Solo un folle come Joan Chamorro poteva pensare di trasferire il baricentro del jazz da New York e da Los Angeles a Barcellona. Solo un incosciente poteva immaginare di aprire una scuola di jazz dedicata a "bambini" dai 7 ai 17 anni. Ecco, Joan Chamorro è entrambe le cose: un folle, un pazzo incosciente. Lunga vita ai visionari. Il mondo è di chi immagina l'impossibile, e lo trasforma in realtà.
Quattro giorni fa, è stato pubblicato il video, di grande qualità, di un concerto tenutosi l'anno scorso, per celebrare i 15 anni di esistenza della sua "Sant Andreu Jazz Band". Seguo da anni questa incredibile realtà, e anche questo concerto è stato un sogno da visionario diventato realtà: Joan Chamorro è riuscito a rimettere insieme, per questo concerto, quasi tutti coloro che hanno avuto la fortuna di partecipare - per pochi o tanti anni - a questa incredibile avventura.
Per questo evento, il sempre matto Chamorro ha scelto uno standard fresco come i suoi giovanissimi allievi: Moanin', che è stato un cavallo di battaglia di Art Blakey e dei suoi "Jazz Messengers". Insomma, una cosina datata 1958. Sono passati solo 64 anni, ma tutto ciò che tocca Chamorro diventa fresco come acqua di sorgente.
Il brano proposto questa settimana è uno dei classicissimi del jazz: "Falling in love with love" (Innamorarsi dell'amore?). La sua qualità è la prova del nove che l'idea geniale di Joan Chamorro, di mettere insieme bambini, ragazzi, vecchi marpioni del jazz, è stata l'idea vincente, che ha spostato la Mecca del jazz da New York a Barcellona, quartiere Sant Andreu.
Il segreto è sempre quello: creare una osmosi fra la fresca (e a volte ingenua) creatività dei ragazzini, con l'esperienza tecnica e sintattica dei "vecchi marpioni". Ecco il brano:
SANT ANDREU JAZZ BAND direttore Joan Chamorro, con:
Andrea Motis voce Dick Oatts sax alto Scott Hamilton sax tenore Fredrik Norén tromba Joe Magnarelli tromba Joan Chamorro sax baritono e direzione Joan Marti sax alto Joana Casanova sax alto Marçal Perramon sax tenore Èlia Bastida sax tenore Alba Esteban sax baritono Jan Domench piano Carla Motis chitarra Miquel Casanova basso Pablo Ruiz bateria
Buona domenica a tutti (tranne che ai venditori di Meloni)
Buona domenica a tutti gli amici sopravvissuti al caldo, con questa ventata di aria fresca...
Questo brano, registrato 4 anni fa, prova che la musica c.d. "leggera" a volte può ancora avere un bel peso specifico qualitativo. Una grande esecuzione del "boss" Joan Chamorro al basso, Alba Armengou e Elia Bastida in voce, Carla Motis alla chitarra. Chi sono?
JOAN CHAMORRO - Creatore più di 15 anni fa, di una scuola di jazz - a Barcellona - riservata a musicisti da 7 a 17 anni. Poliedrico organizzatore, direttore, arrangiatore, bassista, professore al Conservatorio di Barcellona, spesso esecutore al basso, ma anche al sax baritono, con escursioni occasionali verso altri strumenti.
ELIA BASTIDA - Qui in veste di vocalist. Eccezione alle regole della scuola: ci entra - su pressione di Chamorro - all'età di 17 anni, quando si dovrebbe uscire. Inizia a studiare il violino a quattro anni, e fino ai 17 colleziona esperienze classiche (musica da camera e musica sinfonica), Ci mette un attimo ad acquisire lo spirito e la sintassi del jazz "main-stream", e ad acquisire grande maestria in uno strumento totalmente diverso dal violino: il sax. In molti pezzi l'ho preferita ai profeti del violino nel jazz (segnatamente, Joe Venuti, Stéphan Grappelli, Jean-Luc Ponty). Brava-bravissima, e molto creativa, in tutto ciò che fa.
CARLA MOTIS - Chitarra, a volte banjo nelle performances di jazz tradizionale, raramente vocalist. Bravissima & Dolcissima. Per i vecchietti come me: Carla è la prova che i Jim Hall e i Franco Cerri non sono mai morti sul serio. Hanno fatto solo finta. Grande nel jazz main-stream, così come nella bossa-nova. "Sorella d'arte". Sua sorella maggiore è Andrea Motis (vocalist, tromba, alto-sax).
ALBA ARMENGOU - Altra "sorella d'arte": scovata in un video mentre - ormai esperta trombettista a otto anni, insegna i rudimenti dello strumento alla sorella Elsa di 5 anni. Ora le due hanno rispettivamente 22 e 19 anni, e spesso sono ospiti d'onore in grandi orchestre jazz in giro per l'Europa. Alba (la più piccola del gruppo) non è solo una grande vocalist di jazz e bossa, ma una ottima strumentista (tromba e sax).
Alba a vent'anni ha anche un SUO quartetto, ma il primo video di cui dispongo è del 2010, quando, a nove anni, si esibisce in un incredibile assolo di tromba, in un classico del jazz tradizionale: tanto "classico", che non ci si può consentire di sbagliare neanche una nota... Magnifica!
Correva l'anno 2002, e Diana Krall dava il concerto forse più bello della sua vita, e di quella degli amanti del jazz easy-listening, Supportata da quello che giudico uno dei più grandi chitarristi jazz di tutti i tempi - Anthony Wilson - da altri straordinari solisti, e in alcuni brani dalla grande "Orchestra Sinfonica d'Europa". Il tutto col contorno della splendida cornice del pubblico dell'Olympia.
Sei anni fa ho avuto il piacere - insieme a moglie e figlia - di riascoltare i due, questa volta in quartetto - nella splendida location di "Villa Arconati"
Il concerto di Diana Krall include 14 brani, di cui molti appartengono al repertorio più ascoltabile del jazz, ma mai banali. Se volete rivivere una serata straordinaria, armatevi di cuffie o di altoparlanti esterni, per non perdervi il meglio.
La scuderia di Joan Chamorro, costituita da giovanissimi (quando non da ragazzini) onora il jazz, e sta scalzando i gruppi e le scuole americane nella scala di valori dei jazz-lovers di tutto il mondo.
Riempie d'orgoglio notare che in questo difficilissimo be-bop. eseguito alla velocità della luce, ci siano ben tre italiani come ospiti d'onore:
Luigi Grasso (quello con barbetta che rassomiglia lontanamente all'ex ministro Toninelli). Il ragazzo di Ariano Irpino che ha iniziato a suonare il sax su consiglio del suo medico di famiglia, per curare una forma di asma bronchiale. L'ha curata bene, visto che adesso ho contato filotti di ben 6 battute senza tirare il fiato...
Pasquale Grasso (suo fratello) alla chitarra. Colui che un tizio che di chitarra s'intende (Pat Metheny) ha definito il più grande chitarrista jazz vivente (...uno che non imita nessuno: solo se stesso, e lo fa alla grande...)
Luca Pisani: un formidabile bassista che mi fa ben sopportare anche gli assolo di contrabbasso.
Ascoltate il pezzo, godetevi questa incredibile performance, e poi leggete i commenti sul file originale youtube...
Questa la squadra:
Joan Chamorro direzione e sax barítono Joan Martí sax alto Nil Galgo saxo alto Marçal Perramon sax tenore Èlia Bastida sax tenore Alba Esteban, sax barítono Joan Mar Sauqué tromba Joan Codina trombone Joan Aleix Mata batteria
Invitati speciali:
Pasquale Grasso,chitarra Luigi Grasso sax alto Luca Pisani contrabasso
Buona giornata a tutti con un brano "eterno". Ho iniziato ad amare il jazz tanto tempo fa. Primi anni di università (seconda metà degli anni '50), ed ho incontrato questo bellissimo brano, in una esecuzione incredibilmente bella del trio di Nat King Cole (piano e voce). Lo trovavo modernissimo nel testo, nella melodia, nel giro armonico... E' stato amore al primo ascolto.
Poi la tardiva scoperta: quello che giudicavo un brano modernissimo alla fine degli anni '50, aveva un anno più di me: composto nel 1936 da Edward Heyman, Abner Silver e Al Sherman, era stato registrato per la prima volta, al "fonografo", dalla grande orchestra di Tommy Dorsey. Nato e morto in un attimo, visto che l'anno dopo diventava obbligatorio l'uso della lingua italiana (ma spesso ridicolmente italianizzata). Al bando le parole straniere, e mentre "Buenos Aires" diventava "Buonaria", il jazz diventata "giazzo", e moriva in fasce, in Italia, sotto una slavina di ridicolo, mentre l'Italia iniziava a morire, tre anni dopo, sotto un mare di bombe e di lotte per la sopravvivenza.
Nel decennio successivo alla liberazione, abbiamo avuto urgenze più impellenti sia rispetto al jazz che rispetto al giazzo. Quando questo grandissimo pezzo musicale è riapparso sulla scena, da molti (e da me incluso) era stato erroneamente attribuito al genio di Nat King Cole, che invece aveva avuto un diverso merito: quello di dissotterrarlo dalle macerie del fascismo e di farlo uscire dal coma farmacologico durato vent'anni...
Da allora, sono trascorsi 65 anni. Ne abbiamo ascoltate decine di versioni, non sempre felicissime. A volte i brani troppo famosi inducono gli esecutori a tentare di schivare schemi ripetitivi, ma spesso cascano nel difetto opposto: quello di stravolgerli per amore di originalità.
Qualche mese fa, finalmente, sbatto contro quella che secondo me è la versione più bella che io abbia mai ascoltato di questo brano: uno dei tanti gruppi creati da Joan Chamorro, formato dal solito mix di jazzisti scafati e da talenti nascenti ma già di grande valore. Vorrei citarne due in particolare:
Ted Nash (sax tenore), una vita alla corte di Winton Marsalis, per anni deus ex machina della grande orchestra del Lincoln Center di New York), e Alba Esteban, diventata da qualche anno una stella delle grandi orchestre e dei piccoli gruppi che fanno capo alla catalana Sant Andreu Jazz Band, e una portentosa esecutrice al sax baritono (opinione personale: la metto tranquillamente fra le dieci più grandi al mondo, nonostante la giovanissima età (è ancora ben lontana dai trent'anni).
Ascoltare per credere
Tafanus
124 º video della serie THE JAZZ HOUSE SESSIONS
PLAYER'S LIST
Alba Esteban, sax baritono Ted Nash, sax tenore Joan Chamorro, basso e direzione Koldo Munné , saz alto Joan Marti, flauto Marçal Perramon, clarinettto Èlia Bastida, sax tenore Lola Peñaranda, sax tenore Marc Martín, piano Arnau Julià, batteria Steve Cardenas, chitarra
Voglio festeggiare la resurrezione (quasi completa) della piattaforma "Typepad", che ospita da oltre sedici anni i miei siti (e che da una settimana sembrava irrimediabilmente morta, portandosi nella tomba 16 anni di post e commenti del "Tafanus") con una perla musicale (oggi niente meloni) :-(((
Questo bellissimo brano fa parte di una raccolta di circa 130 registrazioni di piccoli gruppi della scuderia di Joan Chamorro: raccolta intitolata "The Jazz House Sessions", che raccoglie molti classici del jazz, con un occhio rivolto al c.d. jazz easy listening. Definizione impropria, perchè in quello che producono queste ragazze non c'è proprio niente di facile, ma un mix di grandi talenti. Ascoltate, e poi ditemi cosa ne pensate!
CHI SONO - Al basso il "capobanda" Joan Chamorro, (fondatore e patron della Sant Andreu Jazz Band, e della annessa scuola per giovanissimi dai 7 ai 17 anni, arrangiatore, organizzatore, direttore e grande strumentista: basso, sax baritono, e tanta altra roba).
Alba Armengou (la più piccola delle due che cantano) non è solo una ottima cantante, ma anche ottima esecutrice alla tromba ed al sax alto. Da quando non aveva ancora vent'anni ha formato anche un suo validissimo quartetto, che agisce fuori dalla culla della Sant Andreu. Alba è sorella d'arte. Sorella maggiore di Elsa, che ha tre anni meno di lei, e alla quale ha insegnato i rudimenti della tromba quando Alba aveva otto anni, ed Elsa 5!
Elia Bastida (la più alta delle due vocalist) oltre che ottima cantante, dopo trascorsi molto importanti come violinista classica (ha iniziato a suonare a quattro anni), all'età di 17 anni - età alla quale in genere si esce dalla scuola jazz di Chamorro - lei c'è entrata, folgorata dal jazz, e con grandissimi risultati. Come violinista jazz, non ha niente da invidiare ai grandissimi Stephan Grappelli e Joe Venuti. Per non farsi mancare niente, è anche ottima vocalist e sassofonista!
Carla Motis - Sorella d'arte anche lei, della più grande Andrea Motis. Spesso si ritrovano affiancate nei concerti. Andrea vocalist, tromba, alto sax, e Carla chitarra, banjo, raramente voce. Una delle mie preferite. Carla fa un uso sempre "sotto le righe" nell'esibire la sua bravura tecnica, ma preferisce sempre mettere poche note, ma scelte in maniera fantastica. Mi ha sempre ricordato i miei favoriti: innanzitutto il leggendario Jim Hall, che ha accompagnato il mio primo innamoramento del jazz, ma anche Anthony Wilson - chitarrista d'elezione per anni di Diana Krall - e, last but not least, il compianto amico Franco Cerri: la delicatezza fatta persona, come uomo e come chitarrista.
Questa volta c'è da chiedersi quale "infezione benefica" abbia colpito, musicalmente, i popoli di lingua spagnola, in generi non tradizionali dei loro paesi.
Questa volta parliamo di un gruppo di giovani argentini, che eseguono un brano di difficile inquadramento in una casella tradizionale... jazz? musica leggera colta? musica da camera "facile"?
Non saprei inquadrare il genere. Ascoltate, e provate voi a mettere un'etichetta. Io non ci sono riuscito.
Cande y Paulo - Barro Tal Vez (Luis Alberto Spinetta)
Voce e contrabasso: Candelaria Buasso (Cande) Tastiere e arrangiamento: Paulo Carrizo
P.S.: Sembra che la loro bravura possa assicurar loro il successo senza che debbano ricorrere a trucchetti tipo tatuarsi sul 90% del corpo o travestirsi da rasta... Questi due ragazzi argentini sono già sotto contratto con la Decca.
A volte, quando rifletto sulla cultura musicale di noi italiani, sono colto da attacchi di depressione... Seguo i "Nossa Alma" da anni, e alla sua "anima" (Rosa Bittolo Bon), sento di dover fare un rimprovero: quello di aver smesso troppo presto, quando ancora era in grado di sorprenderci sempre di più...
Ogni tanto riprendevo i suoi video, dopo averli ripuliti, nei limiti del possibile, da qualche difetto tecnico. Poi ho deciso di non correggere più nulla, perchè il video modificato, seppure a fin di bene, perdeva tutto il suo patrimonio di commenti. Preziosi. Dovrebbero indurre noi italiani ad arrossire, perchè la stragrande maggioranza dei commenti vengono dal Brasile, da paesi anglofoni, dall'America Latina, dagli Stati Uniti... In netta minoranza quelli in italiano. TUTTI sottolineano la grandezza di Rosa, e scopro che il suo chitarrista d'elezione (Renato Greco) è giudicato dai brasiliani per primi come il più grande interprete di bossa nova di sempre.
Per fortuna ogni tanto il gruppo si ricostituisce, per una occasionale (e troppo rara) riapparizione. Il video che allego riguarda uno di questi ritorni (ahimé troppo rari...), e riprende una bellissima, dolcissima canzone composta Ary Barroso in piena seconda guerra mondiale (1943). Il video in calce vede - da sinistra a destra - un chitarrista (Robertinho De Paula, figlio d'arte; figlio di quell'Irio De Paula il cui single "Europa" ha fatto da colonna sonora alla gioventù dei più "diversamente giovani" fra di noi ); Rosa Bittolo Bon, e Roberto Greco, giudicato da molti critici brasiliani come il più grande chitarrista "brasiliano" di bossa nova. Grazie infinite a tutti e tre per questa magnifica versione. E non lasciate passare altri anni prima di regalarci qualche altra cosa preziosa come questa.
P.S.: Vale la pena di aprire e leggere i commenti in calce a questo video. Anche se non si capisce tutto, si capisce il senso, e la differenza abissale che corre fra la nostra cultura musicale e quella di tanti altri popoli.
E' la prima volta che la sento. Giovanissima anche lei (tanto per cambiare) è l'ultima "entry" del costruttore di talenti Joan Chamorro.
Clàudia è entrata nella scuderia di Joan Chamorro a Barcellona da pochissimo (meno di un anno), ed è entrata come trombonista. Ma Chamorro ha il dono di provare da tutte le ragazze eventuali capacità da vocalists. Convinto (e il tempo gli sta dando pienamente ragione) che il suonare bene uno strumento è quasi una garanzia di poter essere anche ottime jazz-singer.
La "prova d'autore", per Clàudia, è arrivata col brano che allego: una esecuzione vicina alla perfezione di un famoso standard jazzistico piacevolissimo anche per i non fanatici di jazz:
Una interpretazione magnifica, col contraltare non indifferente del sax di Perico Sambeat. Ricordate questo nome: Clàudia Rostay, perchè avrete modo di sentirla nominare presto, e sempre più spesso
Ormai è certo. La fabbrica dei jazzisti ha definitivamente delocalizzato dagli USA alla Catalogna. la "fabbrica dei nuovi jazzisti" ha un nome inequivocabile: Joan Chamorro. Lo seguo ormai da quattro anni,e non passa mese che non mi sorprenda con qualche "new entry", nella fascia d'età 7/17 anni.
Joan Chamorro: direttore della scuola che ha creato, direttore e arrangiatore della sua "Sant Andreu Jazz Band", e strumentista che passa con nonchalance dal "double-bass" ai sax (baritono e tenore). Uno dei suoi segreti? Produrre dei cocktails che si ritenevano improponibili, fra strumentisti di sette anni e vecchie volpi di settant'anni.
La novità lanciata solo qualche giorno fa è una splendida, bravissima adolescente (Clàudia Rostey), che non avevo mai sentito prima. Suoi comprimari il giovane e talentuoso pianista Jan Doménech e la "vecchia volpe" del sax Perico Sambeat. L'osmosi fra freschezza ed esperienza continua.
Il brano proposto è uno standard famosissimo, e per questa ragione nessuno - nemmeno una ragazzina - può permettersi il lusso di fare errori:
Questa volte tocca ad un intramontabile standard di Carlos Jobim "Triste". Un pezzo composto ed inciso la prima volta da Jobim in duetto con tale Sinatra nel 1967. Il pezzo ha 54 anni, ma non li dimostra.
Triste é viver na solidão Na dor cruel de uma paixão Triste é saber que ninguém Pode viver de ilusão Que nunca vai ser, nunca vai dar O sonhador tem que acordar
Sua beleza é um avião Demais p'rum pobre coração Que para pra te ver passar Só pra me maltratar Triste é viver na solidão
Una caratteristica delle quattro "vocalists" è non solo la gioventù (nell'anno della registrazione - 2016 -, Alma Armengou aveva 15 anni, come Rita Payés, e le altre due poco di più). La caratteristica principale è che TUTTE hanno grandissime qualità come strumentiste jazz: Rita Payés al trombone, Elia Bastida violino e sax, Andrea Motis tromba, alto-sax e flauto, Alba Armengou tromba. E che tromba! Precocissima, disinvolta, simpaticissima, Joan Chamorro la "rischia" come voce solista e tromba quando aveva nove anni, nel più grande teatro di Barcellona (vedi in calce il video di "When you are smiling")
Un antidoto infallibile contro le ansie da coronavirus. Impeccabile la direzione di Horst Sohm, bravissimi gli esecutori. Forse la più bella esecuzione che mi sia capitato di ascoltare.
Maggio 2016 - Il grandissimo Zubin Mehta festeggia il suo 80° compleanno regalandoci e regalandosi una delle più belle esecuzioni del concerto per piano n° 1 di Tchaikovsky, grazie anche alle qualità elevatissime della Filarmonica di Israele, e della allora 29enne pianista georgiana Khatia Buniatishvili: grandissima tecnica, ispiratissima esecuzione.
Un concerto che fa dimenticare per qualche minuto il dramma universale della pandemia, e un augurale tributo alla bravissima pianista georgiana, il cui paese - dopo decenni di guerre civili e di occupazione russa - è ora devastata dal covit-19. La Georgia ieri era il sesto paese al mondo per numero di positivi totali in rapporto al numero degli abitanti: 190.000 casi totali (ancora in crescita esponenziale) su una popolazione di soli 3,7 milioni di abitanti.
(Foto: Gianna Piano)Iniziamo col sentire ciò che dicono di Chiara i diggers. Dal SUO SITO , che è in inglese, visto che anche lei, come tante italiane, per poter vivere della musica che ama ha scelto di prendere - nel 2014 - la via di New York:
Chiara Izzi is an award-winning singer-songwriter from Italy who has been based in New York City since 2014. Three years later Quincy Jones awarded Chiara the first prize in the 2011 Montreux International Jazz Festival Vocal Competition. Since arriving, she’s become one of New York’s busiest vocalists, sharing bandstands with such luminaries as Kevin Hays, Leon Parker, Ken Peplowski, Diego Figueiredo, Jeff Hamilton, Aaron Goldberg, Bruce Barth, Eliot Zigmund, Warren Wolf, and Anthony Wonsey. In April 2020 she also won one Independent Music Award for Best Jazz song with Vocals with her composition “Circles Of The Mind.
Izzi first documented her formidable talents on her well-received 2013 debut album, Motifs (Dot-Time), singing in English, Italian, Spanish and Portuguese on an 11-track program that spanned the American and Brazilian Songbooks, Tango, high-level Euro-Pop, and Mainstream Jazz Vocalese and Scat. Izzi navigated each idiom fluently, on its own terms of engagement, displaying her prodigious vocal instrument, refined musicianship, inherent soulfulness, and ability to convey both emotional transparency and ebullient swing. In an All About Jazz review Michael Bailey praised Izzi as “force of nature,” while in Jazz Times Travis Rogers described her as “a talent to be heard, admired and anticipated.”
In April 2020 she also won one Independent Music Award for Best Jazz song with Vocals with her composition "Circles of the mind"
PREMESSA - Perchè regaliamo tanti talenti agli Stati Uniti e ad altri paesi? Bene: chiediamolo alla RAI, la maggiore "azienda culturale" del paese. Un'azienda che trova ore ed ore al giorno da dedicare ai giochini a quiz, ed alle melanzane alla parmigiana, e da decenni non trova il tempo di dedicare un'ora al mese al jazz. Peggio di quando c'era solo la radio, e solo in AM. Negli anni '50 la RAI aveva addirittura una rubrica - non ricordo se settimanale o giornaliera - dedicata al jazz, condotta daNunzio Rotondo(nella fotina: addirittura una copertina sul Radiocorriere!). Solo ogni morte di papa il canale tematico Rai5 manda qualche minestra riscaldata presa dalla cucina di Umbria Jazz.
Il risultato netto è che "campare di jazz" in Italia è praticamente impossibile. Eppure non c'è niente, nel patrimonio genetico degli italiani, che possa impedire di essere ottimi jazzisti. Qualche nome di nostri "emigranti" di lusso delle note blue e delle note sincopate?
Oltre a Chiara Izzi da Campobasso, Chiara Civello da Roma, Roberta Gambarini da Torino, Guido Manusardi da Chiavenna, Enrico Rava... Per non parlare degli altri, scomparsi in epoca storica. Che dire? La famiglia dell'amica di Chiara Izzi - Alexa Tarantino - originaria di Taranto; quella di Tony Bennett da Reggio Calabria; quella di Dean Martin dall'Abruzzo; quella di Perry Como dal chietino; quella di Frank Sinatra dalla Sicilia; quella di Chick Corea (22 Grammy Award) arrivata da Albi (grande città di ben... 945 abitanti in provincia di Catanzaro). Quella di Joe Lovano da Messina; Ada Rovatti in Brecker da Mortara; Barbara Casini da Firenze, rapita per anni dagli USA e dal Brasile; Rita Marcotulli rapita per anni dagli svedesi. Che dite, può bastare, per affermare che spesso gli italiani sono andati all'estero per imparare, ma spesso - molto spesso - hanno assunto il ruolo opposto di "trasfusori" di cultura musicale?
Ma veniamo all'intervista a Chiara Izzi (vero oggetto del post), che Chiara ha avuto la cortesia di concederci, addirittura con entusiasmo.
-a) Chiara, innanzitutto grazie per la tua cortesia. Veniamo alle domande. Intanto, dato che hai un aspetto molto giovane, spero che non sia un atto di maleducazione chiederti l'età. Quanti anni hai?
Ah, tranquillo nessun problema. A volte non rivelo immediatamente la mia età perché mi diverte giocare col mio interlocutore che mi fa questa domanda. Mi si dice che sembro una ragazzina il che fa piacere ma sono negli ENTA ovvero ho 35 anni, compiuti quest’anno.
Devo farti una confessione: fino all'anno scorso non sapevo della tua esistenza. Poi un giorno mia figlia Marzia, che si diletta come "vocalist" in un quartetto jazz, dovendo inserire in repertorio "Just Friends", ha fatto qualche ricerca online, ha scovato la tua esecuzione, e me l'ha linkata, chiedendomi un parere. Il mio parere??? 110 e lode. La più bella esecuzione di questo standard che io abbia mai sentito. Bravissima tu, ottima sezione ritmica, e bravissimo Kevin Hays. E davvero incredibilmente bella l'intesa fra te e Kevin. Una versione che non mi stancherei mai di ascoltare, e che pubblico in calce, perchè non voglio privarne i miei amici.
Beh, allora ringrazio tua figlia Marzia per avermi scoperta e poi te per aver apprezzato così tanto questa interpretazione di “Just Friends” che è stata registrata nel mio primissimo periodo newyorchese, e agli inizi della mia collaborazione con Kevin Hays, sfociata in seguito nella registrazione ufficiale del mio ultimo disco. Ci tengo inoltre a menzionare la sezione ritmica di questa esecuzione, che vede al contrabbasso Joseph Lepore e alla batteria Luca Santaniello, due musicisti italiani di grande gusto ed esperienza musicale, nonché miei cari amici. Devo ammettere che questo video sul mio canale Youtube è uno dei più visti e commentati positivamente, e ovviamente sono felice di sapere che questa performance abbia trasmesso belle emozioni.
-b) Che dire? Questa esecuzione mi ha incuriosito, ho cercato notizie su di te. E così ho scoperto che non sei nata, jazzisticamente, in qualche grande città dove il jazz è stato sempre di casa, ma a Campobasso. E allora la domanda è d'obbligo: vivevi in una famiglia di jazzofili che ti hanno trasmesso il virus? (come i genitori di Roberta Gambarini, tanto per intenderci)? Come è maturata questa tua decisione? A che età? Come mai il passaggio da Campobasso a Frosinone?
Sono convinto, d'altronde, che non ci siano anticorpi, nella provincia italiana, che contrastino il nascere di amore per il jazz. Anzi, forse è vero l'opposto. Penso a te, ma penso al sax Cafiso (Vittoria, provincia di Ragusa), che a 19 anni è l'unico italiano invitato alla Casa Bianca per la cerimonia di insediamento di Obama. E penso ai fratelli Luigi e Pasquale Grasso (alto sax e chitarra) partiti da Ariano Irpino (che per struttura e cultura sembra il posto meno adatto al mondo per generare talenti jazzistici, eppure... Luigi aveva iniziato perchè da bambino soffriva d'asma, e un medico di famiglia mezzo matto non gli aveva prescritto delle terapie farmacologiche, ma gli aveva prescritto... uno strumento a fiato, a sua scelta, E ora gira il mondo con gruppi suoi o altrui. Ma a suo fratello Pasquale nessuno aveva prescritto alcunché, e oggi è uno dei più accreditati chitarristi al mondo. Interessante la risposta di Pat Metheny in una intervista per "Vintage Guitar" magazine’s February 2016 cover story.
[...] Pat Metheny was asked to name some younger musicians who’d impressed him. “The best guitar player I’ve heard in maybe my entire life is floating around now, Pasquale Grasso", said the jazz-guitar icon and NEA Jazz Master. “This guy is doing something so amazingly musical and so difficult [...]
Conosco le belle storie e i musicisti che hai appena menzionato, i loro esempi spero continuino ad ispirarci e a motivare le nuove generazioni verso la pratica di questa musica.
Non sono nata in una famiglia di musicisti, ma mi è capitato abbastanza presto di entrare in contatto con la musica e il canto. Ad 8 anni la mia prima esperienza in pubblico, poi altre sporadiche e spontanee esibizioni a scuola sono avvenute senza aspettative e entro una dimensione prettamente ludica. In seguito, la musica classica e in particolare il suono del pianoforte mi hanno affascinata e ho convinto mio padre a farmi prendere lezioni. La magia di quelle lezioni di piano si è poi interrotta durante l’adolescenza che mi ha fatto preferire altre attività tipiche di quella età. Ma poi a 17 anni la musica è tornata con il canto, e, su raccomandazione di un professore di musica al liceo mi sono iscritta alla Thelonious Monk di Campobasso, una scuola che includeva e che tutt’ora include alcuni dei migliori musicisti e insegnanti della scena jazzistica locale. Fino ad allora non avevo idea di cosa fosse il jazz, ero totalmente digiuna di questa musica. Ma poi l’esposizione diretta alla stessa attraverso questa scuola ha destato inme curiosità e ho seguito l’onda delle esperienze musicali che mi sono capitate da lì in poi. Al tempo questo genere non trovava molti cantanti in regione, quindi i miei primi anni di studio legati al jazz si sono immediatamente combinati con un’intensa attività live sul territorio locale trasformatasi poi in una professione che senza dubbio mi ha fatto acquistare tanta esperienza, e soddisfazioni in breve tempo. Dopo il liceo, mi sono anche iscritta all’Università e laureata in Scienze Della Comunicazione. Dopo i tre anni di Università ho realizzato che volevo spostarmi da Campobasso per ampliare i miei contatti e le mie esperienze, quindi mi sono trasferita a Roma, e nel frattempo ho deciso di frequentare il biennio di Jazz al Conservatorio di Frosinone dove c’era Diana Torto, una grande cantante ed insegnante che ha positivamente influenzato il mio percorso, insieme a tanti altri bravissimi insegnanti.
-c) Cosa rappresenta, secondo te, dover partire da una piccola città di provincia del Sud? Un ostacolo in più, lo stimolo di una sfida più challenging, o cos'altro?
Credo che nascere in una piccola città costituisca un vantaggio e svantaggio allo stesso tempo: può agevolare il contatto con la realtà musicale locale, accelera la gavetta e favorisce le opportunità di incontro, che però tendono anche ad essere quantitativamente limitate. Nel mio caso ad esempio la gavetta è avvenuta quasi contemporaneamente agli studi musicali, e credo chela combinazione delle due cose sia stata utile ma anche gratificante facendomi vivere la musica come professione e non solo come materia di studio. Quindi iniziare in una piccola città può essere vantaggioso ma risultare in seguito limitante: ad un certo punto del percorso per continuare a crescere è necessaria l’interazione con una scena musicale più ampia e stimolante come quella delle grandi città. Anche nel mio caso quindi il trasferimento nella grande città è diventato necessario e inevitabile.
-d) Dieci anni di studio del pianoforte. Lo hai abbandonato del tutto o lo frequenti ancora? In una recente intervista, Roberta Gambarini ha affermato che secondo lei tutte le cantanti jazz dovrebbero "frequentare" qualche strumento musicale (e meglio il piano di altri) perchè ciò è quasi indispensabile specialmente nelle parti improvvisate e nel canto "scat", perchè queste cose richiedono una buona conoscenza dell'armonia. Concordi con questa posizione?
Sebbene non lo studi con la stessa frequenza del canto, non ho affatto abbandonato il pianoforte; come farei a comporre o arrangiare senza?! Sono assolutamente d’accordo con Roberta! Non credo sia impossibile cantare jazz senza conoscere la musica ma in questo caso credo si debba essere esposti costantemente a questa musica e fin dalla più tenera età. Un po’ come succede per l’apprendimento delle lingue: se si impara a parlare più lingue contemporaneamente e in tenera età l’orecchio è continuamente stimolato all’ascolto di suoni nuovi che vengono memorizzati, riprodotti e interiorizzati più naturalmente e senza essere poi tanto consapevoli di come ciò avviene, insomma succede e basta.
Escluse queste eccezioni credo che per un cantante sia fondamentale conoscere la musica e suonare un secondo strumento, e lo è ancora di più se si vuole improvvisare o fare jazz. Parimenti credo che per un musicista sia importante praticare il canto. Imparare a suonare più strumenti credo aiuti ad instaurare un rapporto più intimo e profondo con la musica.
e) Nel 2011 vinci il primo premio come vocalist al Festival di Montreux, uno dei festival più datati e accreditati al mondo. Capo della giuria, e "premiatore", è "tale" Quincy Jones. Mica uno qualsiasi! Cosa hai provato tu, ragazza di Campobasso? Il premio era assegnato sulla base di uno specifico pezzo, o sulla valutazione complessiva di più pezzi? E in ogni caso: presentare in un tempio del jazz come Montreux una canzone, "Il Pescatore" di Fabrizio De André... Ma come ti è venuta, questa idea? A giudicare dal fatto che hai vinto, hai avuto ragione tu. Ma se ci fossimo già conosciuti e avessi chiesto il mio parere su questa scelta, ti avrei dato della matta. Giustificati! :-)
Pare che sia stata non solo la prima “ragazza di Campobasso”, ma anche la prima italiana a ricevere il primo premio nella storia di questo concorso internazionale di canto. All’epoca non parlavo una parola di inglese ed ero molto timida con la lingua, infatti ricordo di aver sofferto parecchio la difficoltà di non riuscire a comunicare come avrei voluto. Ero terrorizzata al punto che quando notavo telecamere e giornalisti in giro, cercavo accuratamente di evitarli per non essere intervistata…ahh ahh…cosa che poi comunque mi è toccato fare dopo la vincita del premio, e ricordo che l’intervista non fu affatto bella..ahhha haha....
Essendo quella la mia prima vera esperienza professionale all’estero non immaginavo che sarei riuscita ad arrivare in finale e addirittura che avrei vinto il primo premio, ma senz’altro ci tenevo a fare una bella performance e a farmi ascoltare da Quincy Jones. Il premio è poi arrivato regalandomi tra le varie cose la preziosa opportunità di registrare il mio primo disco, ma soprattutto mi ha fatto entrare in contatto con Quincy Jones il quale mi ha spronato a pensare più in grande, e a mettermi in discussione anche a livello internazionale. Ed è proprio da questo incontro che ho cominciato seriamente a pensare di trasferirmi a New York. Il concorso si è sviluppato in tre fasi: selezione dei semifinalisti scelti dopo l’invio di un demo, semifinale dal vivo, selezione dei tre finalisti e conseguente performance e assegnazione dei premi. La valutazione complessiva verteva su più brani, due obbligatori e tre a scelta del cantante. In realtà, in occasione del concorso mi sono attenuta alle regole, prediligendo brani del songbook americano e brasiliano, mentre l’anno successivo al premio, sono stata invitata ad esibirmi in concerto al festival in apertura di Paco de Lucìa ed è lì che ho cantato la mia versione de “Il Pescatore”, insomma in un contesto decisamente più rilassato e slegato dalla competizione.
Il Pescatore
Bye Bye Blackbird
Chiara Izzi con Quincy Jones
-e) Ho visto che sconfini con una certa frequenza dal jazz "mainstream" verso canzoni d'autore, o verso performances da cantautrice. Una domanda sorge spontanea: ho letto che ami girovagare per più generi e stili, ma non ho capito se ce ne sia uno che prediligi. Insomma: hai deciso cosa farai da grande? :-)
L’esplorazione di vari territori musicali ha da sempre caratterizzato il mio percorso ed è un aspetto che tiene vivo il mio entusiasmo e curiosità nel fare musica. Non so se mai sceglierò di concentrarmi nel fare una cosa sola ma per il momento cerco di seguire il mio istinto e di prediligere musica e parole che sento mi appartengono di più in termini di sonorità e storie da raccontare, e questo continua a succedermi con brani diversi e di varia provenienza. Ultimamente però mi sto concentrando di più a scrivere mie canzoni, nella speranza di riuscire presto a realizzare un nuovo disco con questo materiale.
-f) Poi arriva "Just friends" (già linkato in alto): uno dei miei jazz standards preferiti, e in assoluto - nella versione tua e di Kevin, un capolavoro di tecnica e di interpretazione. Non conoscevo Kevin, e in un primo momento ho pensato ad uno dei tanti "professionisti di giro" delle sale di registrazione. Poi però la perfetta sintonizzazione di voi due (tecnica e interpretativa) mi ha fatto venire un dubbio. Così ho scoperto che... Ma preferisco che sia tu a raccontarci la vostra storia Io mi limito a ripetere ciò che Kevin ha detto di te; "...“There was a sense of sincerity and honesty — a lack of artifice. She has an inner strength that I think is rare...".
Parole belle, parole rare. Ma raccontaci tu di Kevin: chi è Kevin nel panorama jazzistico americano, come e quando vi siete incontrati, siete in un sodalizio stretto, o vi incontrate occasionalmente?
Kevin Hays è a mio avviso uno dei più raffinati ed eclettici musicisti della scena jazz internazionale. Ha suonato e registrato tantissimi dischi in qualità di leader e sideman con mostri sacri della musica quali Sonny Rollins, John Scofield, Steve Gadd, James Taylor e tantissimi altri. È pianista, compositore ma anche un elegante cantante e songwriter. Per me lui è stato un vero e proprio mentore, che ho incontrato dopo soli tre mesi dal mio arrivo a New York nel 2014, per un concerto in duo realizzato insieme in un jazz club di Manhattan. Il giorno dopo del concerto ho ricevuto un’email totalmente inaspettata da Kevin che mi proponeva di collaborare per la realizzazione di un disco. Ovviamente, entusiasta ho accettato l’invito iniziando un percorso di sessions avvenute piuttosto regolarmente dove si provava musica nuova, testi, duetti vocali per costruire il progetto che poi sarebbe diventato un disco qualche anno dopo. Sono molto grata a Kevin per la sua guida musicale nei miei primi anni a New York, perché quegli incontri musicali mi hanno resa lentamente ma consistentemente una musicista più matura e consapevole, come non ero mai stata prima di allora.
-g) Poi arriva "Estate" di Bruno Martino, che è diventato uno standard mondiale del jazz (forse l'unico nato in Italia). E più facile fare l'elenco di quale jazzista non ce l'abbia in repertorio, che di quelli che lo conoscono e lo eseguono. E' uno di quei brani troppo noti e troppo eseguiti. Se lo canti come è scritto, ti danno del "banale"; se provi ad uscirne con originalità, rischi di finire nella "inascoltabilità" di certi brani troppo noti (Summertime, Georgia, Stardust, et similia). Difficile schivare il trabocchetto, ma tu ci sei riuscita. E questa non è una domanda, ma un'affermazione.
Ma grazie del bel complimento Antonio! Pensa che da più giovane non sentivo di riuscire a cantarlo con la giusta interpretazione. Ma poi è incredibile come gli anni e l’esperienza trasformino tutto, e ora mi appassiona molto cantare questo brano! Fa davvero piacere sapere che i Brasiliani (grazie al grande João Gilberto) e poi gli Americani lo abbiano adottato e incluso nei loro songbooks. Trovo che sia un capolavoro e un manifesto importante della musica e in particolare del jazz italiano nel mondo.
-h) L'anno scorso arriva il bellissimo "Across the sea" (vedi link a youtube). Prima ascoltiamolo, poi, se vuoi, dicci come è nato.
Certo! Il disco ha avuto un tempo di gestazione piuttosto lungo, considerando che la sua realizzazione è partita da quegli incontri musicali con Kevin Hays di cui ti parlavo. Dopo un paio d’anni il progetto ha visto la luce grazie anche al prezioso supporto delle etichette italiane Jando Music e Via Veneto Jazz che inoltre ci hanno permesso di registrare allo storico Sear Sound Studio di New York, di coinvolgere nella registrazione eccellenti musicisti quali il bassista Rob Jost e batterista Greg Joseph, nonché di invitare ospiti di pregio quali Chris Potter, Grégoire Maret, Omer Avital, Nir Felder, e Rogerio Boccato. Il titolo del disco “Across The Sea” è anche il titolo di una mia canzone, che ho scritto come dedica personale alla mia famiglia in un momento in cui sentivo una forte ma inevitabile lontananza da casa. Il contenuto del disco è una testimonianza dell’evoluzione del duo con Kevin che è avvenuta durante questi anni di collaborazione più stretta, ma rivela maggiormente la mia identità di songwriter, oltreché di interprete. Sono felice che il progetto sia stato pubblicato perché raccoglie molte delle sfide ed esperienze che hanno tracciato la prima fase del mio percorso a New York, una città che non risparmia nessuno ma che può sempre sorprenderti in positivo e regalarti lezioni di vita importanti.
-i) Fresco d'annata, il premioIndependent Music Awards. Congratulazioni doppie. Ancora con Kevin Hays, e con un brano composto da te. Ce ne vuoi parlare?
La news del premio è arrivata ad Aprile di quest’anno - come un fulmine a ciel sereno - durante questo lungo periodo di lockdown. Doppia gioia quando ho saputo che la mia canzone era stata premiata come miglior brano originale nella categoria di Jazz vocale nell’ambito della diciottesima edizione di questo premio internazionale. Mi ha senz’altro dato una sferzata di motivazione verso la scrittura di nuove canzoni e mi ha regalato entusiasmo per continuare a coltivare anche il sogno di una carriera da songwriter, a cui tengo molto.
-l) Torniamo a Kevin Hays. I giudizi espressi da Kevin su di te, e quelli espressi da te su Kevin, nonché il grandissimo feeling fra la tua voce e il suo piano in "Just Friends" - specialmente nella scat-chase, lasciano immaginare/sperare in un rapporto musicale fatto per durare. Chi è Kevin? Almeno ogni tanto litigate, o come minimo avete dei "franchi scambi di opinioni"? :-) Ho scoperto in questo video il Kevin in versione crooner; vedrò, se e quando, Chiara in versione pianista? Comunque il pezzo è molto bello, così come l'esecuzione. My congrats to both of you.
Per ora non ci sono in vista altri dischi insieme ma spero che avremo occasione di collaborare ancora. Io e Kevin non abbiamo mai litigato ma diverse volte discusso e scambiato opinioni anche contrastanti. Ed è questa franchezza che mi piace instaurare quando collaboro con qualcuno, perché per fare musica insieme non è sempre necessario essere d’accordo su tutto ma anzi, a volte può essere sorprendentemente significativo trovarsi a fare cose nuove e suggerite da un collaboratore fidato, per poi verificare che non solo queste funzionano ma che spingono la musica in direzioni inaspettate e interessanti.Suonare il pianoforte di fronte ad un pubblico mi rende ancora nervosa ma è qualcosa che vorrei aggiungere nei miei live. Spero succeda presto, intanto se sei curioso ci sono due brani sul mio canale youtube dove puoi ascoltarmi e vedermi anche in veste di pianista.
Pezzo molto bello, "Verso il Mare”. Bello ed eseguito bene da tutti. Di questo brano ho apprezzato molto l'esecuzione tua e di Kevin, ma non solo. Meritate tutti una menzione specifica:
Verso Il Mare
Chiara Izzi - vocals
Grégoire Maret - harmonica Kevin Hays - piano Rob Jost - Double Bass Rob Di Pietro - Drums
Music by Rosario Bonaccorso and lyrics by Chiara Izzi Live at Birdland Jazz Club, New York (feat. Grégoire Maret & Kevin Hays)
Premesso che ho molto apprezzato tutti, e scontato l'apprezzamento per te e per Kevin, voglio congratularmi in particolare anche con Grégoire Maret, che non avevo mai sentito. Uso jazzistico dell'armonica perfetto. Scuola "Toots Thielemans"? :-) E un pensiero nostalgico anche al mitico "Birdland Jazz Club", che è stato talvolta il mio rifugio serale durante alcuni soggiorni per lavoro a NYC...
“Verso Il Mare” è un brano a me molto caro perché figlio di un’altra collaborazione con un musicista che stimo molto, ovvero il contrabbassista, compositore e cantante italiano Rosario Bonaccorso con cui ho fatto diversi tour in Svizzera negli ultimi anni. Ed è proprio in uno di questi tour che la canzone è nata. In particolare il testo di “Verso il Mare” è stato aggiunto da me ad una composizione strumentale di Rosario dal titolo “Mr. Kneipp” scritta in omaggio al medico tedesco “Sebastian Kneipp” famoso in Europa per aver promosso i poteri curativi dell'idroterapia. Rosario, dopo aver risolto un suo problema di salute attraverso questo metodo, voleva trasmettere il messaggio che anche la musica ha questo potere curativo. Il mio testo è quindi partito da questo bel messaggio ma poi si è trasformato in un invito ad abbracciare il disagio e il dolore invece di negare il ruolo che questi giocano nelle nostre vite. L'acqua è usata come una metafora della flessibilità umana contro la rigidità emotiva, e la canzone racchiude l'idea che più restiamo nel flusso delle cose e accettiamo la realtà, più possiamo trovare soluzioni sane che ci cambiano in meglio. Avere l’armonica di Grégoire Maret ad improvvisare su questo brano sia nel disco che al concerto al Birdland è stata una grande gioia!
-m) C'è qualche speranza di vederti, in un prossimo futuro, a Milano o dintorni?
Considerando la situazione complicata legata al Covid e le attuali problematiche di viaggio, non ho in programma di venire in Italia nei prossimi mesi, ma ovviamente spero che succeda presto, e vorrei senz’altro fare qualche concerto a Milano, città che adoro perché molto simile a New York.
-n) Last, but not least: solo alcune considerazioni assolutamente personali. Ho notato (o forse sbaglio) che nelle tue scelte di repertorio tendi a spaziare dagli standard del jazz ad altri generi, con particolare preferenza alla musica "da cantautori" (tua o altrui). Un solo dubbio: svolgendo tu attualmente la tua attività negli USA, sei sicura che non dovresti privilegiare maggiormente la parte "jazz standards"?
Non so, onestamente, se dovrei privilegiare il jazz e gli standards perché la mia attività si svolge negli USA. Magari dovrei puntare di più sull’inglese? Anche se mi verrebbe da contraddirmi perché quando canto in italiano il feedback che ricevo dagli Americani è più che positivo. Come ho detto prima sento di voler seguire il mio istinto e scegliere di cantare ciò che prima di tutto si avvicina al mio sentire e che credo possa rappresentare al meglio la mia multiforme identità musicale, che include l’uso di diverse lingue (inglese, italiano, portoghese, e spagnolo). Anche le lingue - come i generi musicali - credo siano un potente strumento, possono valorizzare al meglio sia l’arrangiamento musicale che la storia che si vuole raccontare. Perché privilegiare una cosa sola e rischiare di avere rimpianti per non aver seguito il proprio istinto? Per esperienza penso che se non mi fossi fidata del mio istinto nelle scelte musicali fatte finora, non sarei riuscita a fare della musica un mestiere a tempo pieno, e probabilmente non avrei potuto realizzare quei progetti che invece hanno visto la luce insieme alle belle collaborazioni e incontri musicali che mi sono capitati finora. Si può fare sempre meglio ovviamente…e ci sto lavorando!
Dopo aver ascoltato te e Kevin in "Just Friends", e te e Sarah Young in "Bye Bye Blackbird", mi sono convinto che dovresti spostare il baricentro un po' di più in quell'area. Non riesco ad immaginare (anzi, forse ci riesco troppo bene) cosa potrebbe saltar fuori da te e Kevin dal terreno del jazz "main-stream", che gli americani ascoltatori amano sempre moltissimo, ma che gli americani-esecutori, forse troppo ossessionati dalla "sperimentazione-ad-ogni-costo", tendono ad abbandonare spesso per aree non sempre felicissime come quelle del free-jazz, o della contaminazione con generi popolari (o popolani?). E mi sono spinto fino ad immaginare cosa potrebbe venir fuori da voi due paracadutati in una mia "wish-list" personale... Qualche esempio? Intanto qualche tuffo sperimentale nel "golden-field" della bossanova, e poi negli standards made in USA (a solo titolo esemplificativo: East of the sun, In my solitude, Moanin', Who can I turn to, Lover come back to me, You stepped out of a dream, Time after time, The nearness of you... E via fantasticando. Ho qualche chance? :-)
Adoro il jazz in tutte le sue forme, ascolto e mi fa emozionare anche tanta altra musica, contaminata e non. Potrebbe succedere senz’altro che un giorno decida di fare un disco che includa solo jazz standards, perché no?! Pur comprendendo l’esigenza commerciale di categorizzare la musica, non ho mai amato le etichette perché trovo che queste siano riduttive dell’identità di un artista, e lo sono ancora di più ai giorni nostri dove la realtà sembra sia sempre più fluttuante e mescolata. E mentre scrivo questo penso ad esempio a James Taylor che da cantautore elegante e raffinato qual è ha poi collaborato con grandi musicisti di jazz cimentandosi nell’interpretazione di standards quali ad esempio “The Nearness Of you” (dal disco di Michael Brecker “Nearness of You: The Ballad Book”), riuscendo a restare fedele a se stesso e alla sua voce, ed il risultato è da brividi! Oppure penso allo stesso Quincy Jones che con le sue produzioni e collaborazioni ha oltrepassato barriere e confini tra generi musicali partendo dal jazz ma poi si è disinteressato delle etichette, e coraggiosamente si è spinto sempre oltre regalando al mondo un sacco di capolavori che forse non sarebbero nati se lui si fosse concentrato soltanto su una cosa. Come etichetteresti Quincy Jones? Credo sia molto difficile dare una risposta esaustiva circa la musica da lui prodotta. Però, se non erro la sua musica è molto apprezzata e stimata in diversi ambienti musicali. Ecco, diciamo che questi sono alcuni esempi umani e musicali che insieme ad altri artisti che adoro, ispirano le mie scelte e mi spronano a fare musica bella, non importa poi se questa sia catalogabile o meno. Penso che la bellezza musicale trovi i suoi canali per manifestarsi, e non ci sono etichette o generi che tengano per far sì che questo accada.
Un grande grazie, un grande abbraccio Antonio Crea (alias "tafanus")
Grazie mille per questa intervista, Antonio. Spero che avremo presto occasione di incontrarci, magari ad un mio concerto, dove ti dedicherei volentieri una canzone a tua scelta :) Un grande abbraccio a te, e un caro saluto a tutti coloro che leggeranno questa intervista!
Noi ad Alma facciamo un solo augurio: quello di continuare a fare quello che ha fatto, come lo ha fatto finora.
Alma è uno dei prodotti migliori della scuderia del "mago" Joan Chamorro", che è riuscito a fare della Catalogna un immenso vivaio di giovanissimi jazzisti. Chamorro accetta nella sua scuderia giovanissimi fra i 7 e i 17 anni. Poi i migliori restano - se vogliono - nei vari gruppi che compongono l'universo di Chamorro (dalla sua grande orchestra, che a volte è diventata ancor più grande, dando fantastici concerti in associazione con l'Orchestra Sinfonica di Barcellona, ai gruppi più piccoli, fino ai quartetti e al trio.
Parte integrante della storia personale di Alma è la sua sorellina Elsa (di tre anni più giovane). E' commovente vedere - in un documentario QUI LINKATO - la "grande" (Alma, allora 8 anni) impegnata ad insegnare i rudimenti della tromba ad Elsa (5 anni). Sembra un gioco, ma a sei anni ritroviamo Elsa "solista" di tromba, in un teatro di Barcellona grande come uno stadio, letteralmente "sommersa" da due jazzisti di colore da 150 chili ciascuno...
Alma sempre con la faccia tranquilla di chi non teme, già da bambina, di sbagliare un solo passaggio (che stia cantando, o suonando la tromba, o il sax). Elsa - per ora - solo tromba e voce, ma arriverà senz'altro qualcosa d'altro. Per ora, l'ho sempre e solo vista in jeans e maglietta del gruppo. Anche Alma ha la stessa semplicità. L'ho vista con qualcosa di più "studiato" addosso solo in qualche concerto ripreso dalla TV.
L'aria perennemente "problematica" della piccola Elsa è di una simpatia così trascinante, che di una sua immagine ho fatto il motivo di sfondo del desktop del mio PC. Perchè? Perchè quando accendo il PC, e mi appare quella immagine, non riesco a trattenere un moto di simpatia e di allegria...
Ma torniamo ad Alba: questo numero speciale de" Le Perle Musicali" che le dedico con immenso piacere per il suo compleanno non mi è riuscito di concentrarlo linkando uno o due pezzi. Nonostante la giovanissima età, Alma ha già prodotto una quantità incredibile di video e di CD. Ho deciso quindi di inserire uno o pochi video cliccabile per ogni anno crescente di attività, e di mettere insieme anche i links contestuali a pezzi non inseriti con immagine.
Insomma, questo post per gli appassionati di jazz, e per i semplici amanti della buona musica, non va necessariamente consumato in una sola "abbuffata", ma va centellinato, come lo scaffale di una vostra raccolta di dischi di casa.
Credo che questa scelta sia quella giusta, perchè per una bambina che a 19 anni è già sulle scene da quando ne aveva sei o sette, è estremamente interessante osservarne lo sviluppo - rapidissimo - delle capacità tecniche ed interpretative. Una voce ed una sintassi musicale che sembrano progettate per il jazz, a anche per la bossanova.
Nessun essere umano che non sia un pazzo come me potrebbe ascoltare tutti i pezzi in sequenza ma - credetemi sulla parola - non ce n'è uno che meriti di essere cestinato. Quindi ascoltateli TUTTI, magari a rate. E se volete, fatele gli auguri di buon compleanno.
Anno 2010 - E a sorpresa, iniziamo da Elsa (affiancata per un attimo da Alma), e dal suo primo concerto pubblico: Elsa 6 anni ed Alma - 9 anni - in un brevissimo affiancamento... (al Festival del Jazz di Terrasa)
Anno 2011 - Alma cresce. Ha 10 anni, e il pezzo che segue ("Sing me a swing song") lo canta in un contesto incredibile: un grande teatro, una grande orchestra, un contorno di jazzisti di grande caratura, e dei ballerini che ci ricordano come il jazz non sia nata come musica colta, ma anche (non solo) come musica da ballo. Alba già disinvolta, per niente impressionata dal contesto. E ogni tanto si intravede la sorellina Elsa (sette anni) nel ruolo di tromba di fila...
Ma il 2011 è un anno importante anche per la sorellina Elsa, che esordisce anche lei in un contesto importante. Elsa ha sette anni. Emozionatissima, ma quando si inizia a suonare, Elsa lascia da parte le sue emozioni, non sbaglia un tempo, non sbaglia una nota, suona con la scioltezza di una veterana ancora "Undicided" - uno standard famosissimo col quale non puoi concederti un solo errore. Non se lo concede. Il tutto finisce con una standing ovation.
Anno 2012 - Elsa ha 8 anni, e la ritroviamo impegnata, come solista, in un pezzo tanto conosciuto qanto a maggior rischio di critica: MOOD INDIGO, di Duke Ellington.
Anno 2014 - Alba ha 13 anni, e artisticamente è cresciuta: eccome, se è cresciuta! In questo brano (I don't mean a think) passa con bella disinvoltura dal canto ad un fantastico assolo di tromba, degno per qualità del paragone coi grandi di questo strumento. A 13 anni è già una grande anche lei.:
Anno 2015 - Scopriamo per la prima volta Alba Armengou cimentarsi con un classicissimo della bossanova: Agua de março, e crollano le nostre certezze: eravamo convinte che Alma fosse nata per il jazz, e adesso ci viene il dubbio che sia invece nata per la bossa... E se fosse nate per entrambi i generi, spesso così vicini? Nell'immagine si intravedono altre tre perle della scuderia di Joan Chamorro: Carla Motis alla chitarra elettrica, la fantastica Magali Datzira al basso (capace di farlo marciare indifferentemente a 50 chilometri all'ora o a 200), e Rita Payes, piacevole cantante, ma grande solista di trombone.
E' dello stesso anno una bella esecuzione di "All of you" con Alma in veste di vocalist
Ma il 2015 è un anno importante anche per la sorellina Alma - ormai undicenne - che per la prima volta di esibisce sia come cantante che come trombettista in una festa di strada, eseguendo When you are smiling
Anno 2016 - Un anno "storico", perchè per la prima volta vedo Alma, quindicenne, vestita da femminuccia, nella esecuzione di I've got a date with a dream
Ma per quell'annata le mie preferenze vanno - forse per il debole che ho sempre avuto per la bossanova, alla bella esecuzione che Alma fornisce di "Triste", una composizione di Carlos Jobim; ma forse c'è anche una componente campanilistica, visto che la performance di Alba precede un grande assolo di sax de'italiano Luigi Grasso.
Anno 2017 - Un anno in un certo senso di svolta. Alma ha 16 anni. Si produce in una difficile interpretazione di "Embraceable you", eseguita su un tempo lentissimo. In questo pezzo c'è il cocktail di una voce che talvolta denuncia ancora - com'è più che normale alla sua età - alcuni timbri acerbi, ma l'interpretazione del testo è perfetta.
Ma questa non è l'unica perla d'annata. E' un anno prolifico, per Alma. Aggiungo in calce i link alle altre perle dell'anno:
Anno 2018 - Suona strano parlare di anno della maturazione a 17 anni, ma tant'è... calca le scene da più di dieci anni, con una progressione di qualità tecniche ed interpretative impressionante, e adesso si aggiunge anche un timbro vocale più vicino a quello di una donna che di una bambina. Il mio pezzo preferito dell'anno? Eccolo: "Meditaçao". Di nuovo bossa, e per prodursi in una interpretazione vocale perfetta e in una improvvisazione alla tromba sontuosa, Alma non ha bisogno neanche del sostegno del pubblico: sono in sala di registrazione.
Ma il 2018 è davvero un anno di grandi cambiamenti per Alma, e non posso cavarmela con una sola pagina di copertina.Non posso non citare questa "Dança de solidao", bellissima versione anche grazie al grande apporto del flauto di Joan Marti. E la gamma della voce di Alma si amplia sempre più verso toni bassi e caldi, da donna. Ma ha ancora e solo 17 anni!
Così come non si può non dare una "copertina a questa stupenda e inquietante versione di "Outra ves", nella quale La voce di Alma raggiunge profondità incredibili:
Non mi riuscirebbe neanche facile rinunciare al "take two" di Meditaçao, questa volta col calore del pubblico in teatro, con un tempo diverso, e con l'apporto del magnifico assolo sella sua amica Alba Esteban al sax baritono
E completiamo il quadro coi links attivi alle altre perle del 2018:
Anno 2019 - Alba ha 18 anni. Iniziamo con un'altra bossa che la vede affiancata a Joan Chamorro (il creatore del jazz in Catalogna), e ad altre mie due preferite: Carla Motis (chitarra, banjo, voce), e Elia Bastida (violino, voce, sax, clarinetto):
Incredibile Alexa Tarantino! Fino a tre anni fa era spesso una sassofonista nella Orchestra del Jazz Lincoln Center creata e diretta dal grande Winton Marsalis (nella foto con Alexa). Due anni fa si esibiva (molto emozionata) in un lungo assolo accanto all'immenso Chick Corea (22 Grammy Awards in carriera). L'anno scorso creava un suo quartetto che ha subito sfondato.
Quest'anno ha esordito entrando, nell'annuale referendum di "JazzTime", fra i tre migliori alto-sax al mondo. Ha continuato - dopo lo scoppio dell'emergenza coronavirus - organizzando e gestendo un concerto settimanale in streaming, chiedendo 5 euro per la visione del concerto, da destinare ai vecchi jazzisti newyorkesi entrati in crisi economia.
Ed ecco dove siamo oggi - Questa cara amica, che non fa trascorrere mai un mese senza informarsi sulle mie condizioni, oggi siede a fianco di personaggi della statura di Winton Marsalis - che tutti gli amanti del jazz conoscono in Italia, e di Helen Sung (che pochi conoscono in Italia: una delle più grandi pianiste jazz della nostra epoca. Cercare "Helen Sung su youtube per capire di che stoffa sia fatta). Ecco cosa scrive Alexa oggi:
[...] Essentially Ellington Since 2008, Essentially Ellington has been an incredible part of my life as I transitioned from high school to college to my professional career. Above, I'm pictured with Wynton Marsalis after meeting him for the first time (!) when the Hall High School Concert Jazz Band participated as one of 15 national finalists in Jazz at Lincoln Center's Essentially Ellington Festival & Competition. Since this photo, I've toured with Wynton & the Jazz at Lincoln Center Orchestra, played the Jazz in Marciac festival with the Wynton Marsalis Septet, and received my master's degree under his direction at The Juilliard School. If you had told me this in 2008 I never would have believed you! This year, I am thrilled to sit on the Essentially Ellington Judge's Panel alongside Wynton Marsalis, Helen Sung, Riley Mulherkar, and Dennis Mackrel. Not to mention, Dennis Mackrel was one of my first mentors at the Skidmore Jazz Institute in the Summers of 2008 and 2009. As part of this year's festival - the 25th Anniversary of Essentially Ellington and the first Virtual International EE Festival, Wynton and I live-streamed a one-on-one discussion/Q&A on Livestream and Facebook Live yesterday morning. We discussed my time at Essentially Ellington, how I started Rockport Jazz Workshop, and more! [...]
Ed ecco l'altra notizia di qualche giorno fa: My new record, Clarity, with Posi-Tone Records, was officially released last week! Clarity is streaming on all your favorite platforms and available for purchase on my website.
This new record features Steven Feifke on piano, Joe Martin on bass, and Rudy Royston on drums. Thank you to everyone for tuning in to last weekends celebration livestreams. The Crowdcast Celebration of the release is still available on our Crowdcast page and can be streamed at anytime.
Ho ascoltato l'album (purtroppo solo in audio CD), e affermo che questa ragazza fa passi da gigante un mese dopo l'altro. Il download del CD è molto economico (meno di dieci dollari) e per ogni notizia pratica potete fare riferimento alsito di Alexa
In calce, un piccolo assaggio. Il CD contiene 9 brani, in un paio dei quali Alexa si esibisce non all'alto-sax, ma al flauto. Per gli appassionati di jazz, questo disco è come il maiale: non si butta via niente :-)
(a cura di Tafanus) Permettetemi alcune brevi note personali: di Renato Sellani non posso parlare lucidamente come "critico", perchè a lui sono legato da sentimenti di grande amicizia. Per anni, almeno una volta alla settimana ci incontravamo al "Ponte di Brera": lui al piano, Roberto Blegi o il figlio di Franco Cerri, morto giovanissimo, al basso, più una serie di gente che, dopo mezzanotte, passava un attimo al "Ponte". Renato è una delle persone più dolci e discrete che io abbia mai conosciuto. Una sera io 45enne, mia figlia Marzia 17enne, anche lei appassionata di jazz, andiamo insieme al Ponte. Renato mi vede con questa ragazzina in minigonna, e gli si dipinge in faccia un grande imbarazzo. Mi faccio una risata, mi avvicino al piano, e gli dico: René, rilassati, è solo mia figlia! Con Roberto Blegi, il bassista, spartivo l'amore per il jazz, ma anche quello per la vela, che diventava il tema dominante durante gli intervalli.
Che dire di Renato Sellani pianista? Lascio la parola a Vittorio Franchini, che può essere più distaccato del sottoscritto:"...come definire quel suo pianismo asciutto, sottile, eppure colmo di umori? Quel suo errare lungo la tastiera alla ricerca di un pensiero capace di sbocciare ad un tratto e subito fiorire in una luce crepuscolare? Renato Sellani aveva tenuto un concerto autobiografico, una sorta di viaggio nel tempo capace di fare riaffiorare ricordi, sepolti fra i mille concerti, e insieme aiutare il pianista a capire se stesso, a portare alla luce sentimenti chiusi da tempo nel silenzio di quel suo eterno ironico sorrisetto. Il concerto era stato un grande successo. Un momento di estasi al pubblico che al nascere di quell'estasi era stato presente, in quella notte di febbraio, fredda e nebbiosa, improvvisamente colma di primavera. Ascoltiamolo ancora, seguiamolo in quel suo andare attraverso le strade di una poesia fatta di sussurri, di pause, di suggesstioni appena accennate, quasi che non di un pianista di questa nostra società frettolosa e chiassosa si trattasse ma di un griot, un cantastorie, capace di trasformare una favola in realtà, col semplice tocco di quelle sue mani che la tastiera sembrano voler soltanto sfiorare...
Di mio voglio solo aggiungere che quando lo ascoltavo suonare, ero affascinato dalle sue piccole mani, piuttosto tozze (il contrario di quanto ci si aspetta dalle mani di un pianista). Forse questo ha condizionato, nella direzione che a me piace, il suo pianismo, che nulla concede a virtuosismi da “lunghe dita”. E’ una caratteristica che ho riscontrato in altri pianisti italiani che a me piacciono molto: da Mario Rusca a Guido Manusardi, da Luigi Bonafede a Laura Fedele ed altri.
NOTE BIOGRAFICHE
Renato Sellani è nato a Senigallia; entra giovanissimo in contatto con musicisti come Piero Piccioni. Il suo primo incontro con musicisti di jazz americani avviene suonando per lungo tempo con il trombettista Bill Coleman. Nel 1954 approda a Milano dove prosegue la sua attività con il chitarrista Franco Cerri e successivamente entra a far parte del mitico quintetto Basso-Valdambini. Molti musicisti d'oltre oceano lo cercano per suonare insieme a lui. Si ricordano le tournè con Lee Konitz nel '58 (con il quale ha fatto una serie di concerti nel febbraio '95), con Chet Baker nel 1960, '61, '68, '69 e '70. Ha accompagnato molti cantanti tra i quali Mina, Nicola Arigliano, Fred Bongusto, Lilian Terry, Helen Merril e Sarah Vaughan. L'incontro con altri musicisti famosi è proseguito con Buddy Collette (con il quale ha inciso alcuni LP), Gerry Mulligan, Stephan Grappelli, Franco Ambrosetti, Sergio Fanni, Eraldo Volontè, Tullio De Piscopo ed altri. Ha partecipato più volte ad Umbria Jazz e ad altri festival in Italia e all'estero. Intensa la sua attività di compositore per musiche di scena: "Aspettando Godot" di Samuel Beckett per il Piccolo Teatro di Milano, "I sei personaggi" per la compagnia di Tino Buazzelli. Numerose le partecipazioni televisive tra le quali come ospite fisso per tre anni al "Circolo delle 12" e "Tortuga" su RAI3. Predilige agire nell'ambito del jazz moderno classico in piccole formazioni, trio o duo. Recentemente per Philology ha inciso una serie di duetti con alcuni giganti del jazz internazionale: con il sassofonista Lee Konitz "Speakin' Slowly", e con il chitarrista brasiliano Irio De Paula "Delicatessen", inoltre ha registrato con Phil Woods e Tony Scott.
Sellani è oggi attivo con formazioni varie, fra le quali spiccano un classico trio e i duetti con Massimo Morriconi e Enrico Rava. Il suo stile lirico, oscillante fra la tradizione dei grandi pianisti del passato e una perenne spinta all'innovazione, ha raggiunto un equilibrio raffinato ed inconfondibile che colloca Sellani nella categoria dei musicisti al di sopra delle mode, facendone una figura di inarrivabile classe nel panorama del jazz europeo.
AGGIORNAMENTO - Renato se n'è andato nel 2014, in silenzio, come aveva sempre vissuto. Con Renato si era sviluppata un'amicizia non formale, da quando andavo ad ascoltarlo - almeno una volta alla settimana - al "Ponte" di Brera. Era non solo un grande musicista, ma anche un vero gentiluomo. Non lo dimenticherò mai, Tafanus
Ray Brown è unanimemente considerato, da tutti i cultori del jazz, il più grande bassista di tutti i tempi, forse dividendo l'alloro, per alcuni, col mitico Percy Heath del Modern Jazz Quartett.
Sostenere questa affermazione con esempi musicali eclatanti è difficile, perché il basso, di per se, non è strumento che si presti a grandi esibizioni personali. Si, certo, molte bands lasciano al bassista "pari dignità" rispetto agli altri strumentisti, consentendo lunghi assoli. Però io ho considerato questa malintesa "democrazia dell'esibizione" un errore. Non mi piacciono gli assoli della sezione ritmica; non mi piacciono i lunghi assoli di batteria o di basso. Il mio vecchio amico bassista Roberto Blegi, che ai tempi belli del Giamaica era il bassista di Renato Sellani al piano superiore del Giamaica, noto come "Il Ponte di Brera", soleva dire:
"...vedi, Antonio, il bravo bassista non è quello che ti fa dire "com'è bravo! com'è virtuoso! il bravo bassista è una specie di amalgama. Se c'è e conosce il suo mestiere, senti che il piatto è buono, ma non pensi agli ingredienti. Se si allontana un attimo per andare a fare pipì, ti accorgi immediatamente che il piatto è peggiorato, e a volte non capisci neanche perchè..."
Ray Brown è del '26. Non traccerò una lunga biografia, che potete trovare online in mille luoghi. Mi limiterò a sottolineare i passaggi secondo me più significativi. A vent'anni ha già suonato nei più importanti locali degli USA con la band di Russel, ma non è quello che vuole. Così un giorno prende un autobus da Miami per New York (24 ore di viaggio), dove suonano tutti, ma proprio tutti.
Leggo in una sua biografia: "...tutti i più grandi talenti musicali dell’epoca si incontrano negli innumerevoli locali di 52ma: Art Tatum, Billie Holiday, Billy Daniels, Dizzy Gillespie, Charlie Parker. Dopo appena 4 ore che si trova a New York gli viene presentato Dizzy Gillespie. La sua fama di musicista lo aveva seguito fino alla grande città e Dizzy invita il giovane contrabbassista per un breve preludio al suo concerto del giorno seguente. E Ray suona fino a ferirsi le dita per Dizzy. Viene ingaggiato. I successivi due anni suona il contrabbasso nella band di Gillespie, con Dizzy alla tromba, Charlie Parker al sassofono, Bud Powell al pianoforte, Max Roach alla batteria. Questa band di eccezionali ed innovativi musicisti creerà un nuovo genere musicale: il be-bop...". Scusate se è poco.
In questi anni Ray viaggia in tutto il mondo ed inizia a scrivere la sua propria musica. Tra gli eccezionali talenti che Ray ha occasione di conoscere c’è anche Ella Fitzgerald, che più tardi diventerà sua moglie. Nel 1948 lascia la band per fondarne con Hank Jones e Charlie Smith una propria.
In questo stesso periodo Ray scopre la “Jazz At The Philharmonic” e viene a sua volta scoperto da Norman Granz: una sera Brown va ad ascoltare nella Carnegie Hall la “Jazz At the Philharmonic”. Se ne sta sulla scala di accesso alla scena a godersi lo spettacolo. Il contrabbassista della band non era arrivato in tempo per il primo pezzo. Alcuni amici musicisti, che avevano visto Ray vicino alla scena, lo dicono a Norman Granz che lo costringe a prendere il posto vacante sul palco. Questo è il casuale inizio della collaborazione con Granz e la “Jazz At The Philharmonic”, una collaborazione lunga più di 18 anni. Durante questo periodo Ray si trova in tutte le più importanti sale da jazz d’Europa e degli Stati Uniti. Tra i molti musicisti che conosce ce ne sarà uno di particolare rilievo per la sua carriera: Oscar Peterson. I due lavorano insieme per ben 15 anni fino a che il loro trio non si scioglie.
Ray descrive così la sua esperienza di tournée con la “Jazz At The Philharmonic” e quella con il trio di Oscar Peterson: “Gli europei prendono il jazz più sul serio di noi. Vedono nella nostra musica un contributo culturale molto importante per la società e la trattano con rispetto e dignità. Essere in tournèe con la “Jazz At The Philharmonic” e Oscar Peterson, è stata una delle esperienze più importanti della mia carriera. È qui che ho avuto la possibilità di suonare insieme ad alcuni tra più significativi musicisti [...]
Le più grandi star della musica vorrebbero avere Brown al proprio fianco nelle grandi occasioni e in concerti particolari. Tra i grandi nomi che hanno suonato negli ultimi tempi con lui ci sono Natalie Cole (“Unforgettable”), André Previn, Lalo Schifrin (“Jazz Meets the Symphony”), Dee Dee Bridgewater (“Dear Ella”), Diana Krall (di cui Ray Brown è stato lo scopritore in un piccolo piano-bar canadese) e molti altri. La sua fama non si estende soltanto al campo della musica jazz, lo dimostra il fatto che lo stesso Sting ha imparato a suonare il contrabbasso nella scuola di musica fondata negli anni Sessanta dallo stesso Brown.
Due parole per l'eccezionale chitarrista che suona nel pezzo che vi proponiamo insieme a Ray Brown: si tratta di Barney Kessel, un grandissimo talento, che ha ispirato chitarristi di enorme fama, come Toots Thielemans, Jim Hall e, per stare in Italia, Franco Cerri. Kessel è uno che dalla sua chitarra trae a volte "discorsi da chitarra", altre volte da piano, altre ancora da sax alto. A lui dedicheremo, in futuro, un post apposito. Per ora godetevi questo brano:
Raf nasce in Puglia, a Margherita di Savoia, nel '59. Il suo vero nome è Raffaele Riefoli. Chiunque conosca quei luoghi, comprende che emergere dal pantano è un compito difficilissimo. Ci si può fare, ma solo a costo di un surplus di talento rispetto a chi nasce nelle "piazze" musicali dell'epoca (Milano, Roma, Genova, Napoli..)
A quattordici anni esordisce come cantante solista e chitarrista. Dopo l'esame di maturità, si trasferisce a Firenze per studiare architettura, ma la sua passione per la musica lo porta a fare esperienze musicali nuove, che lo portano a Londra, ove comincia a comporre brani in lingua inglese, che lo faranno conoscere al grande pubblico.
Prima di affermarsi come Raf, Riefoli ha utilizzato lo pseudonimo Rip. Era questo il nome con cui si faceva chiamare nel 1980, quando era il cantante e bassista dei Cafè Caracas, un trio che comprendeva, oltre a lui, Ghigo Renzulli e Renzo Franchi, che sarebbero poi diventati assieme a Piero Pelù i componenti dei Litfiba. Il gruppo ebbe vita breve, e pubblicò un unico singolo nel 1980.
Come Raf, inizia la sua carriera nel 1983 incidendo Self Control, un brano dance che scalerà le classifiche di mezzo mondo grazie anche alla versione dell'americana Laura Branigan. Nel 1987 scrive "Si può dare di più", che vince il Festival di Sanremo. Lo stesso anno arriva terzo all'Eurofestival in coppia con Umberto Tozzi con "Gente di mare".
Nel 1988 esce l'album "Svegliarsi un anno fa", che contiene "Inevitabile follia". L'anno dopo è di nuovo a Sanremo con "Cosa resterà degli anni '80", inclusa nell'album omonimo.
Questo è il brano scelto per il vostro ascolto questa settimana. Perché lo trovo musicalmente molto bello, credo che le parole siano non banali, è cantato bene, e manifesta un grande rimpianto per "quegli anni '80" ai quali anch'io, per vicende personali, sono molto legato affettivamente.
Quello che è venuto dopo, in un certo senso trovo che sia musica costruita con mestiere, ma con una certa carenza d'anima, anche se confesso di non essere un profondo conoscitore delle sue realizzazioni successive.
Le note sulla discografia sono tratte da Wikipedia e dal sito di Raf.
Questa settimana la “perla” è doppia, perché non voglio parlarvi tanto di un artista, ma di un divértissement musicale tanto divertente, quanto poco sfruttato. Il gioco consiste nel costruire due melodie distinte e separate su una sola sequenza armonica. Le due melodie vengono in genere eseguite prima separatamente, poi riparte per la terza volta lo stesso “giro armonico, e questa volta le due melodie si sovrappongono armonicamente e ritmicamente, mantenendo però assolutamente distinguibili le due melodie, che “danzano insieme” con effetti a volte molto belli.
Sembra un discorso molto complicato, ma quando avrete ascoltato i due pezzi proposti (questa settimana crepi l’avarizia, offerta speciale), vedrete che è assolutamente elementare, anche se di piacevolissimo effetto.
Il primo pezzo proposto (Un bacio a mezzanotte) è “solo una canzonetta”, ma acquista dignità sia per la bravura dei componenti del Quartetto Cetra che la eseguono, sia per il giochino musicale descritto.
Il secondo pezzo (Samba ‘em Preludio), cantato da due mostri sacri come Vinicius de Morais e Maria Creuza, ha il valore aggiunto di essere, in entrambe le linee melodiche, un pezzo di grandissimo valore musicale. Buon ascolto. E buona domenica.
La biografia di Pino Daniele dovrebbe iniziare, rispettosamente, col riconoscergli, davanti al nome, il suo titolo accademico: Rag. Daniele Giuseppe. Si, perchè pur essendo nato in una famiglia molto modesta, a Napoli, nell'ultrapopolare quartiere Porto, Pino è riuscito a schivare tutti i trabocchetti che questa serie di circostanze in genere pone sulla strada di un ragazzo.
Il Ragionier Daniele Giuseppe può essere oggettivamente orgoglioso di se, specie quando si pensi che è riuscito a diventare Pino Daniele, da autodidatta; uno dei più grandi cantanti italiani, ed uno dei più grandi chitarristi "brasiliani", da porre fra i santini di Toquinho, Irio de Paula ed altri mostri sacri della bossa nova, e delle bellissime contaminazioni fra le armonie ed i ritmi brasiliani da una parte, ed impianti melodici napoletani dall'altra.
E' questo che fa di Pino Daniele un fenomeno irripetibile: l'aver saputo coniugare, con l'incoscienza tipica degli "ignoranti accademici", scuole e culture così diverse eppure così vicine, per la loro allegria e per la loro tristezza. Un unicum che solo un perfetto "ignorante" avrebbe potuto ipotizzare e realizzare.
Dice "Wikipedia":
[...] nel 1977 pubblicò il suo primo album: Terra Mia, passato quasi inosservato al grande pubblico, ma non alla critica, che scorse in Pino Daniele un nuovo talento, rivoluzionario nei testi e singolare nelle melodie, già bassista all'epoca dei Napoli Centrale, Pino Daniele si dimostrò anche un ottimo chitarrista [...]
Dall'esperienza con il gruppo "Batracomachia", e poi con i Napoli Centrale, a dir poco fruttuosa per Pino, maturò qui l'incontro con James Senese che contribuirà non poco alla realizzazione dei successivi tre album: Pino Daniele (1979), Nero a metà (1980), Vai Mò (1981) [...]
Nel 1982 cominciano le prime grandi collaborazioni con musicisti di fama internazionale. L'album è bella 'mbriana. Ci sono i contributi di Alphonso Johnson al basso e soprattutto Wayne Shorter, grande sax soprano con i Weather Report. Nel 1989 girà l’europa con il tour “"Night of the guitar" insieme a Randy California, Pete Haycock, Steve Hunter, Robby Krieger, Andy Powell, Ted Turner, Leslie West, Phil Manzanera, Jan Akkerman. La sua voce ha un timbro singolarissimo e penetrante ed è impiegata con duttilità al servizio delle più svariate sfumature espressive [...]
È uno dei musicisti italiani più conosciuti nel mondo; nel 1980 ha fatto da apri pista al concerto milanese di Bob Marley, ha suonato a Cuba e all'Olympia de Paris, con artisti dal calibro di Ralph Towner, Yellow Jackets, Mike Mainieri, Danilo Rea, Mel Collins. Nel 1995 ha suonato, durante il tour estivo, con Pat Metheny, nonché con gli Almamegretta, Jovanotti, Eros Ramazzotti, e Chick Corea mentre nel 1990 era stato ospite di Claudio Baglioni nell'album Oltre; nell' estate del 2002 ha ideato e prodotto una tournée che lo ha visto protagonista insieme a Fiorella Mannoia, Francesco De Gregori e Ron [...] Ha inciso e prodotto un disco in collaborazione con Richie Havens (Common Grounds-1983) e partecipato, con due canzoni, a un album di Gato Barbieri, (Apasionado -1983) [...]
Nel 2004 sotto il nome di Pino Daniele Project [...] da vita ad un nuovo disco di grandi inediti raffinati - Passi D'Autore - un misto fra canzone italiana d'autore, jazz, bossanova, madrigali e salsa, nel disco partecipa il Peter Erskine Trio.
Il 14 ottobre 2005 [...] in occasione della data napoletana dell'Iguana Cafè Tour dopo 25 anni si ritrovano sullo stesso palco per la prima volta Pino Daniele, James Senese e Tony Esposito [...]
Pino ha suonato e collaborato con: (in ordine alfabetico)
Adalberto Lara, Al Di Meola, Alan Pasqua, Alfredo Paixao, Alphonso Johnson, Bernard Lavillier, Billy Cobham, Bob Berg, Carol Steel, Chick Corea, Danny Camigs, Dave Carpenter, David Cleyton, Deron Johnson, Don Cherry, Don Moye, Eddy Gomez, Foudel, Gato Barbieri, Gino Vannelli, H.Hammun, Hossam Ramzy, James Senese, Jan Akkerman, Jeremy Mick, Jerry Marotta, Jimmi Earl, Juan Pablo Torres, Karl Potter, Larry Nocella, Leslie West, Lotfi Bushnaq, Luciano Pavarotti, Manu Katche, Mel Collins, Mick Goodrick, Mike Mainieri, Mino Cinelu, Nanà Vasconcelos, Noa, Pat Metheny, Pete Haycock, Peter Erskine, Phil Manzanera, Pino Palladino, Rachel Z, Ralph Towner, Randy California, Richard Tee, Richie Havens, Robby Krieger, Salif Keita, Simple Minds, Steps Ahead, Steve Gadd, Steve Hunter, Trilok Gurtu, Victor Bailey, Wayne Shorter, Yellow Jackets.
Non male, per il Ragionier Daniele Giuseppe, chitarrista autodidatta... Questa settimana offriamo al vostro ascolto un brano recente ("Pigro") che ben esemplifica il nostro entusiastico giudizio sul personaggio.
P.S.: solo a cose fatte ho realizzato che per due volte consecutive ho dedicato la rubrica ad un napoletano di nome Giuseppe. Non è colpa mia. Scherzi dell'ordine alfabetico e della "napoletanità" della musica. Per rimediare, giuro che non appena emergerà qualche genio musicale a Grugliasco o a Pontida, mi affretterò a dedicare una "perla"
Di Peppino di Capri c'è poco da dire, perchè tutti sanno tutto. Mi limiterò a confermare che Peppino di Capri è veramente di Capri, dove è nato nel '39, anche se col nome di Giuseppe Faiella.
Peppino di Capri, pur restando nel solco della tradizionale musica napoletana, è stato un grande innovatore, perché ha tradotto la canzone napoletana classica adattandola alle atmosfere da "night" a partire dagli anni '50, e perchè, per converso, ha tratto ispirazione, per le canzoni nuove, dalla sintassi e dalla tradizione della musica napoletana classica.
Personalmente l'ho sentito la prima volta, giovanissimo lui, giovanissimo io, in un locale di Napoli, via Partenope (lo "Shacker Club"), che era poco più che una stanza in un seminterrato. Però era un locale dove sono passati Roberto Murolo, Peppino Di Capri, Fred Bongusto, Fausto Cigliano... sono passati tutti, proprio tutti. Inoltre, le limitatissime dimensioni del locale favorivano la creazione di forti correnti di interattività e di empatia fra musicisti e pubblico.
Poi l'esplosione, con canzoni indimenticabili come Roberta, Malatia, Nun è peccato, Luna Caprese, Voce 'e notte, e tante, tante altre canzoni che sarebbe impossibile elencare. Ha fatto delle cose di notevole pregio anche in coppia con Fred Bongusto, dal vivo, dense di musicalità e di humour.
Alzi la mano chi, fra quelli della mia generazione, non ha preso almeno una cotta estiva con la complicità di Peppino di Capri...
La canzone proposta al vostro ascolto questa settimana è del '73, e sembra costruita scientificamente per assolvere allo scopo di cui sopra....
Peggy Lee è nata nel 1920, ed è morta nel 2002. E' stata molto longeva artisticamente. Ancora negli anni '90 riempiva le sale da concerto, e registrava dischi che riscuotevano il plauso dei critici più severi. Peggy Lee non è stata solo una splendida cantante, con una voce calda, molto recitante, ma al tempo stesso musicalmente molto rigorosa. Peggy è stata anche ottima violoncellista, e compositrice di standards di grande successo.
Il suo primo "impiego" come cantante è stato in una radio locale del Dakota; Peggy cantava in uno show sponsorizzato da un ristorante, che le pagava il "salario" in natura... insomma, in pasti... Il meritato colpo di fortuna arriva nel '41, quando Peggi ha 21 anni. Viene notata, in un piccolo night club, dall'allora fidanzata di Benny Goodman, che era già Benny Goodman, con la sua consolifata fama di big-band leader, di compositore, e di grandissimo clarinettista anche in piccoli complessi. La sera dopo, Benny è trascinato dalla fidanzata ad ascoltare Peggy Lee; nel giro di pochi giorni, l'affare è concluso...
Nel '48, si unisce a Perry Como nello staff della NBC, dove partecipa a programmi di grande successo. Poi, dal 57 al 72, diventa una colonna portante della Capitol, dove assolve al ruolo di presidiare la musica leggera "dignitosa", con una produzione media di due album ogni anno, contro l'avanzata, a volte acritica, del Rock and Roll.
In carriera, ha avuto la nomination a 12 Grammy Awards.Nel '95 le fu assegnato il Grammy "alla carriera"
Il brano che vi proponiamo si intitola “I never knew”, e risale ai primi anni ’40. Nel brano c’è anche un godibilissimo assolo di Benny Goodman. Per valutare appieno la modernità e l’attualità di questa musica, basti pensare che in Italia ci sarebbero voluti ancora tre lustri per arrivare a “Vola colomba” e a “Papaveri e Papere”
Patty Pravo, nella vita Nicoletta Strambelli, nasce a Venezia nel '48, da un'ottima famiglia, che frequentava personaggi del calibro di Ezra Pound, e del Cardinale Roncalli, futuro Papa Giovanni XXIII.
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Le prime ed uniche volte che l'ho vista dal vivo era giovanissima: non ancora ventenne; si esibiva al Piper, a Roma, sotto un altro nome d'arte, che non ricordo. Io andavo spesso a Roma per lavoro, e i miei amici spesso, la sera, mi trascinavano in questo posto che detestavo cordialmente, ad ascoltare musica del genere R&B che non amavo.
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Però spesso cantava questa giovanissima ragazza dall'aspetto efebico, e dal timbro di voce che incantava. Solo, non mi piaceva quello che cantava.
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La "virata qualitativa" arriva nei primi anni '70, quando si dedica a canzoni d'autore, privilegiando il repertorio di Jacques Breil, di Leo Ferré, e di Vinicius de Moraes. Di quest'ultimo, in particolare, ha prodotto una bellissima esecuzione di "Samba em Preludio" (titolo italiano: Samba Preludio), che da anni cerco invano di ritrovare, senza riuscirci. Perchè amo moltissimo questa canzone, e perchè l'introvabile esecuzione di Patty Pravo è assolutamente ineguagliabile. Se qualcuno capitasse sulle sue tracce, non se la lasci sfuggire.
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In assenza di questo pezzo, che avrei proposto senza esitazione al vostro ascolto se lo avessi trovato, mi rifugio nel "second best" della mia personale hit-parade: Pazza Idea, che nel '73 balza in vetta a tutte le classifiche di vendita, e riceve grandissimi consensi anche dalla critica (consensi che condivido pienamente).
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Per peculiarità vocale, raffinatezza nella scelta del repertorio, capacità interpretative, credo di poter porre Patty Pravo (per molti aspetti personaggio "controverso"), fra le grandi della canzone italiana dell'ultimo mezzo secolo, insieme a Mina, ad Ornella Vanoni, a Jula De Palma, a Fiorella Mannoia e a poche altre.
"...vorrei pregare il Tafano Capo di voler inserire quale "perla musicale della domenica", come ringraziamento ed augurio per il ballottaggio genovese di domani, la mitica canzone di Paolo Conte "GENOVA PER NOI". E' questo l'auspicio da inviare ai nostri compagni di Genova e ai nostri loro rappresentanti nel Tafanus, Marcella la pasionaria e Tullio Cella, che ne saranno certamente felici. Grazie da Umberto, l'incazzato speciale contro i nostri buonisti dalle braghe a discesa rapida e con il loro desiato gelato al limon. Umberto..."
Caro Umberto, la "Perla Musicale" di questa settimana spettava, per diritto alfabetico, a Paolo Conte, quindi faccio con piacere una cosa che comunque non mi allontana dal "percorso" di questa serie di articoli. Caso mai, forse non avrei messo dentro "Genova per noi" (canzone che adoro), solo perchè nella perla n° 3, dedicata a Bruno Lauzi, era già stata inserita. Comunque lo faccio con piacere, perchè è una di quelle canzoni che sentirei volentieri in 100 versioni diverse
Se vuoi ascoltarla "anche" nell'altra versione citata, ti rinvio a questo link:
Laureato in giurisprudenza, si avvicina al mondo del jazz come dilettante, suonando il vibrafono in alcuni gruppi musicali di Asti. Contemporaneamente inizia a scrivere le sue prime canzoni in collaborazione con il fratello Giorgio. È lui stesso però ad affermare che iniziò a scrivere la prima canzone della sua vita "durante una noiosissima lezione di diritto all'università".
Nella metà degli anni sessanta inizia a collaborare con il maestro di musica suo concittadino Michele Virano, con cui scrive le musiche di molte canzoni: La coppia più bella del mondo e Azzurro per Adriano Celentano, Insieme a te non ci sto più per Caterina Caselli, Tripoli '69 per Patty Pravo, Messico e nuvole per Enzo Jannacci, Una giornata al mare per l'Equipe 84... insomma, tutta robetta così.
È nel 1974 che esordisce come cantautore, grazie al produttore Italo Greco che lo spinge a cantare le proprie canzoni; il disco, intitolato semplicemente con il suo nome e cognome, contiene una sua versione di "Una giornata al mare", e alcune canzoni nuove tra cui una, "Onda su onda", che qualche mese dopo viene incisa con successo da Bruno Lauzi.
L'anno successivo ripete l'esperienza con un nuovo album, ancora intitolato Paolo Conte, a cui attinge nuovamente Lauzi che incide "Genova per noi", e che contiene altre canzoni che diventeranno dei classici del repertorio contiano, come "La topolino amaranto" e "La ricostruzione del Mocambo".
E' solo nel 1979 con Un gelato al limone che riesce a farsi apprezzare a pieno dal pubblico, grazie anche a Francesco De Gregori e Lucio Dalla, che nel corso del tour "Banana Republic" interpretano (e successivamente incidono) la canzone che dà il titolo al disco; altre due canzoni, "Bartali" e "Sudamerica", vengono proposte da Jannacci nel suo album "fotoricordo", e contribuiscono ulteriormente a rendere popolare Paolo Conte.
"Paris milonga", del 1981, contiene la canzone forse più famosa di Paolo Conte, "Via con me", reinterpretata in seguito anche da Roberto Benigni. Viene adorato dal pubblico francese, e come pochi altri autori italiani anche dall'ambiente musicale statunitense. Sempre al 1981 risale una collaborazione importante, quella con Gabriella Ferri.
Negli anni ottanta escono diversi album di inediti, e nel frattempo è impegnato in molte tournée all'estero dove, come in Italia, registra il tutto esaurito. Prima summa di queste esperienze concertistiche sono gli album Concerti (1985) e Paolo Conte Live (1988).
Insegue da molto tempo l'aspirazione di vedere sulle scene un suo musical, generato in svariati anni di creazione, dal titolo "Razmataz", del quale ha progettato tutti i dettagli, compresi i costumi. Una serie di bozzetti e disegni di straordinaria efficacia, che dimostrano il raro eclettismo di Conte, delineano con precisione il percorso dell'opera. La commedia vide la luce già nel 1989 in un omonimo libro, dove compaiono i disegni, gli spartiti, e i testi con le annotazioni di Conte. Le musiche principali sono state pubblicate in un CD soltanto nel 2000, mentre nel 2001 è stato pubblicato il DVD della commedia.
...cosa aggiungere di mio? che sono grato ad una delle mie figlie per la scoperta di Paolo Conte. Che di lui ho raccolto il raccoglibile. Che sono andato una volta ad ascoltare un suo concerto a Parigi, dov'ero per lavoro, all'Olympia, e sono rimasto stranito e commosso dalla devozione che gli hanno dimostrato i francesi, che pure di chansonniérs qualcuno l'hanno avuto. Infine, che alla bellissima "Genova per noi", aggiungo un piccolo omaggio speciale: una piccola canzone scritta, credo, per il pubblico francese, che ha molto aprezzato...
La storia musicale di Oscar Peterson è semplice e complessa al tempo stesso, come quasi tutte le storie dei grandi musicisti. Oscar è nato nel 1925 a Montreal. Quest'anno, alla tenera età di 82 anni, si è racmmaricato per aver dovuto cancellare una sua partecipazione al Festival del Jazz di Toronto perchè non si sentiva molto bene...
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Oscar Peterson è considerato universalmente, dal punto di vista tecnico, uno dei più grandi pianisti di tutti i tempi. Difficile cogliere, nelle sue esecuzioni, una sbavatura, una incertezza, un recupero affannoso. Il suo virtuosismo e la sua padronanza dello strumento gli hanno sempre garantito sale stracolme e produzioni discografiche sterminate.
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La sua stessa perfezione tecnica gli è valsa, al tempo stesso, numerose critiche, della serie "...tecnicamente perfetto, però..." quasi ad insinuare il sospetto che la sua sia una musica nata in provetta, sterilizzata, priva gi germi e di anima. Non è così, anche perchè il suo pianismo, almeno inizialmente, si richiamava a quello di Art Tatum, che di anima ne aveva fin troppa. Per esprimersi, non è obbligatorio esibire le "sgrammaticature" esecutive di un altro "grande" come, ad esempio, Thelonius Monk. Se le teorie sull'eccessiva perfezione tecnica di Peterson avessero un senso, dovremmo buttare nel cesso decine di pianisti come John Lewis, Bill Evans, e tanti, tantissimi altri.
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Ma forse è solo invidia. Peterson ha suonato con tutti. Fate il nome di un qualsiasi grande jazzista della seconda metà del secolo: Peterson ci ha suonato. E nonostante ciò, la sua storia è legata principalmente al suo celeberrimo trio, costutuito nel '58, e formato (almeno nella composizione più nota e più stabile) da Oscar Peterson al piano, Ed Thigpen alla batteria, e Ray Brown al basso (e scusate se è poco).
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Il brano proposto questa settimana è, per l'appunto, eseguito dal suo trio, e riprende in chiave jazzistica uno standard musicale molto noto: “A fine Romance”. Il brano è semplice e di piacevole ascolto. Peterson è il Peterson di sempre: chi trova una sbavatura nella sua esecuzione, vince una bambolina di pelouche. E ciononostante... surprise!... il brano ha anche un’anima.
Ho sintetizzato qui le sue note biografiche, sfoltendole del superfluo. Ornella Vanoniè nata a Milano nel 1934. Giovanissima, si iscrisse alla scuola del Piccolo Teatro di Milano, diretta da Giorgio Strehler, che divenne presto suo compagno, e decise di farla anche cantare. Brecht, ma anche le canzoni della mala, in buona parte scritte da lui per Ornella con Fiorenzo Carpi, Gino Negri e Dario Fo.
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In quegli anni nasceva la canzone d’autore. L’incontro con Gino Paoli avvenne nel 1960. Ne scaturì un amore importante e parecchie canzoni, tra cui un capolavoro: “Senza fine“, primo posto in classifica e immediato successo popolare. Per qualche anno, Ornella alterna teatro e musica.
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1960 Sposa Lucio Ardenzi, grande imprenditore teatrale, il 6 giugno 1960. (...non ho capito se il matrimonio con Lucio Ardenzi sia consequenziale al "grande amore" nato, sempre nel 1960, con Gino Paoli... NdR)
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Nel 1963 interpreta il suo ultimo musical: “Rugantino”, di Garinei, Giovannini e Trovaioli, debutta a Milano il 12 ottobre e prosegue a Broadway nel 1964. Da questo momento ci sono solo musica, dischi, tv e festival. Vince il Festival di Napoli (1964 “Tu si na cosa grande” di Modugno). E’ seconda a Saremo (1968 “Casa Bianca” di Don Backy). Molti successi discografici epocali (La musica è finita, Una ragione di più, Domani è un altro giorno, Tristezza, Mi sono innamorata di te, L’appuntamento, Dettagli…).
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Nel 1974 fonda la sua casa discografica, la Vanilla, e si trasferisce a Roma. E’ l’epoca dei concept-albums, gli LP a tema. Occorre la figura di un produttore. Inizia un lungo sodalizio con Sergio Bardotti che darà vita a lavori importanti e di grandi successi che dureranno nel tempo. Il primo, del 1976, è “La voglia, la pazzia, l’incoscienza e l’allegria”, il fantastico incontro con il Brasile di Vinicius de Moraes e Toquinho. Un classico.
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1978-83 torna a vivere nella sua Milano. E’ sempre più la signora della canzone, raffinata, sofisticata, come il made in Italy. Gianni Versace si occupa del suo look. “Ricetta di donna”, “Duemilatrecentouno parole” e “Uomini” sono tre dischi della maturità, del passaggio di Ornella da sex symbol intelligente a signora moderna con la penna in mano. Bardotti la porta a scrivere i testi che interpreta. (Musica, musica, e Vai Valentina sono i due maggiori successi di questo periodo) Continua in questi lavori la ricerca degli incontri musicali: Loredana Berté, Caterina Caselli, Gerry Mulligan, Lucio Dalla. C’è persino una fugace ricomparsa di Gino Paoli...
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1984-85 Eccoli di nuovo, Gino e Ornella. Una tournée di tutti esauriti (e chi se la aspettava!), un disco live, “Insieme”, che brucia le classifiche. Una nuova canzone simbolo: “ Ti lascio una canzone”.
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1986 un progetto discografico ambizioso: in un momento di massima crisi della canzone italiana, Ornella e Bardotti issano il tricolore a Manhattan. Ornella interpreta grandi successi italiani di tutti i tempi e di tutti gli stili, da C.A. Rossi a Cocciante, insieme ai maggiori jazzisti del mondo: Nasce “Ornella e…” con George Benson, Herbie Hankock, Steve Gadd, Gil Evans, Michael Brecker, Ron Carter.... (questo è, fra l’altro, uno dei suoi dischi migliori e meno venduti; uno di quelli che amo di più, per la fantastica integrazione della canzone d’autore italiana con certe “ruvidezze” del jazz di quegli esecutori).
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Il primo febbraio 2005 inizia la nuova tournè teatrale con Gino Paoli che ha fatto registrare il tutto esaurito nei teatri dove i due artisti si sono esibiti. Nel corso della lunga e fortunata tournè, sono stati realizzati un doppio CD Live e un doppio DVD.
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La canzone proposta al vostro ascolto questa settimana è, prima che un regalo a voi, un regalo a me stesso. Potrei inventarmi una lunga ed intelligente motivazioneper la scelta che ho fatto. La verità è che ho voluto regalare a voi ciò che piace a me, e non chiedetemi il perchè. E' una canzone del '70, l'anno più pieno e felice della mia vita, e mi ricorda tante cose belle. Si intitola "L'Appuntamento". La musica è di Roberto Carlos, le parole del testo italiano sono di Bruno Lauzi. Arrangiamento, esecuzione, interpretazione, semplicemente perfetti. Buon ascolto
Oleta Adams è nata da un pastore protestante, e nei primi anni della sua vita è stata allevata a pane e gospel. Ha iniziato la carriera nei primi anni '80, con due albums autofinanziati.
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Nell'85 è stata scoperta dai fondatori della banda pop Tears for Fears, che la invitarono ad incidere con loro l'LP The Seeds of Love. La sua carriera come cantante solista di fatto inizia solo nel '90 con l'LP Circle of One, osannato dalla critica.
Nel '96, poco prima del suo passaggio al jazz con la band di Phil Collins, Oleta incide un bellissimo LP, da cui è tratto il brano di cui oggi vi proponiamo l'ascolto. L'album si intitola Bootlegs, e Oleta Adams in ogni brano è accompagnata da esecutori diversi.
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Siamo nell'epoca in cui Oleta Adams, grazie alla sua caldissima voce da contralto, prende il posto, nel cuore del pubblico e nell’apprezzamento della critica, lasciato vacante da Anita Baker. L'ultimo disco di cui siamo a conoscenza è una collezione di canzoni natalizie del 2006, Xmas Time with Oleta.
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Il brano di cui vi proponiamo l'ascolto è una bellissima edizione di The Girl from Ipanema, inciso con Al Jearreau.
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Oleta Adams & Al Jearreau – The Girl from Ipanema.
C’è qualcosa in comune, fra Genova e Napoli? si, c’è forse un comune DNA, derivante dall’essere due città caotiche, come tutte le città con grandi porti; caotiche, “mischiate”. chiuse e tolleranti, tradizionaliste e innovative al tempo stesso...
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Non è un caso che Napoli e Genova siano le due città italiane che negli ultimi decenni hanno dato tanto all’innovazione musicale. Da una parte i Pino Daniele, i Sal Genovese, i Tullio De Piscopo, gli Avion Travel; dall’altra i Bruno Lauzi, i Fabrizio De André, i New Trolls...
Forse c’è dentro il mare, l’orgoglio per i dialetti, i porti che mischiano razze, suoni, culture. Forse è solo un caso.
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I New Trolls nascono nella seconda metà degli anni ’60, e fra divorzi, liti legali per il marchio, riunificazioni, riescono a stare insieme per decenni. Sono, a loro modo, degli innovatori. Nel ’72, per la prima volta in Italia, hanno il coraggio di produrre il primo LP live della discografia leggera italiana, Searching for a Land.
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Nel ’73 arriva la prima separazione seria, seguita da liti legali varie per la proprietà del marchio New Trolls, lite risolta dal giudice vietando a tutti i litiganti l’uso del marchio.
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Nel ’74 alcuni di loro si aggregano a De Andrè per una lunga serie di concerti. Nel ’75, nuova riunificazione, che fra alti e bassi, e numerosi cambiamenti di formazione, andranno avanti fino al ’97.
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Inaspettatamente, il gruppo si riunisce (con quel che rimane dei vecchi componenti), nel 2006. Per il seguito della storia vi faremo sapere.
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Il brano proposto questa settimana (Quella carezza della sera) è del ’78, ed è un brano inserito in un album abbastanza famoso, “Aldebaran”. In questo brano si respira già molto il sound dei BeeGees, che finirà col permeare molta produzione dei New Trolls negli anni a seguire. E’ una canzone di dignitosissima qualità, e di ascolto molto piacevole.
Nathaniel Adams Coles, detto Nat, è nato n Alabama nel 1919. Il padre era diacono della chiesa battista. La famiglia si trasferì a Chicago quando Nat era ancora un bambino; qui il padre divenne ministro di culto mentre la madre Perlina era l'organista della chiesa. Fu lei ad insegnare al figlio a suonare il pianoforte fino all'età di 12 anni, quando Cole inizio a prendere regolari lezioni. Egli fu avviato allo studio non solo del jazz e della musica gospel, ma anche della musica classica.
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La famiglia viveva a Bronzeville, un sobborgo di Chicago, famoso negli anni 20 per la sua vita notturna e per i locali jazz. Nat usciva di casa di nascosto per passare gran parte del suo tempo fuori dai club, ascoltando artisti come Louis Armstrong, Earl Hines. Ispirato dalla musica di Earl "Fatha" Hines, iniziò la sua carriera artistica a metà degli anni 30, mentre era ancora un ragazzino, con il nome di Nat Cole. Insieme a al suo fratello maggiore Eddie Coles, bassista, incise il suo primo disco nel 1936. I due ebbero un qualche successo locale nell'area di Chicago ed incisero per etichette specializzate in musica nera. Cole prese parte ad un tour nazionale dedicato al revival del ragtime. Giunto in California, Cole decise di fermarsi a Los Angeles,dove formò il Nat King Cole Trio.
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Il trio era formato da Nat King Cole al pianoforte, Oscar Moore alla chitarra, e Wesley Prince al basso elettrico. Il trio suonò a Los Angeles durante l'ultima parte degli anni 30 e registrò molte sessioni radiofoniche. Cole era considerato un importante pianista jazz, tanto da apparire nei primi concerti del ciclo Jazz at the Philharmonic. La sua formazione di piano, basso e chitarra, rivoluzionaria all'epoca delle big bands, divenne popolare nell'ambiente del jazz e fu imitata da molti musicisti, tra cui Art Tatum, Ahmad Jamal, Oscar Peterson, Tommy Flanagan ed i pianisti blues Charles Brown e Ray Charles. Partecipò inoltre come pianista ad alcune sessioni con Lester Young, Red Garland e Lionel Hampton.
Cole non raggiunse il grande successo fino a quando non incise "Sweet Lorraine", nel 1940. Benché cantasse ballate con il suo trio, era molto timido riguardo alla sua voce. Pur andando fiero della sua buona dizione, non si considerò mai un grande cantante. Il suo stile suadente, tuttavia, ben contrastava con l'approccio aggressivo di molti cantanti jazz.
Negli anni '50 la popolarità di Cole era così grande che l'edificio della Capitol Records, a Hollywood, era spesso chiamata The House that Nat Built, ossia "la casa che Nat ha costruito".
Cole raggiunse il grande pubblico con la canzone Mona Lisa, del 1950, che giunse in vetta alle classifiche. Con questo brano iniziò una nuova fase nella sua carriera, finora dedicata alle ballate pop, benché mai troppo lontana dalle sue radici nel jazz.
Cole fu il primo artista afro-americano ad avere un suo programma radiofonico e bissò il suo successo nei tardi anni '50 con il primo show televisivo a copertura nazionale condotto da un afro-americano. In entrambi i casi i programmi non durarono molto, furono cancellati perché gli sponsor - non volendo legarsi ad un artista nero - si ritirarono. Cole combatté il razzismo durante tutta la sua vita, rifiutandosi di esibirsi nei locali dove venivano applicate le norme della segregazione razziale. Nel 1956 fu attaccato sul palco a Birmingham (Alabama) da membri del White Citizens' Council che sembrava volessero rapirlo. Nonostante le ferite riportate, Cole terminò lo spettacolo e giurò di non tornare mai più ad esibirsi nel sud degli Stati Uniti, cosa che non fece più.
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Nat King Cole, che era un forte fumatore, morí di cancro al polmone nel 1965, a 46 anni.
(Fonti: Wikipedia, Jazz in Italia, Jazz Enciclopedia, The American Jazz Revue)
Quelli della mia generazione hanno preso, almeno una volta nella vita, una cotta per qualcuno o qualcuna, sotto l’impulso di qualche vecchio 78 giri suonato su un giradischi a carbonella, di quelli che al posto della puntina avevano un chiodo. Io ho molte ragioni per amare la famiglia Cole: innanzitutto lui, Nat King Cole, la sua caldissima voce nera da fumatore accanito, ed il suo trio jazz, per l’epoca molto innovativo.
In secondo luogo, sono sempre stato affascinato dalla sua capacità di limitare il proprio successo, pur di rimanere coerente con le proprie battaglie contro il razzismo e il segregazionismo.
Infine, mi ha sempre affascinato il suo sodalizio artistico con la figlia Natalie, grande voce naturale. Non è facile fare “qualcosa insieme”, nel campo della musica, ad un proprio figlio. Loro ci sono riusciti splendidamente, producendo alcuni duetti di struggente bellezza. In questa puntata (ce ne sarà in futuro un’altra, dedicata alla sola Natalie, che la merita tutta), in offerta speciale offriamo al vostro ascolto due brani, entrambi stupendi: il primo è per Nat King Cole che canta e suona il piano col suo Trio; il secondo è uno splendido duetto "virtuale" di Nat con la figlia Natalie:
Voglio darvi una notizia: non vi darò alcuna notizia su Mina Mazzini detta Mina, per tre ragioni: la prima è che di Mina sapete tutto; la seconda è che se andate su qualsiasi motore di ricerca e digitate “Mina”, trovate tonnellate di informazioni su vita, dischi, amori e quant’altro; la terza è che il travaglio del parto del PD mi ha stremato, e quindi, per una volta, non ho voglia di cercare contributi particolarmente originali.
Quindi solo un paio di notizie:
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l’anno venturo Mina festeggerà, sempre in piena attività discografica, e spesso ancora di notevole livello, i CINQUANTA anni di attività, avendo debuttato in TV nel 1958, nel “Musichiere”
Mina, detta la “Tigre di Cremona”, è di Busto Arsizio.
Ha una estensione vocale di oltre tre ottave: per capire di cosa stiamo parlando, mettetevi davanti alla tastiera di un pianoforte e misurate la vostra.
Mina non è un mostro di bravura solo per questo, ma per le enormi capacità interpretative ed espressive, e per il coraggio di sfidarsi sempre in nuove avventure musicali, a volte dense di pericoli.
Se Mina non avesse avuto “paura di volare”, cosa che le ha precluso i mercati d’oltre atlantico, forse sarebbe diventata una delle cantanti di maggior statura internazionale.
Dato che amo più la Mina degli anni recenti, con la voce resa più calda e matura dagli anni, questa settimana vi propongo un bellissimo duetto, relativamente recente, in coppia con Adriano Celentano:
Milton Jackson, detto Milt, nasce nel ’23 a Detroit, e muore nel ’99 a New York. Stranamente, pur essendo considerato (a mio avviso a ragione) il più grande vibrafonista di tutti i tempi, nasce musicalmente come pianista. Di queste sue origini si trovano ancora tracce stilistiche nel suo modo di suonare il vibrafono.
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La sua carriera musicale vera inizia a 23 anni, quando viene scoperto da Dizzy Gillespie, che lo prende per la Big Band, nella quale impara ad essere, oltre allo straordinario improvvisatore che è già, anche “uomo d’ordine”, da arrangiamento scritto.
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Come succede a tutti quelli della sua generazione nella East Coast, gli capita di suonare, fino al ’52, con quasi tutti quelli che contano: da Thelonius Monk a Charlie Parker, a Miles Davis e a tanti altri.
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Ma l’esperienza “fatale”, nel senso che segna la sua storia musicale e la sua vita, gli capita nel ’52, quando accade che incontri altri tre signori, che rispondono ai nomi di Percy Heath, John Lewis e Kenny Clarke.Si mettono insieme per registrare un disco di cui non ricordo neanche il nome, ma che segna la storia del Jazz, perchè è l’atto di nascitadel Modern Jazz Quartett (familiarmente definito attraverso l’acronimo MJQ). Resteranno insieme per 22 anni – fino al ’74 – per poi avere un ritorno di fiamma nell’81, quando il quartetto, mai dimenticato e sempre rimpianto dal pubblico, si ricostituirà. Ma del MJQ parleremo in altra occasione, quando gli dedicheremo una “perla” specifica.
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Milt, sia in mezzo alle due vite del MJQ, sia durante, ha anche avuto saltuarie collaborazioni concertistiche e discografiche, oltre che coi già citati Monk e Parker, anche con Miles Davis e John Coltrane. Ma la perla che vi offriamo questa settimana è una incisione inaspettata con due grandi dei rispettivi strumenti: Joe Pass alla chitarra, e Ray Brown al basso, coi quali ha registrato un album dedicato a Duke Ellington. Il brano proposto è uno dei più famosi standards di Duke Ellington, Solitude, e l’esecuzione si ispira ai ritmi e al sound della migliore bossanova
Le origini di Michael Bublé sono italiane: il nonno veneto di Treviso, la nonna Yolanda di origini abruzzesi di Carrufo (AQ). Nato nel 1975 a Vancouver, Canada, con la voce che si ritrova, con il viso da bel tenebroso e un look alla moda, Michael Bublé potrebbe tranquillamente inseguire sogni dorati nel mondo del pop. E invece la strada scelta aggira le melodie "facili" e i videoclip sexy. La sua musica omaggia Frank Sinatra, Bobby Darin, Ella Fitzgerald e Mills Brothers.
"Nel corso della mia crescita mio nonno è stato il mio migliore amico - racconta Bublé -. E' stato il primo a farmi conoscere un mondo musicale che la mia generazione sembra aver dimenticato. Sebbene io ami il rock e la musica moderna in genere, la prima volta che mio nonno mi ha fatto ascoltare i Mills Brothers è successo qualcosa di magico. E' stato come se il mio futuro si fosse materializzato in quell'istante: ho capito che volevo diventare un cantante, e che quella sarebbe stata la musica che avrei fatto".
A distanza di alcuni anni dalla "rivelazione", Michael Bublé ha pubblicato un album che è il manifesto della sua passione per lo swing. E' proprio seguendo lo stile dei suoi ispiratori, tra cui trovano posto anche Keely Smith, Sarah Vaughan e Rosemary Clooney, che il cantante canadese ha rivisitato alcune hit del passato (anche recente) che hanno segnato la sua formazione artistica. E così, accanto alla cover di "Put your head on my shoulder", con cui il teen idol Paul Anka infranse i cuori delle coetanee sul finire degli anni '50, e a quella di "Come fly with me", dell'insuperabile Frank Sinatra, trovano posto, ad esempio, "Crazy little thing called love" di Freddie Mercury e compagni (Queen), e "Kissing a fool" di George Michael. Nell'album compare inoltre una cover di "How can you mend a broken heart" dei Bee Gees a cui contribuisce in qualità di ospite proprio Barry Gibb.
"Penso che tutte queste canzoni abbiano qualcosa in comune - spiega Michael -. Hanno tutte un cuore e un'anima, rappresentano la volontà dei loro autori di stabilire un contatto vero con chi le ascolta". Molti di questi brani sono tra i primi cantati dal giovanissimo Bublé. "Mio nonno - racconta -, per introdurmi nel mondo della musica, mi chiese come favore di imparare alcune delle sue canzoni preferite. Non ci volle molto per convincermi e qualche tempo dopo già partecipavo a concorsi di canto locali. Ne vinsi anche uno, ma fui squalificato perché ero troppo piccolo".
Sotto la direzione del nonno Michael dall'età di 17 anni ha pubblicato diversi album con etichette indipendenti. La vera svolta è arrivata quando l'ex primo ministro canadese Brian Mulroney, grande appassionato di musica pop, ha presentato Bublé al produttore David Foster, che lo ha immediatamente messo sotto contratto per la sua etichetta, la 143 Records.
Dopo il successo ottenuto con la canzone "Spiderman" tema della colonna sonora del film "Spiderman 2" (2004), è uscito nel 2005 il secondo disco di Michael Bublè, intitolato "It's Time". Notizie biografiche tratte dal sito www.thevoice.it/buble/
Questo è quanto contenuto nella biografia semi-ufficiale di Michael Bublé: io voglio solo dire che non sono d'accordo su quasi nulla, per quanto concerne i riferimenti stilistici e culturali di Bublé (tranne, forse, una certa vicinanza stilistica e di scelta dei temi con Frank Sinatra, dal quale peraltro lo separa un abisso in termini di qualità interpretative e di timbro vocale. A me ricorda semmai una grande voce del jazz della generazione precedente, Tony Bennett, col quale spesso mi capita per un attimo di confonderlo, specie nei brani più dotati di swing.
Non è il caso della proposta odierna. Oggi è un giorno di festa. Veniamo da giorni di tristezza e di rabbia. Ho cercato d risarcirvi con una canzone del genere più biecamente e dichiaratamente "easy listening", che si lascia ascoltare con estremo piacere.
Michael Bublè - You'll never find another love like mine
Questa settimana, avendo poco tempo per accurate ricerche biografiche e critiche, ed avendo persino un'ora in meno per via dell'ora legale, ho pensato di proporre un cantante del quale non devo raccontarvi niente, sia perchè sapete già tutto, sia perchè chi volesse sapere ancora qualcosa trova in rete decine di migliaia di links che raccontano tutto, ma proprio tutto, della vita e della storia musicale di Lucio Dalla.
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Lucio appartiene alla genìa dei "pazzi d'ingegno", quelli che periodicamente sono in grado di buttare a mare tutte le loro vite precedenti, e di iniziarne una nuova. La canzone che proponiamo oggi risale alla storia di Dalla della fine degli anni settanta. E' il periodo della cooperazione con Ron come arrangiatore, forse il periodo nel quale Dalla ha prodotto le sue cose più note (Anna e Marco, L'anno che verrà, Futura, Cara, Balla balla ballerina)...
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Fra queste perle ce n'è una che trovo fantastica, ma che non ha avuto la notorietà delle altre, perchè per le "peculiarità" del testo, credo che non abbia fatto neanche un passaggio sulla radio o sulla TV di stato: si tratta di "Disperato erotico stomp", musica allegrissima, testo tristissimo. Un triste inno alla solitudine, eseguito con lo stile lieve del "ridiamoci su per non piangere".
Lina Sastrinasce nel 1953 a Napoli. Attrice di profonda e solida formazione teatrale, è molto legata alla recitazione popolare napoletana e alle tradizioni del teatro partenopeo di cui incarna una splendida sintesi di vitalismo, musicalità a radicato senso del tragico. Sul grande schermo la sua prima parte importante la svolge ne Il prefetto di ferro (1977) di Pasquale Squitieri. L'anno seguente è in Gli ultimi tre giorni (1978) di Gianfranco Mingozzi, mentre Nanni Moretti la chiama ad interpretare la vulnerabile Olga in Ecce Bombo (1978). Nel 1983 arriva il successo e la notorietà grazie a Mi manda Picone di Nanni Loy e nel 1984 riceve lo splendido ruolo della terrorista Laura in Segreti segreti di Giuseppe Bertolucci. Nella sua carriera cinematografica, che ha avuto sempre un posto subordinato a quella teatrale, vi sono altri ruoli che meritano senz'altro una menzione per la intensità dei personaggi messi in scena dalla Sastri come in Piccoli equivoci (1989) di Ricky Tognazzi, Celluloide (1995) di Carlo Lizzani. Ha lavorato con i maggiori autori del cinema italiano come, oltre a quelle già citati, Alberto Bevilacqua, Damiano Damiani e Sergio Rossi. http://www.mymovies.it/dizionario/biblio.asp?a=8759
Intervista a Lina Sastri
Ho cominciato a lavorare con Eduardo come comparsa. Un vecchio attore che lavorava con Eduardo e che adesso è morto, Gennarino Palumbo, abitava vicino casa mia a Napoli. Io avevo appena debuttato con la Danieli, avevo 18 anni, ero giovanissima. E lui mi disse: "Vieni così ti presento Eduardo. Cerca giovani attrici". Io andai e lui mi prese. Mi prese, io ero una giovane attrice promettente nel panorama napoletano di allora, ma accettai di fare la comparsa con lui. Si trattava de Il sindaco del rione Sanità, dove io entravo alla fine del terzo atto come comparsa muta. Poi, durante quell’anno, quella stagione, Eduardo mise in scena Gli esami non finiscono mai, con un cast numerosissimo.
Il primo giorno, Eduardo stesso leggeva la commedia e non diceva chi erano gli attori che avrebbero interpretato i personaggi. Prima di dare la distribuzione, Eduardo passando un giorno mi disse: "Ma tu sai cantare? So che sai cantare". Io speranzosissima risposi: "Sì". E quindi pensavo che poi mi avrebbe assegnato il ruolo della cantastorie che invece andò, e giustamente, alla grande Isa Danieli, che era attrice con Eduardo da tanti anni. Il giorno in cui lesse i personaggi, andava dall’inizio alla fine ed io non c’ero mai. Il cantastorie non ero io, vari personaggi, anche le mie amiche attrici che avevano appena cominciato avevano due o tre personaggi ognuna, non c’ero, non c’ero mai. Fui l’ultima, Camilla, avevo due battute alla fine del terzo atto. Poi, durante le prove me ne scrisse un’altra di battuta, al momento, un’altra e poi un’altra. Capitò anche che in quella commedia un’attrice si ammalò, come sempre succede alle attrici, ed io la sostituii all’ultimo momento. Era Bonaria, il ruolo di Bonaria che io avevo molto amato e che ancora ricordo quando me lo disse, me lo disse lui.
Cominciò appunto con la sostituzione – questo classico fatto che succede nella vita delle attrici – l’incontro, diciamo personale, con Eduardo, da cui poi nacque la grande fortuna, il grande privilegio, non soltanto di aver conosciuto un maestro – cosa che ai giovani adesso tanto manca –, ma anche di aver conosciuto la persona di Eduardo. Perché lui poi mi onorò nel tempo della sua grande sensibilità unita al rigore, mi onorò nel tempo della sua stima e credo anche dell’amicizia [...]
...è una lunga, balle intervista, molto "densa", che chi vuole può leggere integralmente al link indicato sopra. Di mio, voglio solo aggiungere che, avendo avuto la fortuna di vederla recitare e di sentirla cantare, mi sembra un mix fantastico di persone, volti, voci che adoro: mettete insieme il volto di una ex scugnizza con quello drammatico di Irene Papas, la sua voce dolce con quelle "sbagliate" di una Gabriella Ferri o di una Mia Martini, ed avrete Lina Sastri.
Dopo tanto Jazz, forse anche voi meritate un momento di riposo.
La fama diKeith Jarrett è talmente consolidata ed universale, che poco possiamo aggiungere a quanto riportano le biografie ufficiali. Nasce negli USA nel 1945, e fin da bambino mangia pane e pianoforte. E’ pianista la nonna paterna, è insegnante di piano sua zia, e sua madre canta in alcune piccole bands della Pennsylvania, dove la famiglia vive. Keith Inizia a studiare il piano a tre anni, dà il primo concerto a 9, e comincia stabilmente a guadagnare soldini a 12. A 18 anni lo ritroviamo prima alla celeberrima Berklee Music School di Boston (è una scuola che sentirete nominare spesso, perchè sta partorendo un sacco di jazzisti (e soprattutto di jazziste) in arrivo dall’Italia, quasi tutti predestinati a grandi affermazioni professionali neli USA e in giro per il mondo.
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A vent’anni è a New York, con Art Blakey e i Jazz Messengers, un gruppo che ha fatto la storia di questa musica. Pochi mesi, ed arriva un’altra tappa fondamentale della sua vita: incrocia il batterista Jack DeJohnette, che ritroverà più tardi, per formare, insieme a lui e al bassista Gary Peacock, un trio che è stato forse il più stabile, nel tempo della storia del jazz: 15 anni insieme, una vita... Ma prima di questa avventura, che sarà la più importante della sua vita, farà in tempo ad essere “scoperto” ed assunto da Miles Davis, e a militare in gruppi nei quali suonano personaggi del calibro di Herbie Hancock e Chick Corea.
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Il suo storico trio, insieme a Jack DeJohnette e Gary Peacock, nasce nell’83, e resiste per 15 anni, trovando una perfezione formale, un amalgama, che forse in tutta la storia del jazz moderno hanno raggiunto solo il Trio di Bill Evans del ’64, con Scott La Faro e Paul Motian, ed il Modern Jazz Quartet. Poi Jarrett deve interrompere la collaborazione, verso la fine degli anni ’90, per una “sindrome da affaticamento cronico” (ascoltando il brano che vi proporrò, capirete cosa questo significhi, e come sia possibile).
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In questa fase, mentre gli riesce difficile tenere legati altri musicisti a causa della aleatorietà del suo impegno, scopre la musica classica, e lascia mirabili interpretazioni di Haendel, Bach, Shostakovich, Mozart.
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Nel 2004 a Keith Jarrett viene assegnato il “Léonie Sonning Music Award”, un prestigiosissimo premio quasi sempre assegnato a concertisti di musica classica. Il primo a ricevere questo premio era stato un tale di nome Igor Stravinsky. Oltre a Keith Jarrett, solo un altro jazzista aveva vinto questo premio: Miles Davis.
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Sulla scelta del pezzo da proporre sono stato molto incerto, perchè quelli che meritano di essere ascoltati sono decine e decine. Alla fine, ne ho scelto uno (è un classico del pianismo jazz: si intitola “Solar”, e per qualsiasi pianista jazz è una sorta di tesi di laurea. Jarrett, col suo trio, lo esegue ad una velocità folle, senza una esitazione, senza una sbavatura, e mantenendo per tutti gli oltre 5 minuti dell’esecuzione una fluidità di invenzione e di esecuzione che ha del miracoloso. L’ho scelto anche per far capire come, suonando in un modo così pazzesco, ci si possa ammalare di “sindrome da affaticamento”. Il pezzo non è facilissimo, ma ascoltatelo chiudendo gli occhi, e immaginando il movimento delle mani. Poi pensate che prima di “eseguire” certe improvvisazioni, queste sono nate in qualche angolo dell’anima e del cervello, e sono arrivate alle mani attraverso il sistema nervoso e quello muscolare...
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No, meglio di no: non pensate a niente. Ascoltatelo e basta, pensando che di pianisti così ne nascono uno ogni dieci anni.
La Grande Musica, quella che supera indenne i decenni e i secoli, spesso ci appare non solo grande, ma anche assolutamente originale ed innovativa. Eppure, raramente è così. Tutti i grandi musicisti sono dei grandi ascoltatori più o meno consci di musica altrui. La grande musica si insinua sempre in qualche anfratto della memoria, e vi rimane, allo stato latente, magari per anni. Poi, a volte, riemerge dall’inconscio, e, tranne casi di plagio latente, diventa la base di qualcosa di nuovo.
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Ma le vie delle grande musica, diversamente dalle vie del Signore, non sono infinite. La cultura musicale, o semplicemente il ricordo, si accumula e si stratifica per secoli. E’ davvero difficile che qualcuno possa, percorrendo le main streets, mettere i piedi dove mai prima piede umano abbia lasciato un’impronta.
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Prendete uno dei più bei pezzi brasiliani di tutti i tempi: Insensatez (o, se preferite, How Insensitive): autori di tutto rispetto, come Carlos Jobim e Vinicius de Moraes, padri nobili della bossanova; un pezzo che ha attraversato mezzo secolo, senza mostrare il minimo segno di stanchezza.
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Ebbene... sapete chi è, senza saperlo, l’autore di questa bossa? ...tale Fryderyk Franciszek Chopin (1810 – 1839), che l’ha scritta circa 135 anni prima di Carlos Jobim. Preludio Opera 28. Per carità, nessun plagio, solo quel riaffiorare dal profondo della memoria che è proprio di tutte le cose belle.
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Ascoltate questo brano, che inizia col Preludio di Chopin, e che dopo circa un minuto vira, con grandissima naturalezza, con lo stesso “giro armonico”, e quasi con la stessa linea melodica, nel pezzo che amiamo da mezzo secolo. Non è affatto un musicomontaggio (si può dire?) ma un pezzo con una sua introduzione ed un suo svolgimento logico.
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In questo divertissement la voce di Karrin Allison è, col suo calore, solo un valore aggiunto, che rende più piacevole l’ascolto. Cantante versatile e proteiforme, capace di attraversare con nonchalance molti generi, dagli standards, al jazz, alla bossa. Di lei hanno scritto:
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“One of the most charismatic figures on tour today.” – New York Times
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“The stuff that shivers are made of, both innocent, sexy and world weary.” – Washington Post
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“Name your singing style and there's a pretty good chance that Karrin Allyson can handle it well - Los Angeles Times
“...ci sono uomini che, nascendo, potrebbero chiamarsi Giovanni Coltrani, e nessuno se ne stupirebbe. Altri nascono per chiamarsi John Coltrane, e per stupire il mondo...”Era il 1965. Io ero appena passato dalla Unilever alla Vicks, e andavo due volte al mese a Parigi, alla sede Europea. La Vicks era vicino all’Etoile, in Avenue de Wagram; anche il Blue Note era vicino all’Etoile, in una traversa degli Champs Elysées che buttava verso Avenue de Wagram.
Nell’albergo dove andavo, una sera incontro Franco Cerri (l’uomo in ammollo, qualcuno lo ricorda?), che avevo conosciuto nel periodo dell’Unilever. Un personaggio squisito, oltre che un grandissimo musicista. All’epoca era ritenuto uno dei più grandi chitarristi jazz d’Europa. Lo avrei poi una volta ancora; qualche anno fa, quando perse un giovane figlio (figlio d’arte, suonava il basso con Renato Sellani al “Ponte” di Brera) per una malattia improvvisa e fulminante.
E’ stato lui a mandarmi la prima volta al Blue Note. Anno fortunato. John Coltrane aveva appena costituito un quartetto tutto suo, il cui pianista era un signore che sarebbe poi diventato un altro mostro sacro: tale McCoy Tyner, uno dei padri putativi del free Jazz.
John Coltrane era un gigante, non solo dal punto di vista musicale, ma anche fisicamente. Aveva 39 anni, essendo nato nel ’26. Sarebbe rimasto in vita ancora e solo due anni.
John Coltrane è stato al tempo stesso un grande innovatore ed un grande tradizionalista; le sue innovazioni erano ”visceralmente capite” anche dai non addetti ai lavori, perchè non avevano niente di intellettualmente costruito; erano fluide, belle, facili da sentire.
La sua biografia sarebbe interminabile; basti dire che viene ingaggiato a 23 anni da Dizzy Gillespie, e a 29 anni da Miles Davis. Nel frattempo erano diventate leggendarie alcune sue jam sessions con Sonny Rollins, alcune delle quali salvate dalla Blue Note.
Di lui il musicologo Jean-Louis Comolli avrebbe scritto: “...«...senza dubbio il jazz non è stato mai portato a un tal punto di esaltazione, l'improvvisazione così vicino al delirio e la bellezza tanto vicino alla mostrousità, che è la perfezione superumana. Musica non celeste ma infernale, in cui l'amore di Dio è la morte dell'uomo...»
E Red Garland, un pianista che lo conosceva molto bene, avrebbe scritto: «...stare accanto a Coltrane è stato più che un'esperienza impagabile. Lui iniziava a soffiare e ognuno di noi veniva immediatamente catturato nella sua rete. Non potevi più uscirne fuori. Ma, per il vero, nessuno di noi ha mai tentato di uscirne. Era ammaliato, stregato, plasmato, annientato dalla sua musica, dalle note che quel sassofono sfornava a getto continuo, senza tregua, senza remissione. Note incandescenti che avrebbero potuto anche ustionarti. E tutte con un preciso significato. Trane non ha mai fatto nulla in cui non credesse fortemente e che non sentisse intensamente. Era un sincero, un passionale. Si è distrutto suonando troppo. La creatività, che aveva dentro e non gli dava tregua, lo ha fatto morire. Dopo Charlie Parker è arrivato Trane. Poi, quando anche lui è scomparso, è rimasto il deserto. Arriverà un altro messia? All’orizzonte non appare nessuno...»
Il brano proposto questa settimana è del “periodo parigino”, quello che più amo perchè meglio conosco, ed è eseguito in quartetto con McCoy Tyner:
Di Joan Baez Wikipedia riporta una biografia, peraltro molto completa, che comincia con le seguenti parole: ”... è una cantante di musica folkstatunitense conosciuta anche per il suo impegno politico...”
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Io, che sono un noto provocatore, vorrei parafrasare e capovolgere questo concetto: “Joan Baez è stata un fulgido esempio di impegno civile, portato avanti per mezzo secolo. In questo è stata aiutata da una splendida voce, da una famiglia meravigliosa, da splendidi compagni di viaggio”
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Dopo la Iva Zanicchi di “OK il prezzo è giusto”, la Baez delle marce per i diritti delle minoranze, di Hanoi... a volte l’ordine alfabetico gioca brutti scherzi,avvicinando cose che fra di loro c’entrano come l’abbaino e Cesare Abba... Della Baez musicista dirò poco, perchè sapete tutti tutto, e se volete la discografia completa, la trovate in mille siti internet, a cominciare da Wikipedia. A me preme oggi ricordare alcune tappe fondamentali dell’ “altra” Baez, quella che è diventata cara a due generazioni di diseredati in tutto il mondo.
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Joan Baez è nata a Staten Island (NY) nel 1941, in piena guerra, anche se la guerra era altrove. Suo padre, il fisico Albert Baez, rifiutò posti di prestigio nel campo della difesa militare, probabilmente influenzando con queste scelte il successivo impegno politico di Joan nel campo del pacifismo e della tutela dei diritti civili.
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Nel 1951 Joan risiede a Baghdad, a causa dei frequenti spostamenti per lavoro di suo padre. Rimane molto colpita dalla povertà e dalle condizioni di vita della popolazione locale.
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Alla fine degli anni ’50 Albert Baez è al MIT di Boston, dove si trasferisce con la famiglia. Studia, ed inizia a cantare e suonare in un locale di Cambridge, per 20 dollari a sera. Nel ’60 incide il suo primo album,che non passerà alla storia. Il successo arriva l’anno dopo col secondo album (Joan Baez Vol. 2, che vince il disco d'oro) E’ la consacrazione definitiva come cantante. Nei primi anni sessanta contribuisce a dare il successo a personaggi del calibro di Bob Dylan e Joni Mitchell.
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L’impegno sociale e politico di Baez è caotico, ma sincero, e non conosce pause. La ritroviamo moglie, nel ’68, di un uomo arrestato perchè renitente alla leva per il Vietnam. La ritroviamo splendida esecutrice di “We shall overcome” alla marcia di Martin Luther King a Washington; la ritroviamo nelle battaglie per l’obiezione fiscale (autodecurtava i versamenti delle sue imposte sul reddito della quota che sarebbe servita per i costi della guerra in Vietnam).
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La ritroviamo al festival di Woodstock, dove la sua molto politicizzata "The Night They Drove Old Dixie Down” entra nella hit americana dei singoli.
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Durante il Natale del 1972, si unisce ad una delegazione pacifista che attraversa il Vietnam del Nord sia per chiedere il rispetto dei diritti umani nello stato, che per consegnare la posta e gli auguri natalizi ai progionieri di guerra statunitensi. Durante il suo soggiorno inizia su Hanoi il "bombardamento di Natale" ordinato da Richard Nixon, durante il quale la città viene bombardata ininterrottamente per undici giorni.
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Nei primi anni '70, Joan si impegna molto a sostegno di Amnesty International. Nel 1981 la ritroviamo in Cile, Brasile e Argentina, ma in nessuno dei tre paesi le viene permesso di esibirsi; i governi locali non vogliono sentir parlare di tortura e sparizioni.
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Nell'agosto del 2005 partecipa in Texas al movimento di protesta pacifista avviato da Cindy Sheehan, il mese successivo canta "Amazing Grace" durante il "Burning Man Festival" tributo alle vittime dell'uragano Katrina e nel dicembre 2005 partecipa alla protesta contro l'esecuzione di Tookie Williams.
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Di questa bellissima persona, che a 66 anni lotta ancora per il prossimo con la freschezza, l’energia, e a volte l’ingenuità di una ventenne, vogliamo offrire al vostro ascolto, eccezionalmente, due “inni” all’ottimismo ed alla speranza, che sono al tempo stesso parte della colonna sorona dei nostri “anni della speranza”:
C’è, su un sito RAI, una biografia di Gianni Morandi, della quale vi risparmierò gran parte della sezione musicale, che peraltro tutti, più o meno, ricordano abbastanza bene. Quello che invece di Moranti mi ha sempre affascinato è il mix del contesto familiare e sociale nel quale è diventato “l’eterno ragazzo” che tutti conosciamo.
Nasce a Monghidoro (Bo) nel 1944. Giovanissimo, per far quadrare il bilancio familiare, si impegna in piccoli lavori: Vende bibite e caramelle nel cinema del paese. Nel Capodanno del 1956, diventa la piccola star del suo paese. Durante i festeggiamenti in piazza canta a squarciagola la canzone Buon anno, buona fortuna, con il suo vocione potente amplificato dagli altoparlanti a tromba Geloso piazzati sul tetto di una Fiat 1400.
A dodici anni abbandona gli studi dopo aver iniziato le scuole di avviamento commerciale, e si trasferisce a Bologna. Lì studia canto con la maestra Alda Scaglioni, cacciatrice di talenti musicali da lanciare nelle balere dell'Emilia Romagna. Il debutto ufficiale avviene nell'aprile del 1958, nella Casa del Popolo di Alfonsine in provincia di Ravenna.
Inizia una dura gavetta durante la quale impara a suonare la chitarra e la batteria. Il padre, anche se umile, tiene alla sua educazione e gli fa leggere nell'ordine: “Che fare” di Tchernischevsckij, “Due passi avanti e uno indietro" di Lenin”, “Il Capitale di Carlo Marx”, “I quaderni del carcere” di Antonio Gramsci. Tutta roba leggera. Nel 1961 fonda il gruppo musicale, Gianni Morandi e il suo complesso.
Ecco, il resto della biografia ve lo risparmio; quello che mi ha sempre affascinato, di Morandi, è il sorriso; quando il caimano sorride, si capisce lontano un miglio che “indossa” il sorriso come una cravatta di Marinella; quando sorride Morandi, si capisce che il sorriso parte dalla pancia e dal cuore ed arriva sulle labbra.
Io sono affascinato anche da questo sempiterno ragazzo che lascia le scuole a 12 anni, ma che riesce a districarsi, senza grossi problemi, fra congiuntivi, condizionali e concetti… E poi questo incredibile padre che gli mette in mano Tchernischevsckij, Marx, Gramsci… e la perla dell’esordio professionale, a 14 anni, nella “Casa del Popolo” di Alfonsine…
Gianni Morandi, pur non avendo mai imboccato la strada dell’impegno ad ogni costo, ha inserito nel suo repertorio anche qualcosa di impegnato, senza peraltro lasciarsene totalizzare. E’ stato, e continua ad essere, un cantante dal repertorio quasi sempre semplice, quasi sempre piacevole. Come “Perla” di questo ragazzo di 63 anni ho scelto “Canzoni Stonate” perché mi piace, perché spero che piaccia anche a voi, e perché mi ricorda anche certe piccole esperienze “musicali” personali del periodo dell’Università, durante il quale affrontavo, insieme ad altri temerari amici, il rischio del lancio di ortaggi e oggetti contundenti, pur di guadagnare quanto serviva per la miscela al 5% nella Vespa, e per “l’ingresso, consumazione inclusa”, al Tramonto d’Oro di Praiano, quando c’erano i nuovi “arrivi” di studentesse austriache, argomento sul quale il gestore del “Tramonto” ci teneva tempestivamente aggiornati.
...chi lo diceva? "...quando il dolore del ricordo diventa insopportabile, si deve seppellire quel ricordo con un altro, più dolce, che scaldi il cuore che sta morendo di freddo..." Noi tutti, in tal senso, siamo debitori di Roberto Benigni, e della sua splendida favola...
...scagli la prima pietra colui che vedendo "La vita è bella" non si sia lasciato sfuggire una lacrima liberatoria... perchè il grande merito del film di Benigni è stato quello di farci ritrovare, nella profondità dell'abbisso più profondo, le ultime tracce di umanità...
...la nostra immensa gratitudine va anche a Piovani, che ha composto la splendida colonna sonora del film (un inno alla speranza), e a Noa, che ne ha "popolarizzato" la musica con una interpretazione cantata degna della sua bellezza e del suo impegno...
...vogliamo dedicare a tutti l'ascolto di questa dolcissima "Beautiful that way" di Noa: che questa bellissima musica possa rappresentare, per noi, un segno di speranza
La Perla Musicale che apre il 2007, e che conclude il periodo delle feste di Natale, è “Gesù Bambino” di Francesco De Gregori, e vuole essere il mio “contributo laico” e il mio augurio di pace agli iracheni ed agli americani, ai palestinesi ed agli israeliani, ai russi e ai ceceni, agli etiopi e ai somali, ai Tutsi e agli Utu, ai bianchi ed ai neri, ai guelfi ed ai ghibellini, a tutti quelli che, in qualsiasi parte del mondo, in questo momento si sparano, vengono rapiti, vengono impiccati, saltano sulle mine, cadono da un’impalcatura, annegano cadendo da un gommone, muoiono di freddo coperti da un cartone, muoiono con un colpo alla nuca, o con una scarica elettrica, o con una iniezione letale, muoiono di fame col loro mezzo dollaro al giorno, muoiono di Aids perché il papa non vuole i profilattici. Un inno di pace a tutti i diseredati del mondo.
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Francesco De Gregori nasce a Roma nel ’51. Lo conoscete tutti molto bene, quindi le note biografiche saranno molto scarne.Artisticamente nasce in un locale romano, il Folkstudio, dovetra gli altri si esibiscono Antonello Venditti, Ernesto Bassignano (quello di “Mi scappa il trend”), Mimmo Locasciulli, Riccardo Cocciante.Fino ad allora aveva aiutato il padre, dirigente delle biblioteche vaticane, a salvare i libri dall'alluvione di Firenze. Ed aveva letto molto - Steinbeck, Cronin, Pavese, Marcuse, Pasolini i suoi preferiti - ed imparato a suonare strimpellando la chitarra. Ora, invece, diciottenne fa parte dei giovani del folk, ovvero della scuola romana della canzone d'autore italiana.
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Spinto dal fratello Luigi, comincia ad esibirsi con alcune traduzioni dei brani di Dylan, gira l'Italia con la sua Renault 4, accompagnando con la chitarra la folk-singer Caterina Bueno da Firenze e entra a far parte della scuderia Vincenzo Micocci, realizzando con Antonello Venditti il suo primo album, Theorius Campus.
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Nel 1973 passa alla RCA: esce il disco Alice non lo sa, in cui sono contenute le canzoni Alice, che arriva ultima a Un disco per l'estate (quando si dice la chiaroveggenza dei giurati nei festivals…)
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Nel ’74 nasce l'amicizia con Fabrizio De Andrè e, di conseguenza, la collaborazione con il cantautore genovese. De Gregori, durante un concerto al Palalido di Milano, subisce un vero e proprio processo. È accusato da un gruppo di spettatori di arricchirsi con la scusa del messaggio politico. E così, colpito nella sua sensibilità, sospende la tournée e si ritira dall'attività per un lungo periodo durante il quale lavora in una libreria romana e decide addirittura di cambiare mestiere.
. Nel 1978, dopo due anni di assenza, il rientro sulle scene. De Gregori pubblica l'omonimo disco nel quale sono contenute Generale, Natale e le due versioni di Renoir. Ma è nel 1979 che il cantante torna sul palco cimentandosi in uno dei più grandi eventi della musica leggera italiana: Banana Republic, un'estate densa di concerti negli stadi d'Italia e un successo di enormi proporzioni da cui vennero tratti un doppio album dal vivo ed un film. Al termine della tournée viene pubblicato, sempre nel 1979, l'album Viva l'Italia, un lavoro soft dove, per la prima volta, compaiono nella sua produzione musicale ritmi sudamericani. Il 1982 è poi l'anno di Titanic, dedicato alla tragedia del famoso transatlantico della Star Line e del suo comandante Smith, spesso citato da De Gregori durante i concerti. Nel 1983 il cantantautore compone la colonna sonora del film Flirt, pubblicata in un disco che diventa famoso perché contiene il brano La donna cannone.
. Nel 1985 ancora una collaborazione importante: questa volta con Ivano Fossati, nel disco Scacchi e tarocchi. È poi la volta di Terra di nessuno. Fra le canzoni Pilota di guerra, ispirata dal romanzo Il piccolo Principe. Infine gli ultimi album: Mira Mare 19.4.89 del 1989 e Canzoni d'amore del 1982. Nel 1995 collabora con l'Unità di Walter Veltroni, scrivendo articoli su vicende attuali della storia d'Italia. Nel 1996, dopo quattro anni di silenzio, con una nuova band pubblica Prendere e lasciare. L'anno dopo La valigia dell'attore.
…quando una splendida ragazza si unisce ad una voce incredibile e ad una chitarra dolcissima; quando il tutto si fonde in maniera tale da sfiorare la perfezione, e da creare indicibili emozioni agli amanti di qualsiasi tipo di musica; quando tutto questo sparisce all’età di 33 anni, tre anni prima che il mondo della musica che conta si accorgesse di lei… allora si può proprio dire che a volte il destino è ingeneroso. Perché questa splendida cantante, se non fosse scomparsa in maniera così precoce, avrebbe potuto regalarci decenni di grandi emozioni. In un bellissimo articolo di Stefano Boni e Ino, così viene descritta Eva Cassidy:
Eva Cassidy è diventato uno dei più grandi errori musicali della storia. La sua voce è una delle più espressive ed impressionanti degli ultimi venti anni. Eva possiede una capacità interpretativa che pochissimi hanno. Dopo anni passati a suonare in un locale, e il frenetico tentativo di ottenere un contratto con una major, ecco che improvvisamente il mondo la scopre, impazzisce per lei e si chiede di chi sia quella voce sublime. Peccato che Eva se ne fosse già andata tre anni prima, a 33 anni, per colpa di un melanoma. Quello che ci ha lasciato è incredibile. Le interpretazioni di Fields of Gold di Sting, di brani immortali come Somewhere Over the Rainbow, What a Wonderful World, Time After Time (solo per citarne alcuni) fanno accapponare la pelle. Brani spesso eseguiti chitarra e voce, per meglio esaltare le sue capacità interpretative, ti entrano dentro, si piazzano lì e non se ne vanno più, lasciandoti inerme di fronte a tanta bellezza. Raramente ho ascoltato qualcuno interpretare brani con tanta naturalezza, dolcezza e personalità. Raramente ho udito una voce muoversi con tanta semplicità fra melodie splendide…
Eva Cassidy è nata nel 1963, e se n’è andata nel 1996. Il “Guardian” l’ha celebrata come una delle più grandi voci della sua generazione. Nonostante possedesse una straordinaria voce soul che le permetteva di spaziare in un amplissimo repertorio jazz, blues, folk, gospel e pop, rimase praticamente sconosciuta al di fuori della sua città, Washington, e non trovò mai una grande casa discografica che si interessasse a lei
La sua vita musicale sarebbe stata destinata all'oblio se, dopo la sua morte, la BBC Radio Two non avesse trasmesso alcuni suoi brani. Fu un successo strepitoso che si moltiplicò con il passaparola. Divenne un fenomeno mediatico eccezionale quale in vita non era stato. Le sue registrazione pubblicate postume hanno venduto più di 4 milioni di copie e, all'inizio del 2001 la sua raccolta Songbird ha raggiunto la posizione numero 1 nella classifica inglese.
Il pezzo che proponiamo al vostro ascolto questa settimana è una stupenda interpretazione di uno dei più famosi brani di Sting:
Elis Regina è stata fra le grandissime interpreti della Bossa Nova, questa straordinaria musica nata dalla fusione fra il samba nero brasiliano e d il jazz colto nord americano, sviluppatosi principalmente sulla East Coast. Precocissima, figlia di un brasiliano e di una portoghese, Elis cominciò a cantare a 7 anni, a 9 imparò a suonare il pianoforte e a 12 vinse il concorso radiofonico per ragazzi Clube do Guri.
A 13 anni firmò un contratto discografico con Radio Gaucha e a 15 pubblicò il primo long playing. Divenne presto una celebrità locale, nella sua città natale, Porto Alegre. Visse, da protagonista, tutta l'epoca d'oro della musica brasiliana, sin dai primi anni sessanta. Elis dominò la scena brasiliana fino alla fine degli anni settanta, attraverso tutta la fase più delicata della storia brasilana recente (compresa la dittatura militare).
La gran parte dei suoi dischi incisi dal 1961 al 1980 si intitolano “Elis”, come “Elis & Tom”, l’album capolavoro del 1974 che la vide duettare con Antonio Carlos Jobim, maestro e inventore della moderna musica brasiliana. Nel 1965 vinse la prima edizione del più importante festival musicale brasiliano interpretandoArrestao, del grande Edu Lobo su testo di Vinicius de Moraes, canzone che fu successivamente censurata dal regime militare. Interpretò con passione gli ultimi versi del brano, a braccia spalancate come il Cristo Redentore, mimando la crocifissione, con le lacrime agli occhi e un disarmante sorriso.
Il successo del festival lanciò Elis e le procurò un ricco contratto con la rete TV Record per animare il primo importante programma di musica leggera della televisione brasiliana, O Fino da Bossa (1965). Elis diventò così la cantante più pagata del Brasile a soli 21 anni. La trasmissione fece la storia della televisione brasiliana e fu leader negli ascolti per tutta la sua durata (fino al 1967).
Nel 1979 partecipò al Montreux Jazz Festival. Venne accolta da una standing ovation: la commozione le sciolse il make-up impedendole di vedere. Spaventata, trasformò la prima parte del concerto in un mezzo fiasco, poi si riscattò con orgoglio, ma ricordando quella sera come una delle esperienze più frustranti della sua carriera.
Il suo ultimo spettacolo, “Trem Azul”, rimane nella leggenda musicale di Elis per l'intensità della sua voce, ma, riletto a posteriori, dimostra la situazione di grave stress in cui si trovava. Morì tragicamente nel 1982, distrutta da una combinazione letale di alcol e di cocaina. Aveva solo 36 anni.
L'influenza musicale di Elis Regina è riscontrabile in ogni espressione della musica brasiliana moderna. Non si può prescindere da Elis Regina quando si canta musica brasiliana. Quasi tutti gli autori brasiliani devono il loro successo all'interpretazione che Elis ha fatto dei loro pezzi.
Ha avuto grande influenza sulle cantanti italiane degli anni '60 e '70, da Mina a Ornella Vanoni, che si sono cimentate spesso in interpretazioni di brani celebri di Chico Buarque, Jobim e di De Moraes, basandosi proprio sulle interpretazioni di Elis.
Nel 2003, la cantante jazz fiorentina Barbara Casini (ricercatrice e appassionata di bossa nova) ha realizzato uno spettacolo e un disco dal titolo “Uragano Elis”, dedicato a Elis Regina
Detto questo, vi aspettereste un tipico brano brasiliano… un samba, o una bossa…e invece no. Quella che vi propongo questa settimana è una tenerissima “ballad”, quasi una poesia, tutta da godere in religioso silenzio.
Nel brano proposto, Elis Regina si accompagna ad un altro strano fenomeno della musica brasiliana, che risponde al nome di Jaques Morelenbaum. Jaques è un violoncellista classico che scopre pressocchè nella stessa epoca sua moglie Paula, il violoncello elettrico, la bossa nova, Carlos Jobim, Ryuichi Sakamoto. I fan di Sting lo avranno notato nel DVD e nel CD relativi alla raccolta di brani dell'ex Police, in riedizione acustica: il meraviglioso violoncello che fa riscontro alla voce di Sting è di Morelelbaum-
Elis Regina & Jacques Morelenmbaum - Eu sei que vou te amar
Doris Day, nata a Cincinnati ne 1924, attrice e cantante, è stata per tutta la generazione del dopoguerra la “fidanzata d’America”, la ragazza acqua e sapone che tutti avrebbero voluto per il proprio figlio. Inizia il suo approccio alla musica con la danza, da cui la allontana un brutto incidente d’auto. Passa quindi alla musica, fino al suo primo film, che è del 1948. Da quel momento in avanti le vite di Doris Day attrice e di Doris Day cantante sono inestricabilmente intrecciate: basta scorrere l’elenco, volutamente parziale – perché l’elenco completo sarebbe lunghissimo – per capire quanto inestricabile sia l’intreccio.
Si ritira dal cinema a 44 anni, ritornando davanti alla macchina da ripresa solo più tardi, perregistrare un serial TV, “The Doris Day Story”. Attualmente è molto assorbita da una sua fondazione che si dedica alla protezione degli animali.
I films nei quali non si capisce se prevalga la canzone o il film stesso, sono “Tea for two” del ’50, “I'll see you in my dreams” e “Lullaby of Broadway” del ’51, “April in Paris” del ’52, “Young at hearth” del ’54, “Love me or leave me” del ’55, “L’uomo che sapeva troppo” del ’56,“Lover come back” del ’61, e tanti, tanti altri.
La sua voce era profondamente “disciplinata”, e tuttavia aveva un qualcosa di caldo, di sensuale, come spesso solo voci più “primitive” riescono ad esprimere.
Ho preferito tuttavia scegliere, come “perla” di questa domenica, una canzone che esprime pienamente le capacità di Doris Day cantante, e cioè un pezzo non particolarmente trainato dalla fama di un film correlato. Ho scelto un pezzo bello per conto suo, ed impreziosito dal ritmo della bossa nova, da un ottimo accompagnamento di piano, da una discretissima sezione d’archi, e da uno splendido (anche se troppo breve) assolo di flauto.
John Birks Gillespie detto “Dizzy Gillespie”, nato nel 1917, morto nel 1993, è famoso non solo per le sue incredibili gote che, quando soffia nella tromba, diventano enormi, comei sacchi di una zampogna, ma per essere stato, negli anni ’40, fra i fondatori del bebop (e quindi di ciò che viene definito, piuttosto vagamente, “jazz moderno”) e del jazz moderno.
Ha suonato con Teddy Hill, Coleman Hawkins, Roy Eldridge, Earl Hines, Charlie Parker, Sarah Vaughn, Max Roach, Bud Powell...
Nei primi anni Quaranta Gillespie iniziò a frequentare il Milton'S Playhouse, un locale notturno di New York dove iniziava a muovere i primi passi il nuovo jazz. Con il bassistae il batteristaKenny Clarke fondò un gruppo divenuto poi leggendario, considerato la prima formazione bop della storia. Le jam sessions notturne del Milton's furono la prima importante palestra per alcuni dei grandi nomi del jazz moderno: Thelonius Monk, Bud Powell, Max Roach, Charlie Christian, iniziarono suonando al Milton's e lì scoprirono quello che poi sarebbe stato chiamato bebop. Oscar Pettiford
Le sorelle ed i fratelli di Sonny erano tutti studenti di musica classica, ma uno zio sassofonista, appassionato di blues, conquistò con la sua musica il giovane che assorbì gli stili degli idoli del sassofono degli anni '40: da Coleman Hawkins prese la sonorità intensa e l'abilità di muoversi tra gli accordi, da Lester Young la capacità di raccontare storie nel modo più originale, da Charlie Parker tutte le caratteristiche di Hawkins e Young messe insieme sintetizzate in un nuovo, rivoluzionario, linguaggio. Da questo crogiolo ribollente Rollins emerse con un bagaglio unico di sicurezza, velocità, swing e spontaneità inventiva. Anche il pianista Thelonious Monk influenzò molto Rollins, rendendo i suoi assoli più frammentari e melodicamente più imprevedibili, con un'inclinazione a spezzetare il materiale tradizionale e spesso a rovesciarlo.
Ha suonato con i musicisti suoi idoli, tra cui Miles Davis, Thelonius Monk, Clifford Brown, Max Roach.]Il pezzo che proponiamo oggi al vostro ascolto, e nel quale si incontrano due padri fondatori del jazz moderno (Dizzy Gillespie e Sonny Rollins) è una autentica rarità; si tratta del notissimo “On the sunny side of the street”, pezzo relativamente facile, che questi due mostri di bravura riescono a spogliare da ogni banalità. Buon ascolto.
Dizzy Gillespie & Sonny Rollins – On the sunny side of the street
Questa settimana la rubrica musicale abbandona doverosamente l’impianto antologico, per rendere omaggio ad una grandissima figura del jazz, che si è spenta venerdì 24 novembre 2006, alla tenera età di 87 anni. Anita O’Day, come ha scritto il prestigioso “Down Beat”, era rimasta, dopo la scomparsa di Ella Fitzgerald, l’ultima cantante appartenente di diritto al Pantheon del jazz.
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La cantante è spirata durante il sonno presso una clinica di West Hollywood nella quale giorni prima era stata ricoverata per un attacco di polmonite.
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Poco più che ventenne, approda nell’orchestra di Benny Goodman, e poco dopo in quella di Roy Eldridge. Nel 1941, a soli 22 anni, vince il prestigioso premio di cantante jazz dell’anno, istituito da Down Beat. Negli anni quaranta collabora con le orhcestre di Woody Herman e di Stan Kenton. In seguito collabora con musicisti del calibro di Oscar Peterson, Louis Armstrong, Gene Krupa, Thelonius Monk, e col vibrafonista Cal Tjader, al quale abbiamo dedicato un numero della nostra rubrica, e col quale ha inciso il brano che presentiamo questa settimana: “Under a blanket of blues”, che è stato un cavallo di battaglia anche di Ella Fitzgerald.
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Su un supplemento musicale di Repubblica Pelliccioti così scriveva: “…se questo delizioso album della straordinaria Anita O'Day con il vibrafonista Cal Tjader non è passato alla storia come avrebbe certo meritato nel 1962, quando fu registrato, il motivo è da ricercare nella altezzosa separazione che viveva ancora il jazz dalle altre musiche. Forse fu ritenuto non rigorosamente jazzistico, per un certo clima frivolo da latin- jazz imposto da Tjader o per il contenuto "lounge-bar" di canzoni amabilissime […] …oggi, in piena contaminazione esotica e tropicale, l'album di Anita-latina suona come un nettare rinfrescante, certo tra i suoi frutti più accattivanti. La sua vocalità sofisticata respira all'unisono con i ritmi sudamericani che il "combo" di Cal Tjader distilla voluttuosamente per lei. Il leader era un vibrafonista di contagiosa vitalità […] Anita O'Day è in splendida forma sia nelle ballad più lente che nei brani mossi, riuscendo a calibrare la voce con serafico relax e con assoluta naturalezza, senza bisogno di eccedere in virtuosismi. Si può sfiorare il sublime anche con la leggerezza, una lezione che i puristi del jazz non hanno mai capito.
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I problemi con l’alcol e con le droghe non hanno mai scalfito la sua professionalità e la sua grinta,testimoniate nell’affrontare stili e forme differenti di canto jazz. Per la cronaca (o per la storia?) Anita ha inciso il suo ultimo album nell’anno di grazia 2006, all’età di 87 anni. Questo album, ironia della sorte, si intitolava “Indestructible”…
Addio all'ultima signora del jazz, con questo bellissimo brano che offriamo al vostro ascolto:
Anita O'Day & Cal Tjader - Under a blanket of blue
L’ordine alfabetico e il caso da una parte, una mia sottile perversione dall’altra, mi fanno mettere insieme, una settimana dopo l’altra, due cantanti che hanno molto di simile, e molto di diverso: Diana Krall la settimana scorsa, Diane Schuur questa settimana.
Queste due splendide artiste hanno di simile il nome (Diana), la professione (entrambe cantanti e pianiste jazz di grande livello) e per mia ricerca della simmetria (ma anche per vostra comodità di confronto), ho scelto, delle due cantanti, lo stesso pezzo: “East of the sun”.
Le similitudini finiscono qui: Diane Schuur, al contrario di Diana Krall, nasce segnata dalla sfortuna: nasce cieca, e non vedrà mai i colori del mondo. Contro la bellezza quasi sfacciata di Diana Krall, la Schuur può solo esibire un bellissimo viso, quasi sempre seminascosto da occhialoni scuri, messo su un corpo che non mostra volentieri, appesantito com’è dalla scarsa attività fisica impostale dalla cecità.
Inizia ad amare il jazz ascoltando il piano di George Shearing e di Duke Ellington, e le voci di Dinah Washington e di Sarah Vaughn, alle quali si ispira. A 9 anni inizia a cantare e suonare quasi professionalmente, lavorando allo Holiday Inn di Tacoma (Washington). A 16 anni la ritroviamo al Conservatorio per ciechi di Washington; diventa presto splendida cantante e ottima pianista. Il successo arriva a partire dal ’79, quando viene scoperta da Stan Getz, che rimane fulminato dal suo talento.
Contro la voce calda ma spesso bloccata sulle tonalità basse della Krall, la Schuur esibisce qualcosa di incredibile: una estensione vocale di tre ottave e mezza; chi canta può spiegarvi cosa questo significhi! Questa enorme estensione vocale la esaltava principalmente nei toni alti, forse inconsapevolmente influenzata dal mio “quasi amico” Maynard Ferguson, la cui tromba “lavorara” a quelle latitudini...
É una incredibile caratteristica tecnica, della quale però la Schuur non abusa: ne fa uso quasi solo quando canta in stile “skat”, facendo fare alla voce la funzione di uno strumento musicale.
Si è guadagnata, nel tempo, la stima di personaggi come Dizzy Gillespie, Count Basie, B.B.King, Maynard Ferguson, Ray Charles, Stevie Wonder, Quincy Jones... Nella sua carriera ha avuto 5 nominations ed ha vinto due volte il Grammy Award come migliore “jazz vocalist”. Al culmine della carriera, le è capitato anche di esibirsi alla Carnegie Hall ed alla Casa Bianca (beh... questo non è necessariamente un titolo di merito...)
Last but not least, le sono affezionato anche per aver avuto la fortuna di ascoltarla dal vivo, una sera, al mitico “Ronnie Scott’s”, a Londra, (47, Frith Street, Soho... Marilù, esiste ancora?), dove andavo a passare le mie serate quando mi trovavo a Londra per lavoro. Non ero andato per lei; non sapevo neanche chi suonasse quella sera; ci andavo solo perché ci andavo appena potevo, e ho trovato lei, sulla cui voce Dio aveva riversato tutto quello che le aveva tolto dagli occhi.
Proponiamo al vostro ascolto un pezzo eseguito con Maynard Ferguson alla tromba:
Diane Schuur & Maynard Ferguson - "East of the sun"
Diana Krall nasce in Canada nel 1964, ed inizia a studiare pianoforte a 4 anni. Si costruisce una solidissima base tecnica, ma crescendo scopre di essere attratta più dai ritmi del jazz che dalle fughe e dalle sonate. Quasi contemporaneamente, giocando col suo piano e con la sua innata musicalità, scopre di avere una voce “jazzistica” molto simile al sound di un grande sax da be-bop.
Durante gli anni del liceo, entra come pianista in un piccolo ma rinomato gruppo jazzistico di Vancouver. A 17 anni vince una borsa di studio che la porta al Berkley Music College di Boston. Ormai è lanciata verso grandi traguardi. Nel ’93 pubblica il suo primo album di successo. Da allora in poi, quasi ogni anno arriva un nuovo album, e quasi ogni volta scala rapidamente le classifiche delle vendite.
Nel 2003 sposa Elvis Costello, ma questo nulla aggiungerà alla carriera musicale di Diana Krall, se non lo stimolo a produrre, per la prima volta, un album con proprie composizioni, sotto lo stimolo e l’insistenza di Elvis.
Il successo di Diana Krall è fatto da un ben equilibrato cocktail di diversi ingredienti: innanzitutto, l’avere una solida preparazione accademica; poi una voce calda e naturalmente jazzistica; poi un istintivo, irrefrenabile senso dello swing. Ancora, l’avere un suo quartetto, di cui è, come pianista di talento, autorevolissima leader. Infine, una grande capacità di stabilire un forte feeling col pubblico, grazie anche ad un aspetto fisico gradevolissimo, “puttanescamente” acqua e sapone.
Il brano proposto al vostro ascolto questa settimana è tratto da un album del 2002, “Live in Paris”, ed è un classico senza tempo del jazz: “East of the sun (and west of the moon)”. Questo brano esalta le qualità poliedriche di questo fenomeno del jazz difficilmente ripetibile. Diana Krall – East of the sun
Dexter Gordon (1927 – 1990) è stato uno dei più gradevoli tenor-sax che abbiano mai calcato le scene. Virtuoso senza esibizioni di virtuosismi, porgeva una musicalità dolcissima, dovuta anche ad un particolare stile esecutivo, che tendeva a “suonare in ritardo” dietro al tempo, quasi volesse approfondire ogni nota prima di lasciarla andare. Gordon è considerato uno dei padri del be-bop, anche se non ne ha mai sposato certe asprezze ritmiche.
Nella sua non lunghissima vita, ha suonato con Lionel Hampton, Charly Mingus, Louis Armstrong, Dizzy Gillespie, Bud Powell, Freddie Hubbard.
Nel 1986 acquisisce grandissima popolarità anche come attore, interpretando un bellissimo film francese, per la regia di Bertand Tavernier: “ ‘Round Midnight “, famosissimo standard jazzistico da cui il film prende il titolo. Il film è in parte autobiografico: è infatti ispirato al dramma delle tossicodipendenze, così diffuse fra i jazzisti di una certa epoca. Che vi piaccia o meno il jazz, è un film che merita di essere ripescato, in DVD o in qualche cineforum. E’ splendido.
Nel film, assieme a Dexter Gordon, suonano altri due mostri sacri del jazz: Ron Carter al basso e Herbie Hancock al piano.
Nel 1987 a Dexter Gordon viene assegnato un David come miglior attore straniero; nel 1988, il film vince l’Oscar per la migliore colonna sonora. Credo che entrabi i premi siano stati, per una volta, strameritati.
Questa settimana proponiamo al vostro ascolto una bellissima esecuzione di Dexter Gordon dello standard che è stato il filo conduttore di un altro film straordinario: Casablanca, con Humphrey Bogart ed Ingrid Bergman. Il pezzo è:
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