta a «una riduzione parziale della produzione» [...]
Dunque, dato che attualmente il prezzo del gas è meno della metà della soglia fissata dal price-cap, per ora sembra di capire che il prezzo sia scattato verso il basso per una inversione di marcia della speculazione. I mercati delle materie prime energetiche scontano il fatto che la Russia non potrà più dettare legge. Potrà abbaiare, ma dire che compenserà i mancati acquisti europei con quelli della Corea del Nord o della Thailandia fa ridere i polli. Anche i russi devono mangiare, e possono farlo solo esportando ciò che hanno: il gas.
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
E veniamo alle conclusioni. Oggi in Italia un impiantino di pannelli solari costa in Italia, chiavi in mano, da 2.000 a a 3.000 € al kilowattora. Diciamo che per una famiglia sprecona di energia come la mia, basta e avanza il contratto da 4 kwh che ho in atto. Un sistema da 12.000 € coprirebbe le mie esigenze per tutto l'anno, anche se io non installassi un costoso sistema di conservazione dell'energia. Esiste il modo di recuperarne COMUNQUE il costo. Come?
In primavera/estate avrei un consumo basso e sole in abbondanza. Consumerei parte dell'energia prodotta, e il surplus lo venderei alla rete Enel (alla quale ovviamente resterei comunque collegato). In autunno/inverno la produzione di energia solare si dimezzerebbe, dovrei quasi certamente prendere dalla rete Enel quanto non prodotto dal solare, ma forse riuscirei a pagare il tutto con quanto risparmiato in primavera/estate.
Prima domanda imbarazzante - Ventuno miliardi in tre mesi di "ristori" per il caro-bollette, e poi ognuno si arrangi come può. Questo è il "soccorso nero" della Meloni. E poi?
Ora Ipotizziamo di dare i ristori solo ai davvero bisognosi. Diciamo la metà dei 21 miliardi stanziati? Ipotizziamo di spendere l'altra metà per pre-finanziare l'impianto a chi ci sta, a prescindere dal reddito. Con 10,5 miliardi di costruirebbero - al costo di 12.000 euro per impianto familiare, 875.000 impianti. Tenendo conto del fatto che in Italia ci sono 25 milioni di nuclei familiari (composti in media da 2,4 persone), una ideuzza del genere libererebbe, in un trimestre, il 3,5% dei nuclei familiari dal peso delle bollette. Lo Stato non dovrebbe essere un ente benefico DONATORE, ma un prestatore di prima istanza, che potrebbe riprendere i soldi spesi chiedendo ai beneficiari di restituire allo stato (o alla eventuale banca erogatrice) i 12.000 euro con rate mensili pari alla metà della media storica delle bollette pagate in era "Pre Operazione Speciale" di Putin.
Alcune domande per concludere
-a) Se lo Stato dovesse farvi una proposta del genere, in alternativa alla mancia di 200/300 euro al mese per soli tre mesi, e poi ranges, la accettereste, o preferireste la mancetta una tantum?
-b) Dato che l'operazione di liberarsi TOTALMENTE e PER SEMPRE dalla dipendenza energetica dai mal di pancia di Russia e di Paesi Arabi Democratici è riuscita fino a coperture attuali del 50/70% del fabbisogno energetico ad un paese come il Portogallo, certamente meno ricco e meno tecnologicamente avanzato dell'Italia, pensate che sia una chimera che possa farcela un'Italia eventualmente governata non da cialtroni intenti solo a favorire l'evasione fiscale futura, e a condonare quella passata?
-c) Pensate che ciò che ha fatto per il Portogallo un'azienda ITALIANA (Enel Green Power) per il Portogallo, avrebbe difficoltà a farlo in Italia?
-d) Come pensate che reagirebbe la speculazione se 27 paesi ricchi iniziassero ad adottare una politica che dovesse finanziare anche solo il passaggio di una famiglia su 10 e di una azienda su 10 all'anno alla quasi totale autosufficienza energetica?
La domanda la trovate nella reazione dei mercati del gas al solo annuncio di un price-cap per ora, di fatto, neanche entrato in funzione, e pieno di limiti e di scappatoie.
Tafanus
Scritto il 24 dicembre 2022 alle 12:37 nella Ambiente, Economia, Guerra, Nucleare, Politica, Scienza, Tafanus | Permalink | Commenti (1)
Reblog
(0)
|
| |
25 aprile 2017
...a proposito del 25 Aprile... (Un ricordo di 10 anni fa, quando la parola "Resistenza" aveva ancora un significato)
Anche oggi avrei voluto ricordare, come ogni anno, il 25 Aprile, data sacra per tutti i democratici italiani. Avrei voluto farlo, senza dire cose già sentite mille volte. Avrei voluto farlo senza retorica e senza banalità. Mi sono venuti in soccorso il più vecchio dei nostri giovani (o il più giovane dei nostri "vecchi"), il Partigiano Umberto, e la nostra Pasionaria, con questa bellissima lettera aperta, che è una splendida rievocazione di quei giorni.
.
Nel '45 io ero troppo piccolo per capire quale immane tragedia avesse vissuto il mondo, ma abbastanza grande per percepire l'immenso dolore che in quegli anni aveva attraversato, in un modo o nell'altro, tutte le famiglie italiane. Umberto e Pasionaria, con questa bellissima lettera aperta, ci aiutano a non dimenticare, e ci aiutano a stare lontani da pericolose tentazioni revisionistiche, che in questi anni hanno pericolosamente sfiorato anche la nostra parte politica. Grazie, Umberto, grazie, Pasionaria.
Tafanus
.
Caro Taf, ogni anno è sempre lo stesso nodo in gola, se penso a quel 25 aprile: due prozii e tanti amici di famiglia caduti - tra cui quel Giuliano Suppini, ventenne, che partì per “la montagna” confessando a mio zio che se e quando fosse tornato avrebbe chiesto a mia madre 18enne di sposarlo, e che poi non tornò, e che ha una piazza intitolata qui a Genova… La commozione vola... e come si fa a non ripensare a quei giorni?
.
Non e retorica, Taf, è Storia: da una parte un’odiosa dittatura fascista, xenofoba e delirante; dall’altra un popolo umiliato che vuole riscattare la propria dignità di fronte a se stesso, ai propri figli ed al mondo intero, di fatto, la logica perversa della prevaricazione e del non-diritto, opposta allo slancio schietto, corale dei valori condivisi, l’oscurantismo contro la luce… insomma, il sonno della Coscienza e la coscienza del letargo.
.
Per questo la parte sana degli Italiani, - mai come in questo caso con la “I” maiuscola - si dispera ma si interroga, cerca alternative. Sfidando il pericolo, quegli italiani si trovano, discutono, confrontano diverse ideologie e convogliano rabbia e voglia di fare su valori comuni di libertà, giustizia e rispetto.
.
Si organizzano: dalla città alla campagna, nelle fabbriche, nelle università, nelle chiese e nelle case comincia a prendere forma, discreto eppure forte, un disegno di riscatto civile. Uomini, donne, bambini perfino, sacerdoti, intellettuali, artisti, semplici operai e operaie, e, più tardi, i soldati sbandati dell’otto settembre, nessuno si tira indietro, nessuno cede alla paura; il movimento cresce, si organizza, si struttura, cerca alleanze segrete con le forze alleate che spingono da tutto il mondo per abbattere il nazifascismo; dapprima sussurrato, si fa via via voce nascosta ma corrente fino a diventare urlo, coro di consapevolezza ed abnegazione, scende lungo le strade delle città, percorre i vicoli di paese, sale sulle montagne, serpeggia nelle scuole, nelle fabbriche, ovunque.
.
Si formano i S.A.P. ed i G.A.P., le Brigate Partigiane che agiscono sabotando i mezzi nazifascisti, minando i gangli vitali del terrore, fino a quel momento ritenuto intoccabile, e, con l’aiuto degli operai in sciopero, rincuorati dalle nobili voci che si levano dalle università, recidono sistematicamente, uno dopo l’altro i fili del potere oscuro e la sua arrogante sicurezza che inizia a vacillare...ma a che prezzo!
.
Si muore, dappertutto: per rappresaglia, nelle tristi sedi di tortura, in azione: per strada, sui monti e non sono solo i “patrioti” attivi a cadere, muoiono anche e soprattutto gli innocenti: i bambini, gli ebrei, colpevoli solo di esserlo, i vecchi, tutti trucidati, senza appello, senza pietà. Ma il popolo risponde con coraggio: eroi anonimi, terrorizzati eppure determinati, giovani e anziani, tutti giocano a passaparola con la morte: a volte è solo la data di un appuntamento bisbigliato a mezza voce in un bar, o un fagotto di pane e vino lasciato a una fonte, un sacco di munizioni nascosto in balle di fieno: così il popolo sovrano costruisce il proprio riscatto e vince, mettendo in ginocchio con le nude mani chi voleva mettere in ginocchio il mondo intero con gli eserciti ed il terrore.
.
Anni di impegno e di sangue ma nulla può contro la tenacia di chi è nel Giusto: è vittoria, finalmente, si può tornare allo scoperto per il tempo della gioia e dell’orgoglio. Sfilano nelle città festose pur tra le macerie, tornano – chi torna…-, quei ragazzi, quegli uomini, quelle donne, stanchi ed ancora increduli, scortano le livide schiere di invasori e fascisti a braccia alzate, le mani intrecciate sulla testa, prigionieri, a loro volta increduli della sconfitta per sottoporli alla pubblica vergogna.
.
Cantano, baciano le ragazze che portano nei capelli i fiori di quell’aprile; ballano i ritmi degli americani che li hanno aiutati, per qualche notte di legittima spensieratezza, per una pausa, ma nella consapevolezza che la contingenza incombe e che prima di ogni altra cosa, subito dopo la festa, ci sarà il momento del silenzio, nel ricordo dei compagni caduti, vittime necessarie e preziose, comunque presenti nei cuori di chi è sopravvissuto. Poi, la vita: il riorganizzarsi, il dare regole a quella libertà ritrovata che senza, sarebbe solo caos. Nuovamente si riuniscono con già nella mente e nel cuore, l’idea di una nuova Italia civile e democratica.
.
E finalmente il 22 dicembre 1947 il presidente dell’Assemblea Costituente, Umberto Terracini può annunciare l’approvazione del testo definitivo della Costituzione, naturale, felice epilogo di tanto sacrificio, ecco le sue parole:
.
“…l’assemblea ha pensato e redatto la Costituzione come un solenne patto di amicizia e fraternità di tutto il popolo Italiano cui essa lo affida perché se ne faccia custode severo e disciplinato realizzatore…con Voi mi inchino reverente alla memoria di quelli che, cadendo nella lotta contro il fascismo e contro i tedeschi, pagarono per tutto il popolo italiano il tragico ed il generoso prezzo di sangue per la nostra libertà e la nostra indipendenza (vivissimi generali applausi); con Voi inneggio ai tempi nuovi cui col nostro voto, abbiamo aperto la strada per un loro legittimo affermarsi.
.
Viva la Repubblica Democratica Italiana libera, pacifica ed indipendente! (vivissimi generali prolungati applausi – Si grida Viva la Repubblica! Viva il Presidente Terracini! – Nuovi vivissimi, generali applausi).”
.
Ecco, ricordare la guerra di liberazione così, come una scorsa al volo di un esaltante romanzo, ancora oggi mi commuove ed inorgoglisce se solo provo a dirmi: “ Siamo stati noi! Siamo stati capaci di farlo!”. E’ da qui che veniamo, tutti, anche chi ultimamente tenta di negare la sacralità di quei fatti, ma poi usa quella Democrazia Conquistata per tentare di distruggerla. Noi, figli di un altro Dio, a noi fortunati per aver trovato il corso del vivere democratico già segnato ed avviato dal sacrificio dei nostri padri, rimane quindi l’alto compito della Memoria.
.
Mai dimenticare chi ha umiliato l’Italia! Nessun revisionismo che neghi gli orrori del nazifascismo! Mai dimenticare chi ha lottato duro per la libertà, quella vera fatta di regole condivise e non di arbitrii personali…Mai dimenticare il prezzo di sangue pagato! Mai cessare di insegnarlo ai nostri figli, perché mai più si ripeta la tragedia di una guerra civile, ed essere veramente, a dirla con Pietro Calamandrei, nella famosa "Epigrafe dell'Ignominio":
Perché non è retorica, ma è Storia: la nostra.
Nota: Processato nel 1947 per crimini di Guerra (Fosse Ardeatine, Marzabotto e altre orrende stragi di innocenti), Albert Kesselring, comandante in capo delle forze armate di occupazione tedesche in Italia, fu condannato a morte. La condanna fu commutata nel carcere a vita. Ma già nel 1952, in considerazione delle sue "gravissime" condizioni di salute, egli fu messo in libertà. Tornato in patria fu accolto come un eroe e un trionfatore dai circoli neonazisti bavaresi, di cui per altri 8 anni fu attivo sostenitore. Pochi giorni dopo il suo rientro a casa Kesselring ebbe l'impudenza di dichiarare pubblicamente che non aveva proprio nulla da rimproverarsi, ma che - anzi - gli italiani dovevano essergli grati per il suo comportamento durante i 18 mesi di occupazione, tanto che avrebbero fatto bene a erigergli... un monumento.
A tale affermazione rispose Piero Calamandrei, con una famosa epigrafe (recante la data del 4.12.1952), dettata per una lapide "ad ignominia", collocata nell'atrio del Palazzo Comunale di Cuneo in segno di imperitura protesta per l'avvenuta scarcerazione del criminale nazista.
Lo avrai
camerata Kesselring
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi.
Non coi sassi affumicati
dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio
non colla terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità
non colla neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non colla primavera di queste valli
che ti videro fuggire.
Ma soltanto col silenzio del torturati
Più duro d'ogni macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato fra uomini liberi
che volontari si adunarono
per dignità e non per odio
decisi a riscattare
la vergogna e il terrore del mondo.
Su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre
RESISTENZA
Scritto il 25 aprile 2017 alle 00:00 nella Guerra | Permalink | Commenti (24)
Reblog
(0)
|
| |
12 settembre 2012
Salvare la Grecia dalla fame a spese dei tedeschi? Sognare non è vietato, ma forse non è solo un sogno
Crisi greca, Atene agli sgoccioli tenta la carta dei danni di guerra coi tedeschi
Secondo il Financial Times Deutschland il vice ministro dell’economia avrebbe istituito un gruppo di lavoro per valutare i documenti ufficiali presenti negli archivi storici. Nel 2011 i conteggi dell'economista francese Jacques Delpla, stimavano che la Germania dovrebbe corrispondere alla Grecia 575 miliardi
(di Francesco De Palo - Il Fatto)
Che i denari “riparatori” dei danni post secondo conflitto mondiale non fossero mai arrivati nelle casse di Atene era cosa risaputa. Ma adesso, alla vigilia dell’ultimo report della Troika che potrebbe anche mettere fine alle speranze di salvataggio del Paese, il ministero delle Finanze greco vuole fare sul serio per ottenere quel risarcimento. Lo scrive, oggi dopo mesi di petizioni e richieste da parte di varia stampa internazionale, anche il Financial Times Deutschland secondo cui il vice ministro dell’Economia greco avrebbe istituito un gruppo di lavoro per valutare i documenti ufficiali presenti negli archivi storici. E con essi (i risultati tecnici sono attesi per la fine dell’anno) proporre ai rappresentanti di Bce, Fmi e Ue una sorta di integrazione al pacchetto di salvataggio contenuto nel memorandum.
I fatti: Hitler invase la Grecia nell’Aprile 1941, saccheggiandola e devastandola in lungo e in largo. Ha scritto la Croce Rossa Internazionale nel suo rapporto ufficiale sulla questione che tra il 1941 e il 1943 almeno 300.000 cittadini greci morirono letteralmente di fame, in virtù proprio di quelle razzìe da parte dei tedeschi.
Cornuti e mazziati - Inoltre sia la Germania che l’Italia, oltre a pretendere cifre elevatissime per le spese militari, ottennero forzatamente dalla Grecia anche quello che venne definito un prestito d’occupazione, consistente in 3,5 miliardi di dollari. Lo stesso Fuhrer riconobbe in quella circostanza il valore legale del prestito e avallò il risarcimento. Ma alla Conferenza di Parigi nel 1946 qualcosa andò storto e alla Grecia furono riconosciuti 7,1 miliardi di dollari come risarcimento, invece dei 14 richiesti. E mentre l’Italia ripagò regolarmente la propria parte del prestito, la Germania si rifiutò costantemente di farlo. Come se le riparazioni post belliche non fossero necessarie.
Ma a quanto ammonta oggi quella cifra? Prendendo come metro di valutazione l’interesse medio dei Buoni del Tesoro americani dal 1944, (il 6%) ballerebbero cifre enormi: 163,8 miliardi di dollari per l’occupazione 332 miliardi di dollari per i danni. E secondo un rapporto redatto nel luglio del 2011 dall’economista francese Jacques Delpla, la Germania dovrebbe corrispondere alla Grecia 575 miliardi, molto di più dei 355 miliardi di euro circa che oggi costituiscono il macigno di debiti sul futuro di Atene.
Certo, per dirla con le parole di chi quella richiesta l’ha avanzata molto tempo prima dell’articolo pubblicato sull’edizione tedesca del Financial Times, con petizioni che hanno chiamato a raccolta intellettuali, storici e giornalisti, la Grecia per anni è servita da pied-à-terre mediterraneo con prestiti massicci delle banche, con la telefonia in mano alla Deutsche Telekom, con l’aeroporto di Atene realizzato dai tedeschi, con i trasporti marittimi, con le commesse militari. Kostas Karamanlis, fido alleato della Cancelliera ha comprato 170 carri armati Leopard, 223 cannoni di seconda mano, 4 sottomarini della ThyssenKrupp (di cui uno che pendeva a destra). Mica due Cinquecento e un paio di Panda. Consola che oggi il governo di Atene stia almeno provando a rialzare la testa affidandosi alla storia. Ma certificando di fatto una scomoda oggettività: che alternative praticabili non ve ne sono.
Non sapevo (confesso la mia ignoranza), che noi italiani bbrava ggente, insieme ai moralizzatori tedeschi, avessimo preteso persino che la Grecia, invasa e martoriata, ci risarcisse quanto da noi speso per invaderla e martoriarla. E ora, purtroppo, avverto una leggera brezza di razzismo che mi sfiora la pelle...
Spero che la brezza non cresca, e non si diffonda, ma se questa storia dei danni di guerra (che non sono un'invenzione greca) dovesse diffondersi, l'intransigenza della Germania alla fine sarebbe servita a svuotare di significato uno dei motivi fondanti per la creazione della Unione Europea, rafforzata dall'unione monetaria: evitare che i mostri della prima e della seconda guerra mondiale potessero mai rinascere. Tafanus.
Scritto il 12 settembre 2012 alle 12:11 nella Economia, Guerra, Politica, Razzismo | Permalink | Commenti (2)
Reblog
(0)
|
| |
11 gennaio 2012
Breakin' News: Il governo riesamina l'acquisto degli F-35, ma difende il programma
ROMA - "Il dimensionamento complessivo del programma Joint Strike Fighter e' in corso di riesame alla luce delle esigenze operative e delle compatibilita' finanziare". Lo dice il ministro della Difesa Giampaolo Di Paola, nel corso del question time alla Camera, rispondendo a una interrogazione sull'acquisto di 131 cacciabombardieri F-35.
Detto questo, pero', il ministro rivendica "l'elevato valore operativo, tecnologico e industriale" che portera' all'Italia "la produzione del velivolo". E facendo riferimento al "complesso industriale" che sara' coinvolto, spiega, "che dara' occupazione a 1.500 persone". Mentre per le industrie collegate che vi lavoreranno "dara' una previsione di 10 mila posti di lavoro e di oltre 40 imprese" coinvolte "che contribuiscono alla crescita economica del paese. Anche cosi' si fa la crescita". Inoltre, ricorda che il programma fu "avviato con lungimiranza dal ministro Andreatta e poi confermato nel decennio dai governi D'Alema, Prodi e Berlusconi".
Il programma F-35 dev'essere abbandonato tout-court. Non si raddrizzano le gambe ai cani, ed ogni giorno che passa negli stessi USA sorgono crescenti perplessità. Inoltre, è un piano che non possiamo permetterci. Vedi post del tafanus, tratto da Wired
Scritto il 11 gennaio 2012 alle 20:49 nella Economia, Guerra, Politica | Permalink | Commenti (0)
Reblog
(0)
|
| |
10 gennaio 2012
"Wired" denuncia lo scandalo degli F-35 che ci accingiamo a comprare: "Hanno ben 13 costosi difetti"
Il jet da un trilione di dollari ha tredici nuovi costosi difetti - Il più costoso programma di armamenti di tutti i tempi nella storia degli USA è sul punto di caricarsi di un sacco di aggravi di costi
Il "multiruolo" F-35 Joint Strike Fighter, che dovrebbe rimpiazzare praticamente tutti gli aerei da guerra "tattici" nella Air Force e nella Marina, già aveva un costo atteso di un trilione di dollari nei prossimi 50 anni per sviluppo, costruzione e manutenzione. Ora si prevede che questo costo sia destinato a crescere, a causa di 13 diversi difetti di progettazione messi a nudo negli ultimi tre mesi da una commissione segretissima di 5 esperti del Pentagono. Eliminare questi difetti dai soli aerei già in costruzione potrebbe costare un miliardo di dollari, per non parlare dei costi aggiuntivi sugli aerei che entreranno in produzione più tardi.
Oltre che costare di più, l'F-35 potrebbe richiedere tempi più lunghi per il completamento dei test. Questo potrebbe comportare il debutto di questo segretissimo aereo da combattimento [fino al 2018] - sette anni più tardi della data originariamente pianificata. E tutto questo accade mentre il Pentagono deve sostenere forti tagli di budget, mentre tenta di mantenere adorati ma costosi programmi come il Joint Strike Fighter.
Frank Kendall, il Direttore degli Acquisti di armi del Pentagono, ha concordato con le conclusioni della commissione "Quick Look Review" di ottobre. [Il suo rapporto] - 55 pagine piene di gergo tecnico e complicate illusatrazioni - è stato filtrato durante il week-end. Kendall e compagni hanno trovato una lista di difetti dell'F-35, che include un aggancio di coda piazzato in maniera approssimativa, sensori difettosi, un sistema elettrico folle, e rotture strutturali.
Alcuni problemi - [i difetti elettrici], per esempio - erano già chiari prima della istituzione della commissione; altri sono totalmente nuovi. I commissari li descrivono tutti in dettaglio, e per la prima volta li collegano a problemi di management del progetto.
Il rapporto menziona anche - ma senza descriverlo - un problema "classified", cioè coperto da segreto. Il problema, secondo il guru dell'aviazione Bill Sweetman, ha qualcosa a che vedere con lo "scudo": in altri termini, l'F-35 potrebbe non essere così invisibile ai radar come vorrebbe il costruttore, Lockheed Martin [...]
Il programma JSF è reso più acuto da un sistema di produzione per il quale gli aerei sono entrati in produzione mentre alcuni test erano ancora in corso, per affrettare i tempi di consegna. La teoria era che alcuni punti non necessitassero di test, essendo questi sostituibili da simulazioni al computer [...] Ma questo ottimismo si è rivelato infondato. I punti non coperti da test veri hanno fatto emergere ben 725 cambi in corsa del progetto, mentre già gli aerei partivano dallo stabilimento di Fort Worth, in Texas. Ed ogni cambiamento assorbe tempo e danaro. Per permettersi il costo dei cambiamenti, il Pentagono ha ridotto gli ordini di F-35 per quest'anno da 42 a 30 unità, e per l'anno prossimo da 35 a 30 [...]
Il Segretario alla Difesa Robert Gates sottolinea come la variante a decollo verticale, chiesta dalla Marina, se non verrà testata con successo entro due anni, potrebbe essere cancellata dai piani della Difesa [...]
(da Wired.Com - Traduzione di Antonio Crea)
Scusate se insistiamo sull'argomento F-35, ma in genere quando addentiamo un osso non lo molliamo facilmente. Se ancvhe gli americani possono ridurre, e addirittura annullare gli ordini di acquisto degli F-35, perchè mai non potrebbe farlo l'Italia? E' infatti stato dimostrato che l'Italia perderebbe sono quanto già speso (circa 2 miliardi) ma non sarebbe costretta all'acquisto di 131 aerei per 15 miliardi, più altre tre volte 15 miliardi per la manutenzione.
Inoltre, spendiamo una parola sul costruttore: la Lockheed. A quelli che hanno più o meno la mia età, questo nome evoca storie non propriamente commendevoli di mazzette. Do you remember Antelope Cobbler?
A coloro che leggono l'inglese, consiglio la lettura dell'articolo completo, ricco anche di altri numerosi links ad articoli d'inchiesta su problemi specifici di questo costosissimo aereo nato male. Tafanus
Scritto il 10 gennaio 2012 alle 03:29 nella Economia, Guerra, Politica, Tafanus | Permalink | Commenti (0)
Reblog
(0)
|
| |
07 gennaio 2012
La petizione contro l'acquisto dei cacciabombardieri F35 ha improvvisamente cambiato marcia
Poichè per tre giorni la nostra petizione contro l'acquisto dei cacciabombardieri F35 ha languito, e da stamattina si è messa a marciare a velocità centuplicata (da una/due firme all'ora ad oltre 100 firme all'ora), qualche esperto può darmi una drizza su chi o che cosa io debba ringraziare? Tafanus
Scritto il 07 gennaio 2012 alle 14:31 nella Guerra, Politica, Tafanus | Permalink | Commenti (3)
Reblog
(0)
|
| |
04 gennaio 2012
Cresce anche in rete la protesta contro l'Italia bombarola
Scritto il 04 gennaio 2012 alle 10:05 nella Economia, Guerra, Tafanus | Permalink | Commenti (6)
Reblog
(0)
|
| |
03 gennaio 2012
Offerta speciale: 131 cacciabombardieri F35 a soli 15 miliardi. Più altri 60 per la manutenzione
Niente di più falso. Ora emergerebbe che non ci sono penali da pagare. Basterebbe stoppare l'acquisto, e fine della trasmissione. Un atto che sarebbe molto apprezzato, nel momento in cui si preparano per gli italiani anni di lacrime e sangue. Sarebbe molto apprezzato in un paese la cui Costituzione ripudia la guerra quale strumento per la risoluzione delle controversie.
Il programma di acquisto di questi aerei sarebbe distruttivo anche per i successivi costi di manutenzione e di gestione, che moltiplicherebbero per quattro il costo iniziale d'acquisto, già da paura. Non ci possiamo permettere (né ora né mai) di spendere 60 miliardi per un cacciabombardiere. Stiamo parlando di qualcosa come 7/8 fantomatici Ponti sullo Stretto. Il governo faccia chiarezza, e ripudi questo progetto.
Le notizie contenute in questo post sono tratte in gran parte dall'inchiesta di AltrEconomia. Ovviamente nessuno pensa che questo giornale sia la Bibbia, ma le cose riportate sono di una tale gravità, e di una tale incidenza presente e futura sui costi dello Stato, che diventa doveroso per il centro-sinistra presentare delle interrogazioni parlamentari, e per il Governo esibire le carte in Parlamento, che mostrino quale sia effettivamente lo stato dell'arte degli obblighi contrattuali; che mostri cosa si spende in caso di esistenza di penali ad abbandonare il progetto; cosa si spenderebbe a mandarlo avanti.
Nessuna condanna preventiva del Governo, ma nessuna assoluzione preventiva a scatola chiusa. Vogliamo sapere. Tafanus
________________________________________________________________________________________
Una campagna e molte voci chiedono da tempo di evitare questa spesa. Fino ad ora la risposta dei fautori del progetto era stata: “Le penali sono troppo alte”. Ma l'inchiesta di Altreconomia dimostra una cosa diversa.
È sempre un altro a premere il grilletto, ma sono le banche ad armarlo. La produzione e il commercio di armi sono legate in modo indissolubile alla finanza: l’industria a produzione militare -come ogni altro settore produttivo- si appoggia infatti al sistema finanziario per sostenere il proprio sviluppo. “L’economia armata” è un prezioso strumento di trasparenza per chi vuole saperne di più e non essere più complice. Attraverso un’analisi minuziosa di dati e rapporti gli autori spiegano con disarmante chiarezza in che misura e attraverso quali canali i fondi di investimento o i fondi pensione -strumenti finanziari di cui tutti i cittadini si servono- alimentano la produzione di armamenti. Fanno il punto sulle cosiddette “banche armate” e offrono strumenti concreti a ogni consumatore che desideri un’economia di pace. L’economia armata. La produzione e il commercio di armi: conoscerne i meccanismi per promuovere un’economia di pace, di Giorgio Beretta, Chiara Bonaiuti e Francesco Vignarca (144 pp., 8 euro). In vendita nelle botteghe del commercio equo e solidale e sul sito altreconomia.it
Su questo tema il caso emblematico è quello dei cacciabombardieri d’attacco Joint Strike Fighter F-35, il programma militare più costoso della storia guidato dagli Stati Uniti in compartecipazione con altri 8 Paesi tra cui l’Italia (che è partner di “secondo livello” come la Gran Bretagna).
Da tempo e da più parti si chiede che questa spesa (i conti parlano per l’Italia di almeno 15 miliardi di euro in 11 anni) sia cancellata, o almeno ridotta, anche perché le stime di costo per ciascuno dei 131 velivoli che il nostro Paese si è impegnato ad acquistare hanno sfondato tutte le previsioni iniziali. “Impossibile -è la risposta più utilizzata-: il prezzo delle penali sarebbe maggiore della fattura di acquisto”.
La documentazione ufficiale dell’operazione si trova sul sito www.jsf.mil. Da questa si evince qualcosa di ben diverso: l’uscita del nostro Paese dal programma non comporterebbe oneri ulteriori rispetto a quelli già stanziati e pagati per la fase di sviluppo e quella di pre-industrializzazione. Lo prevede il “Memorandum of Understanding” del Joint Strike Fighter (in pratica, l’accordo fra i Paesi compartecipanti) sottoscritto anche dall’Italia con la firma apposta il 7 febbraio del 2007 dall’allora sottosegretario Giovanni Lorenzo Forcieri (governo Prodi). La sezione XIX del documento[...] stabilisce che qualsiasi Stato partecipante possa “ritirarsi dall’accordo con un preavviso scritto di 90 giorni da notificarsi agli altri compartecipanti” (par 19.4). In tale evenienza il Comitato Esecutivo del Jsf deciderà i passi successivi e il Paese che ha deciso di lasciare il consorzio continuerà a fornire il proprio contributo, finanziario o di natura operativa, fino alla data effettiva di ritiro.
Il Memorandum mette comunque al riparo tale mossa da costi ulteriori. In caso di ritiro precedente alla sottoscrizione di qualsiasi contratto di acquisto finale degli aerei nemmeno i costi di chiusura della linea produttiva, altrimenti condivisi, potrebbero essere imputati e “in nessun caso il contributo finanziario totale di un Paese che si ritira -compresi eventuali costi imprevisti dovuti alla terminazione dei contratti– potrà superare il tetto massimo previsto nella sezione V del Memorandum of Understanding” (par. 19.4.3).
E cosa stabilisce questa sezione? Che i costi non-ricorrenti e condivisi di produzione, sostentamento e sviluppo del progetto siano distribuiti, secondo tabelle aggiornate a fine 2009, in base al grado di partecipazione al programma di ciascun Stato. Per l’Italia ciò significa, nell’attuale fase (denominata “PSFD”: Production, Sustainment, Follow-on Development), una cifra massima totale, calcolata a valori costanti del dollaro, di 904 milioni.
Niente di più, in caso di ritiro prima di un qualsiasi contratto di acquisto dei velivoli. Addirittura agli Stati Uniti è concesso, nel paragrafo 19.7, un ritiro unilaterale dal programma sebbene il totale previsto di 2.443 aerei da acquistare (cioè il 75% del totale) impedisca nei fatti di compiere tale scelta.
Proprio sulla base di queste parti dell’accordo Norvegia, Canada, Australia e Turchia hanno di recente messo in discussione la loro partecipazione al programma, in qualche caso arrivando a una vera e propria sospensione.
Alle spesa che l’Italia ha già pagato per il programma Jsf occorre aggiungere inoltre il miliardo di euro circa pagato per la precedente fase di sviluppo SDD (System Development and Demonstration) e i circa 800 milioni (di euro) previsti complessivamente ed in autonomia per l’impianto Final Assembly and Check Out (Faco) di Cameri. L’insediamento costituirà il secondo polo mondiale di assemblaggio degli F-35, ed è stato voluto fortemente dal governo italiano in cooperazione con i Paesi Bassi. Cameri è la sede in cui Alenia (un’industria privata in un insediamento produttivo pubblico) dovrebbe costruire le ali (ma solo quelle sinistre) del velivolo. L’appalto è stato assegnato alla società controllata da Finmeccanica per sub-contratto.
Fatti due conti, il totale degli oneri già determinati a carico del contribuente italiano ammonta a 2,7 miliardi di euro. E ci si potrebbe fermare qui.
La situazione sarebbe completamente diversa in caso di sottoscrizione già avvenuta del contratto di acquisto degli aerei: non più un accordo tra Stati partner per la suddivisione di costi di un progetto congiunto, ma vero e proprio ordine di acquisto inoltrato all’azienda capo-commessa Lockheed Martin. In tale caso l’investimento andrebbe a lievitare sia per il costo in sé dei 131 velivoli previsti, sia per le penali in caso di ritiro che sicuramente l’impresa Usa non mancherebbe di esplicitare. Per questo Lockheed Martin ha cercato, negli ultimi anni, di premere per la costituzione di un consorzio di acquisto tra alcuni dei Paesi del progetto.
Già dal 2007 i manager del board JSF hanno incoraggiato, con la promessa di prezzi più bassi, i partner a sottoscrivere contratti di acquisto. Ma questa ipotesi prevedeva sanzioni: qualsiasi cliente avesse annullato o ritardato le consegne avrebbe dovuto compensare gli altri membri del consorzio per l’aumento dei costi unitari derivanti. Una spada di Damocle che non è piaciuta a nessuno, tanto che fonti del governo australiano hanno dichiarato “morta” la trattativa già a fine 2009. Fonti militari ci confermano oggi che nemmeno lo Stato italiano, dopo il Memorandum del 2007, ha firmato ulteriori accordi a livello governativo.
L’impatto per le nostre tasche sarebbe ben diverso se l’Italia continuasse sulla strada intrapresa, arrivando a firmare un contratto con Lockheed Martin. L’ultima “Nota aggiuntiva allo stato di previsione per la Difesa” disponibile (quella per il 2011, perché nella Legge di Stabilità di fine anno del governo Berlusconi nessun dettaglio è riportato, nemmeno per i tagli lineari già previsti dall’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti) stanzia per tutta la fase di acquisto dei 131 caccia ipotizzati, da completarsi nel 2026, un costo complessivo di 13 miliardi di euro.
In realtà le più recenti stime basate sui dati del Pentagono proiettano il costo finale di ciascun esemplare a più del doppio dell’ipotesi iniziale elaborata dai tecnici del programma; ciò significa che la fattura per l’Italia (compresi anche i propulsori, pagati a parte) potrebbe tranquillamente ammontare -e stiamo parlando di stime in continua crescita- ad almeno 15 miliardi di euro. Soldi da pagare in corrispondenza dei singoli contratti d’acquisto, spalmati su più anni. Senza contare che, in particolare per i progetti aeronautici, i costi maggiori si hanno con il mantenimento e la gestione dei velivoli.
Dando retta alla tabella che distribuisce la produzione dei velivoli per singolo anno e singolo Paese, invero un po’ datata, l’Italia dovrebbe iniziare ad acquistare aerei nel 2012 (4 esemplari) per finire nel 2023 (10 esemplari con picco di 13 aerei tra il 2016 e il 2018). Le consegne effettive sono previste due anni dopo la firma di ciascun contratto. Proiettando il tutto in termini monetari ciò comporterebbe un costo dai 460 ai 1.495 milioni di euro all’anno da qui al 2023, con un costo medio annuale di almeno 1.250 milioni.
Eppure sarà difficile vedere un “dietro-front” del nostro Paese su questo progetto, almeno per mano del Governo “tecnico” attualmente in carica. È stato infatti proprio l’attuale ministro della Difesa Di Paola a firmare, con una cerimonia a Washington nel giugno 2002, l’accordo per la partecipazione italiana da un miliardo di euro alla prima fase SDD (come si vede nella foto accanto, diffusa dal Dipartimento della Difesa USA e disponibile sul sito del progetto JSF).
Secondo il direttore del programma JSF del tempo Jack Hudson, l’ammiraglio Di Paola (a quell’epoca Segretario generale della Difesa) è stato un “formidabile sostenitore per il Jsf in Italia; la sua appassionata energia e la sua visione sono state di valido aiuto per il completamento dei negoziati”. Peccato che, durante i discorsi ufficiali, Di Paola non sia stato buon profeta nell’affermare che con il Jsf si sarebbe sperimentato un nuovo approccio al procurement militare ottenendo alti risultati “con un’attenzione stringente al controllo di costo”. La crescita vertiginosa del prezzo ha dimostrato ben altra realtà.
Visto che la “foglia di fico” delle penali si è rivelata solo fumo negli occhi, sarebbe il caso di mettere realmente in discussione un programma che ci costerà oltre un miliardo di euro all’anno solo per l’acquisto degli aerei, poi da mantenere. Nemmeno la giustificazione del ritorno industriale pare plausibile (si favoleggia del 75% dell’investito) e soprattutto sono da ridimensionare fortemente le stime occupazionali legate alla partecipazione dell’industria italiana al progetto. Le parti sociali, in particolare sindacali, hanno stabilito in 200 (più 800 nell’indotto) i posti di lavoro creati, mentre il ministero della Difesa prevede 600 occupati alla struttura FACO di Cameri.
Non certo i 10.000 impieghi raccontati per anni da politici e manager compiacenti con il programma. Studi recenti dimostrano che spostare un miliardo di dollari dalla Difesa al comparto delle energie rinnovabili aumenterebbe del 50% il tasso di occupazione: addirittura del 70% se re-investiti in ambito sanitario.
Un mondo senza conflitti, secondo i calcoli dell’australiano Institute for Economics and Peace che elabora il Global Index of Peace avrebbe creato un valore economico positivo di 8.000 miliardi di dollari, con un terzo di questa cifra derivante dalla riconversione dell’industria bellica.
Acquistare i 131 caccia bombardieri F35 nell'ambito del programma Joint Strike Fighter costerà all'Italia almeno 15 miliardi di euro. Una campagna e molte voci chiedono da tempo di evitare questa spesa. Fino ad ora la risposta dei fautori del progetto era stata: “Le penali sono troppo alte”. Ma l'inchiesta di Altreconomia dimostra una cosa diversa.
Scritto il 03 gennaio 2012 alle 10:52 nella Economia, Guerra | Permalink | Commenti (17)
Reblog
(0)
|
| |
01 ottobre 2011
L'Europa è finita nella guerra libica perchè Francia e Gran Bretagna sono corse in soccorso degli oppressi per garantirsi il loro petrolio.
...e se ne sono infischiate degli alleati... e il governo provvisorio libico, mentre già stringe accordi sottobanco coi liberatori più impegnati, fa sapere al patetico Frattini (che già pensava all'Italia come erede fuori discussioni degli affarucci con la Libia) che tutti i contratti in essere all'inizio della rivoluzione andranno rinegoziati. Frattini è avvertito. Autorizzare pagliacciate folcloristiche a Roma non basta per garantirsi negli affari... Tafanus
L'Europa politica non esiste. quelle economica e militare sono vaghe. il nostro ministro degli esteri va in televisione a pronunciare frasi inconcludenti e noi siamo alle prese con una crisi economica di cui ignoriamo le cause e le cure: davvero una situazione chiara e confortante. I primi ministri francese e inglese, Sarkozy e Cameron, sono andati in Libia come trionfatori, ci fanno sapere senza infingimenti che diventeranno padroni del petrolio libico.
E noi? Ci hanno messo alla porta senza complimenti, ci hanno fatto sapere che della Libia e dell'Africa è meglio che non ci occupiamo. È la fine dell'Europa unita? Dell'alleanza militare e della collaborazione economica? Il nostro governo, la nostra pubblica opinione non se ne occupano, continuano a correre dietro agli amorazzi di Berlusconi.
Si dirà che c'era da prevederlo. Di fronte alla guerra di Libia siamo tornati ai giri di valzer dell'Italietta umbertina fra la triplice alleanza degli imperi centrali e i franco-inglesi-americani. Come membri della Nato ci siamo schierati contro Gheddafi, abbiamo messo i nostri aeroporti a disposizione della Nato, ma senza nascondere che in cuore nostro speravamo ancora in una vittoria del rais, amico fraterno di Berlusconi, spesso ospite con tendone a Roma.
La sconfitta non è solo del nostro governo, è anche una sconfitta della nostra informazione incapace di una vera indipendenza. Non siamo stati capaci di prevedere né le rivoluzioni arabe né la guerra di liberazione, e mentre i vecchi imperialisti inglesi e francesi sentivano odor di bottino e si lanciavano in una vera guerra coloniale, la nostra marina e la nostra aviazione hanno avuto parti minori e sfuggenti che in qualche modo ripetevano la formula mussoliniana ambigua della "non belligeranza". Del tipo: ufficialmente ci siamo anche noi in guerra, ma in pratica stiamo a guardarla.
Francia e Inghilterra, secondo le migliori tradizioni imperialistiche, miravano al sodo: vi liberiamo da Gheddafi ma in cambio ci prendiamo le vostre risorse minerarie. Quando apparve sui giornali la notizia che la Francia avrebbe avuto il 25 per cento delle concessioni petrolifere, Sarkozy si è affrettato a smentire, ma ora c'è la conferma ufficiale del rapporto preferenziale. Abbiamo anche saputo con molto ritardo che l'intervento franco-inglese non era solo quello dell'aviazione, ma anche terrestre dei corpi speciali che agivano sul territorio libico in stretta collaborazione con gli insorti.
Con la guerra libica è avvenuto un fatto politico decisivo per l'Europa, forse il tramonto definitivo del sogno europeo. Lasciate libere dall'urgenza dell'intervento in qualche modo le vecchie potenze colonialiste, che conoscono l'arte dell'atto compiuto, hanno colto l'occasione: erano le uniche nel Vecchio continente ad avere due potenti flotte aeree da guerra, eredità dei giorni in cui dominavano il mondo, e le hanno usate infischiandosene dei rapporti con gli altri paesi europei. I soli che si sono negati, che si sono tirati fuori, sono stati i tedeschi che di guerra non ne vogliono più sapere dopo l'esito disastroso di quella nazista.
L'aspetto più deludente di quest'epoca è il riflusso verso posizioni passate, il ritorno degli errori del passato, impressionante. La Nato in versione franco-inglese non è lo scudo delle libere democrazie, la difesa ardua della democrazia riconquistata, ma il solito gioco dei potenti che fiutano i momenti favorevoli per ripetere le loro prepotenze e assicurarsi nuovi privilegi. Uno spettacolo drammatico ma per certi aspetti quasi comico, questo delle superstiti potenze europee che corrono in soccorso degli oppressi per derubarli. Siamo con voi contro i vostri feroci dittatori, ma ogni cosa ha un prezzo: ci accontentiamo della metà del vostro petrolio.
(di Giorgio Bocca - l'Espresso)
Scritto il 01 ottobre 2011 alle 18:00 nella Guerra, Politica | Permalink | Commenti (1)
Reblog
(0)
|
| |
11 settembre 2011
New York: quando c'erano ancora le Twin Towers...
...correva l'anno 1987, ed era settembre...
...era la prima volta che Marisa (quella con tanti capelli) mi accompagnava negli USA, ed era affascinata, come tutti, dalla sky-line di Manhattan... Per la prima volta, grazie a lei, avevo fatto un exploit da "turista verace": un giro in battello nella baia dello Hudson, con tanto di foto delle due torri...
...come tutti, ci eravamo stati anche su, ma quel profilo, visto dall'acqua, non lo si dimentica facilmente... quella sky-line l'avrei rivista ancora, altre volte, ma per Marisa quella è stata la prima e l'ultima volta... Dopo l'11 settembre 2001 non ci ho messo più piede, a NY... Un caso, aiutato dal subconscio...
Io l'ho saputo attraverso una concitata telefonata di mia figlia, pochi minuti dopo le 15: "...papà, accendi la TV, sta succedendo qualcosa di terribile a New York..." Poi, un avvenimento dopo l'altro, mezzo mondo è rimasto inchiodato alla TV, in stato d'ipnosi. L'inimmaginabile era accaduto, e sembrava un film di fantacienza... Poi....
Poi, piano piano, il tempo, col contributo dei bushes, ha affievolito il ricordo, spostato simpatie.... Oggi - fate anche voi l'esperimento - se digitate Due Torri su Google, trovate cinema, pizzerie, qualche agroturismo, e solo per miracolo, nell'ultima riga della prima schermata di Google, trovate un post del Tafanus dell'11 Settembre 2007, dal titolo "Sesto e ultimo anniversario dell11/Settembre 2001".
Se avete voglia e tempo di dargli uno sguardo, capirete il senso amaro di quel titolo. Ma potete capirlo anche leggendo la successiva, amara lettera di Flavio Lotti, Coordinatore Nazionale della "Tavola della Pace", che condivido nella lettera e e nello spirito. La faida dei bushes ha moltiplicato quei 3000 morti per cento, e la storia non è ancora conclusa. Siamo andati in giro per il mondo ad esportare la democrazia, ma passeremo alla storia anche per Abu Grahib e per Guantanamo.
Lasceremo in giro per il mondo poca democrazia, e tante macerie, materiali e morali. No, quando abbiamo regalato agli americani la nostra sincera partecipazione al loro dramma, non era questo che sognavamo. Quanti body-bags serviranno ancora, prima che su questo film dell'orrore scorrano i titoli di coda? Tafanus
Scritto il 11 settembre 2011 alle 18:30 nella Guerra, Tafanus | Permalink | Commenti (4)
Reblog
(0)
|
| |
24 agosto 2011
La taglia su Gheddafi e quella su Saddam Hussein (quando le taglie non scandalizzavano nessuno)
Le taglie sono uno strumento come un altro per catturare o uccidere un pericoloso criminale seriale, o vanno bene solo quando ad usarle sono paesi occidentali di acclarata civiltà? Da ieri impazzano, sui giornali, i maître à penser di ogni ordine e grado, scandalizzati per il fatto che i ribelli libici abbiano messo una taglia di 1,6 milioni di dollari per chi consegnerà Gheddafi, vivo o morto, nelle loro mani.
Questa la scarna notizia data ieri dall'ANSA nel tardo pomeriggio:
Libia: Cnt, taglia su Gheddafi
(ANSA) - TRIPOLI - Il Cnt offre 1,6 milioni di dollari a chiunque catturi o uccida Gheddafi. Il presidente del consiglio di transizione Mustafa Abdel Jalil afferma che a chiunque consegnerà il rais sarà concessa l'amnistia. Secondo quanto riferisce la Cnn, la Nato ha annunciato che forze speciali dalla Gran Bretagna, dalla Francia, dalla Giordania e dal Qatar sono sul terreno in Libia per aiutare i ribelli. Intanto i lealisti si ritirano dall'hotel Rixos e i giornalisti lasciano l'albergo dove erano bloccati da giorni.
In un attimo, a reti unificate si è acceso il dibattito sulla liceità e sull'etica della taglia. I più colti fra i mezzobusti hanno tirato fuori riferimenti culturali alla legge del taglione (che con la taglia non c'entra una mazza, esattamente come non c'entrano il taglio dei capelli, quello della spesa, il tagliacarte.
Molti (fra i quali il sottoscritto, se fosse stato presente) hanno distinto fra la taglia volta alla cattura - e successivo processo - del bandito VIVO, e la taglia volta anche, in alternativa, all'assassinio del ricercato. Perchè anche se la cosa può non piacerci, per un paese dove la pena di morte è stata abrogata, la taglia "vivo o morto" configura il reato di istigazione all'omicidio,m e chi la stabilisce è il mandanre di un omicidio. Che piaccia o no. Questo è il caso di Mustafa Abdel Jalil, lo statista che Berlusconi, con fretta spasmodica, sia ppresta a ricevere. Gli bacerà l'anello?
L'Italia DEVE condannare ufficialmente questa parte della taglia. E' per noi motivo d'orgoglio ricordare che il Granducato di Toscana è stato il primo paese civile al mondo ad abrogare la pena di morte (1786, sotto il regno di Pietro Leopoldo Asburgo di Lorena). Il 30 Novembre, data dell'editto, è Festa Regionale in Toscana.
Lo stato italiano ha abrogato la pena di morte nel 1889, quando Ministro della Giustizia non era Castelli, o Angelino Alfano, o Nitto Palma, ma Giuseppe Zanardelli.
La pena di morte è stato poi reintrodotta dal nonno di Alessandra Mussolini nel 1926 (e poi estesa dal codice Rocco), ma solo per reati contro la "Casta", che c'era anche allora, ed era persino peggiore, se possibile, di quella dei giorni nostri. E' stata definitivamente abolita nel 1948 dalla bellissima Costituzione Italiana, e nel 1994 è stata infranta l'ultima barriera, con l'abrogazione della pena di morte (sostituita dall'ergastolo) anche nel Codice Penale Militare di Guerra.
Dunque, per qualche barile in più, Berlusconi si accinge ad avere un incontro di Stato con un bandito.
Ma in Italia (e in tutto il mondo occidentale in genere, la memoria è sempre corta. Il dibattito sulla taglia "vivo o morto" su Gheddafi, si è aperto - giustamente - in un nanosecondo. Non ricordo altrettanta tempestivia indignazione quando a mettere delle tagli del tipo "vivo o morto" erano stati paesi occidentali qualificati fra "i migliori amici dell'Italia". Taglie multiple, di valore incommensurabilmente più alte di quella posta da Mustafa Abdel Jalil. Taglie sulle quali non ricordo accesi dibattiti televisivi. Solo per non dimenticare:
Taglia su Saddam: 25 milioni di dollari - Ricompensa di 15 milioni anche per i figli del raìs
BAGDAD - Una taglia di 25 milioni di dollari. E' quanto l'ammistrazione americana offre a chi fornirà informazioni su dove si nasconda Saddam Hussein o porti prove certe della sua morte. E' la stessa cifra che gli americani hanno promesso più di un anno fa per la cattura di Osama bin Laden, l'introvabile leader di Al Qaeda.
Paul Bremer, il governatore americano in Iraq, ha annunciato oggi che anche chi fornirà informazioni sui figli del raìs, Uday e Qusay, avrà una ricompensa di 15 milioni di dollari. Rivolgendosi agli iracheni Bremer ha detto che Saddam e i suoi figli "possono essere vivi o no, ma finche' non lo sapremo con certezza, i loro nomi continueranno a gettare un'ombra di paura su questo paese" [...]
(da Repubblica del 3 luglio 2003)
Scritto il 24 agosto 2011 alle 19:45 nella Guerra, Politica | Permalink | Commenti (2)
Reblog
(0)
|
| |
22 agosto 2011
Breakin' News - Preso il compound di Gheddafi, decapitata la statua
I ribelli libici che hanno espugnato la residenza di Muammar Gheddafi a Bab al-Aziziya, a Tripoli, ed hanno anche decapitato la statua del colonnello. La tv al-Jazeera sta mostrando le immagini di un rivoltoso che brandisce in alto la testa della statua, come fosse un trofeo.
Vi ricorda qualcosa?
Scritto il 22 agosto 2011 alle 13:45 nella Guerra | Permalink | Commenti (5)
Reblog
(0)
|
| |
25 aprile 2011
La Resistenza: fatti e leggende metropolitane - di Enrico Gori
Ricevo dal giovanissimo amico Enrico Gori queste riflessioni sulla Resistenza, che pubblico molto volentieri, non solo per la validità dei contenuti, ma perchè fa molto piacere che queste considerazioni vengano, appunto, da un giovane. Ecco lo scritto integrale che mi ha inviato Enrico:
Caro Antonio,
ci ho messo un po' a decidere in cosa sarebbe consistito il mio contributo nelle vesti di studioso della Resistenza (non ufficiale, perché pubblicazioni non ne ho fatte, ma ormai tutta la facoltà di Lettere di Roma Tre ne è al corrente, e il numero di fonti consultate mi qualifica come tale), proprio perché queste vesti impongono degli scrupoli, anche se si è perfettamente sicuri di ciò che si pensa, si dice e si scrive. Ho deciso di rispondere ad alcuni quesiti, supposizioni e affermazioni provocatorie che hanno imperversato per anni e che mirano a screditare la Resistenza, e la nostra democrazia che da essa è nata con la complicità dell'ignoranza delle fonti, che non vengono da troppo tempo pubblicate. In base a quale autorità faccio questo? A quella delle voci dei protagonisti e nessun'altra. Sottolineo che non faccio un'operazione nuova, anzi, molto vecchia, perché di tutti questi argomenti si è parlato molto nel corso degli anni, e doverlo fare ancora per ribattere al "Giornale", a "Libero", a Pansa e ad alcune riviste indipendenti che sono in testa nelle ricerche di Google, è scoraggiante per tutti. Indicherò dunque le fonti, ma non le pagine, per il semplice fatto che non me le ricordo e non le ho a disposizione, non essendo a casa. Mi scuso con tutti voi.
Partigiane con mitra a Milano
-1) La Resistenza è stato un movimento spontaneo e illegale che non fu mai riconosciuto ufficialmente - Falso: il 9 Settembre 1943 si formò a Roma il Comitato di Liberazione Nazionale, presieduto dal Presidente del Consiglio Ivanoe Bonomi (Democrazia del Lavoro). Vi partecipavano sei partiti antifascisti: il PLI (rappresentato da Alessandro Casati), la DC (Alcide De Gasperi), il Partito d'Azione (Ugo La Malfa e Sergio Fenoaltea), il PSI (Pietro Nenni e Giuseppe Romita), il PCI (Giorgio Amendola e Mauro Scoccimarro). Per il Nord Italia venne costituito il CLN Alta Italia (CLNAI), presieduto dal Gen. Alfredo Pizzoni (indipendente) e diretto, dal 1944, dal Triumvirato Insurrezionale formato da Ferruccio Parri (PdA), Luigi Longo (PCI) e il Gen. Raffaele Cadorna (indipendente/DC, dal luglio 1944). Il 16 ottobre, il CLN assunse i poteri di organo statale.
Fonti: tutte, ma in part. A. PIZZONI, 'Alla guida del CLN' (Bologna, 1995), R. CADORNA, 'La Riscossa' (Milano 1948), R. CARLI BALLOLA, 'Storia della Resistenza' (Milano, 1957), R. BATTAGLIA, id. (Torino, 1955). La Resistenza fu un movimento spontaneo ('magmatico', lo definisce GIORGIO BOCCA nel suo "Una Repubblica Partigiana" (Milano, 1964) che fu sempre sottolineato dai suoi dirigenti, ma non fu indisciplinata: le brigate erano emanazioni dei Partiti ed erano sottoposte al controllo di militari (come Cadorna, il Gen. Alessandro Trabucchi, il Gen. Argenton, il Gen. Anders, il Gen. Clark e il Gen. Alexander) o dei dirigenti. Si raccomandava inoltre la presenza di uomini di partiti diversi nelle Brigate, in particolare nelle comuniste Garibaldi, le più numerose. Cfr. ad es. le interviste contenute nel volume "Cattolici, Chiesa, Resistenza", a cura di M. CRIVELLINI (Bologna, 1997), molte delle quali di sacerdoti inquadrati nelle Garibaldi. Si veda anche l'esperienza dell'Ossola, in cui i comunisti Vincenzo Moscatelli e Pippo Coppo collaborano con i cattolici Alfredo Di Dio, Antonio Di Dio e Dionigi Superti. Fonti: C. MOSCATELLI/P. SECCHIA, "Il Monte Rosa è sceso a Milano" (Einaudi 1948); AA.VV. "Guerriglia nell'Ossola" (Feltrinelli, 1975). Vi furono delle fucilazioni di liberali del Gen. Martini Mauri da parte di garibaldini e viceversa (G. BOCCA, "Storia dell'Italia partigiana", Milano 1964) e dei dissapori anche nel C.V.L. (si veda la lettera di Parri a Longo dove si rimprovera ai comunisti la falsa accusa di attendismo, contenuta in "Atti Generali del C.V.L." a cura di GIORGIO ROCHAT, Milano 1972), ma le tensioni erano puntualmente soggette a reprimende e sanzioni, poiché il CNL era un organismo militare a tutti gli effetti.
-2) La Resistenza italiana intralciò l'avanzare degli Alleati; l'Italia fu liberata da questi ultimi, la vera guerra la vinsero loro. - Questo assurdo luogo comune dovette essere presente da subito, poiché Giorgio Bocca lo menziona e chiarisce nell'introduzione del suo "Partigiani della Montagna" (Milano, 1945). Gli Alleati e il CLN agirono a partire da momenti diversi e in modi diversi, per ovvie ragioni logistiche. Non vi fu mai un rapporto di subalternità tra CLN e Alleati, sia perché questo era un organo sovrano, sia perché Churchill faticò a riconoscere l'autorità del CLN (si vedano le numerose perplessità espresse dallo stesso in W. CHURCHILL, "The Second World War", V, London 1952, e quelle italiane nelle lettere del PdA contenute in: AA.VV. "Una lotta nel suo corso", Venezia 1955, ad es. a p. 64 (lettera di Carlo Ludovico Ragghianti a Leo Valiani del 10/03/44); nella n.2 si cita un estratto del Carteggio Roosevelt-Churchill, in cui quest'ultimo giudica i partiti del CLN "privi di base reale nel Paese". Fin troppo noto è il Proclama Alexander del 13/11/44, che invitava i partigiani alla smobilitazione per l'inverno. Alexander, che nelle sue memorie ignora totamente i partigiani, disse poi di essere stato frainteso. Comunque il proclama fu disatteso. Vedi L. LONGO, "Sulla via dell'insurrezione nazionale", Roma, 1955.
-3) Bisogna riconoscere i "ragazzi di Salò" e i loro ideali. - Le lettere dei suddetti (si vedano quelle inserite da CLAUDIO PAVONE nel suo "Una guerra civile", Torino 1991) e in generale i loro resoconti (GIORGIO PISANO', "La generazione che non si è arresa", Milano 1964; VINCENZO COSTA, "L'ultimo federale", Bologna 2005) sono segnati da uno smarrimento che sconfina nella schizofrenia: da chi è lacerato dal dolore di dover combattere degli italiani, chi disprezza i tedeschi come invasori (è il caso del federale milanese Costa) eppure li aiuta e chi continua a consolarsi con l'"onore", combattendo "per la Patria". Ora, la RSI nacque su istruzione di Hitler (lo riferisce il Maggiore OTTO SKORZENY nelle sue memorie, ed. italiana per "Il Borghese", 1970 con il titolo "Vivere pericolosamente" [io però ho consultato la traduzione inglese, la sola che ho]) e quando, il 25 Aprile 1945, Mussolini incontrerà il Gen. Cadorna, Achille Marazza (DC) e Riccardo Lombardi (PSIUP) nell'arcivescovado di Milano, in presenza del Cardinale Ildefonso Schuster, dirà (relazione dell'avv. ACHILLE MARAZZA tenuta nella Sala Congressi di Milano il 9/5/1965, in: "La Resistenza in Lombardia", Ed. Labor 1965), alla notizia dell'inizio delle trattative di resa con i tedeschi, di cui Mussolini era all'oscuro: "...E i nostri ideali? Ci hanno sempre usato come servi!". Poi fuggì. Quale onore ci può essere per chi è strumento di un invasore come quello nazista? Anche la banda di Pietro Koch e quella di Mario Carità obbedivano a degli ideali? Era considerato un onore essere uno strumento? Davvero la "gloria dell'Italia e la vittoria" (così recitava il motto della banda Koch) era essere una colonia nazista? A questo portavano gli ideali di Salò.
-4) Mussolini fu ammazzato illegalmente e arbitrariamente e ci dovremmo vergognare di questo fatto. - Falso, con buona pace di "Libero", che in occasione dell'impiccagione di Saddam Hussein del 30/12/06, rinfacciava al governo Prodi, che condannava l'esecuzione, questo fatto, senza alcuna logica. La condanna a morte di Benito Mussolini, detenuto in casa dei coniugi De Maria in località Giulino di Mezzegra dal 27 aprile 1945, fu decretata dal CLNAI nella notte dello stesso giorno, presenti Leo Valiani (PdA), Luigi Longo (PCI, triumviro), Emilio Sereni (PCI), Sandro Pertini (PSIUP). Fu inoltre licenziata da Enrico Mattei (DC) e Fermo Solari (PSIUP). Fonte: LEO VALIANI, "Sessant'anni di avventure e di battaglie" (Milano 1983). Come detto, il CLNAI era equiparato a un organo di governo, e aveva quindi il potere di aggiornare le decisioni (l'armistizio di Cassibile prevedeva la consegna di Mussolini agli Alleati).
Chi lo fucilò? Il disinteresse del PCI e degli storici (tra cui De Felice, che ammise di non essersene mai interessato veramente nella sua ultima intervista dal titolo "Rosso e Nero", Roma 1996) ha contribuito a far sì che fiorissero varie versioni: da quella del nobile Pier Bellini delle Stelle "Dongo ultima azione", Milano 1965, a quella ufficiale di Walter Audisio ("In nome del popolo italiano", Teti 1975), quindi all'aggiornamento del resoconto di Delle Stelle ad opera di Urbano Lazzaro del 1972, cui si aggiunge l'inchiesta di Giorgio Pisanò del 1996 ("Gli ultimi cinque secondi di Benito Mussolini") e infine quella di Bruno Lonati, edita da Mursia nel 1993 e ripresentata nel 2009, presente l'autore.
Non formulo qui risposte che non ho, limitandomi a rilevare come Valiani (op. cit.) sia dubbioso sulla versione che vuole Longo esecutore materiale, come vogliono Lazzaro e Pisanò. I fascisti Costa e BRUNO SPAMPANATO ("Contromemoriale", Roma 1952) non lo credono, benché Costa dica che Longo ne fu responsabile perché avrebbe emanato lui solo l'ordine (dicendo che il PCI era autonomo e non riconosciuto!). Quel che è certo è che a catturare Mussolini fu la 52ma Brigata Garibaldi, presenti Urbano Lazzaro (che però non assisté all'esecuzione per sua stessa ammissione), "Bill", Pier Bellini delle Stelle (Pedro), Luigi Canali (Neri) e Michele Moretti. Più tardi giunsero, per conto di Longo, Walter Audisio (Colonnello Valerio) e Aldo Lampredi, (Guido). Probabile la presenza di Bruno Lonati (Giacomo) - che però nessuno cita - e alcune spie inglesi (Mussolini aveva con sé il compromettente carteggio con Churchill). La seguente esposizione a Piazzale Loreto fu voluta da Audisio (è semre Valiani a riferirlo). Parri e Pertini la condannarono subito. Vale forse la pena ricordare che i nazifascisti erigevano forche in continuazione (vedi ad. es. l'apparato fotografico in Col. ANTONIO RICCHEZZA, "La Resistenza dietro le quinte", Milano 1967).
Mussolini e la Petacci, che non doveva morire, furono seviziati - La Petacci non doveva morire, è vero, dice Valiani, ma i resoconti dicono che lei stessa insisté per essere uccisa (o si gettò davanti ai mitra). L'autopsia di Mussolini fu pubblicata da SPAMPANATO in appendice al vol. V del "Contromemoriale"; eseguita il 30-4-1945, non riporta lesioni interne o dell'ano. Le macabre "rivelazioni" di Pisanò sono pertanto da ritenersi false.
L'oro di Dongo - SPAMPANATO (ib.) riporta che questo fu consegnato al Comando Generale, e nega che parte di esso possa essere caduto nel lago, cosa invece asserita dal partigiano friulano AMERIGO CLOCCHIATTI nel suo "Dall'antifascismo al De Profundis per il PCI", (Verona 1991). Al processo di Padova, del 1957 Bellini Delle Stelle testimonia a favore dei garibaldini e il processo si conclude senza accusati.
Numerosi omicidi a causa dell'oro di Dongo - A parte il fatto che chi parla di una "misteriosa catena di sparizioni" in giro per il web non cita mai fonti (e nessuna di quelle contemporanee ne parla mai, neanche SPAMPANATO), i nomi che si fanno più spesso, quelli dei comunisti Luigi Canali (Neri) e Giuseppina Tuissi (Gianna), furono giustiziati per tradimento il 7 maggio 1945 per fatti accaduti in aprile, come narra il detto CLOCCHIATTI (op. cit.) che emise la condanna a morte secondo il Codice Militare (da lui riportato). A chi obietta che il 25 aprile era già passato, si deve ricordare che la guerra finisce il 9 maggio. Il tradimento dei due partigiani consisteva nell'aver parlato con il comandante SS Vernig e aver condotto i fascisti, dopo essere stati torturati da altri partigiani che erano a Milano. Per tutta la vicenda, vedere il detto volume (introvabile e sconosciuto) del Clocchiatti.
Dopo il 25 Aprle vi furono migliaia di vendette - Furono 8.197, non 300.000 o 34.000 come dicono SPAMPANATO e PISANO' (fonte: Nazario Sauro Onofri, "il triangolo rosso: la guerra di liberazione e la sconfitta del fascismo - 1943 -1947") Roma 1994 e 2007, secondo un documento fatto preparare da De Gasperi nel 1946. Oggi sembrano ingiuste e crudeli, e a volte lo furono, ma è bene ricordare che per le maggiori stragi furono istituiti processi e comminati ergastoli e qualche condanna a morte (qui la fonte è Wikipedia, me ne scuso). Non era un clima favorevole ai comunisti, il dopoguerra, si sa. E poi, si pensi a questo: che effetto doveva fare ai partigiani vedere i torturatori e gli alleati di coloro che sventravano le donne incinte e impalavano i bambini (testimonianze incluse da PAVONE nel suo libro "Una guerra civile") nonché quelli che 20 anni prima li avevano bastonati, perseguitati e purgati, a piede libero?
Si provi a considerare i tempi, invece di inscenare piagnistei sul sangue dei vinti. L'Italia non ha avuto la sua Norimberga, e questa svista dei Padri Costituenti la stiamo pagando adesso con gli spregiatori della Costituzione come negli anni '70 con bombe e golpe vari. La Costituzione è nata dalla Resistenza. La Resistenza è antifascista. La costituzione è antifascista. Il fascismo è la negazione della democrazia, e riabilitarlo è una bestemmia contro di essa. Chi insulta la costituzione è autore di un'offesa mortale, perché insulta la democrazia nata dalla vittoria su un nemico feroce con propositi disumani. Contro di essi si ha il DOVERE, formulato già nel XVII secolo da John Locke, di RESISTERE. Infine: la Resistenza egemonizzata dai comunisti? Indubbiamente furono la maggioranza, come partito perseguitato da più tempo, e si attribuì il ruolo di difensore della sua memoria, ma dalle fonti da me citate e consultate non mi risulta che vi sia una "cappa rossa". Già Pietro Secchia ("I comunisti e l'insurrezione", Roma 1955) respingeva tale accusa. La Resistenza è ed è sempre stata di tutti gli antifascisti: il tutto sta nel riconoscerlo.
Enrico Gori
Scritto il 25 aprile 2011 alle 07:00 nella Guerra, Politica | Permalink | Commenti (19)
Reblog
(0)
|
| |
25 marzo 2011
La politica-pop di Nichi: Libia? No, ma anche...
(di Marco Bracconi - Repubblica)
“Bisogna impedire il massacro dei civili in Libia, ma bisogna anche evitare che si replichino copioni tragici”. E poi: “Dobbiamo impedire che Gheddafi completi la sua macelleria civile, ma anche vigilare con cautela perchè l’opzione militare non si trasformi in qualcosa di imprevedibile”.
Chiamato ad esprimersi sulla crisi libica, Nichi Vendola si produce in un esercizio di equilibrismo che anche al più raffinato esegeta rischia di risultare alquanto ostico.
“Due bisogna” e due “ma anche” in quattro righe, con il risultato che non si capisce bene se contro Gheddafi serve la forza militare oppure no.
L’imbarazzo del leader della sinistra poetica è comprensibile. Lo sono meno tutti quelli che ne cantano entusiasti le gesta, indicandolo come un uomo politico dall’identità chiara e limpida, a fronte della confusione del Pd.
Costruire una identità giocando su emozioni e delusioni del popolo di sinistra è una cosa. Farlo quando si tratta di governare un Paese, con tutto ciò che governare comporta, tutt’altra.
Marco Bracconi
Scritto il 25 marzo 2011 alle 19:17 nella Guerra, Politica | Permalink | Commenti (1)
Reblog
(0)
|
| |
22 marzo 2011
Libia: che fare? - di don Aldo Antonelli
"Sembra che la capacità di ragionare ci sia venuta meno", scriveva Rossana Rossanda sul Manifesto dell'altro ieri.Non solo, ci viene meno anche la forza e la capacità di agire.Gli avvenimenti sono così repentini, così violenti, così mediaticamente predeterminati e necessitati che noi, semplici cittadini, restiamo schiacciati dall'"evento", inchiodati alla nostra impotenza, e, nel caso della Libia, strattonati tra opposte sponde. Ho comunque lì'impressione che noi ci si ritrovi sempre di fronte a dei nodi intrigati e complessi che la politica sporca dell'interesse ha nel tempo costruito e solo la spada, a breve termine, può sciogliere, magari costruendone altri e peggiori.
Quando ci si interroga sul "che fare?" è sempre troppo tardi. I problemi, purtroppo, si propongono o si impongono sempre quando sono già diventati cancrenosi. Purtroppo "si affrontano le questioni quando diventano insolubili" denuncia Gino Strada, e, aggiunge, la guerra rischia di diventare una necessità "quando non si fa nulla per anni, anzi per decenni"!
Al "Manifesto" non riesce di dire che la Libia di Gheddafi non è né una democrazia né uno stato progressista, e che il tentativo di rivolta in corso si oppone a un clan familiare del quale si augura la caduta. Non penso tanto al nostro corrispondente, persona perfetta, mandato in una situazione imbarazzante a Tripoli e che ha potuto andare - e lo ha scritto - soltanto nelle zone che il governo consentiva, senza poter vedere niente né in Cirenaica, né nelle zone di combattimento fra Tripoli e Bengasi.
Perché tanta cautela da parte di un giornale che non ha esitato a sposare, fino ad oggi, anche le cause più minoritarie, ma degne? Non è degno che la gente si rivolti contro un potere che da quarant'anni, per avere nel 1969 abbattuto una monarchia fantoccio, le nega ogni forma di preoccupazione e di controllo? Non sono finite le illusioni progressiste che molti di noi, io inclusa, abbiamo nutrito negli anni sessanta e settanta? Non è evidente che sono degenerate in poteri autoritari? Pensiamo ancora che la gestione del petrolio e della collocazione internazionale del paese possa restare nelle mani di una parvenza di stato, che non possiede neanche una elementare divisione dei poteri e si identifica in una famiglia?
Ho proposto queste domande sul "Manifesto" del 24 febbraio, senza ottenere risposta. Non è una risposta la nostalgia di alcuni di noi per un'epoca che ha sperato una terzietà nelle strettoie della guerra fredda. Né la nostalgia è sorte inesorabile degli anziani; chi ha più anni è anche chi ha più veduto come cambiano i rapporti di forza politici e sociali ed è tenuto a farsi meno illusioni. E se in più si dice comunista, a orientarsi secondo i suoi principi proprio quando precipitano equilibri e interessi.
Non che siamo solo noi, Manifesto, a non sapere che pesci prendere davanti ai movimenti della sponda meridionale del Mediterraneo. Il governo francese ha fatto di peggio. Quello italiano ha consegnato al governo libico gli immigranti che cercavano di sbarcare a Lampedusa e dei quali non si ha più traccia. L'Europa, convinta fino a ieri che dire arabo significava dire islamista dunque terrorista, prima ha appoggiato alcuni despoti presunti laici - Gheddafi gioca ancora questa carta - poi si è rassicurata nel vedere le piazze di Tunisi e del Cairo zeppe di folle non violente, ha accolto con piacere l'appoggio alle medesime da parte dell'esercito tunisino e egiziano, e teme soltanto una invasione di profughi.
Ma la Libia non è né l'Egitto né la Tunisia. L'esercito è rimasto dalla parte del potere e la situazione s'è di colpo fatta drammatica. Ma chi, se non l'ottusità di Gheddafi, è responsabile se l'opposizione è diventata aspra, scinde la Cirenaica, cerca armi e il conflitto diventa guerra civile? Tra forze e ad armi affatto sproporzionate? E chi se non noi lo deve denunciare? Chi, se non noi, deve divincolarsi dal dilemma o ti lasci bombardare o di fatto chiami a una terza «guerra umanitaria», giacché gli Usa non desidererebbero altro? Sembra che la capacità di ragionare ci sia venuta meno.
La sinistra non può molto. Il "Manifesto", ridotti come siamo al lumicino, non può nulla se non alzare la voce con chiarezza e senza equivoci. C'è un'area enorme che si dibatte in una sua difficile, acerba emancipazione, che ha bisogno di darsi un progetto - non dico che dovremmo organizzare delle Brigate Internazionali, ma mi impressiona che nessuno abbia voglia di offrire a questo popolo un aiuto. Ricordate le corse giovanili degli anni sessantotto e settanta a Parigi, a Lisbona, a Madrid e a Barcellona? Dall'altra parte del Mediterraneo non ha fretta di andar nessuno, salvo i tour operator impazienti che finisca presto. Almeno su a chi dare simpatie e incoraggiamento non dovremmo esitare. Non noi.
Rossana Rossanda
Scritto il 22 marzo 2011 alle 14:54 nella Guerra, Politica | Permalink | Commenti (0)
Reblog
(0)
|
| |
21 marzo 2011
Trattato di Amicizia Italo-Libico: oggi torna prepotentemente alla ribalta, in tutta la sua dirompente stupidità
Oggi, mentre Gheddafi ci rimprovera con toni minacciosi di aver tradito i patti, non posso fare altro che riprendere "brani scelti" del mitico "Trattato di Amicizia Italo-Libico" del 30 Agosto 2010 (quello delle mega-pagliacciate romane). Non ne ripubblicherò il testo integrale (già fatto, in data 15/098/2010. Chi volesse scaricare il testo integrale, può farlo dal seguente link: [Trattato di Amicizia Italo-Libico - Testo integrale].
Qui mi limiterò ad enucleare i passaggi più idioti firmati dal nostro Presidente Bunga-Bunga. Clausole leonine, che solo un imbecille poteva firmare. Così è stato, ed ora questo patto, se non avrà riflessi civili e penali, servirà solo ad alimentare ancor più il risentimento del terrorista di Tripoli, che poi è anche quello che potrà aprire tutti i porti della Libia ai trafficanti di clandestini. Ultima Fermata, Lampedusa. Un vero capolavoro, questo trattato.Tafanus
Trattatto di Amicizia, Partenariato e Cooperazione fra la Repubblica Italiana e la Grande Giamahiria Araba Libica Popolare Socialista (passi scelti)
PREAMBOLO
La Repubblica Italiana e la Grande Giamahiria Araba Libica Popolare Socialista, [...] consapevoli dei profondi legami di amicizia tra i rispettivi popoli e del comune patrimonio storico e culturale; decise ad operare per il rafforzamento della pace, della sicurezza e della stabilita, in particolare nella regione del Mediterraneo; [...] impegnate, rispettivamente, nell'ambito dell'Unione Europea e dell'Unione Africana nella costruzione di forme di cooperazione ed integrazione, in grado dì favorire l'affermazione della pace [...] ritenendo di chiudere definitivamente il doloroso "capitolo del passato", per il quale l'Italia ha già espresso [...] il proprio rammarico per le sofferenze arrecate al popolo libico a seguito della colonizzazione italiana [...] esprimendo, pertanto, l'intenzione di fare del presente Trattato il quadro giuridico di riferimento per sviluppare un rapporto bilaterale "speciale e privilegiato" [...] hanno convenuto quanto segue:
Capo I - PRINCIPI GENERALI
Articolo 2
Uguaglianza sovrana - Le Parti rispettano reciprocamente la loro uguaglianza sovrana, nonché tutti i diritti ad essa inerenti compreso, in particolare, il diritto alla libertà ed all'indipendenza politica. Esse rispettano altresì il diritto di ciascuna delle Parti di scegliere e sviluppare liberamente il proprio sistema politico, sociale, economico e culturale.
Articolo 3
Non ricorso alla minaccia o all'impiego della forza - Le Parti si impegnano a non ricorrere alla minaccia o all'impiego della forza contro l'integrità territoriale o l'indipendenza politica dell'altra Parte o a qualunque altra forma incompatibile con la Carta delle Nazioni Unite,
Articolo 4
Non ingerenza negli affari interni
-1) Le Parti si astengono da qualunque forma di ingerenza diretta o indiretta negli affari interni o esterni che rientrino nella giurisdizione dell'altra Parte, attenendosi allo spirito di buon vicinato.
-2) Nel rispetto dei principi della legalità internazionale, l'Italia non userà, ne permetterà l'uso dei propri territori in qualsiasi atto ostile contro la Libia e la Libia non userà, né permetterà, l'uso dei propri territori in qualsiasi atto ostile contro l'Italia.
Articolo 5
Soluzione pacifica delle controversie - In uno spirito conforme alle motivazioni che hanno portato alla stipula del presente Trattato di Amicizia, Partenariato e Cooperazione, le Parti definiscono in modo pacifico le controversie che potrebbero insorgere tra di loro, favorendo l'adozione di soluzioni giuste ed eque, in modo da non pregiudicare la pace e la sicurezza regionale ed, internazionale.[...]
Capo II - CHIUSURA DEL CAPITOLO DEL PASSATO E DEI CONTENZIOSI
Articolo 9
Commissione Mista
Articolo 10
Iniziative Speciali - L'Italia, su specifica richiesta della Grande Giamahiria, si impegna a realizzare le Iniziative Speciali sotto riportate a beneficio del popolo libico. Le Parti concordano l'ammontare di spesa complessivo per la realizzazione di tali iniziative ed affidano ad appositi Comitati Misti la definizione delle modalità di esecuzione delle stesse ed il limite di spesa annuale da impegnare per ognuna di esse [...]
-d) Il ripristino del pagamento delle pensioni ai titolari libici e ai loro eredi che, sulla base della vigente nominativa italiana, ne abbiano diritto [...]
Articolo 12
Fondo sociale
CAPO III - NUOVO PARTENARIATO BILATERALE
Articolo 18
Collaborazione energetica
-1) Le due Parti sottolineano l'importanza strategica per entrambi i Paesi della collaborazione nel settore energetico e si impegnano a favorire il rafforzamento del partenariato in tale settore.
Articolo 19
Collaborazione nella lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata, al traffico di stupefacenti, all'immigrazione clandestina
-1) Le due Parti intensificano la collaborazione in atto nella lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata, al traffico di stupefacenti e all'immigrazione clandestina, in conformità a quanto previsto dall'Accordo firmato a Roma il 13/12/2000 e dalle successive intese tecniche, tra cui, in particolare, per quanto concerne la lotta all'immigrazione clandestina, i Protocolli di cooperazione firmati a Tripoli il 29 dicembre 2007.
-2) Sempre in tema di lotta all'immigrazione clandestina, le due Partì promuovono la realizzazione di un sistema di controllo delle frontiere terrestri libiche, da affidare a società italiane in possesso delle necessarie competenze tecnologiche. Il Governo italiano sosterrà il 50% dei costi, mentre per il restante 50% le due Parti chiederanno all'Unione Europea di farsene carico, tenuto conto delle Intese a suo tempo intervenute tra la Grande Giamahiria e la 'Commissione Europea.
-3) Le due Parti collaborano alla definizione di iniziative, sia bilaterali, sia in ambito regionale, per prevenire il fenomeno dell'immigrazione clandestina nei Paesi di origine dei flussi migratori.
Articolo 20
Collaborazione nel settore della Difesa
-1) Le due Parti si impegnano a sviluppare la collaborazione nel settore della Difesa tra le rispettive Forze Armate, anche mediante la finalizzazione di specifici Accordi che disciplinino lo scambio di missioni di esperti, istruttori e tecnici e quello di informazioni militari nonché l'espletamento, di manovre congiunte.
-2) Si impegnano altresì ad agevolare la realizzazione. di un forte ed ampio partenariato industriale nel settore della Difesa e delle industrie militari [...]
Articolo 21
Collaborazione nel settore della non proliferazione e del disarmo
Le due Parti si impegnano a proseguire e rinsaldare la collaborazione nel settore del disarmo e della non proliferazione delle armi di distruzione di massa e dei relativi vettori e ad adoperarsi per fare della Regione del Mediterraneo una zona libera da tali armi, nel pieno rispetto degli obblighi derivami dagli Accordi e Trattati internazionali in materia [...]
Articolo 23
Disposizioni finali
-1) Il presente Trattato, nel rispetto della legalità internazionale, costituisce il principale strumento di riferimento per lo sviluppo delle relazioni bilaterali. Esso è sottoposto a ratifica secondo le procedure costituzionali previste dall'ordinamento di ciascuna delle Parti ed entra in vigore al momento dello scambio degli strumenti di ratifica.
-2) Il presente Trattato sostituisce il Comunicato Congiunto del 4 luglio 1998 e il Processo verbale delle conclusioni operative del 28 ottobre 2002, che pertanto cessano di produrre effetti.)
-3) A partire dal corrente anno, il giorno del 30 Agosto viene considerato, in Italia e nella Grande Giamahiria, Giornata dell'Amicizia italo-libica.
-4) Il presente Trattato può essere modificato previo accordo delle Parti. Le eventuali modifiche entreranno in vigore alla data di ricezione della seconda delle due notifiche con le quali le Parti si comunicano ufficialmente l'avvenuto espletamento delle rispettive procedure interne.
Scritto il 21 marzo 2011 alle 23:00 nella Berlusconi, Guerra, Politica, Tafanus | Permalink | Commenti (0)
Reblog
(0)
|
| |
19 marzo 2011
Omaggio a Lucia Goracci, giovane "giornalista d'altri tempi"
Lucia Goracci appartiene a quella ristrettissima categoria di giornalisti RAI che godono della mia incondizionata ammirazione (anche se non sanno probabilmente cosa farsene...). Queste le striminzite note su [Wikipedia], che nulla dicono del perchè io la ritenga una delle migliori giornaliste italiane:
Lucia Goracci à nata ad Orbetello nel '69. Ha iniziato la sua attività in RAI nella redazione del TGR Sicilia di cui è stata anche conduttrice delle edizioni pomeridiana e serale; successivamente, è stata giornalista inviata in Medio Oriente per Tg2 fino all'assunzione al Tg3. Attualmente è una delle conduttrici del Tg3 mezzasera, del Tg3 notte, nonché una delle giornaliste spesso presenti in studio del Tg3 Linea Notte. Alterna alla presenza in studio il lavoro da inviata all'estero, in particolare in Medio Oriente o in America Latina. È anche collaboratrice di Rai News 24.
Una professionista di cui andare orgogliosi. La vedi un attimo in studio, a fare i lavori di routine (leggere un servizio, o addirittura mostrare le prime pagine dei giornali), e il giorno dopo è ad Haiti, in mezzo ai disperati, al colera, alla fame, alla violenza. E così come non la vedrete mai supertruccata da "signorina buonasera" quando è in un comodo studio, non la vedrete mai travestita da "parà alla Oriana Fallaci" in tuta mimetica quando svolge - benissimo - il suo lavoro da inviata.
Nel suo lavoro, Lucia non si è fatta mancare niente: da Haiti alle piazze in fiamme di Atene, dal Cairo alla striscia di Gaza, ed ora compostissima, informatissima inviata in Libia. Niente mimetica. Vestita da femminuccia, come sempre, solo con roba un po' più pratica e stropicciata. Nessun'aria da "pericolo imminente" sulla sua faccia, nei suoi toni, nelle sue parole. E quando in Libia la "zona sicura" sembrava essere quella di Bengasi, lei era già nella Sirte, o a Tobruk. E ora che il centro del caos sta diventando Bengasi, lei è in marcia verso Bengasi.
Non farti del male, Lucia... l'Italia ha bisogno di belle persone come te.
Tafanus
Scritto il 19 marzo 2011 alle 19:43 nella Guerra, Media , Tafanus | Permalink | Commenti (6)
Reblog
(0)
|
| |
17 marzo 2011
...indovinate chi si oppone ad un intervento ONU contro Gheddafi...
In questi minuti al Consiglio di Sicurezza dell'ONU si vota l'ultima risoluzione contro la Libia, che fissa l'istituzione della no-fly-zone, ed "azioni" in difesa dei ribelli. I paesi più democratici del mondo si oppongono...
Russia, Italia, Cina frenano. "Quali saranno i meccanismi di controllo di tale decisione, chi la metterà in pratica e in quali forme? tutto ciò non è stato chiarito", ha chiesto il portavoce del ministero degli Esteri russo, Alexandre Lukachevitch, a poche ore dal voto sulla bozza di risoluzione. Sia la Russia che la Cina - entrambi membri permanenti del consiglio e quindi con diritto di veto - si sono mostrate fino ad ora opposte o scettiche riguardo a un eventuale ricorso alla forza. Sulla stessa linea, l'Italia che con Frattini - oggi a Sarajevo - ribadisce la necessità di un cessate il fuoco immediato come precondizione a ogni intervento.
Scritto il 17 marzo 2011 alle 23:20 nella Guerra, Tafanus | Permalink | Commenti (23)
Reblog
(0)
|
| |
25 febbraio 2011
Armi italiane alla Libia per 79 milioni di € - Ecco come sono arrivate
Una fornitura per 79 milioni di euro. Che non risulta da nessuna parte. Armi italiane che sono arrivate in Libia via Malta. Lo denunciano Rete disarmo e Tavola della pace.
«Nel 2009 l’Italia ha triangolato attraverso Malta al regime del colonnello Gheddafi oltre 79 milioni di euro di armi leggere ad uso militare della ditta Beretta. È anche con queste armi che l’esercito di Gheddafi sta sparando sulla popolazione». L’atto d’accusa parte da un documento della Rete Italiana per il Disarmo e della Tavola della Pace. "Chiediamo al governo Berlusconi di chiarire urgentemente la questione", aggiungono le due associazioni. Si tratta di armi che, come ha confermato direttamente a Rete Disarmo un funzionario del ministero degli Esteri di Malta, "sono di provenienza italiana, e non hanno mai toccato il suolo maltese”.
Una triangolazione? Lecita o illecita, secondo il nostro ordinamento? Rete Disarmo e la Tavola della Pace hanno verificato e documentato l’accusa: "Il ministero degli Esteri Maltese ha precisato che, come confermato dall’ambasciata italiana a Tripoli, il destinatario finale della consegna era il Governo libico e, siccome nel 2009 non erano attive forme di sanzione verso il regime di Gheddafi, le autorizzazioni alla transazione, comprese quelle doganali, sono state rilasciate senza problemi”.
Un arsenale fantasma - Ma se non c’erano sanzioni o divieti all’esportazione diretta verso Tripoli, perché passare per Malta? Il problema è che dalle Relazioni della Presidenza del Consiglio italiano sull’export di armamenti non risulta alcuna autorizzazione all’esportazione di quelle armi né Malta né alla Libia. Come mai? «La notizia è certa», insiste Giorgio Beretta di Unimondo, analista della Rete Disarmo. «Il Rapporto dell’Unione Europea sull’esportazione di armamenti, pubblicato nel gennaio scorso, riporta per l’anno 2009 autorizzazioni e consegne da Malta verso la Libia di 79.689.691 di euro».
Il documento delle associazioni indica anche di quale materiale bellico si tratta: tra l’altro, «armi della categoria ML-1, cioè armi ad anima liscia di calibro inferiore a 20 millimetri, e armi automatiche di calibro 12,7 millimetri, accessori e componenti appositamente progettati». I dati dell'Istat, per il 2009, quell’anno parlano soltanto di forniture per 390.584 € di armi, munizioni e accessori per Malta, e di soli 8.171.698 € per la Libia.
«I casi sono due», conclude Beretta, «o una ditta italiana ha esportato queste armi senza l’autorizzazione del Governo Italiano (e in quel caso avrebbero dovuto essere bloccate alla dogana maltese) oppure vi è stata un’autorizzazione da parte di qualche ufficio del Governo Italiano che non è stata mai notificata né al Parlamento italiano né all’Unione Europea».
Le nostre armi contro la rivolta - Se confermata, questa ingente fornitura risulterebbe costituita da migliaia di fucili e pistole, nonché da una grande quantità di munizioni e granate. Ossia le armi utilizzate in questi giorni per reprimere la rivolta. Secondo una fonte diplomatica dell’Unione europea il materiale bellico proverrebbe dalla fabbrica d’armi “Pietro Beretta” di Gardone Valtrompia, in provincia di Brescia. Interpellata dalle due associazioni, la ditta italiana «ha rifiutato qualsiasi commento».
«I fatti che oggi denunciamo sono di una gravità inaudita», dice Flavio Lotti, coordinatore nazionale della Tavola della Pace. «Se ancora ieri chiedevamo al Governo e al Parlamento di fare chiarezza e di bloccare la vendita di armi italiane alla Libia, oggi non possiamo che provare un grande senso di vergogna e di dolore. Il Governo deve dare subito delle spiegazioni. Mi auguro che nessun telegiornale, in particolare della Rai, il nostro servizio pubblico, si permetta di censurare questa denuncia», conclude Lotti.
(Famiglia Cristiana - 24/02/2011)
Corvetta Fincantieri alla Libia
Dov'è la sorpresa? Ci sono state corvette italiane regalate alla Libia, con le quali si sparava ai pescherecci italiani senza che i "militari addestratori" italiani imbarcati potessero mettere il naso fuori dalla stiva ed interferire. Ci sono sottomarini libici armati con siluri classe Aspide, di costruzione Finmeccanica. Le imprese italiane più presenti in Libia hanno nomi, per un verso o per l'altro, noti alle cronache giudiziarie (Impregilo, Finmeccanica). La Libia è il maggior singolo azionista della Unicredit. Se ti metti in affari con gente che emana cattivo odore, poi non puoi lamentarti se un po' di cattivo odore ti si appiccica addosso. Qualcuno ricorda tale Bettino Craxi, mèntore di Silvio, che salvà la pellaccia al pecoraio avvertendolo per tempo dell'arrivo delle bombe americane?
Ora il governo italiano ci risparmi la litania dell'Europa brutta sporca e cattiva, nonchè egoista, che non vuole aiutarci a fare la doccia e lo shampoo. Non è stato Silvio, per anni, a respingere sdegnosamente i moniti e i consigli della UE. schiamazzando "ghe pensi mì"? Che ora "ghe pensi lu" - Tafanus
Scritto il 25 febbraio 2011 alle 15:30 nella Berlusconi, Guerra | Permalink | Commenti (4)
Reblog
(0)
|
| |
03 febbraio 2011
Cairo, è guerra civile - Cecchini sparano sulla folla - Caccia ai giornalisti stranieri
Dopo le violenze di ieri, i fedelissimi del presidente sparano nella notte tra la folla che continua a presidiare piazza Tahrir, luogo simbolo della rivolta. Almeno tredici i morti negli scontri notturni.
Anche oggi il bilancio si aggrava: per Al Jazeera due persone sono state uccise, molti i feriti. E uno straniero sarebbe stato picchiato a morte a piazza Tahrir. Stamane i carri armati dell'esercito tentavano di tenere separate le due fazioni. Diverse le aggressioni ai giornalisti stranieri, nel mirino dei fedelissimi del presidente. Arrestati un deleganto di Human Rights Watch e uno di Amnesty. Il vicepresidente Suleiman cerca un'intesa per la transizione, puntando a un rederendum popolare su un pacchetto di riforme. No anche dai Fratelli musulmani. Il raìs non sembra intenzionato a lasciare immediatamente il potere, malgrado le pressioni internazionali. Obama: "Preghiamo che sorga un giorno migliore in Egitto". La Ue valuta sospensione degli aiuti economici (...continua...)
...e se papi provasse a metterci una buona parola, con lo zio di Ruby?...
Scritto il 03 febbraio 2011 alle 17:26 nella Guerra, Politica, Religioni | Permalink | Commenti (0)
Reblog
(0)
|
| |
06 gennaio 2011
Matteo Miotto: una versione al giorno toglie la verità di torno
Cinque versioni in cinque giorni sulla morte di Matteo. La Russa, non sono un po' troppe? Ministro, quale busta sceglie?
Busta n° 1: La prima versione, accreditata dall’ufficiale che il 31 dicembre ha telefonato dall’Afghanistan per dare la notizia ai familiari, era quella di un colpo sparato da un cecchino che aveva raggiunto il caporale alla spalla. Lo stesso ministro La Russa aveva parlato di «sfortuna» perchè il colpo aveva raggiunto una parte non protetta dal giubbotto antiproiettile.
Busta n° 2: La seconda versione (1 gennaio) era stata quella di un colpo che aveva attinto Miotto al fianco. E dal comando italiano si era saputo che il giovane non era morto subito, anche se il colpo aveva raggiunto organi vitali. A quel punto il padre Francesco aveva chiesto, senza polemica: «È poco chiaro quello che è successo. Credo di avere il diritto di sapere come è morto mio figlio».
Busta n° 3: La terza versione è venuta dal medico legale, il 2 gennaio: «Un solo colpo ha provocato una lesione che ha determinato la morte immediata. L'equipaggiamento era assolutamente adeguato, c'erano tutte le protezioni adeguate, è stata una circostanza assolutamente sfortunata».
Busta n° 4: La quarta versione è dell’altro giorno. Il colonnello Stefano Fregona, comandante della caserma Salsa di Belluno dove è di stanza il Settimo alpini, ha ipotizzato per la prima volta al "Gazzettino" una ricostruzione diversa: «Non è stato un cecchino, ma un colpo arrivato di rimbalzo o in ricaduta.
Busta n° 5: Adesso, la quinta versione: c’è stato un vero conflitto a fuoco. Miotto è stato ucciso da un gruppo di "insurgents". Speriamo che sia l’ultima. E che sia la verità.
[Fonte: Il Gazzettino]
Mi scuso coi genitori e i familiari di Miotto per questa traduzione in termini di commedia dell'arte del racconto di una tragedia, ma questa storia che ogni volta che ci scappa un morto in Italia ci sia un'elevatissima produttività di stronzate deve finire. Basta con ragazzi uccisi da un colpo sparato in aria, e deviato verso il basso da un calcinaccio si passaggio. Basta con questi dementi che non riescono neanche a concordare una balla sciocco-sostenibile, e poi mantenere il punto. Qui ormai siamo al vaudeville. Peccato che un ragazzo sia morto, e non per le risate. La Russa si dia una bella limatina al pizzetto, e poi vada in aula a riferire. Possibilmente con una sesta e definitiva stronzata, sintesi delle cinque precedenti. Abbiamo il diritto di sapere come sia morto Miotto, e abbiamo il diritto di sapere come possano morire 35 persone impegnate in una "missione di pace". Tafanus
Scritto il 06 gennaio 2011 alle 10:33 nella Criminalità dei politici, Guerra, Tafanus | Permalink | Commenti (14)
Reblog
(0)
|
| |
05 gennaio 2011
Contrordine, kamerati! Matteo Miotto non è stato ucciso da un cecchino "venuto dall'estero", ma da un gruppo di ribelli»
HERAT - Cambia la versione sulla morte del soldato italiano in Afghanistan il 31 dicembre. E a dare gli ultimi dettagli è il ministro della Difesa Ignazio La Russa, in visita a Herat. L'alpino Matteo Miotto è stato ucciso «da un gruppo di insorti» durante «un vero e proprio scontro a fuoco e non da un cecchino isolato», ha detto il ministro parlando con i giornalisti a Herat. Secondo il ministro però «la versione sulla morte di Miotto non è cambiata, ma solo integrata».
SCONTRO A FUOCO - L'uccisione di Miotto, ha detto La Russa, «è avvenuta nel corso di un vero e proprio scontro a fuoco: non si è trattato di un cecchino isolato, ma di un gruppo di terroristi, di "insurgents", non so quanti, che avevano attaccato l'avamposto». «All'attacco - ha proseguito La Russa - ha risposto chi era di guardia, con armi leggere e altri interventi: a questi si è aggiunto anche Miotto», che - in base a una prima ricostruzione - faceva parte di una «forza di reazione rapida» ed era salito sulla torretta (dove poi è stato colpito) a dare man forte. «Aspetto di avere maggiori dettagli sulla ricostruzione - ha concluso La Russa - e ho chiesto a questo proposito un rapporto dettagliato».
INTEGRAZIONE - contro-contrordine: In seguito La Russa ha precisato che «Miotto è stato ucciso da un cecchino, solo che questo cecchino non ha sparato un solo colpo ma diversi colpi. Si può pensare che non fosse solo, anzi è probabile che ci fossero altri quattro-cinque uomini di copertura, anche se è possibile che a sparare da lontano si stato soltanto lui. Ho telefonato al padre di Matteo per informarlo sull'integrazione della dinamica. Per altro», ha concluso La Russa, «l'inchiesta non è ancora completata, anche se non credo che emergeranno altre novità. Dunque si è di nuovo parlato di un cecchino, di una torretta di guardia e non capisco quali polemiche possano esserci su una versione che è non nuova, ma solamente integrata». (Corriere.it)
...chissà perchè, ma tutte le volte che c'entrano i militari, le versioni dei fatti (siano essi la morte di Matteo, o quella di Calipari, o le molotov della Diaz), cambiano con la rapidità del fulmine... Pardon... non "cambiano", ma sono "integrate"... Ecco le "integrazioni":
-a) Matteo non è stato ucciso da un cecchino isolato, di soppiatto, ma in uno scontro armato, tipico delle "missioni di pace";
-b) si è trattato di un vero e proprio scontro a fuoco;
-c) non è stato ucciso nella garitta di guardia, ma mentre rispondeva al fuoco da una torretta (sarebbe bene che La Rutta rinfrescasse, ove mai ne abbia avute, le sue nozioni di geometria. Solo per spiegarsi la traiettoria del colpo...)
Una domanda che, nel contesto, non c'entra un cazzo: quanto ci mette la mattina, La Rutta, a farsi la barba, per scontornare così accuratamente il fantastico disegno del suo pizzetto a strisce? Disciamoscelo, Gnazzio! almeno tre quarti d'ora? E chi glielo fa fare? Tafanus
Scritto il 05 gennaio 2011 alle 22:51 nella Guerra, Razzismo, Tafanus | Permalink | Commenti (9)
Reblog
(0)
|
| |
16 ottobre 2010
Per il repubblichino La Russa non c’è rimedio e salvezza - di don Paolo Farinella
Doveva essere una missione di pace; ce l’hanno venduta per una pacifica missione; sono andati armati fino ai denti; in una terra non loro, in un paese che non conoscevano ammazzano a più non posso donne, bambini, anziani e innocenti, a questi sono errori, sbagli umani; pinzillacchere diceva Totò.
Se gli Afghani che sono nella loro terra (anche i Talebani sono afghani) possono o non possono rispondere e/o difendersi dagli attacchi di eserciti stranieri che hanno occupato un paese perché alla ricerca di Bin Laden che però pare che in Afghanistan ci sia solo passato? Se cercano Bin Laden perché non lo vanno a cercare? Siamo sicuri che lo vogliono trovare? Se lo trovano non finirebbe subito la guerra?, scusate “la missione di pace”?).
Ora La Russa-Mefisto vuole armare di bombe aerei e elicotteri: la Nato non aspettava altro e ha dato subito il consenso, segno inequivocabile che la guerra è guerra e lì siamo in guerra. Berlusconi e il suo governo purché faccia scelte scellerate è pronto a tutto anche ad armare il Colosseo. Il PD di Bersani invita alla riflessione: «Riflettiamo!»: una strategia da cardiopalmo perché la riflessione si sa è micidiale: se il Pd riflette, Bin Laden trema e la foresta amazzonica langue.
Nota a margine: i quattro militari che sono stati uccisi sono “martiri” della Patria? Poveretti! Vittime doppiamente: della mancanza di lavoro, del sud (su 4, solo 1 è del centro, nessuno del nord) e vittime della guerra voluta dai signori che si guardano bene dal mandarci i propri figli. Questi militari hanno fatto quattro conti in tasca: vado, li ammazzo, mi diverto, guadagno un sacco, torno, metto su casa e chi se ne frega! Non hanno calcolato la variabile: anche gli altri hanno armi, sparano, ammazzano, non tornano, ma restano, si divertono, guadagnano e chi se ne frega! Peccato che in mezzo c’è la popolazione civile presa tra due fuochi e paga per tutti.
Non si va in guerra per mettere su casa, non si va in guerra per fare soldi, non si va in guerra “per menare le mani”, non si va in guerra “volontariamente”: bisogna essere malati per tutto ciò. Eppure i disoccupati creati da questo governo, i senza lavoro endemici ogni volta ci cascano perché ragionano come pazzi: «A me non succederà nulla, non può succedere nulla; io sono furbo, io!». Ecco quattro morti freschi, gli ultimi 300 solo italiani. No, non sono né possono essere eroi. Sono figli della miseria e vittime della sventurata Italia berlusconiana, vittime di se stessi anche perché hanno accettato di essere vittime della retorica patriottarda di stampo fascista. Lo stesso ministro per alimentare questa assurda ideologia vuole fare corsi di aggiornamento militare nelle scuole, a spese nostre. I soldi per questo scempio, li tira fuori il ministero della difesa, cioè Tremonti, lo stesso che ha tagliato mani, piedi, testa, polmoni, fegato e milza alla scuola pubblica per interposto ministero, quello della scuola, cioè la Gelmini. Mai decadenza fu più decaduta.
Nel giorno del funerale (12 ottobre 2010), il vescovo con le stellette, dopo avere definito i militari morti «profeti del bene comune» ha proseguito: «Tutto il Paese è raccolto simbolicamente in questo luogo. I nostri militari sono coinvolti nel grande compito di dare allo sviluppo e alla pace un senso pienamente umano. Dinanzi a tale responsabilità nessuno può restare neutrale o affidarsi a giochi di sensibilità variabili, che indeboliscono la tenuta di un impegno così delicato per la sicurezza dei popoli». Mi dispiace per il monsignore: sarà pure tutta l’Italia, ma meno uno, il sottoscritto, che non fa parte della combriccola né dello «sviluppo della pace» costruito con le armi e gli assassinii. Solo una mente aberrante poteva definire i militari «profeti» e poi anche «bene comune»: il loro mestiere è ammazzare la gente e la violenza è insita nella loro formazione. Un vescovo che parla così ha perso la grazia del sacramento e diventa un terrorista da strapazzo. Chi parlava non era il vescovo, infatti, ma il generale di corpo d’armata alle dipendenze del ministro La Russa, notoriamente guerrafondaio dalle radici repubblichine. Al monsignore che tanto si sbraca, voglio ricordare solo un brano della Tradizione Apostolica
«Il catecumeno o il fedele che vogliono dedicarsi alla vita militare siano rimandati via perché hanno disprezzato Dio» (Ippolito di Roma, La Tradizione apostolica 16; ed. a cura di Rachele Tateo, Paoline, Milano 2010, 77; cf anche J. Daniélou, La non violence dans l’Ecriture e la Tradition, Paris 1955).
Paolo Farinella, prete.
Scritto il 16 ottobre 2010 alle 20:56 nella Guerra | Permalink | Commenti (5)
Reblog
(0)
|
| |
13 ottobre 2010
...mettete un La Russa nei vostri cannoni...
Coi cadaveri degli ultimi soldati italiani inutilmente morti ammazzati in Afghanistan (anzi, in "Afanistan", come diceva un parlamentare correligionario di Ignazzzio), il Ministro delle Missioni di Pace - che quando vede un microfono o una telecamera non resiste, e deve sparare la sua cazzata quotidiana - ha subito sputato nel microfono la sua proposta intelligente: "mettiamo le bombe sui nostri aerei". Queste le sue parole precise:
"...quando le bombe vengono sganciate dall'alto c'è il rischio che vadano a toccare anche zone di civili. Per questo ho detto di no. Ma adesso non me la sento più di assumere questa decisione da solo, di fronte a quello che sta avvenendo: voglio che sia confortata o cambiata dalle commissioni parlamentari competenti. Io accetterò ogni decisione del Parlamento".
Meno male. Ora che sappiamo che La Rissa è disposto ad "accettare le decisioni del Parlamento", siamo più rilassati. Tranqui... Ignazzio non entrerà in aula, mitra Stern imbracciato e cartucciere a tracolla, per imporre al Parlamento le sue personali idee cretine.
Piero Fassino, che è un ex-ragazzo intelligente - ma ogni tanto se ne dimentica e spara una minchiata da 500 chili - forse non vede l'ora di farsi sdoganare da La Russa, e spara la sua: "...se ne può parlare...". Come dire che, per Fassino, la minchiata di La Russa, in fondo, potrebbe anche essere una minchiata intelligente. Ecco, per par condicio, le parole esatte dell'ineffabile Fassino:
"...è un problema molto delicato ma credo che sia giusto che il Parlamento valuti se l'attuale livello di sicurezza dei nostri soldati è adeguato o meno...".
Per nostra fortuna, viene fuori il bistrattato Bersani, per tagliare corto e dire - come direbbero i "Tre-Tre": "...a mmè me pare proprio 'na strunzata...". Ma lo dice con la sua bonomia e col suo buonsenso emiliano. Ciò non toglie che le sue parole suonino come una campana a morto sulle stronzate di Piero: "...Invece che decidere sulle bombe, chiariamo qual'è il nostro ruolo in Afghanistan..."
Vede, Ministro in Missione di Pace... top-gun de noantri... Lo sanno persino i bambini - e sembra che lo sappia anche lei. Basta leggere qualche giornale a fumetti. Le bombe, quando cadono dall'alto, vanno a terra, e quando arrivano, come ben dice lei, "...c'è il rischio che vadano a toccare anche zone di civili...". Verissimo Gnazzio. Anche le "bombe intelligenti", a volte, hanno delle botte di cretineria. Vedi Baghdad, dove gli americani, con una bomba intelligente, temporaneamente rincretinita, sono riusciti a demolire l'Ambasciata Cinese, creando un pericoloso casus belli. O le centinaia di morti procurati dal gioioso "fuoco amico"...
Vede, Ignazzzio, dopo la guerra nei Balcani, lo sanno persino i ragazzini, ma lo sanno molto bene quei pescatori dell'Adriatico che continuano a lasciare le reti in quelle "bombe amiche" che gli aerei (nostri? di altri?) di ritorno dalle "missioni" (...che bella parola...) nei Balcani, quando non trovavano l'obiettivo, prima di atterrare in Italia, "si liberavano" delle loro bombette, gettandole in Adriatico. In Afanistan dove le buttiamo? E quale sarebbe un possibile obiettico "cercato e non trovato? Il motorino di Bin Laden?
E veniamo all'Afanista, Gnazzzio: i nostri soldati sono morti tutti non già perchè colpiti dalla contraerea, o da Cannoni di Navarone. sono saltati in aria sui cosiddetti IER. Per sua formazione: "Improvised Explosive Disposal": Dispositivi Esplodenti Improvvisati". Nascosti a pelo di strada, dentro un Ape, dentro un chiosco, dentro le cose più innocenti. Di grazzzia, Ignazzzio, cosa pensa di fare? di "bombardare" tutti i carrettini di ambulanti di Kabul o di Herat? Oppure ha in mente operazioni di rappresaglia? Tu mi metti l'IED, io ti mando le bombette. Si rilassi, Ministro. anche l'idiozzzia degli ignazzzi deve darsi dei limiti.
O pensa di vincere la prova di forza in "Afanistan" con un'escalation di violenza? Per sua memoria, guardi che il braccio di ferro con l'afanistan lo hanno perso popoli più armati, numerosi e privi di scrupoli dei nostri "alpini", con o senza bombette, sa? Per sua memoria:
Gli USA si sono scornati per vent'anni in Vietnam, e sono andati via scornati, perchè la guerra nella giungla e negli stagni non è come quella all'Iraq o al Giappone. Niente corazzate, niente basi missilistiche scoperte... Guerriglieri, mordi-e-fuggi, IED, resistenza... E' pronto, Ignazzzio, a combattere una guerra coime questa?.
Oppure: "...per quasi dieci anni, tra il dicembre 1979 e il febbraio 1989, l'Afghanistan fu «il Vietnam della Russia». Vi lasciarono la vita non meno di 14 mila soldati russi, mentre infinitamente di più, almeno mezzo milione, furono le vittime afghane..." . Le consiglio una "rinfrescata". Una guerra che dura dall'ottobre 2001 (venti giorni dopo le due torri: quanta fretta...). Scopo dichiarato: prendere Bin Laden. Che forse è fuggito... con un cinquantino, ridendo come un pazzo dell'invincibile armata occidentale. Non è stato Bush, a giocare come il gatto col topo con Bin Laden ma è stato il contrario. Bin Laden ha distrutto la carriera politica di Bush, rischia di distruggere quella di Obama, e non aiuta quella dei berluschini de noantri, lei compreso.
Ma adesso si concentri, e ci spieghi, con poche, sempliciottistiche parole sue, che uso dovremmo fare delle bombe: le buttiamo nei deserti? nei cunicoli? nei mercati? sulle scuole? prima o dopo un attentato con IED? e per ottenere quale obiettivo? Caro Ministro, io posso anche permettermi il lusso di parlare "a cazzo". Lei no. Lei è un Ministro. Ci faccia capire bene. E la prossima volta, magari, prima di sparare cazzate, conti fino a cento (lentamente, molto lentamente...); parli con qualcuno del mestiere (magari col Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica), e poi lasci perdere... una bella serata al Billionaire con la Santanché è un ottimo antidoto contro le cose serie.... Tafanus
Scritto il 13 ottobre 2010 alle 16:04 nella Guerra, Politica, Tafanus | Permalink | Commenti (11)
Reblog
(0)
|
| |
09 ottobre 2010
Breakin' News: clamoroso sgub del Tafanus: "Alla guerra talvolta si muore"!
Nelle ultime ore il Tafanus, col supporto dei servizi di intelligence, e grazie ad alcune intercettazioni di TG e di giornali-radio, ha accertato, in maniera inequivocabile, che alla guerra, talvolta, si muore. Sembra accertato in via definitiva, da indiscrezioni provenienti dai Servizi, che alla guerra si muore anche quando questa tenta di passare inosservata facendosi chiamare "Missione di Pace".
Ormai i talebani si sono fatti furbissimi, ed anche se vedono un cespuglio con la forma e le dimensioni di un blindato, che si muove producendo uno strano rumore meccanico, nel dubbio, tirano un razzo. Sembra che adesso La Russa stia pensando di travestire i blindati da mietitrici, o da carri allegorici. Riusciranno i nostri larussi ad ingannare i Talebani?
P.S.: Messaggio per Salvini & Gentilini
Erano tutti in forza al VII Reggimento Alpini di stanza a Belluno, inquadrato nella brigata Julia, i militari travolti dall'esplosione 1 che, in Afghanistan, ha investito un blindato Lince nel distretto di Gulistan. Nell'attacco hanno perso la vita il primo caporal maggiore Gianmarco Manca, 32 anni, di Alghero, il primo caporal maggiore Francesco Vannozzi, 26 anni, di Pisa, il primo caporal maggiore Sebastiano Ville, 27 anni, di Lentini in provincia di Siracusa e il caporal maggiore Marco Pedone, 23 anni, di Gagliano del Capo in provincia di Lecce. Il militare rimasto ferito è il caporal maggiore scelto Luca Cornacchia, 38 anni, di Pescina in provincia dell'Aquila.
Come Salvini & Gentilini potranno constatare, di tutti gli "alpini" morti o feriti gravamente nella "missione di pace" di cui il centrodestra è così ferocemente orgoglioso, fra i "nostri regazzi", non ce n'è uno che provenga da qualche posto a Nord del Dio Po, e forse nessuno che in vita sua abbia visto le Alpi. Il più "nordista" era un pisano. Poi c'era un sardo, un siciliano, e due pugliesi.
Scritto il 09 ottobre 2010 alle 11:57 nella Guerra, Politica, Tafanus | Permalink | Commenti (12)
Reblog
(0)
|
| |
17 settembre 2010
Breakin' News - Afghanistan, è morto uno dei due soldati italiani feriti
Afghanistan, è morto uno dei due soldati feritiE' Alessandro Romani (nel riquadro), 30 anni, romano, un veterano. Si tratta della 30esima vittima italiana al fronte. Il premier Berlusconi: "A lui il mio più profondo ringraziamento e alla famiglia il più sentito cordoglio"
...ed ora fateci la grazia di risparmiarci La Rutta che parla dei "nostri regazzi..."(continua)
via libero-news.it
Scritto il 17 settembre 2010 alle 19:44 nella Guerra | Permalink | Commenti (1)
Reblog
(0)
|
| |
06 agosto 2010
6 Agosto 1945, ore 8,15: Good Morning, Hiroshima!
Altri orologi inchiodati dalla follia umana. Quella volta, TUTTI gli
orologi in un'area di 12 chilometri quadrati si inchiodarono alle 8,15
di mattina. Molti, fortunati, non ebbero neanche il tempo di capire,
polverizzati all'istante dal calore immane. Tanti, troppi, continuarono a
morire, fra atroci sofferenze, nei giorni, nei mesi, nei decenni
successivi, e qualcuno non è ancora arrivato al traguardo della pace
eterna.
Se Hiroshima ha potuto avere la parziale giustificazione del "facciamo 100.000 morti per evitarne altri milioni", Nagasaki, tre giorni dopo, è stata solo un tributo pagato alla sperimentazione di una diversa bomba (uranio a Hiroshima, plutonio a Nagasaki). Da un punto di vista strategico, la sola bomba di Hiroshima sarebbe bastata a por fine alla guerra. Quella di Nagasaki è servita solo agli USA per "sperimentare". Due immagini, per aiutare a non dimenticare la follia dell'uomo.
Scritto il 06 agosto 2010 alle 11:58 nella Criminalità dei politici, Guerra, Tafanus | Permalink | Commenti (7)
Reblog
(0)
|
| |
01 agosto 2010
Bombe a grappolo da oggi vietate: scatta la convenzione di Oslo, ma l'Italia di Berlusconi e La Russa non ratifica
Il documento proibisce l'impiego, la produzione, lo stoccaggio e il trasferimento di armi a submunizioni, ovvero bombe che contengono all'interno decine di piccoli ordigni che si spargono sul terreno dopo l'impatto. La Convenzione di Oslo è stata firmata da Gran Bretagna, Germania e Francia, ma non da Stati Uniti, Cina, Russia, Israele e Italia.
«Sono felicissimo che la Convenzione sulle armi a submunizioni entri in vigore oggi, 1° Agosto 2010 - ha detto Ban Ki-moon - Questo nuovo strumento è un grande progresso verso il disarmo mondiale e ci aiuterà a lottare contro l'estrema insicurezza e le sofferenze causate da queste armi terribili, in particolare ai civili a ai bambini».
Senatori Pd: l'Italia non ratifica convenzione. «L'Italia continua purtroppo a distinguersi per non aver ancora ratificato la Convenzione sulle Munizioni Cluster per la messa al bando delle micidiali 'bombe a grappolo, che entrerà in vigore a fine 2010. Sarebbe inaccettabile se il motivo di questa mancata ratificata fosse da ricercare, come sospettano le associazioni che promuovono la "Campagna italiana contro le mine", nell'esigenza del Ministero della Difesa circa uno stanziamento per sostituire le armi messe al bando».
Lo dichiarano i senatori del Pd Della Seta, Ferrante, Amati, Di Giovan Paolo, Nerozzi e Soliani, che, sul tema, hanno presentato un'interrogazione parlamentare al Presidente del Consiglio e ai ministri degli Esteri e della Difesa. [Il Messaggero]
_____________________________________________________________________________
I più accreditati istituti di studi militari sono concordi nel ritenere che solo un terzo delle bombe a grappolo esplodono al contatto col suolo. La maggior parte di esse (ogni cluster bomb ne può lanciare fino a 750 insieme) rimangono inesplose, magari per anni, semisotterrate, o sommerse dall'erba, dalla sabbia, dalla terra, finchè qualcuno non ci mette un piede sopra. uasi sempre un civile, magari dopo anni dalla fine della guerra, ma più frequentemente un bambino, che la trova e la prende per giocarci. Non si contano, i bambini mutilati o uccisi da bombe a grappolo. Per la maggior parte dei paesi, la bonifica da questa merda ha dei costi insopportabili.Ancora una volta, l'Italia dei Berlusconi e dei La Russa si è distinta. Ora attendiamo con impazienza che il mitico dottor Forbice, imparziale conduttore di "Zapping" su Radio Uno, perennemente impegnato in raccolte di firme contro qualcuno o qualcosa, purchè cubamo o cinese, lanci una delle sue campagne di raccolta-firme diretta contro il suo donatore di lavoro, oò nano guerrafondaio. Siamo rimasti in brutta compagnia. Persino la Francia di Sarko ha ratificato. Non gli USA, non la Russia, non la Cina, non Israele, non l'Italia. Una volta, tanto tempo fa, eravamo un paese di gente quasi perbene. Tafanus
Scritto il 01 agosto 2010 alle 22:38 nella Berlusconi, Criminalità dei politici, Guerra, Politica, Tafanus | Permalink | Commenti (3)
Reblog
(0)
|
| |
28 luglio 2010
Breakin' News - Due militari italiani morti in Afghanistan - Sono rimasti coinvolti in un attentato compiuto con un ordigno artigianale, presso Herat.
LA RICOSTRUZIONE - Il fatto sarebbe avvenuto a una decina di chilometri a nord di Herat. I due militari, secondo quanto si è appreso, sarebbero rimasti vittima di un attentato compiuto con un ordigno artigianale (Ied) piazzato lungo la strada che stavano percorrendo con un blindato. Nell'attentato non sarebbero rimasti coinvolti altri militari. Anche il precedente attentato che aveva causato la morte di soldati italiani, lo scorso maggio, era avvenuto nella zona di Herat, dove ha sede il quartier generale del nostro contingente.
«LE PAROLE NON HANNO SENSO» - Berlusconi ha detto che quando arrivano queste notizie così drammatiche «ci si domanda se ne vale la pena», per poi aggiungere che proprio in queste situazioni, «bisogna rafforzare l'idea che ne vale la pena». «Le parole non hanno senso», ha aggiunto, non possono «lenire il dolore. C'è solo il fatto - afferma il Cavaliere - di apprezzare chi compie la scelta personale di andare in missione. «La carriera di un soldato - dice il capo del governo - espone a certi rischi. Chi è andato in Afghanistan lo ha fatto per scelta personale». Per il premier, dunque, queste notizie «creano dolore ma è giusto fare quello che facciamo».
...esticatzzi!... perchè non mandi PierPiero, in "Missione di Pace", così la tua famiglia inizia a dare il buon esempio? O vogliamo mandare il figliolo di La Rutta? Tafanus
(Notizia ANSA da Corriere.it) .
Scritto il 28 luglio 2010 alle 19:36 nella Guerra | Permalink | Commenti (6)
Reblog
(0)
|
| |
31 maggio 2010
Israele: uccidere a sangue freddo - di Axel
Vi è qualcosa di innaturale nella protervia con cui una nazione sovrana come Israele rimane schiava dei criminali in divisa che, protetti dall’establishment politico, continuano a gestire i rapporti con tutti i paesi confinanti. Allucinante sia nella logica aberrante del “se non sei con noi sei contro di noi”, per cui mi ritengo autorizzato a spararti se non concordi con me, sia nella convinzione che qualunque essere umano non israeliano possa venire impunemente fatto oggetto di un attacco con elicotteri Apache e marines armati fino ai denti.
Quindi un'ennesima volta un governo di assassini decide che una manifestazione pacifica che ha come oggetto la fornitura di materiale di prima necessità per la popolazione Palestinese (si badi bene, POPOLAZIONE), tenuto in ostaggio all’interno di un territorio anch’esso dichiarato sovrano dalla maggioranza delle Nazioni Unite, si debba considerare come atto di ostilità.
Questi criminali hanno deciso che alla fornitura di cemento per costruire case e di generi di prima necessità si debba rispondere con un atto di guerra. E che quest’atto di guerra debba venire taciuto in tutti i modi: la prima prova di ciò sta nella menzogna (siamo stati oggetti di spari) e nell’immediato blocco di tutte le immagini riprese, che dimostrano un attacco preordinato da parte di truppe organizzate nei confronti di civili, ed una gestione mediatica di tutta l’operazione.
In altri termini, una azione preordinata realizzata a sangue freddo: solo grazie alla rete (quella rete che si vuole bloccare ad ogni costo) abbiamo avuto la possibilità di vedere con i nostri occhi soldati in divisa d’assalto controllare civili a terra, feriti da colpi di arma da fuoco.
Cosa dire di personaggi che utilizzano gli elicotteri Apache contro un cargo che trasporta materiale? Personaggi che, è d’obbligo sottolinearlo, sono gli stessi che utilizzavano bombe cluster ed ordigni al fosforo contro civili Palestinesi un paio d’anni fa.
Abbiamo solo un modo di chiamare esseri disgustosi come questi. Criminali. Criminali che si nascondono dietro la Shoah per ripetere identicamente quello che i Nazisti hanno fatto solo 70 anni fa. Criminali che attaccano navi civili disarmate ed uccidono civili, a loro dire per “difendere i confini nazionali”: esattamente come aveva fatto Hitler nel 1939 invadendo la Polonia. Ricordino le nazioni occidentali che la loro inazione nel 1939 causò il deflagrare della seconda guerra mondiale.
“Coloro che non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo"
Axel
Scritto il 31 maggio 2010 alle 22:38 nella Criminalità dei politici, Guerra | Permalink | Commenti (17)
Reblog
(0)
|
| |
07 maggio 2010
I sottomarini del tesoro: 360 milioni per smantellare la flotta nucleare russa. Gestiti da Scajola, il moschino atomico di terza generazione e mezza, e dalle aziende liguri "care" all'ex ministro
Soccorso rosso - Gli incubi della guerra fredda si sono trasformati in angosce contemporanee: macchine potentissime, come il leggendario 'Ottobre rosso' del film interpretato da Sean Connery, da anni arruginiscono nei porti della Penisola di Kola, seminando radioattività negli Oceani. Un decennio fa, quando la Russia di Eltsin era ancora in piena crisi economica, i paesi del G8 si mobilitarono per dare una mano nella bonifica del cimitero di battelli all'uranio. Anche l'Italia si è lanciata nella missione e ha varato un programma milionario per sostenere i compagni in difficoltà. I finanziamenti hanno preso il largo nel 2005: uno dei primi fascicoli sulla scrivania di Scajola quando venne nominato ministro delle Attività produttive. Ma dopo cinque anni i risultati della spedizione artica suscitano più di qualche perplessità. E mostrano una dominanza ligure nella destinazione dei fondi, finiti in larga maggioranza all'Ansaldo e a Fincantieri. Mentre un'altra manciata di milioni è stata bruciata dalle strutture moscovite della Sogin, la società pubblica creata per chiudere la storia del nucleare italiano e diventata il referente tecnico del soccorso rosso berlusconiano.
Più consulenze che plutonio - Il bilancio della campagna di Russia finora è scarso: sono stati disarmati tre sottomarini, mentre un quarto battello è in corso di smantellamento. Ma per quest'attività è stato stanziato pochissimo. Disinnescare un sommergibile costa circa 5 milioni di euro, soldi che vengono consegnati a Mosca: si tratta di armamenti strategici e nessuno straniero può mettere il naso nelle demolizioni. Quindi finora abbiamo speso meno di 20 milioni. E il resto del denaro? In teoria serve per la seconda fase: rendere sicuro il materiale radioattivo. Molti quattrini però si perdono. Anzitutto perché l'Italia ha deciso di creare un comitato per sorvegliare l'operazione: una struttura che ha costi faraonici, poco meno di 3 milioni l'anno. Solo con gli stanziamenti per il suo mantenimento si sarebbero potuti togliere di mezzo altri tre vascelli nucleari. Gli esperti internazionali interpellati da "l'Eespresso", come quelli della fondazione norvegese Bellona che per prima ha lanciato l'allarme mondiale sulla contaminazione provocata dalla flotta sovietica, giudicano singolare questa scelta: nessun altro paese ha creato un comitato del genere. Invece Sogin ha ideato una "Unità Gestione Progetti" composta da 12 persone. Ci sono due contabili, cinque ingegneri italiani e cinque russi.
Pattumiera del mare In realtà, la parte più consistente dei fondi gestiti da Scajola dovrà servire proprio per la fase due della pulizia. Anzitutto ci sarà un mercantile speciale, costruito proprio per il trasporto delle scorie: pagato da noi e regalato ai russi. La sta realizzando la Fincantieri di Muggiano, golfo spezzino dove nascono le navi da guerra. Questa pattumiera del mare costerà 71,5 milioni di euro e prenderà il largo tra un anno. Il contratto è stato assegnato senza gara, con una dichiarazione di congruità del prezzo sottoscritta dalla Marina Militare, principale cliente della stessa Fincantieri. Non solo: il ministero dello Sviluppo Economico sta sovvenzionando con 800 milioni le nuove fregate classe Orizzonte sempre di Fincantieri. Ancora più caro sarà l'impianto di trattamento e di stoccaggio temporaneo per i rifiuti nucleari che sorgerà ad Andreeva Bay: 110 milioni di euro. Una questione che sta molto a cuore al governo Berlusconi. Nel 2005 come può rivelare "l'Espresso", in una lettera ufficiale l'allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta informava Scajola di avere sollecitato il dibattito parlamentare sui fondi pro-Russia proprio per garantire all'Italia l'impianto di Andreeva Bay. "Vi sono fondate speranze di potervi stoccare temporaneamente (almeno 50 anni) i contenitori delle scorie ad alta attività risultanti dal riprocessamento in Gran Bretagna del combustibile irraggiato delle nostre centrali elettronucleari. In mancanza di un deposito nazionale in Italia non sapremmo dove sistemarli".
Torta all'uranio - Per l'impianto di Andreeva Bay c'è stata una gara per lo studio di fattibilità, "secondo le regole russe", come precisa l'ingegner Narbone, il dirigente del ministero che fino al mese scorso ha diretto il programma russo "e che dal 2005 lotta ogni giorno con le autorità di Mosca per portare a casa contratti per le aziende italiane". L'unico a farsi avanti è stato il consorzio Actec, Ansaldo-Camozzi-Techint ma due ditte si sono ritirate: resta solo l'Ansaldo Nucleare di Genova. Lo stesso Narbone spiega a 'L'espresso' che la successiva commessa per la progettazione è andata sempre all'Ansaldo Nucleare. L'azienda ha presentato un preventivo estremamente sintetico: una pagina con le voci essenziali per un totale di 13 milioni e mezzo. Tra le spese preventivate, ben 585 mila euro per le traduzioni: al prezzo corrente, con questa somma si possono tradurre 39 mila pagine. E si tratta soltanto del progetto.
Per la costruzione, poi, in pole position c'è la solita Ansaldo Nucleare. È un'azienda genovese del gruppo Finmeccanica che dopo il referendum atomico del 1986 in Italia ha avuto molto poco da fare. Il sito Web è scarno e offre dati risalenti al 2005: 175 dipendenti e ordini per soli 42 milioni di euro. In pratica, gli affari russi diventerebbero una delle entrate più ricche. Eppure questa è la società su cui si incardinano i piani di ritorno al nucleare per l'Italia proclamati da Scajola: il grande programma per costruire centrali pulite e futuristiche, subito benedetto da Silvio Berlusconi. E la nuova vita di Ansaldo doveva essere nobilitata con la visita del presidente Giorgio Napolitano, che martedì 4 maggio doveva essere accompagnato dal ministro ligure nel quartier generale. Uno scherzo del destino ha fatto coincidere l'appuntamento con le dimissioni di Scajola.
(di Stefania Maurizi - l'Espresso).
Scritto il 07 maggio 2010 alle 12:00 nella Economia, Guerra, Nucleare, Politica | Permalink | Commenti (2)
Reblog
(0)
|
| |
25 aprile 2010
25 aprile 1945-2010: ricordare affinché il sonno della memoria non generi ulteriori mostri…
LE REPUBBLICHE PARTIGIANE - Nello spazio di tempo che corre tra l’aprile ed il maggio 1944, i rapporti dei repubblichini e dei loro alleati tedeschi, relativamente ad azioni militari partigiane, crescono a ritmo vertiginoso. Gli sforzi dei patrioti vengono concentrati nel settore appenninico verso il quale sta lentamente avanzando il fronte alleato e lungo le grandi linee di comunicazione utilizzate dall’esercito tedesco.
All’inizio dell’estate i presidi fascisti e tedeschi della Val di Nure, della Val d’Arda (PC), della Val di Taro (PR) e dell’appennino reggiano e modenese vengono espugnati uno a uno dai partigiani. La ferrovia Parma-La Spezia viene interrotta e così pure le comunicazioni tra l’Emilia, la Toscana e la Liguria: i patrioti in armi controllano tutti i passi dell’Appennino, dall'Abetone alla Cisa, dopo solo un mese di combattimenti. L’alto comando tedesco decide allora di scatenare una vera e propria guerra contro quelli che, ritenuti ancora un gruppo di banditi straccioni, si era rivelato un vero e proprio efficientissimo esercito. Per condurre questa guerra i nazifascisti impiegano ben 25.000 uomini che si abbattono come una valanga sul settore della Cisa e del piacentino. Il loro obiettivo è distruggere la repubblica di Montefiorino, situata a cavallo di due strade statali di enorme importanza, presidiata da 6.000 partigiani modenesi e da 2.000 reggiani, che senza aspettare la fine della guerra avevano già istituito un’amministrazione democratica.
La repubblica di Montefiorino non fu certamente l’unica zona libera creata dai patrioti. Queste “oasi di libertà in territorio nemico”, come le definì Luigi Longo, furono all’incirca una quindicina. Furono particolarmente numerose in Piemonte: Valsesia, Val d’Ossola, Langhe, Val di Lanzo, di Stura, Maira, Varaita, Astigiano e molte altre, mentre in Lombardia compresero l’Oltrepo pavese, in Liguria la repubblica di Torriglia, tra le provincie di Genova e Piacenza, e l’entroterra tra Savona e Sanremo, nel Veneto l’altopiano del Cansiglio, la Carnia e buona parte del Friuli. Un modo di vivere democratico rinasce spontaneamente in queste zone: furono i delegati civili designati dai comandi partigiani, che organizzano come e dove possono l’elezione degli organismi di autogoverno o, d’accordo con la popolazione, incaricano uomini universalmente stimati di assumere provvisoriamente le funzioni di amministratori delle comunità liberate. La documentazione, basata sui rapporti presentati dai delegati civili dovrebbero essere attualmente custodita negli archivi della Presidenza del Consiglio.
Nel comune di Serralunga nelle Langhe viene invece nominata una giunta provvisoria nella cui composizione si tiene conto del rapporto numerico esistente tra i vari strati della popolazione. Sarà una giunta di rappresentanti di categoria, così suddivisi: un intellettuale, tre contadini proprietari, due contadini mezzadri, un commerciante, un operaio ed un artigano. A Usseglio in Val di Lanzo si usa un altro criterio ancora: “la giunta di Usseglio si compone di un mutilato di guerra, di professione contadino, ben visto dalla popolazione per la sua onestà e rettitudine; del segretario comunale, di un commerciante, di un agricoltore e di un margaro”.
A Gallo d’Alba: “La sera del 21 ottobre 1944 fu indetta una riunione popolare nella sala del Teatro Cinema parrocchiale. Il delegato civile della 6° Divisione Garibaldi parlò alla popolazione del significato che le elezioni hanno nella rinascita nazionale e sui problemi che esse sono chiamate a risolvere d’urgenza, iniziando in tal modo la riconquista da parte del popolo di quel potere di amministrazione che il fascismo gli aveva tolto. Accennò anche ai problemi dell’educazione della generazione nuova e a quelli della nazione fra i liberi popoli d’Europa. “...il successivo giorno 22 ottobre furono designati gli scrutatori, e l’82% della popolazione affluì alle urne. Lo scrutinio avvenne alla presenza di numeroso pubblico…”
Il 10 settembre del 1944 viene insediato il governo provvisorio dell’Ossola, sgomberata dai nazifascisti dopo una fortunosa azione partigiana che consentì anche la liberazione di Domodossola, e il 26 settembre si costituisce anche il libero governo della Carnia. Fino al momento in cui queste zone libere verranno sommerse dalla potente controffensiva dei nazifascisti che non possono tollerare che esistano basi partigiane di tanta importanza i governi popolari provvederanno agli approvvigionamenti alla sanità pubblica, al funzionamento delle fabbriche, alla riapertura delle scuole.
Nasceva così, in nuce, un’Italia nuova, che, nonostante gli anni di dittatura, trovava la forza di reinventarsi la democrazia. Oggi, in un momento così grave di crisi, dovremmo guardare a questi esempi come la premessa di un risveglio nazionale democratico che, per quanto si tenti in tutti i modi di affossare, finirà per imporsi e per vincere così come si è imposto ed ha vinto ai tempi oscuri dell’occupazione nazifascista, perchè la libertà e la democrazia non si difendono solo a parole, con proclami o slogan, e nemmeno solo col fucile, come nei momenti della Resistenza contro l’oppressione fascista, quando, appunto per difendere e riconquistare entrambe, non restava che imbracciare il fucile: la libertà, quella vera, fatta di regole condivise e rispettate, la democrazia “reale”, si conquistano con l’unità d’intenti, col confronto civile, con l’impegno, e si difendono giorno per giorno, mai una volta per tutte.
La Resistenza nella sua maturità aveva ormai acquistato una tale capacità politica, oltre che militare, da ottenere - nonostante le spietate rappresaglie ordinate dai nazifascisti un tale appoggio da parte della popolazione - non solo di precedere gli alleati nell’aprile del '45 nella liberazione delle grandi città e vaste regioni, ma anche di presentare al loro arrivo una efficiente amministrazione democratica già insediata e funzionante. Sintomatico, nel quadro di questa grande svolta, quanto accadde a Firenze, dove le forze partigiane hanno occupato e ripulito quasi totalmente la città dagli invasori tre giorni prima dell’arrivo degli anglo-americani, ignorando l’ordine del comando alleato di “attendere ancora due giorni”. Quando gli alleati entrano in Firenze il 13 agosto 1944 hanno la sorpresa di trovare già insediate le autorità di governo designate dal CLN e addirittura un Sindaco democratico, il socialista Terracini. L’ordine è perfetto: Firenze comincia rapidamente a rinascere e a vivere. Nonostante la diffidenza iniziale, il Times è costretto ad ammettere l’efficienza dell’amministrazione democratica di Firenze, sottolineando il fatto che “...la città è stata il teatro di un esperimento spontaneo di auto governo che avrà un’importanza considerevole per determinare quale sarà il sistema politico che in definitiva, prenderà il posto del fascismo...” e che ”...Firenze è stata la prima città in cui il Comitato di Liberazione Nazionale si era già insediato prima che giungessero gli alleati…”
Alla fine del ’44 i giorni della dominazione nazifascista in Italia erano contati, anche quando i nazisti riescono ancora, in zone di grande importanza strategica, ad aver ragione dei Patrioti, possono farlo solo con l’impiego di unità e di mezzi molto potenti, a prezzo di grandissime perdite e con risultati quasi nulli. Tipico il caso del Colle della Maddalena dove i nazisti, per ristabilire i contatti con la Francia, sono costretti a scagliare l’intera 90° divisione granatieri corazzati - 8.000 uomini potentemente armati, accompagnati da carri armati e autoblindo -, contro i 450 ragazzi della “Rosselli”. I nazisti rimangono inchiodati nelle valli per settimane, hanno centinaia di morti e feriti. Sull’esempio di Firenze, le città dell’Emilia e del nord non aspetteranno l’arrivo degli alleati e si libereranno ed organizzeranno democraticamente da sole con l’aiuto dei Partigiani scesi dalle montagne.
Quest’anno vorrei concludere con una riflessione, quello che probabilmente direi a mio figlio come premessa, prima di raccontargli della Resistenza. E’ il terzo movimento di un’opera di Bertold Brecht.
Voi, emersi dai gorghi che ci travolsero,
Quando parlerete delle nostre debolezze
Pensate
Anche ai tempi bui cui siete scampati!
Andavamo noi, cambiando più spesso paese che scarpe,
Attraverso la guerra di classe,
Disperati,
Quando c’era solo ingiustizia, e nessun riscatto
Eppure lo sappiamo,
Anche l’odio per la bassezza stravolge il viso,
E la rabbia contro l’ingiustizia fa roca la voce!
Ah noi, che volemmo approntare il mondo alla gentilezza,
Noi, che non potemmo essere gentili!
Ma voi, quando sarà il tempo
Che l’uomo sia d’aiuto all’uomo,
Pensate a noi con indulgenza.
Pasionaria
Scritto il 25 aprile 2010 alle 07:00 nella Guerra | Permalink | Commenti (18)
Reblog
(0)
|
| |
20 aprile 2010
La morte di Enzo Baldoni, l'intervista al fratello Sandro
Scritto il 20 aprile 2010 alle 22:51 nella Guerra | Permalink | Commenti (3)
Reblog
(0)
|
| |
19 aprile 2010
Liberati i tre italiani di Emergency, nonostante Frattini
Scritto il 19 aprile 2010 alle 11:00 nella Guerra | Permalink | Commenti (30)
Reblog
(0)
|
| |
15 aprile 2010
Afghanistan: la questione delle accuse contro Emergency - di Bijan Zarmandili
Scritto il 15 aprile 2010 alle 13:30 nella Guerra, Politica | Permalink | Commenti (2)
Reblog
(0)
|
| |
04 febbraio 2010
Si può mandare uno così in giro senza il tutore?
Questo grande, incommensurabile coglione, appena mette i piedi fuori da suolo patrio, riesce a dare il peggio di se. Abbiamo ancora fresche, nella memoria, le performances all'estero di questo burino. Dal Kapo a Schultz, all'urlo "Obbbamaaaaaaaaa!" da 500 watt al cospetto della Regina d'Inghilterra; dalle battutacce con Carla Bruni e Sarkozy, a quelle con la premier finlandese; dalla "telefoninata" fatta mentre una incazzatissima Merkel lo aspettava per riceverlo, alla "toccatina di chiappe" ad un'operaia russa; dal bacio ad una imbarazzatissima signora Erdogan, a tante altre perle da tamarro italiano in vacanza. Ricordate il film in cui Verdone parte per un viaggio "a scopo di acchiappanza" in Romania, con la valigia piena di calze di nylon e di penne biro?
Ecco... chissà perchè mi è venuto in mente quello... il "tamarro export", quello che quando ha finito il giro, l'immagine dell'Italia è scesa ancora di un paio di gradini. E dire che aveva un codazzo di ben otto ministri al seguito! Ma nessuno in grado di dirgli: "Silvio, mi raccomando! quando ti viene in mente una minchiata, conta fino a dieci, e poi stai zitto!
Dunque, l'esordio è consistito nella promessa di portare la vita media a 120 anni... chissà se intende farlo da solo, o col contributo del malconcio "specialista dell'eterna gioventù", dottor sciampagnini...
Ha proseguito tranquillizzando Israele: "...ci pensiamo noi, all'Iran! metteremo le "sanzioni"! Poi qualcuno deve avergli spiegato che il compito di "mettere le sanzioni" spetta alla UE, e che comunque forse non gli conviene, visto che il maggior partner industriale estero dell'Iran, è l'ENI.
Nell'intervallo fra una minchiata e l'altra, per non lasciare tempi morti (sapete, per questi "uomini del fare" il tempo è danaro), e non avendo a portata di mano il fido Apicella, si è esibito in una barzelletta idiota raccontata già tremila volte (quella dei topi, dell'umidità e delle rane). Non ha riso nessuno. All'estero non si sentono vincolati a ridere.
Meno male che non ha raccontato quella del Maggiolino, dato il tipo di uditorio...
"Quanti ebrei possono starci, in un maggiolino"?
"????"
"Trenta: due davanti, tre di dietro, e venticinque nel posacenere".
Poi, si è esibito in un numero ormai classico: porterà Israele nella UE; non si è preoccupato di sapere se Israele ne abbia voglia, nè ci ha detto se vuole portare nella UE solo gli ebrei, o anche gli arabi dei territori. Dettagli: ormai ha già "portato in Europa", da solo, la Russia di Putin, la Turchia, Cipro riunificata. Ora è impegnato con Israele, ma appena avrà finito (questione di giorni...) passerà alla Giordania, all'Afghanistan, alla Cambogia... Qualcuno lo fermi prima che arrivi in Nuova Zelanda. Lo avverta che a quel punto varcherebbe la linea del cambiamento di data, con non secondari problemi organizzativi.
Ad una domanda dei giornalisti su cosa pensasse del muro della vergogna, ha risposto di non averlo visto. Già... come avrebbe potuto? in fondo circonda SOLO tutta Gerusalemme...
Poi, la minchiata finale: quella col botto: Israele è vittima, da parte dei palestinesi, di una nuova shoah... Bene ha fatto Israele, in Gennaio 2009, a reagire con l'operazione "Piombo Fuso". A questo punto, ho ripescato ciò che su questa operazione avevo scritto nel Gennaio 2009. Così, tanto per separare i fatti dalle pugnette del segaiolo della briansa.
____________________________________________________________________________
STRISCIA DI GAZA: GENNAIO 2009
"...mentre i bulldozer cominciano a rimuovere le macerie dalle strade delle poverissime città della Striscia e da Gaza City, si cominciano a fare i conti delle vittime e dei danni. Il bilancio dei 22 giorni di fuoco sulla Striscia è drammatico: 1300 persone sono morte, di cui almeno 700 civili. Secondo Hamas, i militanti uccisi sono 112, mentre 180 sarebbero i poliziotti morti. Cinquemila le case distrutte, 16 edifici governativi e venti moschee rase al suolo dai bombardamenti. Sul fronte di Israele, le perdite sono: dieci soldati e cinque civili.
Ripeto la domanda: ne valeva la pena? Più della metà delle persone uccise sono civili, e, di questi, il 60% sono bambini. Feriti e mutiliati si stimano in oltre 5.000. L'80% della popolazione è ridotta alla fame nera. Moltissimi hanno perso tutto, a cominciare dalla casa.
Israele ha ucciso 1300 persone (usando anche bombe al fosforo bianco e al plasma), subendo la perdita di 15 persone. OK, il prezzo è giusto! Alle Fosse Ardeatine, il rapporto fra SS uccise ed italiani scelti a caso è stato di uno a 10; a Gaza il rapporto è stato di uno a 87. La Livni è tranquilla. Ha detto che gli obiettivi sono stati raggiunti. Quali? C'è da scommettere che ora diventa tutto più difficile, e che per ogni morto palestinese ci saranno due nuovi militanti di Hamas. Non è stato un grande affare.
Noi, italiani "brava ggente", con la differenza della sinistra "estrema" e di D'Alema", che ha parlato di azione di vendetta e non di guerra, dovremmo vergognarci. L'invio di medicine, derrate ed altri beni di prima necessità a Gaza è stato ritardato fino ad oggi, perchè solo oggi Frattini, finita finalmente la settimana bianca, e cessato il fuoco, è riuscito ad andare a Gaza, senza rischiare nulla, per assistere personalmente allo scarico degli aiuti decorati col tricolore italiano, e con lui nell'inquadratura, ad uso dei TG di regime.
Il nano "manderà i Carabinieri", a controllare il valico di Gaza con l'Egitto. Si preannunciano esilaranti interrogatori alla frontiera fra arabi, casertani e veneti. Lo spasso è assicurato, il risultato è incerto. In compenso, il nano potrà arricchire il suo repertorio di barzellette sui Carabìnieri, da usare nei prossimi vertici internazionali. "La sapete quella del Carabiniere, del Palestinese e dell'Egiziano?". Si, Cavaliere... l'ha già raccontata otto volte...
Tafanus
Scritto il 04 febbraio 2010 alle 12:00 nella Berlusconi, Guerra, Politica, Satira, Tafanus | Permalink | Commenti (20)
Reblog
(0)
|
| |
12 gennaio 2010
Petrolio, terrorismo ed esportazione di democrazia - di Alex Cariani
Ora, facciamoci qualche utile domandina legata alla permanenza dei nostri (e altri) soldati in Afghanistan, Yemen et similia.
Ricordate che la seconda guerra nel golfo persico è iniziata nell’ottobre del 2001 successivamente alla nota vicenda dell’11 settembre, con l’esplicito obiettivo di distruggere il regime Talebano che (secondo le informazioni di “intelligence” fornite dall’allora presidente G.W. Bush) aveva assicurato appoggio logistico agli attentatori negli Stati Uniti partendo dall'Afganistan e dallo Yemen.
Va sottolineato che questa ricostruzione è stata successivamente sbugiardata da innumerevoli articoli che dimostravano in maniera inconfutabile che se eventuali appoggi vi erano stati provenivano dall'Arabia Saudita, che uno dei presunti "attacchi" agli USA (quello dell'antrace) era in realtà da considerare terrorismo interno (l'FBI ha attribuito l'attacco ad un proprio collaboratore, Bruce Edwards, suicidatosi nel 2008).
Ora, qualcuno dei raffinati "intelligence men" si è chiesto quale sia l'affidabilità da attribuire ad un genio della lampada che, peraltro denunciato dallo stesso padre, si imbarca su un aereo con un petardo nelle mutande e si fa (letteralmente) soffriggere gli zebedei in onore del Corano? In primis, lo stesso Maometto riterrebbe questo mentecatto solo un povero idiota, ma si permetterebbe (correttamente, peraltro) di segnalare agli efficientissimi addetti alla sicurezza USA di procedere al proprio reimpiego quali addetti alla pubblica pulizia o in seconda scelta quali tester per supposte ad alto potenziale. Cosa che peraltro è stata correttamente identificata anche dal presidente americano che ha parlato senza mezzi termini di "imperdonabili errori di valutazione"...
A parte che questa espressione appare più o meno come un elegante eufemismo e siccome non siamo nati ieri, appare alquanto stimolante valutare il motivo per cui a qualcuno improvvisamente appare interessante una della nazioni più sfigate del pianeta, lo Yemen.
Dovete sapere che questa nazione, che detiene la poco invidiabile caratteristica dello stato più povero della penisola arabica, ha una condizione politica sostanzialmente dittatoriale che, oltre che vedere la presenza di forze riconducibili ad Al-Qaeda, ha presenze Marxiste-Leniniste situate nel sud Yemen. In effetti questa nazione risulta essere un amalgama sintetico creato dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1990, quando la Repubblica Democratica Popolare dello Yemen [o Yemen del Sud] ha perso uno dei suoi maggiori sponsor all’estero.
L’unificazione forzata dalle nazioni unite della Repubblica Araba dello Yemen del Nord con la Repubblica Democratica Popolare dello Yemen del Sud ha portato ad un ottimismo di breve durata, che è terminato con una breve guerra civile nel 1994, quando le fazioni dell’esercito del sud hanno organizzato una rivolta contro quello che vedevano come il governo corrotto dello stato amico del presidente del nord Ali Abdullah Saleh. Il presidente Saleh è rimasto a capo di una dittatura dal 1978, prima come presidente dello Yemen del Nord (la Repubblica Araba dello Yemen) e a partire dal 1990 come presidente del nuovo Yemen unificato. La rivolta dell’esercito del sud è fallita quando Saleh ha reclutato al-Fadhli ed altri salafisti yemeniti, seguaci di un’interpretazione conservatrice dell’Islam, oltre ai jihadisti per combattere contro le forze marxiste del Partito Socialista dello Yemen meridionale.
Ora, dovete sapere che questo presidente-dittatore Saleh è ben appoggiato dalla vicina Arabia Saudita, ma traballa dal 2008 a causa dello stato sostanzialmente fallimentare in cui versano le casse statali, che hanno causato forti moti popolari nel 2007 e nel 2008, sfociati in manifestazioni di massa dei dipendenti statali, stanchi dei protratti mancati pagamenti degli stipendi.
Questa situazione fallimentare appare incredibile in quanto nella zona a sud del paese sono stati identificate aree di elevato interesse economico in quanto saturi di marker di gas naturale e di giacimenti petroliferi off shore. Total ed Exxon ritengono che nella zona si possano identificare almeno tre zone ad alta potenzialità estrattiva, in volumi tali che "...lo Yemen conterrebbe “abbastanza petrolio non sviluppato per soddisfare la domanda di petrolio del mondo intero per i prossimi cinquanta anni con volumi simili a quelli Sauditi".
Masila Basin e Shabwa Basin nello Yemen secondo quanto riportato dalle società petrolifere internazionali conterrebbero “scoperte di ordine mondiale” sia per quanto riguarda giacimenti di gas naturale che di greggio in classe A1.
L’Agenzia Internazionale per l’Energia del governo USA cita che “la chiusura di Bab el-Mandab potrebbe impedire ai tanker provenienti dal Golfo Persico di raggiungere il Canale di Suez (complesso del Sumed), ridirigendoli intorno alla punta meridionale dell’Africa. Lo stretto di Bab el-Mandab è un checkpoint tra il corno d’Africa e il Medio Oriente, ed un collegamento strategico tra il Mar Mediterraneo e l’Oceano Indiano”. In altri termini, il petrolio e gli altri prodotti di esportazione dal Golfo Persico devono passare per Bab el-Mandab prima di entrare nel Canale di Suez e viceversa.
Nel 2006 il Dipartimento per l’Energia a Washington ha riportato che si stima che 3,3 milioni di barili di petrolio al giorno passino attraverso questo stresso passaggio marittimo per l’Europa, gli Stati Uniti e l’Asia.
La gran parte del petrolio, pressappoco 2,1 milioni di barili al giorno, va verso nord attraverso Bab el-Mandab verso il complesso di Suez/Sumed nel Mediterraneo. Un pretesto per la militarizzazione da parte degli USA o della NATO delle acque circostanti Bab el-Mandab sarebbe per Washington un’altra importante tappa nel suo perseguimento del controllo dei sette chokepoint più critici del mondo, la parte principale di ogni futura strategia americana finalizzata alla gestione in toto dei flussi del petrolio verso Cina ed l’Unione Europea.
Ciò significa che nel caso in cui si sviluppassero i giacimenti off shore nelle vicinanze dell'isola di Socotra, circa il 31% dei volumi petroliferi mondiali verrebbero gestiti in quasta zona, tristemente famosa anche per la presenza costante di pirateria. In aggiunta, risulta chiaro che il controllo di questa zona servirebbe quale deterrente nei confronti del Regno Saudita dal considerare la transazione delle vendite future del petrolio con la Cina o con altri non più in dollari, come è stato recentemente riportato dal giornalista inglese indipendente Robert Fisk. Sarebbe inoltre nella posizione di minacciare il trasporto del petrolio della Cina da Port Sudan sul Mar Rosso appena a nord di Bab el-Mandab, un’ancora di salvezza fondamentale per le necessità energetiche nazionali cinesi.
Ed ecco che miracolosamente una testa calda proveniente dallo Yemen decide con l'ausilio di un petardo nelle mutande di sterminare pacifici cittadini americani... Ed anche in questa interessante storia l'Attivissimo Attivissimo non trova nulla di strano. No bufala ? No Party! Ma che coincidenza...
Ricordatevi però che a pensar male...
Alex Cariani
Scritto il 12 gennaio 2010 alle 07:00 nella Guerra | Permalink | Commenti (6)
Reblog
(0)
|
| |
29 settembre 2009
Una testimonianza importante contro la guera - di Barbara X
E’ quella di Bartolomeo Vanzetti (1888-1927), anarchico piemontese emigrato negli Stati Uniti, il quale legò il suo nome e il suo destino al compagno di sventura Nicola Sacco (1891-1927).
Nel 1977 il governatore dello Stato del Massachussetts, Dukakis, riconobbe ufficialmente gli errori commessi nel processo e riabilitò completamente la memoria di Sacco e Vanzetti. Peggio tardi che mai, mi viene da dire…
In attesa dell’infame esecuzione, Vanzetti trovò la forza e il coraggio di lasciarci uno scritto bellissimo e intenso, intitolato “Non piangete la mia morte”; suddiviso in tre parti (“Una vita proletaria”, “Lettere ai familiari” e “Ultime parole ai giudici”). Questo è lo scritto in cui Vanzetti esprime tutto il suo amore per i familiari, per la lotta contro le ingiustizie sociali, ma anche la rabbia infinita dell’innocente condannato a morire perché colpevole di essere anarchico, perché colpevole di documentarsi e pensare, dunque, per tale motivo, pericoloso in un sistema in cui si è obbligati ad essere solo delle cose, degli ingranaggi.
Dalla seconda parte (“Lettere ai familiari”) riporto un brano in cui Vanzetti spiega per quali motivi bisogna sempre essere contrari a ogni guerra, a ogni violenza:
“…ma la giuria ci aveva odiati fin dal primo momento perché eravamo contro la guerra. La giuria non si rendeva conto che c'è della differenza tra un uomo che è contro la guerra perché ritiene che la guerra sia ingiusta, perché non odia alcun popolo, perché è un cosmopolita, e un uomo invece che è contro la guerra perché è in favore dei nemici, e che perciò si comporta da spia, e commette dei reati nel paese in cui vive allo scopo di favorire i paesi nemici. Noi non siamo uomini di questo genere. Katzmann lo sa molto bene. Katzmann sa che siamo contro la guerra perché non crediamo negli scopi per cui si proclama che la guerra va fatta. Noi crediamo che la guerra sia ingiusta e ne siamo sempre più convinti dopo dieci anni che scontiamo — giorno per giorno — le conseguenze e i risultati dell'ultimo conflitto.
Noi siamo più convinti di prima che la guerra sia ingiusta, e siamo contro di essa ancor più di prima. Io sarei contento di essere condannato al patibolo, se potessi dire all'umanità: ‘State in guardia. Tutto ciò che vi hanno detto, tutto ciò che vi hanno promesso era una menzogna, era un'illusione, era un inganno, era una frode, era un delitto. Vi hanno promesso la libertà. Dov'è la libertà? Vi hanno promesso la prosperità. Dov'è la prosperità? Dal giorno in cui sono entrato a Charlestown, sfortunatamente la popolazione del carcere è raddoppiata di numero. Dov'è l'elevazione morale che la guerra avrebbe dato al mondo? Dov'è il progresso spirituale che avremmo raggiunto in seguito alla guerra? Dov'è la sicurezza di vita, la sicurezza delle cose che possediamo per le nostre necessità? Dov'è il rispetto per la vita umana? Dove sono il rispetto e l'ammirazione per la dignità e la bontà della natura umana? Mai come oggi, prima della guerra, si sono avuti tanti delitti, tanta corruzione, tanta degenerazione....’”
Barbara X
Scritto il 29 settembre 2009 alle 15:30 nella Guerra, Politica | Permalink | Commenti (5)
Tag: barbar x, guerra, sacco, vanzetti
Reblog
(0)
|
| |
27 settembre 2009
Chiesa e fascisti di varia estrazione cercano la "soluzione finale" del problema "don Paolo Farinella"
La cronologia dell'assalto finale è impressionante. Giovedì 24 il "Geniale", edizione Liguria, pubblica un delirante articolo/non articolo su Paolo Farinella. Questo [il link].
Su questo delirante articolo - e sulla sua stranezza - il Tafanus ha pubblicato, il giorno 25, un ampio resoconto in un [suo post], nel quale si da anche conto della esilarante figura di colui che firma una (o due, o tre) lettere al "Geniale", che compongono l'articolo di cui sopra. Si raccomanda un "ripasso" su questo Signore, Presidente dell'Associazione "Giovine Italia" (sic!) Chi non lo ha ancora fatto, DEVE leggere il post del Tafanus, e i commenti del Presidente.
Sempre il giorno 25, Forza Nuova (altra organizzazione democratica e tollerante), scende in campo per annunciare il programma di una grande manifestazione di popolo per oggi, domenica. L'annuncio è sintetizzato [dal Secolo XIX]:
"...uno striscione ed un volantinaggio davanti alla parrocchia di don Paolo Farinella, domenica mattina (oggi 27 settembre - NdR), in piazza San Giorgio a Genova, per protestare contro le «allucinanti dichiarazioni sulla morte dei sei paracadutisti della Folgore a Kabul rilasciate sulla rivista Micromega» è stato annunciato dal coordinamento ligure di Forza Nuova. Le affermazioni del parroco pubblicate dal periodico di Flores D’Arcais a cui Forza Nuova fa riferimento sono: «I soldati morti sapevano che potevano morire (fa parte del loro mestiere), ma sono andati ugualmente per scelta e per interesse economico, cioè per guadagnare di più. So anche che molti vanno per il brivido della guerra, per dirla alla popolana, per menare le mani e sperimentare armi nuove e di precisione».
«Sarà una decisa, ma sempre civile azione di contestazione nei confronti di questo pretuncolo arrogante e senza onore che con le sue parole ha ucciso di nuovo i nostri paracadutisti. A noi non importa se critica il governo, o se afferma che in Italia non c’è libertà di stampa, quello che ci muove è l’offesa ai morti».
Forza Nuova annuncia anche di voler aprire, all’inizio della prossima settimana. un conto corrente «per regalare» al religioso «un viaggio di sola andata per Kabul, dove potrà abbracciare i valorosi terroristi talebani che con metodi partigiani uccidono i nostri soldati. Abbiamo già ricevuto numerose inaspettate telefonate di persone indignate, che volevano aderire alla nostra iniziativa». (...attendiamo con impazienza di conoscere, da Forza Nuova, la lista e l'ammontare delle donazioni. NdR...)
Insomma, un bel gruppetto di democratici: Berlusconi, i suoi scherani del Geniale guidati dal condottiero Littorio Feltri, l'alleato di Berlusconi Roberto Fiore e la sua "Forza Nuova", l'amico di Fiore, tale Silighini, Presidente della "Giovine Italia", ed inventore dell'evento culturale "Miss Azzurra: La più bella di Forza Italia" LA FIGA PRIMA DI TUTTO.
Il livello di tolleranza degli uomini del NeroFiore nei confronti di chi non la pensa come loro è ben descritto da parole come queste: "...Sarà una decisa, ma sempre civile azione di contestazione nei confronti di questo pretuncolo arrogante e senza onore..."
Comunque oggi la "manifestazione", arricchita dalle presenze di alcune teste rapate, si è svolta regolarmente. Non in Piazza San Giorgio, come annunciato, ma in Piazza Matteotti (forse lle dimensioni di Piazza San Giorgio non erano state ritenute adeguate a contenere le ...15 pwersone di cui parla il Secolo XIX, o le NOVE che abbiamo contato noi...)Dalla foto pubblicata sul Secolo XIX, abbiamo contato infatti una folla di non meno di 9 (nove) persone. Se ce n'erano altre, erano ben nascoste.
"...Forza Nuova ha promosso la manifestazione odierna annunciando anche una colletta per invitare don Farinella a fare un viaggio, senza ritorno, a Kabul".
Don Farinella non ha taciuto. Prima della messa domenicale ha ribadito le sue convinzioni allargando il fronte delle critiche.
Al Papa, perché con il nuovo episcopato «conta più la gerarchia vaticana e l’apparato della “Chiesa”». Al presidente Cei e arcivescovo di Genova, Angelo Bagnasco: «nelle sue omelie e interventi parla più del Papa che di Dio». All’ex Arcivescovo genovese Tarcisio Bganasco oggi segretario di stato vaticano: «non mi faccio comandare da uno che nel suo paese si è costruito una casa che supera il piano regolatore». E a Berlusconi con una sottile ironia sul suo incontro «non casuale», ma certamente combinato «con il Papa»: «...l’incontro di ieri tra il Papa e Berlusconi all’aeroporto di Ciampino è stato studiato apposta dagli uffici stampa di Chiesa e Governo, per quel 70% di italiani che si forma davanti alla Tv. Dedicherò la messa di oggi anche alla morte dell’informazione italiana». Don Farinella ha aggiunto di non apprezzare «il coinvolgimento dello Ior nei più grandi malaffari del capitalismo» e di accettare comunque qualsiasi decisione dell’ arcivescovo Bagnasco su un suo spostamento di parrocchia: «se il vescovo mi trasferirà - ha detto don Farinella - accetterò qualsiasi decisione. Se vengo capito bene, se no non so cosa farci».
Don Farinella ha parlato a lungo e, come sempre, senza mezzi termini, con una chiarezza sui concetti che condivisibili o meno, non sono certamente criptici. Sulla vicenda afghana ha anche detto che «dedicherà la messa odierna a tutti i morti innocenti in Afghanistan e domani leggerete sui giornali che ho inneggiato a Bin Laden. L’ordinario militare, nell’omelia per i funerali dei sei parà italiani, non ha speso una parola per i novanta morti civili in quell’attentato». Questo è stato l’incipit della sua celebrazione religiosa.
Il sacerdote non si è nascosto, come spesso molti fanno di fronte alle difficoltà, al fraintendimento di cosa scritto o da altri riportato: «Confermo ciò che ho scritto su Micromega - ha detto don Farinella -: i morti italiani e afghani sono tutti uguali. L’uniformità retorica presente in Italia non mi appartiene. Il concetto di Patria che ha questo Governo non mi appartiene. La mia patria è il mondo intero».
E la manifestazione? A Radio19 don Paolo ha detto: «Siamo in democrazia, tutti hanno diritto di manifestare e di dire cosa pensano. Per questi ragazzi (Forza Nuova) dico solo che mi spiace per loro, rimasti fermi a 150 anni fa. Ma non mi adeguo alle celebrazioni di eroismo e alle strumentalizzazioni del Governo italiano. È un Governo scemo. I sei sventurati parà italiani sapevano di rischiare di morire, per questo erano pagati di più».
"...un mio amico mi comunica che il Secolo XIX di Genova riporta la notizia che domenica prossima, 27 settembre 2009 alle ore 10,00, cioè durante la celebrazione della Messa in San Torpete, un gruppo di fascisti, Giovane Italia e altri verranno a fare una manifestazione di protesta sulla piazza contro le mie affermazioni pubblicate in rete [...] dal titolo: “Un bambino, un berretto militare, un simbolo”, preceduto dall’articolo “La strage di Kabul e la strage della libertà di stampa” [...] e anche seguito dall’ultimo in ordine di tempo, dal titolo “Retroscena di un funerale e «relativismo» della Cei”, pubblicato in rete in diversi siti e blog..
E’ evidente che non solo confermo quanto scritto, ma rincaro la dose nei confronti di una gerarchia ecclesiastica che permette il triplice grido “Folgore” durante la celebrazione eucaristica da parte di esagitati militari che sprizzano violenza da ogni poro. Durante la Messa, mi dicono, che un prete abbia allontanato il cristiano che al microfono ha gridato “Pace subito” e lo abbia consegnato al 118 perché se ne prendesse cura. Mescolando insieme tutto questo ne viene fuori un prodotto che si chiama “fascismo” o per essere più precisi “clerico-fascismo”. E’ proprio vero che la gerarchia dalla storia non impara nulla.
Ai manifestanti davanti alla chiesa di San Torpete, dico che, se sono autorizzati, hanno il diritto di manifestare le loro assurde idee che io ripudio, come ripudio il loro governo e il loro capo, come ripudiai i loro antenati che sono la vergogna dell’Italia.
A coloro che partecipano alla Eucaristia chiedo fermamente di non rispondere ad alcuna provocazione. Qualsiasi risposta equivarrebbe a mettersi al loro livello. Noi siamo moralmente responsabili e democraticamente ineccepibili. Siano liberi di gettare fango come sono abituati a fare, ma non troveranno in noi alimento e legna per la loro cultura di morte ammantata da patriottarda vernice.
# NESSUNO E’ AUTORIZZATO A DIFENDERMI, perché la mia difesa è la coerenza nella verità.
# NESSUNO DEVE DIRE UNA PAROLA in più di quanto non preveda la liturgia.
# IO RITENGO UN ONORE ESSERE CONTESTATO a causa delle cose che dico in nome della mia coscienza e del Vangelo in cui credo.
Se rispondessi vanificherei la mia dignità. Se costoro vogliono partecipare alla Messa, noi li accoglieremo, e daremo anche il segno di pace: comunque, la Messa di certo non farà loro del male. A tutti un abbraccio affettuoso, forte e tranquillo
Paolo Farinella, prete
Scritto il 27 settembre 2009 alle 20:30 nella Guerra, Politica | Permalink | Commenti (32)
Tag: farinella, fiore, forza nuova, giovine italia, silighini
Reblog
(0)
|
| |
23 settembre 2009
L'inno della "Folgore": come direbbe il rag. Fantozzi, è "una cagata pazzesca"
Aggancia la fune di vincolo, spalanca nel vento la botola,
assumi la forma di un angelo, e via pel tuo nuovo destin!
Come folgore dal cielo canta il motto della gloria.
Come nembo di tempesta precediamo la vittoria.
Un urlo di sirena: Fuori! Fuori!
E giù dall'infinito sul nemico più agguerrito
per distruggere o morir,
per distruggere o morir.
Passa pei cieli un canto, un canto di vittoria:
i figli della gloria in alto vanno ancor.
E pronti alla battaglia, col cuore sempre all'erta
ripeteran l'offerta con impetuoso ardor.
L'occhio nemico scruta: son nuvole che vanno...
ma, poi che il vento muta, li vedi: già son qui!
E gli angeli di guerra, pugnale in mezzo ai denti,
in uno contro venti, si battono così.
Sganciato ogni corpo dai vincoli, racchiusi in quadrato fermissimo,
il piombo nemico si sgretola: nessuno di noi cederà!
Come folgore dal cielo canta il motto della gloria.
Come nembo di tempesta precediamo la vittoria.
Un urlo di sirena: Fuori! Fuori!
E giù dall'infinito sul nemico più agguerrito
per distruggere o morir,
per distruggere o morir.
Scritto il 23 settembre 2009 alle 18:00 nella Guerra, Musica, Politica, Satira | Permalink | Commenti (16)
Tag: inno della folgore
Reblog
(0)
|
| |
Retroscena di un funerale e «relativismo» della Cei - di Paolo Farinella, prete
Al contrario, sembra che tutto sia stato centellinato dall’équipe di sostegno psicologico che in questi giorni circondano i familiari con un cordone sanitario strettissimo. Mi dice il militare interlocutore che lo scopo di questo gruppo di sostegno non è aiutare le famiglie ad elaborare la morte e il lutto, ma impedire che facciano scenate o mettano in atto comportamento lesivi dell’onore dell’esercito. La mia fonte asserisce che buona parte di questo personale non è specializzata in psicologia, ma è un corpo speciale che ha un obiettivo preciso: la gestione dei giorni successivi alla morte e il contenimento - o meglio l’annullamento della rabbia - della contestazione e della disperazione conseguenti, che potrebbero portare a comportamenti di indignazione verso l’esercito e le istituzioni.
Le tecniche quindi mirano ad adeguare il pensiero delle famiglie allo «status di eroe» del congiunto perché appaia «coerente» con la «nobiltà della missione» del morto che diventa anche la «missione della famiglia». Sarebbe una tragedia per l’immagine militare se mogli, madri, figli e fidanzate si mettessero a gridare contro l’esercito e il governo che li ha mandati a farsi ammazzare.
In questa logica si capisce la retorica dell’«eroe», l’insulsaggine del servizio alla Patria, il sacrificio per la Pace nel mondo e anche la lotta al terrorismo. Tutti sanno tutto e giocano a fare i burattini. Se le informazioni che ho ricevuto sono vere, e non posso dubitare della serietà della fonte, i funerali dei sei militari uccisi e tutta l’opera dei pupi presente a San Paolo, è stata un’operazione terribile, ancora peggiore degli attacchi dei talebani. Tutto è gestito per deviare il Paese, le Coscienze e la Verità. E’ una strategia scientificamente codificata.
«Non è esagerato parlare di strage, tanto più assurda se si pensa ai compiti assolti dalla forza internazionale che opera in quel Paese e allo stile da tutti apprezzato con cui si muove in particolare il contingente italiano. Non è un caso che questo lutto, com’era successo per la strage di Nassiryia, abbia toccato il cuore dei nostri connazionali, commossi dalla testimonianza di altruismo e di dedizione di questi giovani, quasi tutti figli delle generose terre del nostro Sud. E per questo il nostro popolo si è stretto alle famiglie dei colpiti con una partecipazione corale al loro immane dolore. Anche noi ci uniamo ai sentimenti prontamente espressi dal Santo Padre» (21-09-2009).
Mi dispiace per il signor cardinale, ma non posso associarmi a questa mistificazione collettiva. Enrico Peyretti mi dice che durante l’Eucaristia, pane spezzato per la fame del mondo, è risuonato l’urlo di guerra dei parà: «Folgore!» quasi una schioppettata nel cuore del Sacramento. Credo che si possa dire che la Messa è stata la cornice vacua di una parata militare con i propri riti.
Oggi (21-09-2009), infine, il cardinale Bagnasco ha parlato anche della questione morale e della legge sugli immigrati senza mai nominare né l’uno e né l’altra. Nessun cenno esplicito alla legge sul reato di clandestinità: si intravede tra le righe un leggero senso di disapprovazione. Figuriamoci se chiamava per nome il Papi Priapeo. Si è limitato a fare una predica generalizzata, valida per tutti e, quindi per nessuno, come giustamente interpreta «Il Giornale» di famiglia. Tutto va bene, madama la marchesa? Ma, sì! Diamoci una botta e via! «Domani è un altro giorno« diceva Rossella O’Hara o Tarcisio Bertone? Non ricordo bene.
Paolo Farinella, prete - Genova, 21-09-2009
Scritto il 23 settembre 2009 alle 10:00 nella Guerra, Politica | Permalink | Commenti (12)
Tag: bagnasco, cerimonia, funerali, sostegno
Reblog
(0)
|
| |
22 settembre 2009
Sorpresa! anche due militari americani contro la nuova base a Vicenza!
(di Barbara X)
Ricevo da Jack Off e pubblico: "Vicenza, indietro non si torna" - Alla fiaccolata dei No Dal Molin due militari statunitensi prendono parola: "No a nuove basi di guerra, ritiriamoci dall'Afghanistan"
Anche ieri sera, alla fiaccolata promossa dal Presidio Permanente assieme ad altre realtà cittadine contro il divieto di manifestare in centro, provvedimento che il Prefetto vorrebbe imporre alla città prima di andarsene in pensione, hanno risposto in tanti. Più di un migliaio tra uomini e donne sono tornati a manifestare lungo le vie centrali della città per affermare che nessun provvedimento restrittivo può essere emanato contro chi esercita i propri diritti. Un provvedimento, quello voluto da Prefetto e Ministro degli Interni, che vorrebbe relegare la partecipazione democratica dei cittadini ad elemento di puro folklore, emarginandolo nelle periferie, quasi fosse un qualcosa da nascondere sotto il tappeto.
La linea tracciata fin qui dal governo non si smentisce: Vicenza e i suoi cittadini, quelle migliaia di persone che da oltre tre anni stanno lottando contro la nuova base militare statunitense, non devono avere diritto di parola, non possono essere protagonisti delle scelte che li riguardano, non devono interferire nei luoghi della decisionalità.
Ieri sera, lungo le vie del centro, lungo corso Palladio, scenario storico di centinaia di manifestazioni, i cittadini hanno detto con chiarezza due cose: non si può accettare un clima repressivo che limita fortemente l’agibilità democratica; questo clima è frutto dei meccanismi di guerra permanente di cui la nostra città è, purtroppo, uno degli ingranaggi più importanti.
A sorpresa, alla fine della fiaccolata, un intervento ha catturato l’attenzione di tutti i presenti. Due giovani ragazzi statunitensi, militari di stanza alla caserma Ederle, sono intervenuti dal microfono sostenendo le ragioni dei vicentini, chiedendo al loro governo, a Barak Obama, di fermare gli insediamenti militari statunitensi sparsi in giro per il mondo, e di fermare la barbarie della guerra in Afghanistan e Iraq. Una presenza, quella di questi due ragazzi, che fa a pugni con la ripugnante retorica patriottica di questi giorni, una presenza che ci ricorda, semmai ce ne fosse stato bisogno, che la guerra è una cosa orribile. Ancora una volta Vicenza ha deciso di schierarsi dalla parte dell’umanità, a differenza di chi si dice pronto a sedere ai tavoli dove si deciderà come spartirsi l’elemosina che il governo farà a Vicenza per il suo sacrificio. I vicentini, ancora una volta, hanno detto che di sacrificarsi in nome della guerra e del profitto non ne hanno nessuna voglia. Indietro non si torna. [dal sito nodalmolin]
Barbara X, 22 settembre 2009
Scritto il 22 settembre 2009 alle 21:55 nella Guerra | Permalink | Commenti (4)
Tag: Barbara X, dal molin, vicenza
Reblog
(0)
|
| |
Hanno usato anche Simone, un bambino di due anni - Lo sdegno di don Paolo Farinella
Non ho niente contro la madre di Simone, che molto ha sofferto, e molto soffrirà. Un bimbo di due anni non capisce cosa vede scorrere sotto i suoi occhi. La madre avrà, ahimé, tempo e modo di spiegare al piccolo Simone perchè il papà non torna. Avrà modo di prepararlo. Ma detesto con tutte le mie forze chi ha avuto l'ignobile idea di piazzare sulla testa di quel bambino, giocoso e inconsapevole, un berretto da parà. E detesto ancor di più i media che hanno fotografato e diffuso centinaia di foto di questa idiozia, e sposato la tesi del piccolo Simone simbolo e paradigma di questa triste cerimonia. Una perdita collettiva del ben dell'intelletto, della sobrietà, del buon gusto, condiviso da media di destra e di sinistra. Ecco, questo è quanto avrei voluto scrivere ieri, pur se lacerato da mille dubbi e pochissime certezze.
Poi, in mio soccorso, come spesso accade, mi è arrivato questo scritto di don Paolo Farinella, col quale a volte sembra esservi una trasmissione telepatica del pensiero, ed allora mi sono detto che forse il mio disagio non era sbagliato, e che qualora invece fosse sbagliato, sono lieto di sbagliare in compagnia di un uomo-prete che gode della mia incondizionata stima. Trascrivo per intero la lettera dell'amico Paolo Farinella, prete. Tafanus
avevo promesso di fare silenzio, ma non si può non urlare di
fronte ad un bambino con un berretto da parà in capo. Il fondo non è ancora
visibile.
di Paolo Farinella, prete
Dicevano gli antichi che spesso il nome indica il destino di chi lo porta (Nomen Omen). Questa massima mi è venuta in mente mentre vedevo l’immagine di Simone, due anni, figlio di uno dei sei militari ucciso, in braccio a sua mamma. Stavano lì, in attesa del padre/marito morto. Simone, due anni, ignaro di quello che succedeva attorno a lui, era al suo posto, perché un bambino deve stare in braccio alla mamma. Solo una cosa era fuori luogo e, per me, costituisce il segno della perdita della ragione: il berretto da parà in testa a Simone.
Quella immagine è terribile perché proietta la pazzia degli adulti nel mondo e nell’immaginario dei bambini perché li usa per alimentare la commozione e condizionare il mondo infantile degli adulti. Quel berretto da parà in testa a Simone è un’ipoteca sul suo futuro perché lo trasforma in simbolo che continua la «missione» del padre. Crescendo ne resterà schiacciato e non potrà uscirne perché gli adulti irresponsabili lo hanno caricato di un compito che è la sua condanna.
Appena ne avrà la possibilità, Simone vorrà seguire le orme del padre e diventerà parà anche lui, anche perché avrà un canale privilegiato, una corsia preferenziale, in quanto orfano di un «eroe». Non lo farà per scelta, ma per dovere: per non tradire l’aspettativa del padre (lui immagina) e del mondo che da lui si aspetta l’unica scelta possibile per realizzare l’«incompiuta» paterna. Non è più Simone che deve trovare in sé la «sua» ragione di vita, ma è la morte del padre che gli impone chi e come deve essere.
Il vangelo di Giovanni, mettendo a confronto il Battista e Gesù, fa dire al primo: «Lui deve crescere; io, invece, diminuire» (Gv 3,30) che è la massima pedagogica che ogni educatore, maestro, genitore, ecc. dovrebbe avere come obiettivo: i figli non devono crescere secondo la nostra immagine, quasi sempre per realizzare le frustrazioni dei genitori. Essi devono vivere da sé per sé proiettati verso un ideale che compia la loro vita e coroni i loro sogni.
Camillo Sbarbaro, poeta genovese, al figlio che compiva diciotto anni scriveva: «ubbidirti a crescere è la mia vanità», quasi un anacoluto concettuale che esprime in modo magistrale l’ansia dell’adulto di essere «in ascolto» esistenziale del figlio per capirne la direzione di volo e per sostenerne la dinamica della «sua» vita.
A Simone, due anni, figlio di un parà ucciso, col berretto militare in testa, per la volontà macabra di una retorica di morte che trasforma in eroismo anche le scelte più indecenti, tutto questo sarà negato. In compenso il mondo avrà un disadattato in più che vivrà per conto terzi. Povero Simone! Ti auguro di ribellarti e di seppellire quel brutto berretto nella tomba con tuo padre. Tu meriti la vita. Null’altro. Caro Simone, da grande, se potrai, perdona gli adulti che lo hanno fatto apposta e corri verso il tuo «domani» che è diverso dallo «ieri» che ti vogliono appioppare.
Paolo Farinella, prete
Scritto il 22 settembre 2009 alle 00:39 nella Guerra | Permalink | Commenti (22)
Tag: farinella, folgore, simone
Reblog
(0)
|
| |
20 settembre 2009
Sulla strage di Kabul, fuori di retorica - di Paolo Farinella, prete
Genova, sabato 19 settembre 2009. Oggi è giorno di lutto per la democrazia: la manifestazione per la libertà di stampa è stata rinviata per non turbare la sceneggiata del cordoglio nazionale per la morte dei sei militari italiani uccisi insieme a 20 innocenti afghani. Il governo e il suo impresentabile presidente vi sta inzuppando il biscotto a piene mani perché rallenta la pressione dell’opinione pubblica e distrae dalla drammatica situazione in cui versiamo.
Per il secondo giorno consecutivo ho conati di rigetto di fronte alla millanteria nazionale-diatico-politico-patriottarda di esaltazione di sei poveri sventurati che sono andati a morire inutilmente per rimediare un disgraziato lavoro negato da quel governo che li ha usati come carne da macello per la gloria del capo svergognato che ora li usa come “eroi” per tacitare un dissenso che si allarga sempre più.
Ieri, esasperato da tanta improntitudine e falsità ho spedito a MicroMega il seguente pensiero che ora spedisco a voi. I toni e i contenuti sono volutamente contenuti per rispetto a tutti i morti e perché in questa retorica senza senso trovo un atteggiamento diabolico e disumano. La guerra non crea eroi, ma solo vittime e se qualche eroe è necessario, bisogna scegliere i 20 afghani “innocenti” che erano lì per caso e sono stati falcidiati, mentre i soldati italiani era lì armati per fare “il loro dovere”, cioè occupare un Paese straniero che essi hanno consegnato nelle mani di un dittatore corrotto come Karzai.
Se sono eroi questi figli della fame e dell’ignominia, cosa devono essere le migliaia di persone innocenti
bombardate senza discriminazione di sesso, di età, di colpa o di ragione? Chi piange questi morti inutili è
complice della guerra ed è nemico della democrazia.
Il governo ha stabilito il lutto nazionale per lunedì e un minuto di silenzio: io non farò lutto e non faro silenzio
perché rifiuto questa mistificazione nazionale. La moglie di uno dei morti ha detto di essere orgogliosa del
lavoro di suo marito: ebbene, sono parole sue, non mie. Sia dunque orgogliosa anche della sua morte e
domani, se ha figli, lo racconti loro e dica chi erano i “nemici” che hanno ucciso il padre e spieghi loro chi lo ha mandato e per quale motivo. Aggiunga che la presenza del padre armato ha contribuito ad estendere il potere dei talebani e di quelli che essi chiamano “terroristi”.
Quale democrazia hanno difeso questi soldati, quella del corrotto Karzai o quella del corruttore e corrotto
Berlusconi? In questi giorni di lutto nazionale, sospendo moralmente la mia appartenenza all’Italia e mi tiro fuori da ogni complicità da queste nefandezze, travestite da eroismo. Forse le mie parole che precedono e quelle che seguono susciteranno stupore e scandalo in qualcuno: ebbene, passi oltre e non se la prenda: sono infatti certo di essere nel giusto, in buona coscienza. Di seguito il pensiero pubblicato su MicroMega il 18 settembre 2009.
Paolo Farinella, prete
(di Paolo Farinella, prete)
I titoli di quasi tutti i giornali, dei tg e dei commentatori sono unanimi: «Strage di Italiani in Afghanistan: 6 militari uccisi». Ecco il modo ideologico di leggere e dare false notizie per vere. La «strage» riguarda 20 afghani e 6 militari, tutti uccisi nello stesso istante e con le stesse modalità; poi vi sono oltre 60 feriti afghani e 4 militari italiani. I feriti italiani sono stati rimpatriati per le cure necessarie, gli afghani sono rimasti per strada e se non interviene Emergency restano lì ad aumentare il numero dei morti afghani. A costo di apparire cinico (e non lo sono) non riesco a piangere questi morti «italiani», isolati dal loro contesto reale. Mi dispiace e sono addolorato che qualcuno debba morire così e per le loro famiglie che adesso avranno
un vuoto esistenziale e affettivo che nessuno potrà riempire: non le parole d’ordinanza della retorica politica che subito ne ha fatto degli «eroi» in appoggio ad una politica miope, demenziale e incivile che pretendeva di esportare la democrazia con le armi e assicurare la sicurezza seminando morte tra la popolazione inerme
afghana. Morti inutili, morti senza senso.
No! Non ci sto! I soldati morti sapevano che potevano morire (fa parte del loro mestiere), ma sono andati ugualmente per scelta e per interesse economico, cioè per guadagnare di più. So anche che molti vanno per il brivido della guerra, per dirla alla popolana, per menare le mani e sperimentare armi nuove e di precisione.
Dov’è l’eroismo nell’uccidere sistematicamente, per sbaglio o per fuoco amico, civili che a loro volta sono
vittime nel loro paese e vittime degli occupanti stranieri? Dopo 8 lunghi anni di guerra, quali risultati ha portato la peacekeeping o la peacemaking? Se si chiama «peace» lo sterminato stuolo di mutilati, di affamati, di morti, come si deve chiamare la «guerra» o per dirla alla moderna la «war»? Prima che arrivassero Bush e i suoi valvassini in Afghanistan i talebani erano considerati «occupanti»; ora dopo 8 anni di occupazione occidentale, il popolo tifa per i talebani e potenzia le divisioni tribali che hanno portato ad un aumento di potere dei «signori locali della guerra » che hanno imposto la loro legge, aumentato la coltivazione del papavero e diffuso capillarmente la corruzione.
Dopo 8 anni di «peacekeeping» l’Afghanistan si trova con un presidente fantoccio, Karzai, corrotto e corruttore, che sta lì perché ha imbrogliato almeno un milione e mezzo di schede elettorali, che per vincere e avere i voti dei capi tribù ha introdotto nel diritto «democratico», difeso dalle armi occidentali, il diritto del marito di stuprare, violentare, picchiare e anche uccidere la moglie e le donne in sua proprietà. E’ questo l’obiettivo per cui sono morti i militari italiani, inglesi, spagnoli, tedeschi, e americani? Ne valeva la pena?
Sono morti inutili, morti che dovrebbero suscitare vergogna in chi li ha mandati e lì li ha tenuti e anche in coloro che vi sono andati per scelta libera e volontaria, per avere uno stipendio proporzionato. No! Non sono eroi, sono vittime, come sono vittime i morti afghani, come sono vittime i talebani usati dall’occidente quando venivano comodi contro i Russi e da questi, a loro volta, armati quando servivano alla bisogna; mentre ora i beniamini di ieri sono i nemici di tutti.
I funerali di Stato di questi sventurati morti per nulla o per la vanagloria dei loro fantocci governanti, come i 19 morti di Nassiriya, sono a mio avviso l’appariscenza di una retorica vuota e colpevole perché incapace di fare politica e politica di pace. Il potere assatanato ha bisogno di carne da macello che poi copre con gli onori di Sato: tanto pagano sempre i cittadini «sovrani» che non contano nulla.
La strage di Kabul, in Italia, ha interrotto «la democrazia», facendo spostare la manifestazione a favore della libertà di stampa di sabato 19 settembre 2009 ad altra data. E’ il segno della mistificazione. Queste morti sono funzionali al governo che così raffredda la piazza, allontana un colpo di maglio sferrato dalla società e il presidente del consiglio, l’amico di Bush e Putin, riprende la scena, mostrandosi afflitto e piangente ai funerali «dei nostri ragazzi», espressione orrenda che nega la verità dei fatti e conferma le ragioni che vi stanno dietro: questi «ragazzi» sono militari di carriera che sono andati da sé in un Paese in guerra e sono andati armati. Non sono «ragazzi», sono consapevoli e responsabili delle loro scelte e delle loro morti.
Spero che i figli e le famiglie non me ne abbiano perché il modo migliore per onorare i morti è continuare a
garantire i diritti di tutti, non solo quelli di qualcuno, creando le condizioni perché questi diritti possano essere esercitati. Un pilastro della democrazia è la libertà di stampa e la libertà totale di criticare il governo.
La «strage» di Kabul ha colpito in Italia, a 4.000 km di distanza, uccidendo insieme agli innocenti Afghani e ai soldati italiani, quella democrazia che solo un pazzo poteva pensare di esportare. In compenso si è saputo uccidere la democrazia italiana: chi ha deciso di spostare la manifestazione del 19 settembre è diventato complice della strage di Kabul, estendendola fino a noi. Ora la guerra è totale.
Poveri morti, diventati la foglia di fico di un potere inverecondo che si nutre solo di rappresentazione vacua e vuota, effimera e assassina. No! non faccio parte del coro.
Paolo Farinella, prete - Genova, 18 settembre 2009
Caro Paolo, sono talmente d'accordo con te, che poche ore dopo la strage di sei italiani e venti afghani avevo già pubblicato [un post] che sembra la fotocopia, meno elegante, del tuo pensiero. Fra l'altro, all'Avvocato Schifani, ho inviato questo messaggio:
Tutti solidali, i guerrafondai che hanno fortissimamente voluto questa strage annunciata: Fini e la Camera "si stringono"alle famiglie; Schifani si inchina, insieme "all'Italia tutta", ai suoi eroi.
Schifani parli a nome "dell'Italia tutta" meno uno. Io non mi inchino. Sono morti in sei? Mi dispiace. Sono soldati, sapevano di andare in Afghanistan e non al Club Mediterranée, sapevano cosa guadagnavano e cosa rischiavano. Erano VOLONTARI. Dopo 48 ore di soggiorno in Afghanistan, avevano già capito (e se non lo avevano capito... no comment) che non erano li a difendere alcuna democrazia, ma soltanto il regime di Karzai, imposto con le buone o con le cattive dagli americani. Sono morti. Pace alle anime loro, e condoglianze alle famiglie. Ma, per piacere, non associatemi alla retorica dei "nostri ragazzi". Non sono i miei. Tafanus
Scritto il 20 settembre 2009 alle 07:00 nella Guerra, Media , Politica | Permalink | Commenti (7)
Tag: farinella, kabul
Reblog
(0)
|
| |
17 settembre 2009
Breakin' News - Sei soldati italiani ammazzati a Kabul
Aspettavo con ansia le cichiarazioni del nostro Ministro della Guerra, Ignazzzio Italo Balbo La Rutta, ed eccole, puntualmente cretine, come la cometa:
Dategli ancora cinque minuti, e produrrà uno striscione:
Non c'entra un cazzo, ma suona bene!
E no, papi... lei è in Afghanistan perchè Bush glielo ha ordinato. A lei della democrazia non fotte un cazzo, altrimenti comincerebbe a trattare meglio la democrazia italiana, precipitata al 70° posto nel mondo per libertà d'informazione.
Tutti solidali, i guerrafondai che hanno fortissimamente voluto questa strage annunciata: Fini e la Camera "si stringono"alle famiglie; Schifani si inchina, insieme "all'Italia tutta", ai suoi eroi.
Schifani parli a nome "dell'Italia tutta" meno uno. Io non mi inchino. Sono morti in sei? Mi dispiace. Sono soldati, sapevano di andare in Afghanistan e non al Club Mediterranée, sapevano cosa guadagnavano e cosa rischiavano. Erano VOLONTARI. Dopo 48 ore di soggiorno in Afghanistan, avevano già capito (e se non lo avevano capito... no comment) che non erano li a difendere alcuna democrazia, ma soltanto il regime di Karzai, imposto con le buone o con le cattive dagli americani. Sono morti. Pace alle anime loro, e condoglianze alle famiglie. Ma, per piacere, non associatemi alla retorica dei "nostri ragazzi". Non sono i miei. Tafanus
Scritto il 17 settembre 2009 alle 20:00 nella Guerra | Permalink | Commenti (63)
Tag: attentato, kabul, karzai, la russa
Reblog
(0)
|
| |
11 settembre 2009
11 Settembre 2001: perchè non lo abbiamo commemorato
-a) L'11 settembre si è compiuta una grande, spettacolare tragedia, che ha prodotto 2974 morti fra Twin Towers, Pentagono, aereo precipitato, soccorritori; ha inoltre causato altre 817 morti per cancro o suicidio, e si calcola che ancora per anni altre 100 persone all'anno moriranno. Dunque stiamo parlando di circa 4.000 morti ad oggi. Una grande, immensa tragedia.
-b) Ma Georgedabliu Bush, con la collaborazione dei sempre succubi inglesi, e di Silvio nostro, che "aveva bisogno" di qualche decina di morti per certificare di essere "il miglior amico" del rambo americano, ha compiuto, in nove anni una strage incommensurabilmente più grande. Intanto, ha ammazzato più americani Bush che Saddam, come vedremo più avanti.
-c) L'Iraq e Saddam (che - per evitare equivoci - continuo a ritenere un bastardo, anche da morto) con l'attentato alle due torri c'entravano come i cavoli a merenda. La stragrande maggioranza degli attentatori era di passaporto saudita. Perchè non siamo andati a distruggere l'Arabia Saudita, anzichè l'Iraq?
-d) La guerra in Iraq è stata la prosecuzione di una faida tutta personale fra la famiglia Bush, e Saddam Hussein, che niente aveva a che fare con la lotta al terrorismo.
-e) Saddam non è stato "catturato": è stato "comprato", per una somma che è una frazione del costo giornaliero della guerra in Iraq (pardon... ho detto "guerra"... avrei dovuto parlare di "missione di pace"...)
-f) L'obiettivo Bin Laden è stato clamorosamente mancato. Il danno e la beffa, visto che non solo non è stato preso, ma non sappiamo per certo neanche se sia vivo o morto.
-g) Infine, le risorse umane e finanziarie investite nel paese sbagliato (l'Iraq), sono state sottratte dalla lotta al terrorismo (e ai talebani) nel paese forse meno sbagliato: L'Afghanistan, dove gli USA e i suoi alleati - fra i quali, puntuale come la cometa, Silvio nostro - rischiano di impantanarsi come e forse peggio che in Vietnam. L'escalation è già iniziata, ma rischia di non bastare mai, cone in Vietnam.
Operazione difficilissima, perchè mentre sappiamo, al quarto decimale, quanti siano stati i morti americani in America, abbiamo incontrato difficoltà enormi a trovare dati sui morti in Iraq, militari o civili, iracheni o americani. I dati più esaustivi li abbiamo trovati in un accurato [studio di Fulvio Scaglione], che tuttavia risale al novembre 2008. Accontentiamoci, obtorto collo, e cerchiamo di estrapolare.
La Brookings Institution di Washington, uno dei centri studi più accreditati del mondo, soprattutto quando si tratta di Medio Oriente, ha fatto due conti sui morti in Iraq fra il dicembre 2003 ed il settembre 2008. Ma i dati devono essere estrapolati al periodo "vero", e cioè marzo 2003 - settembre 2009, e devono essere "attualizzati" Se si compie questa doverosa operazione di "aggiustamento" dei dati (quelli reali ci sono, ma sono tenuti stranamente e strettamente riservati), abbiamo le seguenti cifre (approssimative, ma realistiche):
# 430 soldati di altre nazionalità
# 600 contractors
# circa 140.000 soldati americani feriti
E veniamo agli iracheni. The Lancet, il prestigioso giornale medico inglese, aveva fatto una propria valutazione statistica che tracciava questo bilancio: oltre 600 mila iracheni morti tra il 2003 e il 2006. Qualcuno [Juste foreign policy] ha provato a calcolare il numero dei morti fino al 2008. Sulla base della progressione individuata dagli studiosi del Lancet: si arriva alla mostruosa cifra di circa 1.300.000 morti.
Aggiunge Fulvio Scaglione: "...propagandisti di al Qaeda? disfattisti? Forse. Resta il fatto che l’Opinion Research Business di Londra, istituto specializzato in analisi per la comunità degli affari, nel settembre 2007 ha calcolato in oltre 1 milione il numero degli iracheni morti dopo l’attacco anglo-americano contro Saddam Hussein. Il numero dei morti è l’indicatore più aspro e immediato. Ma non è l’unico. L’accordo tra le maggiori comunità del Paese (sciiti, curdi e sunniti) per la spartizione dei territori e delle risorse ha di fatto cancellato ogni forma di rappresentanza delle minoranze.
Ecco, questo è quanto. Sull'Afghanistam non inizio neanche a scrivere, perchè ho trovato solo i dati dei morti in solo nove mesi di un solo anno: 5.700. Del resto non si sa niente, o quasi. Al netto delle porcherie giuridiche e umane di Guantanamo, di Abu Ghraib, dell'uccisione di Calipari e dell'amico Baldoni, ricominceremo a parlare, con sincera commozione, degli innocenti morti a New York in una bella mattinata di sole, quando, contemporaneamente, il sistema ci metterà in condizione di parlare, con altrettanta accuratezza, dei morti ammazzati, diretti e indiretti, causati dalla "sagra dei Bushes", col plauso - almeno iniziale - di due terzi degli americani.
Negli anni Ottanta il suo medico personale diede in un'intervista (trasmessa dalla trasmissione televisiva Mixer di Giovanni Minoli) una versione dettagliata dell'accaduto. Secondo il racconto del medico, che era insieme con Allende all'interno della Moneda, a seguito del bombardamento aereo e del successivo incendio, Allende disse a coloro che con lui difendevano la Moneda dalle finestre del primo piano di uscire dal Palazzo ormai indifendibile rimanendo solo nell'ufficio. Il medico rientrò poco dopo nell'ufficio, proprio nel momento in cui Allende si stava uccidendo con una scarica di mitragliatore alla testa dal basso in alto. In particolare il medico disse di aver visto la parte superiore della calotta cranica di Allende volar via per effetto della scarica [...]
...l'amministrazione Nixon fu la più strenua oppositrice di Allende, per il quale nutriva un'ostilità che Nixon ammetteva apertamente. Durante la presidenza Nixon, i cosiddetti "consiglieri" statunitensi (che avrebbero imperversato in buona parte dell'America Latina per tutti gli anni Settanta e Ottanta) tentarono di impedire l'elezione di Allende tramite il finanziamento dei partiti politici avversari...
(da Wikipedia)
Scritto il 11 settembre 2009 alle 17:00 nella Guerra | Permalink | Commenti (7)
Tag: 11 settembre, afghanista, allende, bush, iraq, twin towers
Reblog
(0)
|
| |
24 maggio 2009
24 maggio 1915, quando il Piave mormorava...
(Corsera del 24 Maggio 2005)
Il 24 maggio 1915, l'Italia entrava in guerra contro gli Imperi Centrali, gettandosi nella Prima Guerra Mondiale, dieci mesi dopo l'inizio delle ostilità in Europa. Era un lunedì. Alle 3:30, precedute dai tiri degli obici, le truppe italiane oltrepassarono il confine italo-austriaco, puntando verso le «terre irredente» del Trentino, del Friuli, della Venezia Giulia [...] L'Italia entrò in guerra divisa tra interventisti e neutralisti, dopo un disinvolto cambio di alleanze, dalla Triplice all'Intesa. Sulle sponde del Piave e dell'Isonzo, nelle trincee del Carso e della Bainsizza, di Asiago e di Passo Buole, di Caporetto e di Vittorio Veneto lasciò 700 mila morti.
Dalla guerra ottenne Trento e Trieste, ma ne uscì prostrata, lacerata da una profonda crisi politica, sociale ed economica, che la portò in breve al Fascismo [...] La Prima Guerra Mondiale fu un enorme massacro: coinvolse 27 paesi, costò 10 milioni di morti, 20 milioni di feriti, enormi distruzioni [...] Fu l'inizio del declino della vecchia Europa e sancì l'ingresso sulla scena mondiale, come grande potenza militare ed economica, degli Stati Uniti, intervenuti nel 1917 a salvare le sorti dell'Intesa. Si portò dietro un'epidemia - la «spagnola» - che tra 1918 e il 1919 provocò più morti della guerra; un'inflazione e una recessione che culminarono nella Grande Crisi del 1929; un'eredità di odi, frustrazioni e rivalità nazionali che nell'arco di due decenni sfociarono fatalmente nel secondo conflitto mondiale [...]
In Italia, contro l'entrata in guerra furono i cattolici, i socialisti, i giolittiani. Per la guerra furono il governo Salandra, i liberali, i nazionalisti. Interventista fu Gabriele D'Annunzio, interprete a modo suo del «superuomo» di Nietzsche. Interventista fu Filippo Tommaso Marinetti, che nel «Manifesto del futurismo» aveva proclamato la guerra «sola igiene del mondo». Da neutralista in interventista si trasformò repentinamente il socialista Benito Mussolini, che lasciò la direzione dell'«Avanti!» per fondare l'ultranazionalista «Popolo d'Italia» e fu espulso dal Psi[...]
Manifesto del futurismo
"Le Figarò" 20 Febbraio 1909
1- Noi vogliamo cantare l'amor del pericolo,
l'abitudine all'energia e alla temerità.
2- Il coraggio, l'audacia, la ribellione,
saranno elementi essenziali della nostra poesia.
3- La letteratura esaltò fino ad oggi
l'immobilità penosa, l'estasi ed il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento
aggressivo, l'insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo
schiaffo ed il pugno.
4- Noi affermiamo che la magnificenza del
mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della
velocità.
5- Noi vogliamo inneggiare all'uomo che tiene
il volante, la cui asta attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul
circuito della sua orbita.
6- Bisogna che il poeta si prodichi con
ardore, sfarzo e magnificenza, per aumentare l'entusiastico fervore degli
elementi primordiali.
7- Non vi è più bellezza se non nella lotta.
Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un
capolavoro.
8- Noi siamo sul patrimonio estremo dei
secoli! poiché abbiamo già creata l'eterna velocità
onnipresente.
9- Noi vogliamo glorificare la guerra - sola
igiene del mondo - il militarismo, il patriottismo, il gesto
distruttore.
10- Noi vogliamo distruggere i musei, le
biblioteche, le accademie d'ogni specie e combattere contro il moralismo, il
femminismo e contro ogni viltà opportunistica o utilitaria.
11- Noi canteremo le locomotive dall'ampio petto, il volo scivolante degli areoplani. E' dall'Italia che lanciamo questo manifesto di violenza travolgente e incendiaria col quale fondiamo oggi il Futurismo.
Queste le parole con cui Filippo Tommaso Marinetti fonda il 20 Febbraio 1909 a Parigi il manifesto futurista.
In questo "Manifesto", pubblicato 100 anni fa in Francia, sul Figaro, in francese (forse Marinetti si vergognava di farlo in Italia?) c'è molto del pensiero guerrafondaio che non genererà certo da solo la Grande Guerra, ma fornirà a molte menti malate, da D'Annunzio a Mussolini, una sorta di supporto ideologico per l'interventismo.
Chi può, visiti la mostra dedicata al futurismo, allestita al Palazzo Reale di Milano. Merita, perchè fa capire come sotto il "logo" del futurismo siano stati abisivamente inseriti talenti come Depero, che col pennello dipinge favole, o come Carrà, che abbandona presto l'angusta etichetta del "futurismo" in senso stretto, per passare alla pittura metafisica. Oggi, se rinascesse un Marinetti (ma forse qualche Marinetti da ridere l'abbiamo...) lo rinchiuderebbero subito alla neurodeliri.
Marinetti, che non disdegnava di fare propri autoritratti a bordo di sfreccianti motociclette, e che esaltava l'auto come quintessenza del dinamismo e della velocità, la prima volta che si mise alla guida di un'auto finì in un fosso. Poco dopo, in un baratro sarebbe finita l'Italia.
Scritto il 24 maggio 2009 alle 22:50 nella Guerra, Politica | Permalink | Commenti (15)
Tag: caporetto, futurismo, marinetti, mussolini 24 maggio
Reblog
(0)
|
| |
25 aprile 2009
...allora siamo intesi... la "legge porcata" che equipara partigiani e repubblichini la ritiriamo. O no?...
"...pochi ricordano che con proposta di legge n. 1360 si è chiesta l'istituzione di un "Ordine del Tricolore" che metterebbe sullo stesso piano i combattenti partigiani della Resistenza e i miliziani della Repubblica Sociale Italiana, alleati dei nazisti. Il timore è che questa proposta possa davvero diventare legge: sarebbe un punto di non ritorno nella storia della democrazia italiana. Parecchi deputati hanno manifestato la loro determinazione ad opporsi in Parlamento. La Direzione Nazionale dell'Anpi ha emesso un documento cui si dice: «un' intollerabile revisione della storia con iniziative vergognose e provocatorie quali la proposta di legge che pretende di equiparare i partigiani ai repubblichini di Salò...»
Scritto il 25 aprile 2009 alle 20:52 nella Guerra, Politica, Razzismo | Permalink | Commenti (49)
Reblog
(0)
|
| |
SOCIAL
Follow @Tafanus