Solo un folle come Joan Chamorro poteva pensare di trasferire il baricentro del jazz da New York e da Los Angeles a Barcellona. Solo un incosciente poteva immaginare di aprire una scuola di jazz dedicata a "bambini" dai 7 ai 17 anni. Ecco, Joan Chamorro è entrambe le cose: un folle, un pazzo incosciente. Lunga vita ai visionari. Il mondo è di chi immagina l'impossibile, e lo trasforma in realtà.
Quattro giorni fa, è stato pubblicato il video, di grande qualità, di un concerto tenutosi l'anno scorso, per celebrare i 15 anni di esistenza della sua "Sant Andreu Jazz Band". Seguo da anni questa incredibile realtà, e anche questo concerto è stato un sogno da visionario diventato realtà: Joan Chamorro è riuscito a rimettere insieme, per questo concerto, quasi tutti coloro che hanno avuto la fortuna di partecipare - per pochi o tanti anni - a questa incredibile avventura.
Per questo evento, il sempre matto Chamorro ha scelto uno standard fresco come i suoi giovanissimi allievi: Moanin', che è stato un cavallo di battaglia di Art Blakey e dei suoi "Jazz Messengers". Insomma, una cosina datata 1958. Sono passati solo 64 anni, ma tutto ciò che tocca Chamorro diventa fresco come acqua di sorgente.
Buona domenica a tutti gli amici sopravvissuti al caldo, con questa ventata di aria fresca...
Questo brano, registrato 4 anni fa, prova che la musica c.d. "leggera" a volte può ancora avere un bel peso specifico qualitativo. Una grande esecuzione del "boss" Joan Chamorro al basso, Alba Armengou e Elia Bastida in voce, Carla Motis alla chitarra. Chi sono?
JOAN CHAMORRO - Creatore più di 15 anni fa, di una scuola di jazz - a Barcellona - riservata a musicisti da 7 a 17 anni. Poliedrico organizzatore, direttore, arrangiatore, bassista, professore al Conservatorio di Barcellona, spesso esecutore al basso, ma anche al sax baritono, con escursioni occasionali verso altri strumenti.
ELIA BASTIDA - Qui in veste di vocalist. Eccezione alle regole della scuola: ci entra - su pressione di Chamorro - all'età di 17 anni, quando si dovrebbe uscire. Inizia a studiare il violino a quattro anni, e fino ai 17 colleziona esperienze classiche (musica da camera e musica sinfonica), Ci mette un attimo ad acquisire lo spirito e la sintassi del jazz "main-stream", e ad acquisire grande maestria in uno strumento totalmente diverso dal violino: il sax. In molti pezzi l'ho preferita ai profeti del violino nel jazz (segnatamente, Joe Venuti, Stéphan Grappelli, Jean-Luc Ponty). Brava-bravissima, e molto creativa, in tutto ciò che fa.
CARLA MOTIS - Chitarra, a volte banjo nelle performances di jazz tradizionale, raramente vocalist. Bravissima & Dolcissima. Per i vecchietti come me: Carla è la prova che i Jim Hall e i Franco Cerri non sono mai morti sul serio. Hanno fatto solo finta. Grande nel jazz main-stream, così come nella bossa-nova. "Sorella d'arte". Sua sorella maggiore è Andrea Motis (vocalist, tromba, alto-sax).
ALBA ARMENGOU - Altra "sorella d'arte": scovata in un video mentre - ormai esperta trombettista a otto anni, insegna i rudimenti dello strumento alla sorella Elsa di 5 anni. Ora le due hanno rispettivamente 22 e 19 anni, e spesso sono ospiti d'onore in grandi orchestre jazz in giro per l'Europa. Alba (la più piccola del gruppo) non è solo una grande vocalist di jazz e bossa, ma una ottima strumentista (tromba e sax).
Alba a vent'anni ha anche un SUO quartetto, ma il primo video di cui dispongo è del 2010, quando, a nove anni, si esibisce in un incredibile assolo di tromba, in un classico del jazz tradizionale: tanto "classico", che non ci si può consentire di sbagliare neanche una nota... Magnifica!
Correva l'anno 2002, e Diana Krall dava il concerto forse più bello della sua vita, e di quella degli amanti del jazz easy-listening, Supportata da quello che giudico uno dei più grandi chitarristi jazz di tutti i tempi - Anthony Wilson - da altri straordinari solisti, e in alcuni brani dalla grande "Orchestra Sinfonica d'Europa". Il tutto col contorno della splendida cornice del pubblico dell'Olympia.
Sei anni fa ho avuto il piacere - insieme a moglie e figlia - di riascoltare i due, questa volta in quartetto - nella splendida location di "Villa Arconati"
Il concerto di Diana Krall include 14 brani, di cui molti appartengono al repertorio più ascoltabile del jazz, ma mai banali. Se volete rivivere una serata straordinaria, armatevi di cuffie o di altoparlanti esterni, per non perdervi il meglio.
La scuderia di Joan Chamorro, costituita da giovanissimi (quando non da ragazzini) onora il jazz, e sta scalzando i gruppi e le scuole americane nella scala di valori dei jazz-lovers di tutto il mondo.
Riempie d'orgoglio notare che in questo difficilissimo be-bop. eseguito alla velocità della luce, ci siano ben tre italiani come ospiti d'onore:
Luigi Grasso (quello con barbetta che rassomiglia lontanamente all'ex ministro Toninelli). Il ragazzo di Ariano Irpino che ha iniziato a suonare il sax su consiglio del suo medico di famiglia, per curare una forma di asma bronchiale. L'ha curata bene, visto che adesso ho contato filotti di ben 6 battute senza tirare il fiato...
Pasquale Grasso (suo fratello) alla chitarra. Colui che un tizio che di chitarra s'intende (Pat Metheny) ha definito il più grande chitarrista jazz vivente (...uno che non imita nessuno: solo se stesso, e lo fa alla grande...)
Luca Pisani: un formidabile bassista che mi fa ben sopportare anche gli assolo di contrabbasso.
Ascoltate il pezzo, godetevi questa incredibile performance, e poi leggete i commenti sul file originale youtube...
Questa la squadra:
Joan Chamorro direzione e sax barítono Joan Martí sax alto Nil Galgo saxo alto Marçal Perramon sax tenore Èlia Bastida sax tenore Alba Esteban, sax barítono Joan Mar Sauqué tromba Joan Codina trombone Joan Aleix Mata batteria
Invitati speciali:
Pasquale Grasso,chitarra Luigi Grasso sax alto Luca Pisani contrabasso
Voglio festeggiare la resurrezione (quasi completa) della piattaforma "Typepad", che ospita da oltre sedici anni i miei siti (e che da una settimana sembrava irrimediabilmente morta, portandosi nella tomba 16 anni di post e commenti del "Tafanus") con una perla musicale (oggi niente meloni) :-(((
Questo bellissimo brano fa parte di una raccolta di circa 130 registrazioni di piccoli gruppi della scuderia di Joan Chamorro: raccolta intitolata "The Jazz House Sessions", che raccoglie molti classici del jazz, con un occhio rivolto al c.d. jazz easy listening. Definizione impropria, perchè in quello che producono queste ragazze non c'è proprio niente di facile, ma un mix di grandi talenti. Ascoltate, e poi ditemi cosa ne pensate!
CHI SONO - Al basso il "capobanda" Joan Chamorro, (fondatore e patron della Sant Andreu Jazz Band, e della annessa scuola per giovanissimi dai 7 ai 17 anni, arrangiatore, organizzatore, direttore e grande strumentista: basso, sax baritono, e tanta altra roba).
Alba Armengou (la più piccola delle due che cantano) non è solo una ottima cantante, ma anche ottima esecutrice alla tromba ed al sax alto. Da quando non aveva ancora vent'anni ha formato anche un suo validissimo quartetto, che agisce fuori dalla culla della Sant Andreu. Alba è sorella d'arte. Sorella maggiore di Elsa, che ha tre anni meno di lei, e alla quale ha insegnato i rudimenti della tromba quando Alba aveva otto anni, ed Elsa 5!
Elia Bastida (la più alta delle due vocalist) oltre che ottima cantante, dopo trascorsi molto importanti come violinista classica (ha iniziato a suonare a quattro anni), all'età di 17 anni - età alla quale in genere si esce dalla scuola jazz di Chamorro - lei c'è entrata, folgorata dal jazz, e con grandissimi risultati. Come violinista jazz, non ha niente da invidiare ai grandissimi Stephan Grappelli e Joe Venuti. Per non farsi mancare niente, è anche ottima vocalist e sassofonista!
Carla Motis - Sorella d'arte anche lei, della più grande Andrea Motis. Spesso si ritrovano affiancate nei concerti. Andrea vocalist, tromba, alto sax, e Carla chitarra, banjo, raramente voce. Una delle mie preferite. Carla fa un uso sempre "sotto le righe" nell'esibire la sua bravura tecnica, ma preferisce sempre mettere poche note, ma scelte in maniera fantastica. Mi ha sempre ricordato i miei favoriti: innanzitutto il leggendario Jim Hall, che ha accompagnato il mio primo innamoramento del jazz, ma anche Anthony Wilson - chitarrista d'elezione per anni di Diana Krall - e, last but not least, il compianto amico Franco Cerri: la delicatezza fatta persona, come uomo e come chitarrista.
Questa volta c'è da chiedersi quale "infezione benefica" abbia colpito, musicalmente, i popoli di lingua spagnola, in generi non tradizionali dei loro paesi.
Questa volta parliamo di un gruppo di giovani argentini, che eseguono un brano di difficile inquadramento in una casella tradizionale... jazz? musica leggera colta? musica da camera "facile"?
Non saprei inquadrare il genere. Ascoltate, e provate voi a mettere un'etichetta. Io non ci sono riuscito.
Cande y Paulo - Barro Tal Vez (Luis Alberto Spinetta)
Voce e contrabasso: Candelaria Buasso (Cande) Tastiere e arrangiamento: Paulo Carrizo
P.S.: Sembra che la loro bravura possa assicurar loro il successo senza che debbano ricorrere a trucchetti tipo tatuarsi sul 90% del corpo o travestirsi da rasta... Questi due ragazzi argentini sono già sotto contratto con la Decca.
(Foto: Gianna Piano)Iniziamo col sentire ciò che dicono di Chiara i diggers. Dal SUO SITO , che è in inglese, visto che anche lei, come tante italiane, per poter vivere della musica che ama ha scelto di prendere - nel 2014 - la via di New York:
Chiara Izzi is an award-winning singer-songwriter from Italy who has been based in New York City since 2014. Three years later Quincy Jones awarded Chiara the first prize in the 2011 Montreux International Jazz Festival Vocal Competition. Since arriving, she’s become one of New York’s busiest vocalists, sharing bandstands with such luminaries as Kevin Hays, Leon Parker, Ken Peplowski, Diego Figueiredo, Jeff Hamilton, Aaron Goldberg, Bruce Barth, Eliot Zigmund, Warren Wolf, and Anthony Wonsey. In April 2020 she also won one Independent Music Award for Best Jazz song with Vocals with her composition “Circles Of The Mind.
Izzi first documented her formidable talents on her well-received 2013 debut album, Motifs (Dot-Time), singing in English, Italian, Spanish and Portuguese on an 11-track program that spanned the American and Brazilian Songbooks, Tango, high-level Euro-Pop, and Mainstream Jazz Vocalese and Scat. Izzi navigated each idiom fluently, on its own terms of engagement, displaying her prodigious vocal instrument, refined musicianship, inherent soulfulness, and ability to convey both emotional transparency and ebullient swing. In an All About Jazz review Michael Bailey praised Izzi as “force of nature,” while in Jazz Times Travis Rogers described her as “a talent to be heard, admired and anticipated.”
In April 2020 she also won one Independent Music Award for Best Jazz song with Vocals with her composition "Circles of the mind"
PREMESSA - Perchè regaliamo tanti talenti agli Stati Uniti e ad altri paesi? Bene: chiediamolo alla RAI, la maggiore "azienda culturale" del paese. Un'azienda che trova ore ed ore al giorno da dedicare ai giochini a quiz, ed alle melanzane alla parmigiana, e da decenni non trova il tempo di dedicare un'ora al mese al jazz. Peggio di quando c'era solo la radio, e solo in AM. Negli anni '50 la RAI aveva addirittura una rubrica - non ricordo se settimanale o giornaliera - dedicata al jazz, condotta daNunzio Rotondo(nella fotina: addirittura una copertina sul Radiocorriere!). Solo ogni morte di papa il canale tematico Rai5 manda qualche minestra riscaldata presa dalla cucina di Umbria Jazz.
Il risultato netto è che "campare di jazz" in Italia è praticamente impossibile. Eppure non c'è niente, nel patrimonio genetico degli italiani, che possa impedire di essere ottimi jazzisti. Qualche nome di nostri "emigranti" di lusso delle note blue e delle note sincopate?
Oltre a Chiara Izzi da Campobasso, Chiara Civello da Roma, Roberta Gambarini da Torino, Guido Manusardi da Chiavenna, Enrico Rava... Per non parlare degli altri, scomparsi in epoca storica. Che dire? La famiglia dell'amica di Chiara Izzi - Alexa Tarantino - originaria di Taranto; quella di Tony Bennett da Reggio Calabria; quella di Dean Martin dall'Abruzzo; quella di Perry Como dal chietino; quella di Frank Sinatra dalla Sicilia; quella di Chick Corea (22 Grammy Award) arrivata da Albi (grande città di ben... 945 abitanti in provincia di Catanzaro). Quella di Joe Lovano da Messina; Ada Rovatti in Brecker da Mortara; Barbara Casini da Firenze, rapita per anni dagli USA e dal Brasile; Rita Marcotulli rapita per anni dagli svedesi. Che dite, può bastare, per affermare che spesso gli italiani sono andati all'estero per imparare, ma spesso - molto spesso - hanno assunto il ruolo opposto di "trasfusori" di cultura musicale?
Ma veniamo all'intervista a Chiara Izzi (vero oggetto del post), che Chiara ha avuto la cortesia di concederci, addirittura con entusiasmo.
-a) Chiara, innanzitutto grazie per la tua cortesia. Veniamo alle domande. Intanto, dato che hai un aspetto molto giovane, spero che non sia un atto di maleducazione chiederti l'età. Quanti anni hai?
Ah, tranquillo nessun problema. A volte non rivelo immediatamente la mia età perché mi diverte giocare col mio interlocutore che mi fa questa domanda. Mi si dice che sembro una ragazzina il che fa piacere ma sono negli ENTA ovvero ho 35 anni, compiuti quest’anno.
Devo farti una confessione: fino all'anno scorso non sapevo della tua esistenza. Poi un giorno mia figlia Marzia, che si diletta come "vocalist" in un quartetto jazz, dovendo inserire in repertorio "Just Friends", ha fatto qualche ricerca online, ha scovato la tua esecuzione, e me l'ha linkata, chiedendomi un parere. Il mio parere??? 110 e lode. La più bella esecuzione di questo standard che io abbia mai sentito. Bravissima tu, ottima sezione ritmica, e bravissimo Kevin Hays. E davvero incredibilmente bella l'intesa fra te e Kevin. Una versione che non mi stancherei mai di ascoltare, e che pubblico in calce, perchè non voglio privarne i miei amici.
Beh, allora ringrazio tua figlia Marzia per avermi scoperta e poi te per aver apprezzato così tanto questa interpretazione di “Just Friends” che è stata registrata nel mio primissimo periodo newyorchese, e agli inizi della mia collaborazione con Kevin Hays, sfociata in seguito nella registrazione ufficiale del mio ultimo disco. Ci tengo inoltre a menzionare la sezione ritmica di questa esecuzione, che vede al contrabbasso Joseph Lepore e alla batteria Luca Santaniello, due musicisti italiani di grande gusto ed esperienza musicale, nonché miei cari amici. Devo ammettere che questo video sul mio canale Youtube è uno dei più visti e commentati positivamente, e ovviamente sono felice di sapere che questa performance abbia trasmesso belle emozioni.
-b) Che dire? Questa esecuzione mi ha incuriosito, ho cercato notizie su di te. E così ho scoperto che non sei nata, jazzisticamente, in qualche grande città dove il jazz è stato sempre di casa, ma a Campobasso. E allora la domanda è d'obbligo: vivevi in una famiglia di jazzofili che ti hanno trasmesso il virus? (come i genitori di Roberta Gambarini, tanto per intenderci)? Come è maturata questa tua decisione? A che età? Come mai il passaggio da Campobasso a Frosinone?
Sono convinto, d'altronde, che non ci siano anticorpi, nella provincia italiana, che contrastino il nascere di amore per il jazz. Anzi, forse è vero l'opposto. Penso a te, ma penso al sax Cafiso (Vittoria, provincia di Ragusa), che a 19 anni è l'unico italiano invitato alla Casa Bianca per la cerimonia di insediamento di Obama. E penso ai fratelli Luigi e Pasquale Grasso (alto sax e chitarra) partiti da Ariano Irpino (che per struttura e cultura sembra il posto meno adatto al mondo per generare talenti jazzistici, eppure... Luigi aveva iniziato perchè da bambino soffriva d'asma, e un medico di famiglia mezzo matto non gli aveva prescritto delle terapie farmacologiche, ma gli aveva prescritto... uno strumento a fiato, a sua scelta, E ora gira il mondo con gruppi suoi o altrui. Ma a suo fratello Pasquale nessuno aveva prescritto alcunché, e oggi è uno dei più accreditati chitarristi al mondo. Interessante la risposta di Pat Metheny in una intervista per "Vintage Guitar" magazine’s February 2016 cover story.
[...] Pat Metheny was asked to name some younger musicians who’d impressed him. “The best guitar player I’ve heard in maybe my entire life is floating around now, Pasquale Grasso", said the jazz-guitar icon and NEA Jazz Master. “This guy is doing something so amazingly musical and so difficult [...]
Conosco le belle storie e i musicisti che hai appena menzionato, i loro esempi spero continuino ad ispirarci e a motivare le nuove generazioni verso la pratica di questa musica.
Non sono nata in una famiglia di musicisti, ma mi è capitato abbastanza presto di entrare in contatto con la musica e il canto. Ad 8 anni la mia prima esperienza in pubblico, poi altre sporadiche e spontanee esibizioni a scuola sono avvenute senza aspettative e entro una dimensione prettamente ludica. In seguito, la musica classica e in particolare il suono del pianoforte mi hanno affascinata e ho convinto mio padre a farmi prendere lezioni. La magia di quelle lezioni di piano si è poi interrotta durante l’adolescenza che mi ha fatto preferire altre attività tipiche di quella età. Ma poi a 17 anni la musica è tornata con il canto, e, su raccomandazione di un professore di musica al liceo mi sono iscritta alla Thelonious Monk di Campobasso, una scuola che includeva e che tutt’ora include alcuni dei migliori musicisti e insegnanti della scena jazzistica locale. Fino ad allora non avevo idea di cosa fosse il jazz, ero totalmente digiuna di questa musica. Ma poi l’esposizione diretta alla stessa attraverso questa scuola ha destato inme curiosità e ho seguito l’onda delle esperienze musicali che mi sono capitate da lì in poi. Al tempo questo genere non trovava molti cantanti in regione, quindi i miei primi anni di studio legati al jazz si sono immediatamente combinati con un’intensa attività live sul territorio locale trasformatasi poi in una professione che senza dubbio mi ha fatto acquistare tanta esperienza, e soddisfazioni in breve tempo. Dopo il liceo, mi sono anche iscritta all’Università e laureata in Scienze Della Comunicazione. Dopo i tre anni di Università ho realizzato che volevo spostarmi da Campobasso per ampliare i miei contatti e le mie esperienze, quindi mi sono trasferita a Roma, e nel frattempo ho deciso di frequentare il biennio di Jazz al Conservatorio di Frosinone dove c’era Diana Torto, una grande cantante ed insegnante che ha positivamente influenzato il mio percorso, insieme a tanti altri bravissimi insegnanti.
-c) Cosa rappresenta, secondo te, dover partire da una piccola città di provincia del Sud? Un ostacolo in più, lo stimolo di una sfida più challenging, o cos'altro?
Credo che nascere in una piccola città costituisca un vantaggio e svantaggio allo stesso tempo: può agevolare il contatto con la realtà musicale locale, accelera la gavetta e favorisce le opportunità di incontro, che però tendono anche ad essere quantitativamente limitate. Nel mio caso ad esempio la gavetta è avvenuta quasi contemporaneamente agli studi musicali, e credo chela combinazione delle due cose sia stata utile ma anche gratificante facendomi vivere la musica come professione e non solo come materia di studio. Quindi iniziare in una piccola città può essere vantaggioso ma risultare in seguito limitante: ad un certo punto del percorso per continuare a crescere è necessaria l’interazione con una scena musicale più ampia e stimolante come quella delle grandi città. Anche nel mio caso quindi il trasferimento nella grande città è diventato necessario e inevitabile.
-d) Dieci anni di studio del pianoforte. Lo hai abbandonato del tutto o lo frequenti ancora? In una recente intervista, Roberta Gambarini ha affermato che secondo lei tutte le cantanti jazz dovrebbero "frequentare" qualche strumento musicale (e meglio il piano di altri) perchè ciò è quasi indispensabile specialmente nelle parti improvvisate e nel canto "scat", perchè queste cose richiedono una buona conoscenza dell'armonia. Concordi con questa posizione?
Sebbene non lo studi con la stessa frequenza del canto, non ho affatto abbandonato il pianoforte; come farei a comporre o arrangiare senza?! Sono assolutamente d’accordo con Roberta! Non credo sia impossibile cantare jazz senza conoscere la musica ma in questo caso credo si debba essere esposti costantemente a questa musica e fin dalla più tenera età. Un po’ come succede per l’apprendimento delle lingue: se si impara a parlare più lingue contemporaneamente e in tenera età l’orecchio è continuamente stimolato all’ascolto di suoni nuovi che vengono memorizzati, riprodotti e interiorizzati più naturalmente e senza essere poi tanto consapevoli di come ciò avviene, insomma succede e basta.
Escluse queste eccezioni credo che per un cantante sia fondamentale conoscere la musica e suonare un secondo strumento, e lo è ancora di più se si vuole improvvisare o fare jazz. Parimenti credo che per un musicista sia importante praticare il canto. Imparare a suonare più strumenti credo aiuti ad instaurare un rapporto più intimo e profondo con la musica.
e) Nel 2011 vinci il primo premio come vocalist al Festival di Montreux, uno dei festival più datati e accreditati al mondo. Capo della giuria, e "premiatore", è "tale" Quincy Jones. Mica uno qualsiasi! Cosa hai provato tu, ragazza di Campobasso? Il premio era assegnato sulla base di uno specifico pezzo, o sulla valutazione complessiva di più pezzi? E in ogni caso: presentare in un tempio del jazz come Montreux una canzone, "Il Pescatore" di Fabrizio De André... Ma come ti è venuta, questa idea? A giudicare dal fatto che hai vinto, hai avuto ragione tu. Ma se ci fossimo già conosciuti e avessi chiesto il mio parere su questa scelta, ti avrei dato della matta. Giustificati! :-)
Pare che sia stata non solo la prima “ragazza di Campobasso”, ma anche la prima italiana a ricevere il primo premio nella storia di questo concorso internazionale di canto. All’epoca non parlavo una parola di inglese ed ero molto timida con la lingua, infatti ricordo di aver sofferto parecchio la difficoltà di non riuscire a comunicare come avrei voluto. Ero terrorizzata al punto che quando notavo telecamere e giornalisti in giro, cercavo accuratamente di evitarli per non essere intervistata…ahh ahh…cosa che poi comunque mi è toccato fare dopo la vincita del premio, e ricordo che l’intervista non fu affatto bella..ahhha haha....
Essendo quella la mia prima vera esperienza professionale all’estero non immaginavo che sarei riuscita ad arrivare in finale e addirittura che avrei vinto il primo premio, ma senz’altro ci tenevo a fare una bella performance e a farmi ascoltare da Quincy Jones. Il premio è poi arrivato regalandomi tra le varie cose la preziosa opportunità di registrare il mio primo disco, ma soprattutto mi ha fatto entrare in contatto con Quincy Jones il quale mi ha spronato a pensare più in grande, e a mettermi in discussione anche a livello internazionale. Ed è proprio da questo incontro che ho cominciato seriamente a pensare di trasferirmi a New York. Il concorso si è sviluppato in tre fasi: selezione dei semifinalisti scelti dopo l’invio di un demo, semifinale dal vivo, selezione dei tre finalisti e conseguente performance e assegnazione dei premi. La valutazione complessiva verteva su più brani, due obbligatori e tre a scelta del cantante. In realtà, in occasione del concorso mi sono attenuta alle regole, prediligendo brani del songbook americano e brasiliano, mentre l’anno successivo al premio, sono stata invitata ad esibirmi in concerto al festival in apertura di Paco de Lucìa ed è lì che ho cantato la mia versione de “Il Pescatore”, insomma in un contesto decisamente più rilassato e slegato dalla competizione.
Il Pescatore
Bye Bye Blackbird
Chiara Izzi con Quincy Jones
-e) Ho visto che sconfini con una certa frequenza dal jazz "mainstream" verso canzoni d'autore, o verso performances da cantautrice. Una domanda sorge spontanea: ho letto che ami girovagare per più generi e stili, ma non ho capito se ce ne sia uno che prediligi. Insomma: hai deciso cosa farai da grande? :-)
L’esplorazione di vari territori musicali ha da sempre caratterizzato il mio percorso ed è un aspetto che tiene vivo il mio entusiasmo e curiosità nel fare musica. Non so se mai sceglierò di concentrarmi nel fare una cosa sola ma per il momento cerco di seguire il mio istinto e di prediligere musica e parole che sento mi appartengono di più in termini di sonorità e storie da raccontare, e questo continua a succedermi con brani diversi e di varia provenienza. Ultimamente però mi sto concentrando di più a scrivere mie canzoni, nella speranza di riuscire presto a realizzare un nuovo disco con questo materiale.
-f) Poi arriva "Just friends" (già linkato in alto): uno dei miei jazz standards preferiti, e in assoluto - nella versione tua e di Kevin, un capolavoro di tecnica e di interpretazione. Non conoscevo Kevin, e in un primo momento ho pensato ad uno dei tanti "professionisti di giro" delle sale di registrazione. Poi però la perfetta sintonizzazione di voi due (tecnica e interpretativa) mi ha fatto venire un dubbio. Così ho scoperto che... Ma preferisco che sia tu a raccontarci la vostra storia Io mi limito a ripetere ciò che Kevin ha detto di te; "...“There was a sense of sincerity and honesty — a lack of artifice. She has an inner strength that I think is rare...".
Parole belle, parole rare. Ma raccontaci tu di Kevin: chi è Kevin nel panorama jazzistico americano, come e quando vi siete incontrati, siete in un sodalizio stretto, o vi incontrate occasionalmente?
Kevin Hays è a mio avviso uno dei più raffinati ed eclettici musicisti della scena jazz internazionale. Ha suonato e registrato tantissimi dischi in qualità di leader e sideman con mostri sacri della musica quali Sonny Rollins, John Scofield, Steve Gadd, James Taylor e tantissimi altri. È pianista, compositore ma anche un elegante cantante e songwriter. Per me lui è stato un vero e proprio mentore, che ho incontrato dopo soli tre mesi dal mio arrivo a New York nel 2014, per un concerto in duo realizzato insieme in un jazz club di Manhattan. Il giorno dopo del concerto ho ricevuto un’email totalmente inaspettata da Kevin che mi proponeva di collaborare per la realizzazione di un disco. Ovviamente, entusiasta ho accettato l’invito iniziando un percorso di sessions avvenute piuttosto regolarmente dove si provava musica nuova, testi, duetti vocali per costruire il progetto che poi sarebbe diventato un disco qualche anno dopo. Sono molto grata a Kevin per la sua guida musicale nei miei primi anni a New York, perché quegli incontri musicali mi hanno resa lentamente ma consistentemente una musicista più matura e consapevole, come non ero mai stata prima di allora.
-g) Poi arriva "Estate" di Bruno Martino, che è diventato uno standard mondiale del jazz (forse l'unico nato in Italia). E più facile fare l'elenco di quale jazzista non ce l'abbia in repertorio, che di quelli che lo conoscono e lo eseguono. E' uno di quei brani troppo noti e troppo eseguiti. Se lo canti come è scritto, ti danno del "banale"; se provi ad uscirne con originalità, rischi di finire nella "inascoltabilità" di certi brani troppo noti (Summertime, Georgia, Stardust, et similia). Difficile schivare il trabocchetto, ma tu ci sei riuscita. E questa non è una domanda, ma un'affermazione.
Ma grazie del bel complimento Antonio! Pensa che da più giovane non sentivo di riuscire a cantarlo con la giusta interpretazione. Ma poi è incredibile come gli anni e l’esperienza trasformino tutto, e ora mi appassiona molto cantare questo brano! Fa davvero piacere sapere che i Brasiliani (grazie al grande João Gilberto) e poi gli Americani lo abbiano adottato e incluso nei loro songbooks. Trovo che sia un capolavoro e un manifesto importante della musica e in particolare del jazz italiano nel mondo.
-h) L'anno scorso arriva il bellissimo "Across the sea" (vedi link a youtube). Prima ascoltiamolo, poi, se vuoi, dicci come è nato.
Certo! Il disco ha avuto un tempo di gestazione piuttosto lungo, considerando che la sua realizzazione è partita da quegli incontri musicali con Kevin Hays di cui ti parlavo. Dopo un paio d’anni il progetto ha visto la luce grazie anche al prezioso supporto delle etichette italiane Jando Music e Via Veneto Jazz che inoltre ci hanno permesso di registrare allo storico Sear Sound Studio di New York, di coinvolgere nella registrazione eccellenti musicisti quali il bassista Rob Jost e batterista Greg Joseph, nonché di invitare ospiti di pregio quali Chris Potter, Grégoire Maret, Omer Avital, Nir Felder, e Rogerio Boccato. Il titolo del disco “Across The Sea” è anche il titolo di una mia canzone, che ho scritto come dedica personale alla mia famiglia in un momento in cui sentivo una forte ma inevitabile lontananza da casa. Il contenuto del disco è una testimonianza dell’evoluzione del duo con Kevin che è avvenuta durante questi anni di collaborazione più stretta, ma rivela maggiormente la mia identità di songwriter, oltreché di interprete. Sono felice che il progetto sia stato pubblicato perché raccoglie molte delle sfide ed esperienze che hanno tracciato la prima fase del mio percorso a New York, una città che non risparmia nessuno ma che può sempre sorprenderti in positivo e regalarti lezioni di vita importanti.
-i) Fresco d'annata, il premioIndependent Music Awards. Congratulazioni doppie. Ancora con Kevin Hays, e con un brano composto da te. Ce ne vuoi parlare?
La news del premio è arrivata ad Aprile di quest’anno - come un fulmine a ciel sereno - durante questo lungo periodo di lockdown. Doppia gioia quando ho saputo che la mia canzone era stata premiata come miglior brano originale nella categoria di Jazz vocale nell’ambito della diciottesima edizione di questo premio internazionale. Mi ha senz’altro dato una sferzata di motivazione verso la scrittura di nuove canzoni e mi ha regalato entusiasmo per continuare a coltivare anche il sogno di una carriera da songwriter, a cui tengo molto.
-l) Torniamo a Kevin Hays. I giudizi espressi da Kevin su di te, e quelli espressi da te su Kevin, nonché il grandissimo feeling fra la tua voce e il suo piano in "Just Friends" - specialmente nella scat-chase, lasciano immaginare/sperare in un rapporto musicale fatto per durare. Chi è Kevin? Almeno ogni tanto litigate, o come minimo avete dei "franchi scambi di opinioni"? :-) Ho scoperto in questo video il Kevin in versione crooner; vedrò, se e quando, Chiara in versione pianista? Comunque il pezzo è molto bello, così come l'esecuzione. My congrats to both of you.
Per ora non ci sono in vista altri dischi insieme ma spero che avremo occasione di collaborare ancora. Io e Kevin non abbiamo mai litigato ma diverse volte discusso e scambiato opinioni anche contrastanti. Ed è questa franchezza che mi piace instaurare quando collaboro con qualcuno, perché per fare musica insieme non è sempre necessario essere d’accordo su tutto ma anzi, a volte può essere sorprendentemente significativo trovarsi a fare cose nuove e suggerite da un collaboratore fidato, per poi verificare che non solo queste funzionano ma che spingono la musica in direzioni inaspettate e interessanti.Suonare il pianoforte di fronte ad un pubblico mi rende ancora nervosa ma è qualcosa che vorrei aggiungere nei miei live. Spero succeda presto, intanto se sei curioso ci sono due brani sul mio canale youtube dove puoi ascoltarmi e vedermi anche in veste di pianista.
Pezzo molto bello, "Verso il Mare”. Bello ed eseguito bene da tutti. Di questo brano ho apprezzato molto l'esecuzione tua e di Kevin, ma non solo. Meritate tutti una menzione specifica:
Verso Il Mare
Chiara Izzi - vocals
Grégoire Maret - harmonica Kevin Hays - piano Rob Jost - Double Bass Rob Di Pietro - Drums
Music by Rosario Bonaccorso and lyrics by Chiara Izzi Live at Birdland Jazz Club, New York (feat. Grégoire Maret & Kevin Hays)
Premesso che ho molto apprezzato tutti, e scontato l'apprezzamento per te e per Kevin, voglio congratularmi in particolare anche con Grégoire Maret, che non avevo mai sentito. Uso jazzistico dell'armonica perfetto. Scuola "Toots Thielemans"? :-) E un pensiero nostalgico anche al mitico "Birdland Jazz Club", che è stato talvolta il mio rifugio serale durante alcuni soggiorni per lavoro a NYC...
“Verso Il Mare” è un brano a me molto caro perché figlio di un’altra collaborazione con un musicista che stimo molto, ovvero il contrabbassista, compositore e cantante italiano Rosario Bonaccorso con cui ho fatto diversi tour in Svizzera negli ultimi anni. Ed è proprio in uno di questi tour che la canzone è nata. In particolare il testo di “Verso il Mare” è stato aggiunto da me ad una composizione strumentale di Rosario dal titolo “Mr. Kneipp” scritta in omaggio al medico tedesco “Sebastian Kneipp” famoso in Europa per aver promosso i poteri curativi dell'idroterapia. Rosario, dopo aver risolto un suo problema di salute attraverso questo metodo, voleva trasmettere il messaggio che anche la musica ha questo potere curativo. Il mio testo è quindi partito da questo bel messaggio ma poi si è trasformato in un invito ad abbracciare il disagio e il dolore invece di negare il ruolo che questi giocano nelle nostre vite. L'acqua è usata come una metafora della flessibilità umana contro la rigidità emotiva, e la canzone racchiude l'idea che più restiamo nel flusso delle cose e accettiamo la realtà, più possiamo trovare soluzioni sane che ci cambiano in meglio. Avere l’armonica di Grégoire Maret ad improvvisare su questo brano sia nel disco che al concerto al Birdland è stata una grande gioia!
-m) C'è qualche speranza di vederti, in un prossimo futuro, a Milano o dintorni?
Considerando la situazione complicata legata al Covid e le attuali problematiche di viaggio, non ho in programma di venire in Italia nei prossimi mesi, ma ovviamente spero che succeda presto, e vorrei senz’altro fare qualche concerto a Milano, città che adoro perché molto simile a New York.
-n) Last, but not least: solo alcune considerazioni assolutamente personali. Ho notato (o forse sbaglio) che nelle tue scelte di repertorio tendi a spaziare dagli standard del jazz ad altri generi, con particolare preferenza alla musica "da cantautori" (tua o altrui). Un solo dubbio: svolgendo tu attualmente la tua attività negli USA, sei sicura che non dovresti privilegiare maggiormente la parte "jazz standards"?
Non so, onestamente, se dovrei privilegiare il jazz e gli standards perché la mia attività si svolge negli USA. Magari dovrei puntare di più sull’inglese? Anche se mi verrebbe da contraddirmi perché quando canto in italiano il feedback che ricevo dagli Americani è più che positivo. Come ho detto prima sento di voler seguire il mio istinto e scegliere di cantare ciò che prima di tutto si avvicina al mio sentire e che credo possa rappresentare al meglio la mia multiforme identità musicale, che include l’uso di diverse lingue (inglese, italiano, portoghese, e spagnolo). Anche le lingue - come i generi musicali - credo siano un potente strumento, possono valorizzare al meglio sia l’arrangiamento musicale che la storia che si vuole raccontare. Perché privilegiare una cosa sola e rischiare di avere rimpianti per non aver seguito il proprio istinto? Per esperienza penso che se non mi fossi fidata del mio istinto nelle scelte musicali fatte finora, non sarei riuscita a fare della musica un mestiere a tempo pieno, e probabilmente non avrei potuto realizzare quei progetti che invece hanno visto la luce insieme alle belle collaborazioni e incontri musicali che mi sono capitati finora. Si può fare sempre meglio ovviamente…e ci sto lavorando!
Dopo aver ascoltato te e Kevin in "Just Friends", e te e Sarah Young in "Bye Bye Blackbird", mi sono convinto che dovresti spostare il baricentro un po' di più in quell'area. Non riesco ad immaginare (anzi, forse ci riesco troppo bene) cosa potrebbe saltar fuori da te e Kevin dal terreno del jazz "main-stream", che gli americani ascoltatori amano sempre moltissimo, ma che gli americani-esecutori, forse troppo ossessionati dalla "sperimentazione-ad-ogni-costo", tendono ad abbandonare spesso per aree non sempre felicissime come quelle del free-jazz, o della contaminazione con generi popolari (o popolani?). E mi sono spinto fino ad immaginare cosa potrebbe venir fuori da voi due paracadutati in una mia "wish-list" personale... Qualche esempio? Intanto qualche tuffo sperimentale nel "golden-field" della bossanova, e poi negli standards made in USA (a solo titolo esemplificativo: East of the sun, In my solitude, Moanin', Who can I turn to, Lover come back to me, You stepped out of a dream, Time after time, The nearness of you... E via fantasticando. Ho qualche chance? :-)
Adoro il jazz in tutte le sue forme, ascolto e mi fa emozionare anche tanta altra musica, contaminata e non. Potrebbe succedere senz’altro che un giorno decida di fare un disco che includa solo jazz standards, perché no?! Pur comprendendo l’esigenza commerciale di categorizzare la musica, non ho mai amato le etichette perché trovo che queste siano riduttive dell’identità di un artista, e lo sono ancora di più ai giorni nostri dove la realtà sembra sia sempre più fluttuante e mescolata. E mentre scrivo questo penso ad esempio a James Taylor che da cantautore elegante e raffinato qual è ha poi collaborato con grandi musicisti di jazz cimentandosi nell’interpretazione di standards quali ad esempio “The Nearness Of you” (dal disco di Michael Brecker “Nearness of You: The Ballad Book”), riuscendo a restare fedele a se stesso e alla sua voce, ed il risultato è da brividi! Oppure penso allo stesso Quincy Jones che con le sue produzioni e collaborazioni ha oltrepassato barriere e confini tra generi musicali partendo dal jazz ma poi si è disinteressato delle etichette, e coraggiosamente si è spinto sempre oltre regalando al mondo un sacco di capolavori che forse non sarebbero nati se lui si fosse concentrato soltanto su una cosa. Come etichetteresti Quincy Jones? Credo sia molto difficile dare una risposta esaustiva circa la musica da lui prodotta. Però, se non erro la sua musica è molto apprezzata e stimata in diversi ambienti musicali. Ecco, diciamo che questi sono alcuni esempi umani e musicali che insieme ad altri artisti che adoro, ispirano le mie scelte e mi spronano a fare musica bella, non importa poi se questa sia catalogabile o meno. Penso che la bellezza musicale trovi i suoi canali per manifestarsi, e non ci sono etichette o generi che tengano per far sì che questo accada.
Un grande grazie, un grande abbraccio Antonio Crea (alias "tafanus")
Grazie mille per questa intervista, Antonio. Spero che avremo presto occasione di incontrarci, magari ad un mio concerto, dove ti dedicherei volentieri una canzone a tua scelta :) Un grande abbraccio a te, e un caro saluto a tutti coloro che leggeranno questa intervista!
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