Mossa politica o smania di protagonismo, ora è ufficiale: è tornata l’Italietta

Sia come sia, qualunque sia il “movente” – raccattare qualche voto a urne aperte perché l’aria che tira è contro la guerra o dare l’ennesimo segnale politico di amicizia a Putin - vista con gli occhi di osservatori internazionali poco avvezzi alla psico-politica, le sue parole sono un macigno sulla credibilità del governo. Perché, proprio alla fine della settimana orribile della premier all’estero, manifestano in modo clamoroso una “doppia linea” (e le linee sono opposte): Meloni che si arrabbia con Macron perché non è nell’“Europa di serie A” e che incontra Zelensky a Parigi, lui che non lo incontrerebbe nemmeno se potesse. Molto peggio di Salvini che non voleva Zelensky a Sanremo (ed è stato accontentato), ma insieme all’affaire sanremese questa storia restituisce l’immagine di una incrinatura su un terreno dove Giorgia Meloni finora aveva tenuto una posizione granitica.
Sommando il Festival che ha nascosto Zelensky, Berlusconi che l’ha offeso e l’isolamento europeo di Meloni, è ufficiale: è tornata l’Italietta.
Scritto il 13 febbraio 2023 alle 12:33 nella Berlusconi, Guerra, Meloni, Politica, Tafanus | Permalink | Commenti (0)
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09 febbraio 2023
Chi è Nicola Rao, nuovo direttore del TgDUX (dalla padella nella brace?)
Dopo Sangiuliano, che si è distinto - come predecessore di Nicola Rao - nell'ammannirci ad ogni TG un predicozzo di Salvini (uno che dice il nulla, ma lo dice anche male), adesso ci tocca Nicola Rao, che nel TgDux di stamattina è riuscito a mostrarci la Meloni con quattro mises diverse (manco fosse ad una sfilata di moda).
Nicola Rao
Già vicedirettore del Tg1 dal 27 settembre 2021, sarà Nicola Rao a dirigere il Tg2. Succede a Gennaro Sangiuliano, nominato Ministro della Cultura nel governo Meloni. Il Cda Rai riunito oggi a Roma sotto la Presidenza di Marinella Soldi ha dato parere favorevole alla proposta dell’Amministratore Delegato Carlo Fuortes di nominare Nicola Rao alla Direzione del Tg2. [...] Credit: Il Riformista
Dire che Nicola Rao sia stato nominato con un voto plebiscitario del CDA Rai sarebbe esagerato... Ecco come riporta l'esito della votazione il già citato "Riformista":
[...] La votazione è finita con quattro voti favorevoli e tre contrari [...] Ad esprimersi a favore sono stati, oltre all’amministratore delegato Carlo Fuortes e alla presidente Marinella Soldi, i consiglieri indicati dall’attuale maggioranza Simona Agnes e Igor De Biasio. Contrari, invece, quelli espressi da Pd e M5s, Francesca Bria e Alessandro di Majo, oltre a Riccardo Laganà, eletto dai dipendenti. “Ci troviamo, a distanza di un anno dalle precedenti nomine dei direttori delle testate Rai, a constatare la poca trasparenza e oggettività nel metodo e nei criteri di nomina in relazione alla scelta della direzione di una importante testata come il Tg2, che certamente necessita al più presto di una guida autorevole. Ancora una volta il Cda della Rai si ritrova a ratificare una scelta presa altrove e che consiste nella proposta di un nome gradito al governo di turno”. Lo denunciano i consiglieri Rai Francesca Bria, Alessandro Di Majo e Riccardo Laganà, che hanno votato contro la nomina di Nicola Rao alla guida del Tg2 [...]
Ancora una volta, ci risiamo. Ad ogni cambio di governo, la RAI imbarca qualche altro charter di giornalisti di fiducia. E dato che in RAI non si licenzia nessuno, tutti gli "esodati" imbarcati dai governi precedenti finiscono nello sgabuzzino della fotocopiatrice, senza obbligo si presenza, ma con la conservazione delle prebende precedenti. Una sorta di pensionato di lusso per nullafacenti. In questo sport l'Italia eccelle, e la RAI non corre alcun rischio economico, visto che i crescenti deficit sono finanziati con l'addebito del canone nella bolletta dell'elettricità. Una roba da quarto mondo.
P.S.: Una chicca di ieri sera (questa volta tocca a RaiNews, che spesso si distingue nel volare basso, quasi come RaiDux). Dunque, mentre passavano immagini raccapriccianti dalla Turchia (palazzi che si sbriciolavano in diretta, gente che abbracciava sacchi con cadaveri dentro, interi quartieri annientati, numeri spaventosamente crescenti delle vittime), alla base dello schermo c'era, fisso, un banner che ci dava una informazione fondamentale, e in linea con la tragedia che era trasmessa: in testa a non so cosa di Sanremo c'era Mengoni! Siete contenti?
Tafanus
Scritto il 09 febbraio 2023 alle 11:54 nella Media , Meloni, Politica, Politica e Magliari, Tafanus | Permalink | Commenti (0)
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26 gennaio 2023
Il Giorno della Memoria: la mia (Read-back del Tafanus del 27 Gen. 2007)
Questo post non è originale. L'ho già pubblicato, quasi identico, il 27 Gennaio 2007 e 2008. Sono trascorsi più di tre lustri! Un Giorno della Memoria dopo l'altro, da anni. Per quanti anni ancora dovremo ricordare? Forse per sempre, finchè in Italia e nel mondo ci saranno "fascisti dentro"
Un anno dopo l'altro, la memoria e la solidarietà si attenuano. Colpa del trascorrere del tempo, ma anche colpa di altri reticolati, di altri steccati, di altri muri che nascono. Quando a costruire questi muri sono i figli e i nipoti di coloro che di muri e di reticolati sono morti a milioni, la nostra solidarietà è sottoposta a dura prova, la nostra memoria si attenua.
Questo è l'ultimo anno nel quale il Tafanus ricorderà, con dolore e rispetto, la tragedia della Shoah (o forse no...) Dall'anno prossimo, ci piacerebbe parlare della fine di un'altra tragedia, quella del "muro della vergogna" dentro il quale gli israeliani stanno "piombando" il carro bestiame di Gaza. A Gaza la misura è colma. Quando decine di migliaia di persone, private di beni essenziali come il cibo, l'acqua, l'elettricità, decidono di abbattere con le bombe il muro della vergogna, e di tentare una disperata sortita verso le non amichevoli braccia dei soldati egiziani, vuol dire che lo stato di disperazione ha toccato quasi gli stessi livelli ai quali erano giunti i reclusi nei campi di sterminio, quando si determinavano a cercare una morte quasi certa con improbabili tentativi di fuga, piuttosto che affrontare una morte che arrivava "un grammo al giorno", inesorabile come il destino, inesorabile come il tempo.
Chi volesse dei particolari su questa ignobile iniziativa del "muro della vergogna", può leggere l'estratto di un informato articolo de "Le Monde Diplomatique", tradotto sul sito www.disinformazione.it: Il muro della vergogna
Quest'anno, questa celeberrima poesia di Primo Levi vogliamo dedicarla agli ebrei vittime della shoah, ma anche agli israeliani che "hanno dimenticato" il significato della parola "disperazione". Perchè anche a loro torni la memoria.
P.S.: Dopo aver scritto questa introduzione, ma prima di pubblicare il post, apprendo due notizie, di segno totalmente diverso. Ognuno dia la lettura che si sente di dare:
-1) Ieri centinaia di israeliani si sono affollati ai buchi aperti con l'esplosivo nel "muro della vergogna" di Gaza, per portare cibo, acqua e solidarietà ai confinati palestinesi della striscia di Gaza. Molti intervistati hanno sottolineato che chiudere un milione e mezzo di disperati in pochi chilometri quadrati e privarli di tutto, significa che il popolo israeliano, per primo, sta smarrendo la memoria.
-2) La Signora Letizia Arnaboldi Brichetto in Moratti, Sindaco di Milano, dopo l'exploit del diniego di iscrizione agli asili ai bimbi degli immigrati non regolarizzati (nove volte su dieci per colpevoli ritardi burocratici), ha avuto un'altra brillante pensata: quella di dare lo sfratto, alla vigilia del Giorno della Memoria, alla sede milanese dell'ANED (Associazione Nazionale Ex Deportati), associazione che da anni organizza centinaia di manifestazioni educative sui temi delle deportazioni, della shoah, della guerra. Complimenti, Signora! Potrà sempre recuperare la salvezza dell'anima il 25 Aprile, esibendo per cento metri papy in carrozzella.
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Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un si o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.
(Primo Levi)
27 Gennaio 2023: Giornata della Memoria. Quante ne abbiamo già celebrate? Oggi migliaia di blog tratteranno della shoah, e moltissimi apriranno con le pagine introduttive del libro di Primo Levi (Se questo è un uomo). Il Tafanus l’ha già fatto l’anno scorso, e a costo di apparire monotono, lo farà finchè esisterà. Lo farà perché alla perdita della memoria non dev’essere concesso alcun alibi. Un popolo che perde la propria memoria, è pronto a ripetere gli errori del passato. Il Tafanus non farà di questo post una raccolta di dati, che possono essere facilmente reperiti in mille siti (ve ne raccomandiamo a titolo esemplificativo uno che a noi è piaciuto molto, www.Binario21.org, ma la scelta è molto ampia.
Noi vogliamo piuttosto parlare della “nostra” memoria. La mia famiglia ed io riteniamo che un viaggio nei luoghi in cui l’uomo è diventato peggio delle bestie dovrebbe essere sentito come un dovere civico da tutti, così come, per altre ragioni, gli islamici sentono di dover andare, almeno una volta nella vita, alla Mecca. Noi siamo stati nei luoghi del disonore nel 2005 (nel complesso di Auschwitz-Birkenau); mia figlia è andata a Dachau e a Terezin, campo “specializzato” nel trattamento di bambini. A Terezin sono entrati, vivi, 15.000 bambini. Ne sono usciti vivi 100. L’uomo non dovrà mai più cadere nell’errore di pensare che certi orrori toccheranno sempre e solo gli altri. Una volta infranta la barriera fra umano e sub-umano, può toccare a tutti: agli ebrei e ai palestinesi, ai rom e ai brockers, agli omosessuali e ai comunisti. Ecco come l’indifferenza aiuta l’umanità a precipitare nell’abisso:
Prima vennero per gli ebrei…
" Prima vennero per gli ebrei,
e io non dissi nulla perché non ero ebreo.
Poi vennero per i comunisti,
e io non dissi nulla perché non ero comunista.
Poi vennero per i sindacalisti,
e io non dissi nulla perché non ero sindacalista.
Poi vennero a prendere me.
E non era rimasto più nessuno che potesse dire qualcosa."
Martin Niemoeller - (Pastore evangelico deportato a Dachau)
.
Il nostro “viaggio della memoria” era iniziato da una splendente Cracovia, splendente di sole, di bellezza urbanistica, di gioventù, di buone maniere. Il viaggio per il complesso dei lager non è lungo: circa un’ora di bus, attraverso una campagna non da cartolina; non è il Trentino o l’Engadina: davanti ai casolari galline e mucche non servono per fare cartolina, ma per mangiare. Si arriva ad Auschwitz quando inizia a piovigginare. E’ come te lo aspetti, con l’orrendo ingresso dei treni che arrivavano pieni e ripartivano vuoti, la scritta in ferro battuto “Arbeit Macht Frei” che sembra una bestemmia… il primo approccio è persino “deludente” per eccesso di leziosità. Piccole palazzine a due/tre piani, vialetti ordinati e persino qualche albero, niente baracche… insomma, chi non sapesse di trovarsi in uno dei luoghi più sinistri dalla storia della bestialità, potrebbe pensare di trovarsi a Crespi d’Adda, la cittadina – modello costruita dai Crespi per ospitare l’industria tessile dalla culla alla tomba (tutto insieme la fabbrica, le villette degli operai, le ville degli impiegati, le villone dei dirigenti, chiesa – ospedale – cimitero, tutto ordinato, tutto programmato… Poi qualcuno ti spiega che Auschwitz non è nata come campo di sterminio, ma come carcere per gli oppositori politici, poi gradualmente degenerato nel nucleo originario del luogo dell’orrore, il complesso Auschwitz-Birkenau, dove l’uomo ha perso il senso di se e ha trovato e fatto prevalere la bestia che si annida in ciascuno di noi…
Benvenuti nella prima palazzina: è persino bella, fuori. Ma appena dentro, inizia il viaggio nell’orrore. Il piano terra è occupato dalla mostra (raccolta differenziata) di tutto quello che veniva preso agli ebrei al loro arrivo, o dopo la “doccia” purificatrice; tutto suddiviso in stanze “specializzate”: le scarpe, i capelli, gli spazzolini da denti, le micro-valigette di fibra, gli occhiali da vista, le “protesi” (braccia, gambe artificiali)… montagne di tutto.
Il cielo fuori è sempre più plumbeo, ma cominciano ad affiorare tanti occhiali da sole, tanta gente che si soffia il naso… passi dagli oggetti alle presumibili storie sottostanti, e l’orrore diventa insopportabile. Le scarpe… dai uno sguardo, e individui centinaia di scarpine di bambini di due-tre anni, a fiorellini come un campionario di Fiorucci ante-litteram; scarpe piccolissime, quasi da bambola; colorate, graziose… cerchi di immaginare com’era fatta la bambina che le aveva ai piedi, e ti soffi il naso. Poi passi alla stanza successiva, che è piena di capelli: di tutti i colori, di tutte le età; in mezzo a masse informi di capelli, ogni tanto vedi dei “pezzi di umanità”: uno chignon bruno che ti fa immaginare una bella donna elegante, dei capelli grigiastri o bianchi, una lunghissima, integra treccia bionda… chissà se è la stessa bambina di quelle scarpine. E poi la stanza degli spazzolini da denti, quella degli occhiali, quella delle protesi… ma perché toglievano loro persino le protesi? E lo avranno fatto prima della “doccia” o dopo?
Le “facilities per gli interrogatori e le torture erano nel “basement”, dove fa freddo anche d’estate. Lo strumento-principe, geniale nella sua semplicità, era costituito da una serie di stalli, chiusi da mezze pareti, di un metro quadro; in questo metro ficcavano quattro deportati (da punire o da interrogare) completamente nudi, che potevano stare solo in piedi. Finestre senza vetri. Ogni tanto li bagnavano per affrettare i processi di idrocuzione, fiaccare la resistenza. Chi moriva non aveva lo spazio per accasciarsi al suolo. Un minimo di cibo veniva fornito, per allungare il piacere dell’agonia.
Facciamo un passo indietro, a quando “Il Treno” arrivava nel piazzale; Auschwitz non era attrezzato per contenere grandi masse, né per uccidere e cremare con grande efficienza. All’arrivo del treno, sul piazzale, c’era la prima brutale separazione: uomini da donne, bambini da adulti, sani da malati. L’80% in media degli arrivati (tutti i malati, gli anziani, gli handicappati, molte donne) venivano inviati direttamente “alle docce”, dove la morte con l’uso del Cyclon B arrivava in media dopo 20 minuti di atroci sofferenze. Poi serviva un certo tempo per “arieggiare” i locali, quindi le docce venivano evacuate da altri deportati, i cadaveri “smontati” per portar via qualsiasi cosa potesse tornare utile (capelli, denti, protesi). Ad Auschwitz non c’erano grandi crematori, quindi i cadaveri venivano ammucchiati in enormi fosse a cielo aperto, buttati dentro e bruciati. I fornetti di Auschwitz erano poco più che dei fornetti domestici, “monouso”. Ma l’allargamento di Birkenau, con le enormi baracche, i quattro grandi crematori che avrebbero mandato fumo acre, giorno e notte, per due anni, era quasi completato.
Birkenau è un’altra storia, già dal primo impatto visivo: intanto le dimensioni, enormi; baracche allineate per chilometri; chilometri di recinti doppi, elettrificati, con torrette di guardia ad ogni piè sospinto. Birkenau è una macchina per morire, con ordine teutonico; coordinamento con gli orari dei “treni”… man mano che la disfatta tedesca diventa ineluttabile, le esecuzioni aumentano; c’è sempre meno tempo, meno fabbriche in cui lavorare, meno risorse con cui sfamare questi disgraziati; e poi, perché sfamarli? In fondo li hanno portati a Birkenau per ammazzarli, non per sfamarli. Ormai solo pochissime categorie hanno qualche possibilità di allungare la vita (vita?) di qualche giorno; qualche ragazza giovane che possa sfamare gli appetiti sessuali delle bestie tedesche, qualche coppia di gemelli (materiale genetico prezioso, per gli studi comparativi del dottor Morte); per gli altri, una spaventosa catena di montaggio: arrivo – separazione – doccia - smontaggio dei ricambi, e poi via, attraverso i camini sempre fumanti dei quattro crematori.
A Birkenau tutto sembra studiato perché la gente “duri poco”, e perché quel poco sia vissuto nel massimo della sofferenza. Prendete i cessi. C’è una sola, enorme baracca adibita a cesso (come è fatta all’interno, lo vedrete in fotografia). Ma il problema è che la baracca-cesso non è sistemata a metà fra la prima e l’ultima baracca lager, ma ad una estremità. Quelli delle baracche più lontane, per arrivare ai cessi fanno quasi due chilometri fra la neve, con le scarpe che hanno o non hanno. Si defeca in tanti, alcune centinaia, tutti insieme: a contatto di natica. La gente la fa tenendosi ben stretti i pantaloni e le scarpe, perché se qualcuno ti ruba una di queste cose, sei morto. Altrimenti puoi farcela ancora per qualche giorno.
Verso la fine. Il nervosismo dei tedeschi, l’incendio continuo di documenti, l’accrescersi parossistico degli arrivi, lasciano intuire che la fine non è lontana. Il Tempo diventa prezioso. Qualcuno, forse, potrà farcela.
Auschwitz-Birkenau: la fabbrica dello sterminio – Note storiche
Situato al centro dell’Europa, il campo di sterminio di Auschwitz Birkenau divenne operativo nel 1941. Attraverso le ferrovie i nazisti vi deportarono, a partire dal 1942, gli ebrei provenienti dall’Europa occidentale e meridionale, dal 1944 essi venivano fatti scendere dai convogli direttamente all’interno del campo e passavano la “selezione” che determinava chi sarebbe sopravvissuto per il lavoro e chi, circa l’80%, sarebbe stato eliminato dopo poche ore dall’arrivo. I pochi scelti per il lavoro venivano immatricolati con un tatuaggio sull’avambraccio, e subivano ogni giorno appelli e torture. Alloggiavano in baracche, ricevevano poco cibo in attesa di passare loro stessi per le strutture di messa a morte per i motivi più diversi o semplicemente a causa della debolezza. I beni dei deportati venivano sistematicamente predati all’arrivo e smistati in una struttura del campo denominata Canada. L’eliminazione dei cadaveri divenne presto uno dei principali problemi per i nazisti che in principio e nei momenti di massimo “lavoro” bruciarono i cadaveri all’aperto seppellendoli in enormi fosse comuni. Dal 1943 vennero messe in funzione due coppie di edifici gemelli, i Krematorium 2 e 3, e 4 e 5, dove il processo di messa a morte e di smaltimento ed eliminazione dei cadaveri fu organizzato come in una moderna fabbrica a ciclo continuo. Le vittime dovevano spogliarsi in una grande stanza con l’illusione di essere condotte alle docce, poi in migliaia venivano stipati in una stanza con false docce nella quale veniva introdotto il gas che in circa 20 minuti ne provocava la morte tra orribili sofferenze . I cadaveri venivano poi estratti dalle camere a gas e spogliati anche dei capelli e dei denti d’oro. La fase finale avveniva nella sala forni dove i corpi erano ridotti in cenere. Le strutture della morte vennero distrutte dai nazisti in fuga all’arrivo degli Alleati. Rimasero piani costruttivi, macerie ma, soprattutto, testimonianze dei pochissimi sopravvissuti.
...la liberazione...
Scritto il 26 gennaio 2023 alle 23:00 nella Guerra, Politica, Razzismo | Permalink | Commenti (35)
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24 dicembre 2022
Crisi energetica - l'Italia sta schivando con molta diligenza le soluzioni strutturali al duplice problema: costi+ecosistema
Da quando è iniziata la guerra all'Ucraina, e i connessi problemi di impennata dei costi dei combustibili fossili per i paesi occidentali, predico una sola religione: smettiamola di farneticare su fonti che non esistono, o che richiedono anni (che non abbiamo) per diventare disponibili. Puntiamo su cose che possono partire in pochi mesi, a costi sostenibili.
Oggi in Italia un governo di ignoranti straparla compatto di tornare al nucleare. Vogliono il nucleare di quarta generazione. Quello sicuro. Nessuno di loro sembra aver letto un report di fisici e di ingegneri, che stanno tentando di spiegare (senza riuscirci, vista la qualità dell'uditorio), che le centrali nucleari di quarta generazione sono, per ora, un sogno legato alla possibilità (per ora solo teorica) di ricavare energia non dalla fissione nucleare, ma dalla fusione.
Gli scienziati più ottimisti prevedono 25 anni per uscire dalla fase di ricerca, ed altri quindici per la messa a punto di sistemi funzionanti. Poi ci sarebbe da costruirle, queste centrali. Mettiamo insieme il tutto, e forse intorno al 2072 avremo la prima lampadina accesa dalla fusione nucleare. Ma vaglielo a spiegare, a questi espertoni...
Sfugge ai nuclearisti 'de noantri un altro fattore: l'Italia non ha riserve economicamente utili di minerali uraniferi. Sapete chi ce le ha??? In primis l'Australia, con poco meno del 60% delle riserve accertate. Segue, al secondo posto, la Russia di Putin, con poco meno del 40%. Vero che sarebbe una gran furbata passare dalla dipendenza dal gas russo a quella dall'uranio russo??? Già, perchè trasportare questa roba (sia grezza che arricchita) dall'Australia al Mediterraneo sarebbe un attimo...
Che ideona sarebbe quella di smettere di dipendere dalla Russia per il gas, e passare alla dipendenza dalla Russia per i combustibili nucleari! Una figata pazzesca!
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Cambiamo pagina, solo per un attimo: in questi giorni il prezzo di mercato del gas è precipitato addirittura al disotto (seppur di poco) del prezzo che c'era prima dell'inizio della "Operazione Speciale" di Putin. La ragione? E' bastato un segnale come l'accordo sul price-cap a livello europeo per far invertire direzione di marcia alla speculazione. Prima si speculava al rialzo, ora al ribasso. E questo persino a fronte di un regolamento del price cap abbastanza debole, pasticciato e provvisorio, e a dispetto delle minacce russe di chiudere del tutto i rubinetti.
Perchè la speculazione non si è spaventata a fronte della nuova minaccia russa? Semplicemente perchè chi specula sa che la Russia è alla fame, ha bisogno di vendere il suo gas, e non potrebbe campare senza le risorse della vendita del gas. Ora i russi hanno minacciato di vendere il gas ai paesi orientali e asiatici... E come, no??? In India non vedono l'ora di poter comprare gas russo a 200 euro al kilowattora!
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I have a dream... L'Algarve portoghese
E allora??? Allora diamo uno sguardo a cosa sta accadendo a quei tre/quattro paesi europei che il problema lo hanno già risolto quasi totalmente. Parliamo del Portogallo, che non ha certamente l'immagine di paese tecnologicamente avanzato, ma che ci sta impartendo una grande lezione: il Portogallo ha puntato da alcuni anni alle energie gratuite, "piovute dal cielo": Sole e Vento. Con buona pace di chi pensa che queste fonti energetiche producano poco, comunichiamo che in meno di vent'anni il Portogallo - che ci ha creduto - è già ad una copertura del fabbisogno totale di energia elettrica del 50% del totale, e conta di arrivare al 100% nei prossimi vent'anni.
E noi??? Siamo fra i principali attori di questo successo tecnologico ed economico del Portogallo... Ma quello che fa incazzare è che in Portogallo la parte più importante e tecnologicamente avanzata del progetto è stata ed è portata avanti dall'italianissima Enel Energia!
[...] Oggi il Paese sta guardando avanti nel futuro. Anzi, si sta proponendo come uno dei più ambiziosi in termini di sviluppo delle fonti rinnovabili e di decarbonizzazione del mix di generazione elettrico. Un piccolo Paese dalle grandi risorse, molto promettente per le energie pulite, e in particolare per l'eolico e il fotovoltaico, senza trascurare una significativa produzione idroelettrica e un apporto geotermico: la bassa latitudine favorisce una forte insolazione e l’affaccio sull’Atlantico lo espone a un regime di venti favorevole. Inoltre, in prospettiva futura, si aprono scenari interessanti per l’energia marina – in particolare quella delle onde, per le quali le spiagge portoghesi sono famose nel mondo.
Passi da gigante ed obiettiivi ambiziosi - Fino a poco tempo fa, il sistema energetico del Portogallo era obsoleto, basato solo sui combustibili fossili che il Paese doveva procurarsi all’estero vista la scarsità di materie prime: ridurre la dipendenza dalle importazioni è stato uno stimolo in più ad abbracciare la transizione energetica e valorizzare le risorse naturali interne.
A fronte di questa situazione, il percorso intrapreso verso un sistema più pulito è stato avviato con decisione, e già si vedono i primi risultati: la percentuale delle fonti rinnovabili sul totale dei consumi finali di energia è salita dal 19,2% del 2004 al 28,1% del 2017. Nel 2018 poi il Paese ha fatto registrare un risultato eccezionale, con pochi uguali al mondo: l’elettricità prodotta dalle fonti rinnovabili nel mese di marzo è stata superiore a quella consumata dal Paese nello stesso periodo !
Oggi il Portogallo è il secondo Paese dopo la Danimarca per produzione di energia eolica fra quelli aderenti alla International Energy Agency IEA), ed è così diventato a sua volta un esportatore di energia [...]
Anche dal punto di vista tecnologico sta sviluppando eccellenze nazionali: è fra i leader mondiali per quanto riguarda l’integrazione tra impianti eolici e solari ed è all’avanguardia nei progetti sperimentali per ricavare energia dal moto ondoso dell’oceano.
E gli obiettivi per il futuro sono estremamente ambiziosi: arrivare a produrre l’80% dell’elettricità da fonti rinnovabili entro il 2030, e azzerare completamente le emissioni di gas serra dalla generazione elettrica entro il 2050.
Enel Green Power e una convergenza naturale - Sono obiettivi che sembrano quasi ricalcare quelli del nostro Gruppo: una sintonia che non poteva non portare a un incontro, tanto più che la confinante Spagna è uno dei Paesi più importanti per Enel ed Endesa fin dal 1993 è attiva in Portogallo, dove è il secondo più grande rivenditore nel mercato liberalizzato.
Una tappa fondamentale in questo percorso di avvicinamento è stata la seconda gara per le rinnovabili indetta dal governo portoghese nell’estate del 2020: il nostro Gruppo, tramite la controllata Endesa Generación Portugal, si è aggiudicato 99 MW di capacità di un impianto solare con accumulo di energia che sarà realizzato nell’Algarve, nell’estremo Sud del Paese.
Il parco solare, che sarà sviluppato, costruito e gestito da Enel Green Power, entrerà in funzione nel 2024 ed Enel avrà il diritto di collegarlo alla rete nazionale, sulla base di un contratto di 15 anni con il Sistema Elettrico Nazionale portoghese.
Ma, soprattutto, sarà il primo impianto rinnovabile integrato con un sistema di accumulo di energia del Gruppo Enel nella penisola iberica: un dato di grande rilievo, considerando il ruolo decisivo che lo storage sta sempre più assumendo per la flessibilità della rete elettrica e, in particolare, per consentire la piena integrazione delle fonti rinnovabili [...]
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E veniamo all'Italia, e al Nuovo Governo, così preparato e con lo sguardo rivolto al futuro... Questo ha stanziato ben due terzi della finanziaria (21 miliardi di euro) ad aiuti economici per il pagamento delle bollette alle famiglie meno abbienti, ed alle imprese (comprese quelle alle quali si è già regalata la flat tax, e si tenta di regalare sempre più strumenti facilitatori dell'impunità fiscale. Si potevano spendere per provvedimenti strutturali, questi 21 miliardi? (nella fotina a destra: il "Bignami" parlamentare di FDI)
Facciamo due conti. In Italia ci sono 25 milioni di nuclei familiari. Ventuno miliardi divisi per 25 milioni di famiglie, PER UN TRIMESTRE, SONO PARI A 280 EURO AL MESE, MA SOLO PER TRE MESI. O si pensa che dal 1° di aprile la faccenda potrà rinnovarsi? Se si dovesse estendere il beneficio su tutto un anno, servirebbero 84 miliardi, che lo Stato non avrebbe neanche se mandasse i Carabinieri a rapinare le banche.
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Vediamo quale sia stato il crollo del prezzo del gas, negli ultimi tempi, addirittura mal di sotto - sia pur di poco - di quello che veniva praticato prima della vergognosa "Operazione Speciale" di Putin. Attingiamo ad un articolo de lastampa.it di ieri:
[...] Il price-cap non è ancora scattato, ma gli effetti sul prezzo del gas sono già netti. Questa mattina il costo è tornato a quota 85 euro al Megawattora (MWh), sotto i livelli precedenti alla guerra in Ucraina: il 24 febbraio 2022, giorno dell'invasione della Russia, il prezzo era schizzato a 127 euro al MWh mentre tra il 22 e il 23 febbraio il prezzo si aggirava tra i 79 e gli 88 euro al MWh. Una situazione in cui non si sente l’effetto delle minacce russe. Il vice primo ministro Alexander Novak ha annunciato che Mosca è pronta a «una riduzione parziale della produzione» [...]
Dunque, dato che attualmente il prezzo del gas è meno della metà della soglia fissata dal price-cap, per ora sembra di capire che il prezzo sia scattato verso il basso per una inversione di marcia della speculazione. I mercati delle materie prime energetiche scontano il fatto che la Russia non potrà più dettare legge. Potrà abbaiare, ma dire che compenserà i mancati acquisti europei con quelli della Corea del Nord o della Thailandia fa ridere i polli. Anche i russi devono mangiare, e possono farlo solo esportando ciò che hanno: il gas.
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E veniamo alle conclusioni. Oggi in Italia un impiantino di pannelli solari costa in Italia, chiavi in mano, da 2.000 a a 3.000 € al kilowattora. Diciamo che per una famiglia sprecona di energia come la mia, basta e avanza il contratto da 4 kwh che ho in atto. Un sistema da 12.000 € coprirebbe le mie esigenze per tutto l'anno, anche se io non installassi un costoso sistema di conservazione dell'energia. Esiste il modo di recuperarne COMUNQUE il costo. Come?
In primavera/estate avrei un consumo basso e sole in abbondanza. Consumerei parte dell'energia prodotta, e il surplus lo venderei alla rete Enel (alla quale ovviamente resterei comunque collegato). In autunno/inverno la produzione di energia solare si dimezzerebbe, dovrei quasi certamente prendere dalla rete Enel quanto non prodotto dal solare, ma forse riuscirei a pagare il tutto con quanto risparmiato in primavera/estate.
Prima domanda imbarazzante - Ventuno miliardi in tre mesi di "ristori" per il caro-bollette, e poi ognuno si arrangi come può. Questo è il "soccorso nero" della Meloni. E poi?
Ora Ipotizziamo di dare i ristori solo ai davvero bisognosi. Diciamo la metà dei 21 miliardi stanziati? Ipotizziamo di spendere l'altra metà per pre-finanziare l'impianto a chi ci sta, a prescindere dal reddito. Con 10,5 miliardi di costruirebbero - al costo di 12.000 euro per impianto familiare, 875.000 impianti. Tenendo conto del fatto che in Italia ci sono 25 milioni di nuclei familiari (composti in media da 2,4 persone), una ideuzza del genere libererebbe, in un trimestre, il 3,5% dei nuclei familiari dal peso delle bollette. Lo Stato non dovrebbe essere un ente benefico DONATORE, ma un prestatore di prima istanza, che potrebbe riprendere i soldi spesi chiedendo ai beneficiari di restituire allo stato (o alla eventuale banca erogatrice) i 12.000 euro con rate mensili pari alla metà della media storica delle bollette pagate in era "Pre Operazione Speciale" di Putin.
Alcune domande per concludere
-a) Se lo Stato dovesse farvi una proposta del genere, in alternativa alla mancia di 200/300 euro al mese per soli tre mesi, e poi ranges, la accettereste, o preferireste la mancetta una tantum?
-b) Dato che l'operazione di liberarsi TOTALMENTE e PER SEMPRE dalla dipendenza energetica dai mal di pancia di Russia e di Paesi Arabi Democratici è riuscita fino a coperture attuali del 50/70% del fabbisogno energetico ad un paese come il Portogallo, certamente meno ricco e meno tecnologicamente avanzato dell'Italia, pensate che sia una chimera che possa farcela un'Italia eventualmente governata non da cialtroni intenti solo a favorire l'evasione fiscale futura, e a condonare quella passata?
-c) Pensate che ciò che ha fatto per il Portogallo un'azienda ITALIANA (Enel Green Power) per il Portogallo, avrebbe difficoltà a farlo in Italia?
-d) Come pensate che reagirebbe la speculazione se 27 paesi ricchi iniziassero ad adottare una politica che dovesse finanziare anche solo il passaggio di una famiglia su 10 e di una azienda su 10 all'anno alla quasi totale autosufficienza energetica?
La domanda la trovate nella reazione dei mercati del gas al solo annuncio di un price-cap per ora, di fatto, neanche entrato in funzione, e pieno di limiti e di scappatoie.
Tafanus
Scritto il 24 dicembre 2022 alle 12:37 nella Ambiente, Economia, Guerra, Nucleare, Politica, Scienza, Tafanus | Permalink | Commenti (1)
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08 dicembre 2022
Chi è Carlo Nordio, il ministro della Giustizia voluto dal governo Meloni
Cerchiamo di ricordare chi è stato voluto dalla Premieressa Meloni al Ministero della Giustizia: un uomo che per anni ha perso tempo ad indagare su un presunto "mazzettificio" veneto di cooperative agricole nate per fallire, sparire col malloppo, e dare parte di questo malloppo a Craxi, Occhetto e D'alema.
Il suo lungo lavoro si è chiuso senza alcun risultato dopo anni persi ad inseguire dei fantasmi, col risultato di gettare dubbi su ipotesi di reato risultate infondate. Chiuse con totale insuccesso le indagini, ma non restituita contestualmente la dignità ai non colpevoli. Semplicemente, lo zelante magistrato - oggi supergarantista - si era "dimenticato", per anni, di archiviare la poco consistente inchiesta, sicchè per anni D'Alema & C sono rimasti ingiustamente inseriti nel registro degli indagati con l'ipotesi di mazzette (e di associazionbe a delinquerre, visto che i presunti reati sarebbero stati compiuti in combine con altri soggetti)?

Di lui si ricordano soprattutto le posizioni di minoranza: depenalizzazione di molti reati, la necessità di una legge sul suicidio assistito, il ritorno all’immunità parlamentare e la discrezionalità dell’azione penale. Con il rischio dell’eterogenesi dei fini: che per la destra Nordio diventi subito una spina nel fianco, ora che Nordio è a via Arenula.
Del carattere veneto ha la giovialità. Carlo Nordio l’ha mantenuta anche durante i durissimi scontri con i colleghi della procura di Milano, a cavallo di Tangentopoli. Magistrato fuori dagli schemi correntizi, è stato presenzialista in tv e loquace sulla carta stampata, ma anche sempre pronto ad andare contro l’opinione dominante, tanto da inimicarsi equamente sia una parte della magistratura che i politici sui quali ha indagato.
Nato nel 1947 a Treviso, laureato in Giurisprudenza a Padova nel 1970 e dal 1977 procuratore a Venezia, la sua vita professionale si è svolta in un triangolo di 80 chilometri quadrati che oggi è diventato il suo collegio elettorale. Il Veneto, infatti, rimane la terra della seconda vita di Nordio: quella in politica, da capolista di Fratelli d’Italia alla Camera nel collegio plurinominale Veneto 1 – che comprende per l’appunto Treviso, Padova e Venezia – e nell’uninominale che corrisponde a Treviso.
La sua candidatura non ha stupito, come non stupisce che Fratelli d’Italia lo voglia al ministero della Giustizia. Tra i pochi magistrati apertamente di destra – anche se lui ha sempre preferito definirsi liberale ed elenca nel suo pantheon Immanuel Kant, William Shakespeare e Winston Churchill – non si è mai sottratto a incarichi politici come, ad esempio, la presidenza della fallita commissione Castelli per la riforma del codice penale. Né ha fatto mistero di guardare alla politica una volta smessa la toga. Chi lo conosce lo avrebbe collocato nell’alveo di Forza Italia, ma il tramonto del berlusconismo non avrebbe potuto offrirgli un collegio sicuro. Fratelli d’Italia invece gli ha permesso di conquistare il ministero della Giustizia.
Le Inchieste - Silenziosamente c’è chi si interroga: non sarà troppo indipendente per un partito così rigorosamente gerarchico? Nel foro veneziano, notoriamente non tenero con la controparte in magistratura, lo descrivono come «un magistrato anche troppo libero. Uno che non ha mai sgomitato, ma che nello stesso tempo si notava». Non troppo diverso il controcanto tra le toghe: divisivo sì, ma tutti riconoscono che «non era una carrierista».
Nei suoi quarant’anni di magistratura di cui buona parte vissuti sotto i riflettori Nordio ha legato la sua carriera a una città – Venezia – rinunciando a incarichi direttivi. Fino a 65 anni è rimasto sostituto procuratore, è diventato aggiunto solo nel 2009 e ha gestito la procura veneziana come facente funzioni nell’anno del pensionamento, nel 2017, prima della nomina del nuovo capo. «Mettermi a dirigere un ufficio sarebbe stato come mettere un pilota da guerra dietro una scrivania. A me piaceva fare i processi», dice lui.
Eppure, una delle malignità di procura è che Nordio non sia mai stato uno stakanovista e che la luce del suo ufficio alle 17 fosse spesso spenta. Voci che Nordio quasi conferma: «Sono del parere che un magistrato non debba mai lavorare troppo. Sa quanti magistrati stanchi ho visto commettere errori tremendi? Meglio prendersi del tempo, piuttosto che fare danni». Del resto, non ha mai vissuto la magistratura come una missione o un sacerdozio e, al momento della pensione, ha consigliato ai giovani colleghi: «Leggete qualche libro in più e qualche saggio giuridico in meno».
Le inchieste La carriera di Nordio è legata a due grandi inchieste, che hanno colpito una a sinistra e l’altra a destra. La prima, nel 1993, ha riguardato le cosiddette “coop rosse”. In realtà l’indagine per finanziamento illecito nasceva a carico dei vertici veneti del Psi e della Democrazia cristiana, con le condanne di Gianni De Michelis e Carlo Bernini, e solo dopo si è allargata anche ai comunisti. Partendo dai fallimenti di alcune cooperative agricole venete, Nordio aveva ipotizzato che il meccanismo fosse di creare coop agricole per ottenere finanziamenti pubblici, dirottare il denaro al partito e poi farle fallire.Nordio si è mosso con grande clamore mediatico: ha sequestrato i bilanci delle feste dell’Unità delle sette federazioni del Pds veneto e l’operazione è stata ribattezzata “Braciola pulita”, perchè si indagavano le spese per polenta, vino merlot, salsicce e bigoli.
Specularmente, a Milano, lavorava sulla stessa traccia Titti Parenti, la magistrata che nel 1994 lascerà il pool e la toga per candidarsi con Forza Italia. L’uomo chiave è Alberto Fontana, dirigente regionale delle coop venete, che poi è stato condannato a tre anni e otto mesi. Ma a fare più scalpore sono gli avvisi di garanzia a Massimo D’Alema, appena diventato premier, Achille Occhetto e Bettino Craxi. I tre vengono sentiti a Roma e D’Alema liquida l’inchiesta in modo caustico: «È stato un momento importante del dibattito sul surrealismo».
Intanto, il Pds attaccava furiosamente Nordio, accusandolo di aver costruito un teorema sul “non potevano non sapere”. Alla fine, tutto si è sgonfiato ed è finito in rivoli secondari. È stato Nordio stesso a chiedere l’archiviazione per i vertici del Pds, scrivendo che «è inaccettabile l’assioma che chi stava al vertice non potesse non sapere». Lo strascico finale è stato da commedia all’italiana: agli imputati non è stata mai comunicata l’archiviazione e, nel 2006, D’Alema e Occhetto hanno chiesto un risarcimento per ingiusto ritardo.
Scritto il 08 dicembre 2022 alle 23:18 nella Politica, Politica e Magliari | Permalink | Commenti (0)
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21 novembre 2022
Lega: bonus fiscale di 20.000 € a chi si sposa in chiesa
Matrimoni, la proposta della Lega: bonus fiscale di 20.000 € a chi si sposa in chiesa.
Poco importa che la proposta di legge non sia stata presentata direttamente dal new-madonnaro doc Salvini. Difficilmente avrebbe potuto spiegare quali relazioni ci siano fra questa proposta di legge bislacca, bigotta, baciapile e anticostituzionale, e il Ministero delle Infrastrutture. Ma poco importa: da quando la Lega del Komunista Patano è in caduta libera, le uscite quotidiane del kapò di questo partito allo sfascio non sono guidate da nessuna strategia, ma dal panico. Un Circo Barnum nel quale ogni clown al mattino si sveglia, e si inventa una nuova minchiata non autorevole ma autoritaria, o impraticabilmente "sovranista", in soccorso delle classi più protette e più dedite ai crimini economici, non arriverà a mangiare la colomba pasquale.
Ma diamo a Cesare quel che è di Cesare: formalmente la presentazione di questa proposta-minchiata è stata affidata a cinque peones: Domenico Furgiuele, Simone Billi, Ingrid Bisa, Alberto Gusmeroli ed Erik Pretto. Alzi la mano chi ne ha mai sentito nominare uno... Ma davvero si può pensare che cinque peones presentino una proposta così cretina e divisiva, senza che "LA MENTE" del partito (Il New Madonnaro) non ne sapesse niente, e non avesse dato il suo beneplacito?????
Stralciamo da "Open" alcuni dettagli: Un bonus-matrimonio, ma solo per chi si sposa in chiesa. Se approvata, la misura stanzierebbe un bonus fino a 20mila euro per detrarre il 20 per cento delle spese legate alla celebrazione del matrimonio religioso: fiori decorativi, passatoia, libretti, abiti degli sposi, servizio di ristorazione, parrucchiere, bomboniere e servizio fotografico. L’obiettivo è presto detto: convincere più giovani a scegliere di sposarsi in chiesa, un’usanza sempre più in calo negli ultimi anni. La diffusione della notizia, però, ha generato forti critiche alla Lega e c’è chi solleva dubbi sulla costituzionalità della misura [...]
Questi analfabeti colpiti da improvviso benessere e da ubriacante febbre del potere con questa uscita da ubriaconi alla bocciofila mostrano tutte le loro umili origini culturali. Evidentemente non sanno dell'esistenza di una Costituzione Italiana, e in particolare del suo meraviglioso articolo 3:
Art. 3. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
E poco importa che Palazzo Chigi prenda le distanze, Palazzo Chigi (quello dello slogan brand new DIO, PATRIA, FAMIGLIA):
[...] La premier Giorgia Meloni: «Il bonus matrimoni non è allo studio del governo», fa sapere Palazzo Chigi con una nota [...]. Troppo tardi, e troppo poco. Sappiamo perfettamente che non è all'ordine del giorno. Forse perchè la Meloni comincia a capire che Mattarella non è una foglia di fico atta a coprire le stronzate della destra? A tal proposito, si veda come il Quirinale abbia bloccato sul nascere uno dei tanti "de-cretini" che avrebbero consentito a migliaia di fuori-legge fiscali e di delinquenti comuni di svolgere i loro traffici girando con in tasca mazzette di banconote da 500 euro.
A chiarire sul bonus anche lo storico esponente di Fratelli d’Italia e attuale ministro della Difesa Guido Crosetto: «Il bonus nozze non fa parte della manovra» [...] non è un tema che interessa ad uno Stato laico».
La notizia di un possibile bonus dedicato solo ai matrimoni celebrati in chiesa ha fatto insorgere le opposizioni. «Al di là della probabile incostituzionalità, si conferma che la Lega di Salvini è letteralmente fuori controllo», ha commentato il leader di Azione Carlo Calenda.
«Il beneficio andrebbe riservato a italiane e italiani da almeno dieci anni e che scelgono il matrimonio religioso, ovviamente rigorosamente etero: una perla di reazionario analfabetismo costituzionale», osserva Benedetto Della Vedova, segretario di +Europa. Dura anche la reazione del Partito Democratico: «Ai leghisti che vogliono regalare 20mila euro di soldi pubblici solo a chi si sposa in chiesa vorrei svelare un segreto insegnatomi da un prete: lo Stato è laico», twitta il senatore dem Enrico Borghi.
Per ora mi fermo qui... Ma dato che "...a pensar male si fa peccato, ma spesso si indovina..." (Copyright: Giulio Andreotti). mi viene un sospetto: e se la Lega, con questa intelligentissima proposta, avesse subdolamente voluto sottolineare che la premieressa (che sta cannibalizzando la Lega) si trovi (e la Madonnina non vuole) in una situazione da convivente more uxorio? Quello status che la Treccani definisce concubinaggio???
Ma no! Come direbbe l'On. Razzi: "...questo io non creto...". Sarebbe il più grande esempio di tentato suicidio politico collettivo, visto che i tre "azionisti" di questa destra che contino qualcosa (Meloni, Berlusconi e Salvini), sarebbero TUTTI non solo non sposati in chiesa, ma non sposati tout-court. Per la serie "Fate come vi dico, non fate come io faccio".
Tafanus
Scritto il 21 novembre 2022 alle 11:57 nella Politica | Permalink | Commenti (0)
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20 novembre 2022
PD - La candidatura di Bonaccini alla Segreteria: un segnale di uscita dal coma profondo?
LA CARICA dei 501 delegati necessaria a convalidare la proposta di modifica dello statuto è stata raggiunta a fatica, nonostante ai mille aderenti all’assemblea nazionale fosse stato concesso di poter partecipare anche da remoto.
Elezioni regionali permettendo i gazebo verranno montati il 19 febbraio, cioè almeno un mese prima di quanto pensasse l’attuale leader che aveva immaginato un percorso più lungo per consentire la ridiscussione delle basi programmatiche del partito. Il tutto, in fin dei conti, avverrà a scapito della discussione nei circoli. Formalmente sono salve la possibilità di poter scrivere il manifesto dei valori a opera dei saggi (per il quale ci si aspetta che si prenda atto con almeno un decennio di ritardo della fine della Terza via neoliberista-blairiana) e l’apertura ad altri soggetti (in primis Articolo 1, ma ieri ha annunciato la sua adesione anche Laura Boldrini).
Al termine di questo processo, viste le divisioni interne al partito ma anche lo scollamento dalla sua base, potrebbe essere che per la prima volta gli iscritti e il voto popolare consegnino risultati divaricanti.
La nuova fase inizierà formalmente con la direzione di giovedì prossimo, il 24 novembre, che nominerà il comitato costituente nazionale. La prossima scadenza è il 22 gennaio, termine entro il quale l’assemblea dovrà essere approvare il «manifesto dei valori».
Quattro giorni dopo, il 27 dello stesso mese scade la deadline per presentare le candidature alla segreteria. Il voto degli iscritti sulle candidature è previsto per il 12 febbraio, a una settimana dalle primarie.
«PER ME ORGOGLIO Pd vuol dire respingere l’aggressione continua nei nostri confronti da parte di chi vuole essere alternativa a noi invece che alla destra», ha scandito Letta nella sua relazione con palese riferimento al Movimento 5 Stelle, rivendicando le candidature di Pierfrancesco Majorino in Lombardia e di Alessio D’Amato per il Lazio (Santoro è proprio sicuro che nelle parole di Bonaccini non ci sia un'allusione piuttosto scoperta ai "due-due Renzi/Calenda? NdR) [...]
«AVANTI CON le idee. Avanti con le candidature», esorta ancora Letta. La sua dichiarazione d’intenti all’indomani della sconfitta delle politiche chiedeva di invertire il meccanismo: le candidature alla segreteria questa volta dovevano essere conseguenza della discussione più che premessa della stessa.
Finalmente Letta da un segno di "esistenza in vita", forse obbligato, dopo le pessime prove fornite sia in termini strategici che tattici in questa tornata elettorale. Forse ha capito che un partito che potrebbe precipitare addirittura ai livelli attuali di Lega e Foza Italia non può permettersi di aspettare la primavera per fare un cazzo di congresso rifondativo (NdR)
Al momento, oltre all’ex ministra delle infrastrutture Paola De Micheli e al sindaco di Pesaro Matto Ricci. Gli aspiranti dati per favoriti vengono entrambi dall’Emilia, nonostante un vecchio adagio dei tempi lontani del Pci recitasse che gli esponenti di quelle regione erano efficaci come amministratori, meno come dirigenti nazionali [...]
Altra candidatura, quella di Elly Schlein, una di quelle che dovranno formalmente aderire in itinere, in queste settimane di rigenerazione e dunque soltanto successivamente potranno presentare candidatura formale. «Col voto di oggi l’Assemblea nazionale del Pd avvia il congresso costituente – ha commentato ieri Schlein – Dalla comunità democratica arriva un segnale importante e inclusivo di apertura di una discussione con e tra le persone. Ora partecipiamo, con idee e proposte sulle sfide cruciali per il paese e sull’alternativa a questa destra» [...]
Fermo restando il mio giudizio positivo sul suo curriculum professionale e politico passato (non ultima la sua partecipazione nel 2014 alla manifestazione contro il renziano "Jobs Act"), ci sono alcuni elementi che rendono questa candidatura non solo perdente, ma addirittura contraria all'interesse primario del PD, che in questo momento dovrebbe essere quello di frenare la caduta, e di ritrovare il proprio elettorato di riferimento.
Immagino già i media vicini al destra-centro massacrare il PD che alla segreteria trova come candidati - uno opposto all'altra - il Presidente e la Vice-Presidente del PD.
Immagino come un popolo che ha votato al 44% l'erede di "DIO, PATRIA, FAMIGLIA" potrebbe accogliere positivamente la candidatura di una persona con cittadinanza svizzero/americana, dichiaratamente bisessuale... Questa candidatura (tanto per aggiungere altri elementi al timore che non cambieremo mai) è sponsorizzata da Dario Franceschini, che si è scoperto di sinistra solo dopo lo sfascio e la sparizione della DC, e solo dopo anni in cui è tenacemente rimasto ai rottami dello Scudo Crociato: un lungo aggrapparsi a partiti "'de sinistra" quali - a DC estinta, i Cristiano Sociali, il Partito Popolare Italiano, La Margherita... Tutte ONG dedite al salvataggio dei naufraghi della DC (NdR)
Devono decidere come collocarsi anche il sindaco di Firenze Dario Nardella e il parlamentare europeo Brando Benifei, il cui gruppo di «giovani» potrebbe convergere su Schlein. Sulla ex vicepresidente della Regione Emilia Romagna, per adesso, punterebbe Dario Franceschini, considerato eminenza grigia delle mosse decisive degli ultimi anni [...]
Credit: Giuiano Santoro - ilmanifesto.it
...Oddio no!!!!! Il renzismo di Nardella, non mitigato dall'adesione del suo "King-Maker" alla baracconata neo-populista di Calenda, certifica che le possibilità di rianimare QUESTO PD sono, in una scala da 0 a 10, inferiori a 2.
E mentre gattopardescamente "tutto cambia affinché tutto resti come prima", a nessuno viene in menta di tentare di ricucire con la sinistra di Bersani, o di puntare su facce oneste come quelle di Gianni Cuperlo?
Ciò che resta del M5S ringrazia, e si accinge a raccogliere i resti senza vita del fu PD, fingendo - con realistico cinismo, di essere l'erede al trono della fu sinistra italiana.
Tafanus
Scritto il 20 novembre 2022 alle 15:40 nella Politica | Permalink | Commenti (0)
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06 ottobre 2022
Giuseppe Conte fa rima con "camaleonte"?
I frequentatori del Tafanus si saranno meravigliati del nostro lungo silenzio post-elettorale. Me ne scuso, ma anch'io ho avuto bisogno di metabolizzare le porcherie umane e politiche che ci ha regalato la così detta Classe Digerente, e che ci hanno ridotti a mandare in giro per il mondo, a far finta di essere diventati cittadini di un paese affidabile, la Giorgia Meloni da Roma-Testaccio, che pur di arrivare da qualche parte si è messa con la qualunque...
Insomma, una bella ammucchiata... Simmetricamente, anche la qualunque si è messa con la Meloni...
Acclamatissima dal popolo in formato eia eia alalà cerca disperatamente di darsi un volto nuovo, ma per far questo non basta un po' di cipria bianca per cancellare il colore nero. Ma la voglia di potere non conosce confini ideologici o cosmetici.
...Franza o Spagna, purchè se magna... (Copyright: Francesco Gucciardini da Firenze, XVI secolo). Che ci sia un patrimonio cromosomico in comune fra vecchi fiorentini e fiorentini d'oggi nati vecchi? Mi scuso per la frammentarietà di queste tardive considerazioni, ma non si può fare un'analisi sensata su avvenimenti insensati. Cercherò di mettere insieme i cocci, partendo da una analisi del camaleontismo di uno dei principali responsabili di questa crisi insanabile: quello sconosciuto avvocato dalla ridicola pochette in formato Resegone. e dall'insano curriculum di ben 80 pagine (persino il Padreterno si sarebbe accontentato di 8 pagine), nel quale era indicata anche una permanenza ad Harward, di cui nessun giornalista è riuscito a reperire riscontri.
Per iniziare, dobbiamo crocefiggere noi stessi - Dalla vigilia della Bolognina in poi, abbiamo cambiato marchio di fabbrica per ben quattro volte da PCI (che era quello di Berlinguer e non certo quello di Peppone) siamo passati al PDS, ai DS, e al PD. Una sorta di vergogna delle origini, forse inopportuno per un partito che con oltre il 30% dei voti (e non solo per merito di una marchetta 80 euro di renziana memoria, il cui effetto non è durato neanche un mese, ma per l'orgoglio di un popolo che aveva fatto i conti col suo passato).
La distruzione lenta ma implacabile di noi che ci chiamavamo comunisti senza vergognarcene, di noi che abbiamo pianto per la "morte sul lavoro" di Enrico Berlinguer, ed alla vista del suo funerale con centinaia di migliaia di militanti e di semplici elettori in lacrime, eravamo orgogliosi delle nostre origini e - specialmente dopo lo strappo coraggioso di Berlinguer dal partito comunista sovietico - non ci vergognavamo della nostra sigla.
C'erano una volta le sezioni di partito in ogni paesello. Luoghi di aggregazione dove non si giocava solo a scopone, ma si discuteva, sempre e di tutto, e nessuno si sentiva obbligato ad adottare le teorie di nessun altro senza discuterne. Ormai da anni la sezione del mio paesello è chiusa, sul lucchetto ci sono le ragnatele.
C'era una volta "l'Unità", che tirava oltre 100.000 copie, e la domenica mattina veniva "strillonata" anche fuori dalle chiese da volontari trinariciuti. Fra i direttori che ricordo a braccio, c'erano state persone come Gerardo Chiaromonte, Furio Colombo, Massimo D'Alema, Concita De Gregorio, Renzo Foa, Pietro Ingrao, Alfredo Reichlin..... Da giovanissmo, un anno PRIMA della costruzione del muro, durante una lunga permanenza a Berlino, prendevo ogni giorno il metrò da Kurfürstendamm a Friedrichstraße per andare a comprare l'Unità nell'unica edicola di tutta la "Gross Berlin" dove la vendevano.
C'era una volta. Poi è arrivato il renzismo, e il giornale è caduto in mano a gente come Renzi, e a gente come Rondolino, ex conduttore del Grande Fratello... Non ci siamo fatti mancare niente. Due anni di questa incommestibile poltiglia, e siamo arrivati alla prima messa in liquidazione del "Giornale dei Lavoratori", fondato nel 1924 da Antonio Gramsci. Aveva resistito a crisi economiche e politiche, alla seconda guerra mondiale, al boom degli anni sessanta, alle crisi e al terrorismo degli anni settanta. Aveva retto per oltre ottant'anni. Poi sono arrivati il renzismo, le Marie Etrurie Boschi, la Lady Like Moretti, la Debora Senzacca Serracchiani, Il Rondolino fù Grande Fratello, e il giornale è morto.
Resuscitato dopo un paio d'anni - ricordate con l'ausilio di chi? Ma si, proprio da loro! dai Fratelli Pessina, proprietari di una miriade di sorgenti d'acqua nelle Valli Bergamasche, e palazzinari a tempo pieno. Komunisti??? Niente di tutto questo. Avevano deciso di investire nel renzismo, probabilmente aspettandosi magnifiche sorti e progressive del renzismo, e magari riconoscenza traducibile in succulenti appalti di lavori pubblici.
Il governo Renzi, per nostra fortuna, dura meno di tre anni (dal febbraio 2014 al dicembre 2016). Un vero peccato la sua uscita prematura. Grazie alle sue immense qualità e competenze, ed essendosi circondato da un esercito di altri estremamente competenti, avrebbe potuto fare ancora ben altri danni...
Alcuni nomi che ricordo con rammarico? Of course Matteo Renzi, ma anche gli indimenticati Luca Lotti, Domenico Minniti, Graziano Delrio, Maria Elena Boschi, Ivan Scalfarotto, Maria Anna Madia, Mario Giro, Benedetto Della Vedova, Angelino Alfano, Filippo Bubbico, Gennaro Migliore, Roberta Pinotti, Gioacchino Alfano, Carlo Calenda (...toh... chi si pre-vede...), Federica Guidi, Teresa Bellanova, Maurizio, Maurizio Martina, Davide Faraone, Dorina Bianchi, Beatrice Lorenzin...
Dobbiamo alla rincorsa di alcuni pseudo-sinistri l'inizio della "normalizzazione e legittimazione" del lavoro precario, iniziata un quarto di secolo fa coi co.co.co. (ma non si poteva trovare una denominazione meno ridicola?), ad opera non già di qualche falco confindustriale, ma ad opera del "nostro" Tiziano Treu.
Dopo le forme di legalizzazione del precariato sono diventate una slavina. Dai co.co.co, ai co.co.pro. Ora attendiamo con impazienza i co.co.dé. La devastazione è stata completata da Renzi col ridicolo jobs-act. E chiamarla legge sul lavoro no??? Capisco. Renzi parla tanto bene l'englishish, che gli sarebbe sembrato provinciale dare un nome italiano. Gli inglesi non vedono l'ora di poter diventare anch'essi moderni, chiamando il loro banale jobs act con l'italianissimo Legge on the Lavoro.
Chiudo qui questa fin troppo lunga puntata introduttiva, e prometto (o minaccio?) le successive puntate a breve scadenza.
Auguro a voi tutti a good evening.
(1° puntata dell'auto-flagellazione - Continua)
Scritto il 06 ottobre 2022 alle 19:25 nella Criminalità dei politici, Lavoro, Politica, Renzi, Tafanus | Permalink | Commenti (6)
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21 luglio 2022
I vigliacchi del draghicidio (da Lucia Annunziata. La Stampa)
Riportiamo in calce alcuni passaggi dell'articolo di ieri di Lucia Annunziata su "La Stampa". Molto istruttivo sulla pochezza dei politici nostrani. E ora cerchiamo di non premiare col diritto alla pensione. Mandiamoli a casa prima che scattino i termini necessari alla conquista dell'ambito furto con scasso. Tafanus
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Così i partiti in pochi messi hanno logorato il premier. Ora l’Italia, agli occhi del mondo, è un sistema politico fallito
I coccodrilli hanno asciugato rapidamente le loro lacrime, e festeggiavano ieri pomeriggio, la pancia piena dei resti di una legislatura. Una soddisfazione almeno tocca a chi guarda, orripilato, tanta allegria: il velo è caduto, la maggioranza più larga della storia recente, si è rivelata per quello che era – una malmostosa, rabbiosa, silente comunità politica che lodava in pubblico il suo premier e complottava in privato di mangiarselo.
Nemmeno essere Mario Draghi è stato sufficiente. La figura più influente del nostro paese – per provato curriculum e risultati (qualunque cosa se ne voglia pensare) - è stato politicamente fatto a pezzi nel giro di pochi mesi. Prova finale che la crisi delle istituzioni – nell’ordine ascendente: Partiti, Parlamento, Presidenza del Consiglio, e Quirinale- innescata dieci anni fa dalla fine del governo Berlusconi e il ricorso a un governo tecnico, quello di Mario Monti, è arrivata al punto di non ritorno. L’Italia è anche ufficialmente, da questo momento, e agli occhi di tutto il mondo, un sistema politico fallito.
La fine della storia è arrivata senza nemmeno un po’ di onore: i coccodrilli sono usciti, accalcandosi, dal portone del Senato, ridendo com’è giusto per un branco che ha vinto una battaglia. Ma la corsa felice serviva soprattutto a lasciare in tempo l’aula così da non dover votare; così, cioè, da non mettere il proprio nome sul “draghicidio”. Sapevano che nella prossima campagna elettorale l’eliminazione di Mario Draghi costituirà una scelta di campo, una definizione politica. Ed hanno ragione a temere. Le conseguenze di quello che è successo nel Parlamento Italiano sono destinate ad essere, nella dinamica europea, una evoluzione che riapre una lotta politica interna al continente come da tempo non vedevamo.
L’unico modo per capire davvero quello che sta succedendo è strappare questa vicenda dal qui e ora, e riconnetterla con quello che è successo all’inizio di questa legislatura, alla formazione del governo giallo-verde nel 2018. Ripartendo dalla domanda di oggi – chi ha ucciso Mario Draghi? Risposta semplice: Giuseppe Conte, e Matteo Salvini. Ancora loro due. È dal 2018 che questa coppia pur nelle divisioni e negli scontri, nei momenti più rilevanti della storia politica del paese si rivela un’alleanza di ferro. La coppia funzionò perfettamente all’inizio del governo Giallo Verde, si divise nel secondo governo Conte, ma sotto la tensione è sempre rimasta un’automatica convergenza di sentimenti e decisioni: furono loro due a lavorare contro la elezione di Mario Draghi al Quirinale, e loro due sono stati la testa di ponte dell’assalto al governo Draghi. L’assonanza fra i due è talmente spontanea, talmente limata, da sfociare spesso senza neanche accorgersene in perfette sovrapposizioni. Salvini e Forza Italia infatti mossi da un feroce sentimento Anti Conte, al punto da porre a Draghi il diktat di formare un nuovo governo senza Conte, colpevole di aver affossato l’Unità nazionale, in assenza del consenso di Draghi a questo piano, hanno dato loro il colpo finale al governo affossato, a loro dire, da Conte.
La novità di questa coppia è che si è aggiunto stavolta nel “draghicidio”, a consacrazione dell’egemonia di Salvini, Silvio Berlusconi, che, ammaliato dalla prospettiva del voto subito in chiave di competizione con la Meloni, ha abbandonato il ruolo di capo del partito della moderazione e dell’Europeismo di destra, in Italia.
Come si vede, il sottofondo di tutto quello che è successo continua a tornare a un punto preciso della formazione della nostra classe politica: la vittoria nel 2018 di due partiti populisti, Lega e M5S.
Non durò molto, l’esperimento. Ma qualcuno si ricorda perché , in queste ore?
Quella vittoria presa in Italia come una delle tante giravolte di un instabile panorama politico, creò un vasto allarme in Europa. Così vasto da avere forte eco anche oggi.
Si ricorderà che il successo elettorale dei populisti nel 2018 avvenne nell’infuocato clima della crisi dei migranti da una parte e nel formarsi di un forte fronte anti-Europa. Non si scherzava in merito. Un vero e proprio fronte costituito da Orban, Salvini, e Le pen ( ci limitiamo ai nomi più rilevanti) che portava avanti, in vista delle Europee del 2019, la parola d’ordine: “Vinceremo noi e cambieremo le regole Europee”. Salvini in Italia fece di quella promessa il traino della sua prima fase di governo. L’Europa, dietro le frasi di circostanza – la Merkel era una maestra in questa arte di dissimulazione delle sue rabbie- temeva fortemente questo progetto. Progetto finanziato e apertamente sostenuto dalla Russia di Putin. Il Presidente Russo, già implicato nella guerra in Ucraina dal 2014, sosteneva apertamente Orban, la Le Pen, ( per sua stessa ammissione finanziata con 5 milioni di Euro) e Salvini in Italia. Era il momento del successo della Brexit, del governo neonazista in Austria, del movimenti antieuropa in Olanda. L’Europa della Merkel tremava e dissimulava. Ma non stette a guardare. A pochi giorni dalle europee del 2019 venne diffuso un video che mostrava Heinz-Christian Strache, vicepremier e leader del Partito delle libertà (Fpö), di estrema destra, mentre tratta con una pseudo-oligarca russa durante una serata alcolica a Ibiza. Sebastian Kurz , capo del governo austriaco, scelse di dimettersi immediatamente, annunciando elezioni anticipate.
Nel 2019 l’Espresso rivela gli incontri in un albergo di Mosca, il Metropol, tra esponenti della Lega ( Salvini era in città ma non nell’albergo) e Russi che promettevano fondi al partito italiano. Un episodio mai chiarito, ma mai smentito, che lasciò Matteo Salvini intontito sotto il peso di una vicenda più grande di quel che immaginasse. Una vicenda che ha lasciato su di lui e sul suo alleato di allora Conte ( anche lui in quel periodo, il 2018, protagonista di molte visite a Mosca) un permanente sospetto, ritornato alla grande in questi mesi di guerra, di una relazione un po’ troppo speciale con Putin. Va ricordato, tuttavia, che la rottura sui soldi di Mosca, fu la fine del governo Conte1, e del rapporto fra i due alleati, nonché la ragione della brillante presa di distanza che portò Conte al suo secondo mandato costruito stavolta con il Pd. Eppure quella relazione fra Salvini e Conte è tornata sempre a galla, quando si è trattato del governo Draghi, come abbiamo scritto.
Da ieri quella relazione si rafforza, anche senza la volontà dei due leader. Conte e il fronte della destra marciano nella stessa direzione. In Europa le orecchie sono già alzate.
Scritto il 21 luglio 2022 alle 14:33 nella Politica | Permalink | Commenti (0)
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15 luglio 2022
La crisi di governo: l'analisi di Giannini (...e la nostra...)
In tutta questa storiaccia, il perdente N° UNO sarà il patetico Giuseppi Conte. L'ho sempre apprezzato pochissimo, da quando si è presentato al pubblico con un curriculum lungo quanto Anna Karerina (curriculum che parlava anche della sua frequenza ad Harward sconosciuta agli archivi di quella Università), a quando sfoggiava delle inguardabili pochettes che sembravano il profilo del Resegone; da quando ha iniziato a mostrarsi in quelle sfilate televisive nei corridoi di Palazzo Chigi, sempre uguali, con lui che camminava con passo deciso - alla John Wayne - a fatica seguito da giovani guardie del corpo e lecchini di diverse specie... Da quando è diventato campionissimo del "si ma anche", prima governando con l'elogiatissimo Salvini, poi governando contro lo spregevolissimo Salvini. Da quando ha iniziato a cambiare ogni due settimane le regole di lotta alla pandemia, finchè la gente si è stufata di capire/aggiornarsi a settimane alterne sui nuovi comportamenti da adottare, ed ha iniziato ad adottare il Piano B: quello di non leggere più neanche l'elenco delle regole sempre nuove, piene di incomprensibili distinguo. Quello dei provvedimentini-ini-ini, tutti piccolini, ma che sommati producevano un totale mica da ridere (dai monopattini, ai decoder da 30 euro, ai banchi a rotelle che marciscono in qualche deposito, al cash-back con lotteria).
Questa minchiata di crisi sarà l'arma del suicidio di ciò che resta dei 5 Stelle, ma anche da chi la sta sposando, come la Regina dei Borgatari, che non ha ancora capito che i voti di pietra non obbediscono ai sondaggi.
Last AND least, il Bischero di Frignano sull'Arno, che sta tentando disperatamente di riesumare il cadavere di Italia Viva Nata Morta. Da quando si è aperto il capitolo "Crisi di Governo", in media ogni due o tre ore si trova a passare per caso vicino ad una troupe televisiva. Dichiara. Non dice niente, ma lo fa molto bene. Sempre col carisma e l'empatia che possiamo apprezzare in un pugno di sabbia nelle mutande. Lo capisco. L'ex Signore del 40,8% (mai avuto; era figlio di una coalizione, alle elezioni europee che sono un'altra cosa, comprato coi dieci miliardi all'anno della marchetta 80 euro, e dall'effetto sparito entro due mesi), cerca di capire se per caso ci sia una fessura sicura, nella slavina che potrebbe precipitare, dove ficcarsi per cercare di rinascere.
Poche parole le merita anche l'ex Patania Libera Matteo Salvini. Per ora, in attesa degli sviluppi delle correnti d'aria, non chiarisce, e non promette miracoli (che sappia di non poterli eventualmente fare?). Si limita a criticare a destra e a manca chi non ha fatto - tutte insieme - le riduzioni del cuneo fiscale, l'abbassamento delle aliquote IRPEF, il raddoppio delle pensioni, la sanatoria delle grosse evasioni fiscali, la cacciata degli immigrati, l'omaggio a Putin - ma anche alla pace - il reddito alle casalinghe, ai boy-scouts, alle baby-sitter, agli idraulici in bianco e a quelli in nero, la cancellazione del canone RAI. Poi, ove mai dovesse entrare nel prossimo governo, just in case non riuscisse a fare tutto ciò, potrà sempre dire che lui non lo aveva promesso, ma si era limitato a sottolineare che i komunisti non lo avevano fatto.
Nel frattempo i primi effetti della trovata di Giuseppi si sono già avvertiti. Una per tutte: lo spread in due giorni è aumentato del 100%, a 240 punti-base. Una bazzecola. Il tutto costerà 17 miliardi di euro, pari a 34.000 miliardi di lirette. Una finanziaria d'antan.
Una piccola speranza? Si chiama "vitalizio". I peones senza mestiere dei 5 Stelle (ma anche di altri partitini e partitoni) sanno benissimo che servono ancora 9 mesi per il diritto alla pensione da parlamentari. Nel segreto dell'urna, Dio ti vede, ma Giuseppi no. Quanti senza-mestiere sapranno rinunciare alla pensioncina (ex "vitalizio") per andare incontro ad un nuovo futuro da supplenti di educazione fisica, o da bibitari?
Che dire? Che Dio ce la mandi buona.
Silvio, smetti di correre... non precipitarti! Ho detto "buona", non "bbona" !
Tafanus
Scritto il 15 luglio 2022 alle 22:50 nella Berlusconi, Criminalità dei politici, Politica, Renzi, Tafanus | Permalink | Commenti (0)
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27 febbraio 2020
Napoletani "colerosi"? Nel Lombardo-Veneto, patria d'elezione del "corona-vairus", farebbero bene a riflettere sugli insulti del passato
Anno di dis-grazia 1973: a Napoli arriva il colera. In alcune città della civilissima Padania, spuntano cartelli e murales di tifo per "'O vibrione nnammurato", e di incoraggiamento al "Mitile ignoto". Il divertimento dura poco, perchè i napoletani sconfiggono l'epidemia in due settimane. Per confronto, la civilissima Barcellona ci impiegherà due anni.
Non sono napoletano. Lo dico per evitare che qualcuno pensi che questo post sia dettato da partigianeria campanilistica. Ma a Napoli ho trascorso alcuni degli anni più belli della mia vita, avendo studiato nella Università napoletana, con un corpo insegnante che non ha riscontri, ad oggi, in nessuna università italiana. Qualche esempio? A Chimica Generale c'era il Prof. Giordani, Presidente del CNR, affiancato durante gli esami dalla compagna 90enne di Bakunin; a Fisica c'era il Prof. Carelli, allora Presidente della RAI non per selezione politica, ma perchè la RAI stava iniziando a sviluppare la rete di comunicazioni (trasmettitori, antenne, ripetitori), ed aveva bisogno di qualcuno che se ne intendesse; Analisi Infinitesimale? Il prof. Renato Caccioppoli, alla cui "geniale follia" si è ispirato il film sul "Matematico Napoletano"; last but not least, il Prof. Scherillo (Mineralogia, e relatore della mia tesi su "Ricerca e prospezione dei minerali uraniferi"), diventato pochi anni dopo Presidente della Associazione Europea di Mineralogia.
Ma l'Università era solo una parte del tutto: il giorno. Poi, intorno alle dieci di sera, la "banda" di amici si ritrovava senza essersi data appuntamento, e si cominciava a discutere: "Cosa facciamo stasera?". Avete presente il film "Amici miei"? Bene, noi siamo stati precursori di quasi tutte le zingarate elencate in quel film. Ma di questo parleremo quando ci tornerà la voglia di scherzare.
Ora, motivato dalle uscite razziste dei Feltri e dei Salvini, voglio solo ricordare - a loro ed ai razzisti da stadio e da osteria, ma anche a quelli da "salotto tivvù", un FATTO: a Napoli, città brutta, sporca e cattiva, il colera del '73 è stato debellato in due settimane, e ha fatto 12 morti (meno di quelli già attribuiti in Padania al "corona-vairus"). Ovviamente non gioisco dei morti nel Lombardo-Veneto, ma sarei stato felice se non avessi mai letto osceni cartelli inneggianti al vibrione del colera ed al Vesuvio.
Non proverò io a descrivere l'evento, ma lo farò fare all' Archivio Storico di Repubblica
Quando a Napoli scoppiò 'o vibrione
NAPOLI - [...] Correva l'anno 1973 e nella Napoli attaccata dal colera 'o vibrione, il germe della malattia, divenne l'oscura metafora del Male. Quei giorni torridi di fine agosto sono impressi nella memoria della città: sedici vittime, in gran parte anziani, duecento persone colpite dall'infezione, oltre mille ricoverate negli ospedali, cinquecentomila vaccinate in un sol giorno nelle scuole, nelle piazze, nelle cliniche private, perfino nelle caserme dei vigili del fuoco e nei depositi dell' Atan, l'azienda di trasporti pubblici.
E poi l'allarme sanitario, la paura, una sorta di psicosi collettiva che materializzò l'avversario da distruggere soprattutto nelle cozze, di cui fu vietata la vendita nei ristoranti. 'O vibrione è nei mitili, si disse. E al posto dei proibitissimi frutti di mare qualche trattoria, chissà perché, servì ai clienti petali di garofano fritti. Forse l' effetto sorpresa impedì una diagnosi tempestiva del morbo: svanito il ricordo della tremenda epidemia del 1884, con migliaia di morti a Napoli, si stentò a credere che il colera fosse tornato quasi novant'anni dopo. Invece era di nuovo lì, nella metropoli definita dal Time "la più sporca d' Europa".
E con il morbo, inspiegabile paradosso, tornò pure l'ordine. I testimoni più lucidi di quei giorni descrivono una città compassata e responsabile, smarrita eppure presente a se stessa, in cui nessuno, dal netturbino all'impiegato all'autista, abbandonò il posto di lavoro. Se barricate vi furono, esse sorsero contro l'immondizia abbandonata in strada. Una celebre foto ritrae centinaia di napoletani disciplinatamente in fila davanti alla sede della Croce rossa in via San Tommaso d'Aquino, in attesa della vaccinazione, e poi ancora in fila appena svoltato l'angolo.
Maurizio Valenzi, che divenne sindaco delle giunte rosse due anni dopo, nel ' 75, ricorda una di queste ordinatissime code all' ingresso di Palazzo San Giacomo, il municipio. "Esiste nei napoletani - commenta Valenzi - una coscienza della vita civile insospettabile, viste le abitudini individualistiche di questo popolo". A Valenzi capitò qualcosa di simile qualche anno più tardi, la sera del terremoto dell'80: era al San Carlo, dopo la scossa gli spettatori uscirono in lenta fila dal teatro, silenziosi, senza ressa.
"E' colera", titolò a tutta pagina L' Unità il 29 agosto del ' 73, primo giornale a dare la notizia ufficiale. (ATTENZIONE! trattavasi dell'Unità - Giornale dei lavoratori - fondato da Antonio Gramsci, non dell'Unirenzità affondata da Matteo Renzi. NdR)
Quell'articolo era firmato da Eleonora Puntillo, che descrisse l' incertezza di quei giorni, quando sette morti improvvise a partire dal 23 agosto alimentarono l'atroce timore che si trattasse di colera. "Il primo caso sospetto si verificò a Torre del Greco, lo venimmo a sapere da un medico", racconta oggi la Puntillo. Poi seguirono altri decessi. Si parlò di gastroenteriti acute, alla fine una commissione del ministero della Sanità fugò ogni dubbio. Allo stupore collettivo seguì il terrore. Il clima politico mutò di pari passo all' Evento. A Napoli si fronteggiavano l' agguerrita Dc dei Gava e il Pci. "Le sezioni del partito si mobilitarono per le vaccinazioni", spiega Valenzi. "La gente apprezzò, fu questa la ragione del nostro successo alle comunali del ' 75". I democristiani persero la città ma risposero con uno slogan divenuto celebre: "Il colera passa, i Gava no...". Le scuole rinviarono l' apertura. Il Cotugno, l' ospedale delle malattie infettive, fu preso d' assalto. "Sembrava il lazzaretto, arrivava gente per una semplice diarrea", dice il primario Giulio Tarro. L'allora presidente della Repubblica Giovanni Leone, aggiunge il virologo, "visitò le corsie con la mascherina in volto, e quella foto un po' ridicola fece il giro del mondo, perché il colera non è mica la peste che si trasmette attraverso i polmoni". Alla fine l' infezione passò. Rimase il timore di un nemico insidioso e nascosto: ' o vibrione.
E oggi? A poche settimane dall'inizio della tragicommedia "coronavairus", i politici di adesso, con sprezzo del ridicolo, stanno gestendo un problema serio come strumento, non già di proposta firmata dalla propria parte politica, ma come strumento di disprezzo e derisione nei confronti nei confronti dell'avversario politico pro-tempore.
Brilla come una Supernova, in questo bailamme, il "governatore" Fontana, la cui performance, inclusiva di mascherina in favore di telecamera e di annuncio di "quarantena auto-imposta" (ed inutile, aggiungiamo noi), è diventata virale, e si è sparsa sulla rete con velocità 1000 volte superiore a quella del coronavirus:
Oggi la Storia in parte consegna ai napoletani la loro piccola rivincita: dei tre infettati a Napoli, uno era reduce da un soggiorno a Milano; un secondo era stato qualche giorno a Codogno, e infine... il caso più emblematico: una donna ukraina che si è beccata il regalino a Cremona. Questa donna sarà presto un'icona del salvinismo, perchè è la dimostrazione - speriamo vivente - che sono gli immigrati a diffondere il vairus: dopo esserselo beccato nella Padania
Gli aforismi celebri
METASTASIO - "Un bel tacer non fu mai scritto"
JOHN FITZGERALD KENNEDY - "Signore Iddio, tu che hai posto un limite all'intelligenza degli esseri umani, perchè non hai posto un limite anche alla loro stupidità?"
PROFESSOR CIPOLLA - I cretini sono più pericolosi dei delinquenti. I delinquenti ogni tanto si pentono e si redimono. Il cretino è cretino per sempre. Per redimersi, dovrebbe intanto capire che è cretino. Ma se lo capisse, che cretino sarebbe?
Tafanus
Scritto il 27 febbraio 2020 alle 16:34 nella Criminalità dei politici, l'unirenzità, Media , Politica, Razzismo, Renzi, Satira, Scuola, Tafanus | Permalink | Commenti (0)
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24 febbraio 2020
...come non si esce di scena... Il fair play di Berlusconi... [Review del 16 maggio 2006]
…ci sarà tempo e modo, nel corso della giornata, per parlare di cose serie; ma oggi vogliamo cominciare la giornata parlando di questo infinito blob di una destra becera che ancora non riesce a metabolizzare la sconfitta, che non riesce a farsene una ragione…
…Berlusconi ordina ai suoi: durante il discorso di Napolitano e la cerimonia di insediamento, dovremo tenere lo stesso comportamento che terremmo durante un funerale: accontentato. I camerieri della Casa delle Servitù eseguono. A prescindere…
…le cose da non perdere? La faccia del nano quando vede plasticamente assisi sulle poltrone di prima e terza carica dello Stato due comunisti… insopportabile…
…fra le cose da conservare nella cineteca di casa: il clown costretto a salire sulla Flaminia d’Epoca riservata alle grandi cerimonie protocollari; non, come aveva sognato ad occhi aperti, come Presidente della Repubblica, ma come “scorta” a un “comunista” che corre verso il Quirinale…
…ma il Bottiglione si consola così: “le nostre parlamentari sono più belle e più simpatiche di quelle dell’Unione”… sarà… forse in quanto a bellezza ha in mente i calendari di Mara Carfagna, non certo il comodino Bertolini; sulla competenza, stende un velo pietoso (forse ci parlerà in un secondo tempo delle tante Lanzillotta e Finocchiaro); sulla buona educazione, penserà forse al dito medio di Daniela Santanchè o della crucca Biancofiore, chissà… a proposito, Bottiglione, nella foga elogiatoria dimentica di dirci che nella Casa della Femminilità le parlamentari donne sono, percentualmente, meno della metà di quelle elette fra i DS…
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…per il suo futuro, il nano sembra alquanto schizoide: alterna sogni di gloria di portata “epocale” (addirittura la poltrona di Segretario Generale dell’ONU… ma chi dovrebbe votarlo???) a progetti meno ambiziosi, e senz’altro realizzabili: “…voglio essere membro della Giunta per le Elezioni, farò un casino infernale sulle schede contestate…” . Ecco, all’idea di aver perso proprio non vuole rassegnarsi, quindi crediamo che darà un contributo notevole alla Giunta: insomma, la testa da “membro” c’è tutta, per il resto si vedrà…
IL RITRATTINO TRAGICOMICO DI MICHELE SERRA
…diciamocelo fra di noi. Zitti zitti, quatti quatti, ma diciamocelo: lo si vede di meno. C’è sempre, e ogni tanto sbuca dai tigì, o per reclamare per il suo Milan un parte del bottino caduto dalle tasche del povero Moggi, o perché gli spetta pur sempre il suo lotto di video, la sua dichiarazioncina d’ordinanza. Ma è solo routine, pari a quella di uno dei tanti leaders di uno dei tanti partiti. Roba da Maroni o da Di Pietro, niente di più…
…e la routine, uno come lui, lo consuma lentamente. Uno abituato a vivere con un bavero di microfoni davanti al naso, a comiziare in lungo e in largo sui palinsesti di proprietà e su quelli in affitto, a dettare l’agenda sua, vostra e pure mia, ridotto negli attuali spazi, uguali a quelli degli altri, è solo un volto fra la folla…
…magari ha in serbo il colpo a sensazione, si farà incoronare Imperatore dal Papa o da una sua controfigura, attraverserà le Bocche di Bonifacio a nuoto con codazzo di piroscafi e paparazzi, andrà su Marte con un volo privato, sposerà in terze nozze la Condoleeza, oppure andrà dall’amico Putin a riorganizzare il business da quelle parti (gasdotti digitali: accende il fornello solo chi ha il decoder). Intanto, però, godiamoci questa inattesa vacanza, questa normalizzazione di un fu Padreterno oggi costretto a stare nel mucchio, in mezzo a quel “teatrino della politica” così odiato. Era sceso a Roma per comprarsela e trasformarla nella sua Broadway personale, è andata a finire che il teatrino ha scritturato anche lui.
Scritto il 24 febbraio 2020 alle 18:40 nella Politica | Permalink | Commenti (0)
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29 maggio 2018
“Il golpe, ovvero: se credete a questo avrei da proporvi una macchina usata… (di Axel)
Dispiace dirlo, ma come al solito la patente di veggenti ce la siamo guadagnata.
Dicevamo che il dilettantismo la faceva da padrone ? Abbiamo detto che la logica di “fare ammuina” con continui colpi di scena, accordi che saltavano un secondo dopo che erano stati annunciati, programmi di governo sconosciuti ai più ma che avrebbero inserito l’opzione di uscita dall’euro.
Bene, la conferma dell’affidabilità della palla di cristallo in dotazione al Tafanus è ufficiale: basta infatti leggere il “contratto di governo” sottoscritto da Lega e M5S per rabbrividire, con la scritta nero su bianco dell’obiettivo di introdurre "specifiche procedure tecniche di natura economica e giuridica" che consentano a singoli Stati di uscire dall'euro e "recuperare la propria sovranità monetaria", o di "restarne fuori attraverso una clausola di opt-out permanente" per avviare un "percorso condiviso di uscita concordata" in caso di "chiara volontà popolare".
“Chiara volontà popolare”? E questo lo decide la piattaforma Rousseau, Di Maio dopo essere uscito dal bagno o direttamente Salvini ?
Immaginiamo già quale giustificazione avrà un'eventuale decisione ostile all’euro (presa rigorosamente in solitudine, come chiaramente si conviene ad un capo… o due ?) ma soprattutto gli effetti sulle nostre finanze: già l’aver fatto circolare l’idea di sganciarsi dal debito contratto con BCE ha raddoppiato il valore dello spread, immaginate cosa possa significare una dichiarazione di insolvenza programmatica nei confronti dei nostri creditori.
Che, giusto perché lo sappiate, sono i sottoscrittori dei nostri buoni ordinari del tesoro, quindi in buona sostanza gli stessi italiani che da un giorno all’altro si vedrebbero sostituiti i crediti vantati in Euro da “equivalenti” crediti in nuove lire, che si stima genererebbero un livello di inflazione immediato del 100% circa, dimezzando in una giornata i risparmi degli Italiani, per tacere ovviamente di quello che avverrebbe in pochi mesi: la repubblica di Weimar (con le migliaia di miliardi di marchi per acquistare un filone di pane) sarebbe ad un passo.
Altro che Grecia… almeno loro hanno avuto il buon senso di rimanerci, nell’euro.
A titolo maieutico andrebbe letto con assoluta attenzione il discorso fatto nella serata di domenica 27 maggio 2018 dal Presidente Mattarella: un capolavoro di chiarezza politica dove emerge chiara la sua preoccupazione rivolta ai mutui (ed ai debiti) contratti dagli Italiani: il fatto che due illetterati incompetenti possano in qualche maniera immaginare stravolgimenti finanziari epocali più che far sorridere (purtroppo) fa gelare il sangue.
Un esempio ? Sulla finanza pubblica le proposte-bomba si trovano a pagina 38 del contratto, dove Salvini e Di Maio si pongono l'annoso problema di come ridurre il pesante stock di debito pubblico, ad oggi (dati marzo 2018) attestato alla cifra record di 2.302 miliardi di euro, il 132% del Pil.
La prima misura per ridurre questa imponente massa di debito è davvero geniale: Lega e M5s avrebbero dovuto chiedere alla Bce guidata da Draghi di cancellare (avete letto bene) 250 miliardi di titoli di stato che l'istituto di Francoforte avrà in pancia alla fine del quantitative easing. "La loro cancellazione vale circa 10 punti percentuali", quantifica il documento.
In altri termini: voi ci avete acquistato 250 miliardi di euro in titoli di stato, che però siccome siamo della Lega e del M5S ci restituite gentilmente in maniera da abbattere il debito pubblico. Molte grazie…
Immaginate la reazione certamente positiva dei politici di tutta Europa, e di Teresa May che si trova a dover tirare fuori dalla borsa circa 80 miliardi di sterline mentre giustamente Salvini e Di Maio (a braccetto con un ministro dell’economia ottantaduenne dichiaratamente contro l’Euro) dichiarano a favore di telecamere che hanno abbattuto per la prima volta il debito pubblico… Credibile, vero ?
Altra misura shock è la vendita del patrimonio immobiliare pubblico alle famiglie italiane, e in subordine agli investitori: I due partiti di governo "impacchetteranno" 200 miliardi di patrimonio pubblico (caserme, palazzi, monumenti e via dicendo) e lo trasformeranno in un titolo finanziario da vendere al risparmio domestico.
Si tratta del classico meccanismo di cartolarizzazione, tanto criticato negli ultimi anni: di fatto questo equivale a trasferire il risparmio degli italiani dal debito pubblico al patrimonio immobiliare", e tutto ciò per fare in modo di trasferire in qualche maniera i risparmi degli Italiani al puntello di una gestione che non ha alcuna garanzia di stabilità.
Furbo, vero ? E ancora più furbo lo sarà nel momento in cui la dichiarazione di uscita dall’Euro dovesse echeggiare fra gli investitori, che si troveranno a fronteggiare una crisi di liquidità simile a quella Argentina: a questo punto le cartolarizzazioni saranno il mezzo ideale per fare in modo di regalare (come già fatto dalla Grecia) tutti gli asset remunerativi all’estero.
Geniale.
Soprattutto sapendo che i crediti fondiari e quelli al consumo devono per contratto essere rimborsati in euro, stanti le sedi legali delle banche creditrici spesso all’interno della comunità europea ma non in Italia: in altri termini, un mutuo di 100.000 euro contratto con Crèdit Agricole oggi a dieci anni costa circa 1050 euro al mese, mentre domani (il giorno dopo l’uscita dall’euro) con l’Italia leghista pentastellata autarchica e nuovolirodotata costerebbe l’equivalente di circa 2100 euro mensili.
Il primo mese, ovviamente, perché poi la situazione peggiora…
Lega e M5s non hanno mai dichiarato di voler abbandonare l'Euro, nonostante le ripetute e insistenti domande nel corso dei loro pur numerosissimi passaggi mediatici; né tanto meno di aver già immaginato di attuare questo passaggio non appena al governo, e questo per evidenti motivi elettorali.
Salvini e Di Maio però sono beatamente incuranti (o peggio inconsapevoli) del fatto che il piano di uscita dall'Euro – con la risibile proposta della cancellazione del debito, chiaramente una boutade per mettere in cattiva luce la stessa BCE – avrebbe un peso insopportabile per gli Italiani tutti, un impatto devastante sulle vite dei cittadini, sui loro risparmi, sui loro mutui, sul futuro dei loro figli.
Due possibilità: o sono inconsapevoli del fatto che dichiarare ai creditori che non onoreranno i loro debiti porta in genere al disastro economico (e quindi sono perlomeno improvvidi) oppure questa situazione non li tocca minimamente, e quindi sono criminali. Tertium non datur.
Ma il punto è proprio questo: la costruzione di questa serie di storytelling (leggi http://iltafano.typepad.com/il_tafano/2018/04/narrazione-o-storytelling-di-axel.html ) dove i due puri e duri M5S/Lega hanno lottato per costruire il nuovo governo è il vero topic di questa vicenda: l’obiettivo vero non era quello di fare il governo ma di marchiare i poteri forti per non avere permesso il sogno.
E pensare che il premier incaricato professor Conte ha avuto il coraggio di incontrare i "truffati" del bail-in bancario, mentre metteva in moto un piano che già in questi giorni con la salita dello spread faceva alzare il costo dei mutui di migliaia e migliaia di famiglie.
Vogliamo parlare del reddito di cittadinanza, della flat tax, l’abolizione della Fornero, il finanziamento tramite mini-bot, cioè stampando una valuta parallela ?
Alle ripetute domande in merito alla enorme spesa per cui trovare le risorse per queste promesse, l'unica risposta è sempre stata uno sprezzante: "Taci tu che sei un servo delle élite corrotte": basta quindi con risparmi o dolorosi sacrifici: via ai sogni, via al “governo del cambiamento”.
Via allo storytelling: il cattivo presidente della repubblica dei poteri forti che si oppone al cambiamento del sogno: squilli di trombe e marcia su Roma, Hasta la Victoria.
Frasi già sentite, vero ?
Appare oggi chiaro a chi ha un briciolo di comprensione che la Lega non voleva governare, sapendo che i sogni promessi erano fandonie per ingenui.
Non crederete davvero che impuntarsi per un emerito sconosciuto di 82 anni sia sinonimo di coerenza ?
La realtà è che erano presenti ben altri progetti, cioè quello di una lega libera di votare con un CDX che vince unito, con capo Salvini e garante Berlusconi, finalmente eleggibile.
E ciò dimostra che il M5S è gestito da dilettanti allo sbaraglio: se avete notato durante tutti questi 83 giorni lo spin doctor leghista era ben più focalizzato rispetto a quello dei grillini, che oltre a dimostrare pochezza politica imbarazzante hanno al momento consegnato alla lega circa il 5% dei loro voti.
Alla fine questi 83 giorni dimostrano l'esistenza di un piano perfettamente costruito: Il caso Savona, professore dall'impeccabile curriculum e rispettabilissima carriera, membro a pienissimi titoli delle élite serve esattamente alla necessità di trovare un casus belli proprio in quanto persona di altissimo livello, che poteva suscitare tale scrutinio ed eco, nazionale e internazionale, intorno al piano di sgancio dall’Europa.
Del resto appare chiaro che il vero ostacolo ad una privatizzazione del potere Italiano non è l’elettorato, ma quei sistemi di tutela economica generati dall’Europa, che ha bloccato Berlusconi nel momento in cui il suo governo imbelle ha precipitato l’Italia ad uno spread oltre 500.
Secondo Salvini (e soprattutto secondo i suoi spin doctor, che stranamente gravitano nella zona di Arcore) Mattarella avrebbe dovuto accettare un progetto mai presentato agli elettori e potenzialmente devastante, senza alcuna competenza se non quella (dubbia) di un “tecnico” che non si sarebbe preso alcuna responsabilità politica di un gesto simile.
Alla ragionevole proposta della presidenza della repubblica di posizionare al ministero del tesoro un politico in luogo di Savona (che nessuno avrebbe criticato se fosse stato un sottosegretario, si badi bene) si è risposto con lo strappo finale e le alte grida al golpe.
Questo si voleva e questo è regolarmente avvenuto, con la premeditazione della Lega e la stupidità del M5S.
I pentastellati sono apparsi trascinati dagli eventi, incerti e confusi ed alla campagna elettorale prossima ventura Lega e M5s andranno separati , con i grillini sminuiti dal fallimento e Salvini che ha imposto una leadership sia interna all’inedito accordo M5S/Lega che all’interno del centrodestra.
E mentre i Cinquestelle dovranno fare le loro eterne consultazioni fra tutte le loro anime, Salvini tornerà nella sua coalizione elettorale con lo status di vittima dei poteri forti, ambendo a portare la coalizione a quel 40 per cento che permetterebbe un suo governo sostanzialmente libero dal pesante zaino Berlusconiano.
E tutto ciò con l'aiuto “obtorto collo” di Silvio Berlusconi che ora potrà ancora candidarsi, e che, saggiamente, non ha mai davvero rotto con Matteo.
Axel
Scritto il 29 maggio 2018 alle 13:24 nella Axel, Politica | Permalink | Commenti (23)
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26 settembre 2017
CONSIP - Nessun complotto, tante partite incrociate all'ombra dell'esecutivo (...e se lo dice Renzubblica, non possiamo non crederci...)
Nei giorni scorsi Renzi ha sbraitato a reti unificate sull'affaire Consip (che coinvolgeva papi) declassandolo al solito "combloddo" dei poteri occulti" (?) contro Renzi Figlio attraverso Renzi Padre. Ora la prima puntata di un'inchiesta di Carlo Bonini e Giuliano Foschini (la parte "sana" di Renzubblica ancora in vita), rompe il giocattolo della teoria dei renzisti. NESSUN COMPLOTTO. Quello che segue è un estratto dell'articolo di Bonini e Foschini.
Tafanus
Governo, carabinieri e Servizi segreti: il grande intrigo dell'affare Consip
Nessun complotto, tante partite incrociate all'ombra dell'esecutivo. Dall'intercettazione tra Renzi e il generale Adinolfi al ruolo di Ultimo: ecco le trame di potere dietro le indagini giudiziarie (di Carlo Bonini e Giuliano Foschini - Repubblica)
ROMA - Che storia racconta la sequenza di manipolazioni, infedeltà, segreti violati nell'inchiesta Consip? Davvero si è trattato di un complotto? Sette diverse fonti qualificate interne agli apparati di sicurezza dello Stato e di Governo che hanno accettato di rispondere nelle scorse settimane alle domande di Repubblica purché venisse garantito loro l'anonimato, nonché l'accesso a comunicazioni riservate, consentono oggi di dare una prima risposta.
L'affaire Consip non è stata una macchinazione. Piuttosto, è stata, come nello spirito del tempo, la gallina dalle uova d'oro intorno alla quale, per dieci mesi, hanno danzato Politica, Intelligence, Arma dei Carabinieri, magistratura, giocando ciascuno una propria partita. Governati da un proprio interesse. Quasi sempre di corto respiro: carriere, ricadute politiche, visibilità.
Tutti consapevoli della straordinaria opportunità che gli era stata data. Giocare di sponda con il destino politico dell'uomo che nella Primavera del 2016, anno del "giudizio universale" referendario, aveva in pugno il Paese, o almeno così riteneva: il presidente del Consiglio, Matteo Renzi.
Luca Lotti e Tiziano Renzi "molto" insieme
...comprereste da loro un'auto usata?...
La storia ha un incipit. Cruciale per comprendere tutto quello che accadrà di lì ai successivi 18 mesi. L'estate del 2015. In luglio, il Fatto Quotidiano pubblica le intercettazioni telefoniche delle conversazioni tra l'allora generale della Guardia di Finanza, Michele Adinolfi (ufficiale cresciuto all'ombra del ventennio berlusconiano e poi riconvertito al renzismo nell'ultimo tratto della sua carriera in Toscana), e il presidente del Consiglio Matteo Renzi.
I colloqui si riferiscono all'anno precedente, alle settimane in cui Renzi si prepara a sostituire a Palazzo Chigi Enrico Letta. Non è un bel leggere. Per toni e contenuti. Renzi, infatti, è furioso. Perché nulla sa di quella intercettazione. E perché ha dovuto scoprirlo leggendo un giornale. Chiede conto di quanto è accaduto. E lo fa con il nuovo comandante generale dell'Arma dei Carabinieri, Tullio Del Sette, già capo di gabinetto del ministro della Difesa, Roberta Pinotti.
Le intercettazioni, infatti, spuntano da un'indagine disposta dal pm napoletano John Henry Woodcock e condotta dal Nucleo operativo ecologico dei Carabinieri, di cui è vicecomandante l'unica sup erstite leggenda dell'Arma, il colonnello Sergio De Caprio, "Ultimo", l'ufficiale che ha arrestato nel 1993 il Capo dei capi di Cosa nostra, Totò Riina. Cosa c'entrano infatti quelle conversazioni intercettate con un'indagine che ha a oggetto la presunta corruzione di un sindaco di provincia per una storia di metanizzazione e illuminazione pubblica dell'isola di Ischia?
È ormai noto che quell'inchiesta, che con grande rumore punta in quel momento alle cooperative rosse (l'appalto è stato vinto dall'emiliana Cpl Concordia), lambisce Massimo D'Alema, e dunque la componente ex Ds del Partito Democratico, una volta trasferita a Modena per competenza, non andrà da nessuna parte. Almeno per quanto riguarda il coinvolgimento della politica. Meno noto, ma assai più interessante ai fini di questa storia, il modo con cui quelle intercettazioni del presidente del Consiglio sono finite su un giornale.
Si accerterà, infatti, che per un curiosissimo errore materiale, quattro marescialli del Noe hanno depositato il dossier che contiene quelle intercettazioni (e che il pm Woodcock aveva chiesto di omissare, trasmettendolo per competenza alla procura di Modena) in un procedimento parallelo di criminalità organizzata cui è stato dato accesso agli avvocati.
I quattro marescialli saranno prosciolti dall'accusa di violazione del segreto. Ma il conto per quella "fuga di notizie per errore" lo pagherà il colonnello Sergio De Caprio, che del Noe è il vicecomandante e dell'indagine Cpl Concordia ha coordinato ogni mossa. Il Comandante generale dell'Arma Del Sette e il suo allora sottocapo di Stato Maggiore, Gaetano Maruccia (diventerà Capo di stato maggiore nel luglio dell'anno successivo, il 2016), della storia di Cpl Concordia nulla sanno. La scoprono leggendo sul Fatto le intercettazioni tra il premier e il generale Adinolfi.
È l'occasione per mettere mano all'anomalia che tutti conoscono, di cui tutti parlano da anni e che nessuno si è azzardato per convenienza ad affrontare. Né la magistratura, né l'Arma, né la stampa. Per smontare o comunque esercitare una qualche forma di controllo sulla cinghia di trasmissione che vede un pm della Direzione distrettuale antimafia di Napoli (Woodcock) occuparsi di reati della pubblica amministrazione utilizzando come polizia giudiziaria gli uomini di Ultimo che dovrebbero occuparsi di reati ambientali.
Inchieste di formidabile impatto mediatico, di altrettanto formidabile effetto politico istantaneo ed esito processuale mai coincidente con le premesse, per competenze territoriali e risultati dibattimentali. È successo con Finmeccanica. È successo con lo Ior. È successo con il tesoretto della Lega. È successo con la loggia P4.
Del Sette rianima dunque un piano di riordino dei reparti speciali dell'Arma (il Noe è uno di questi) che il suo predecessore, Leonardo Gallitelli, ha sepolto in un cassetto. E che sottrae il controllo delle indagini di polizia giudiziaria al vice comandante del Noe (Ultimo) per consegnarle al comandante che Del Sette sceglie tra gli ufficiali di sua fiducia, il generale Sergio Pascali.
Il colonnello De Caprio è fritto. Dopo lustri è di nuovo un guerriero senza spada. Ed è orfana la creatura che ha costruito a sua immagine e somiglianza, il Noe. Un reparto custode, nelle sue intenzioni, di un'ortodossia che ha origine nel generale Carlo Alberto dalla Chiesa e nel Ros di Mario Mori e di un metodo che immagina un reparto di eccellenza muoversi sul sottile e scivolosissimo crinale che divide un corpo di polizia da un servizio segreto. Reagisce dunque nell'unico modo che conosce. Ribellandosi. Minaccia di lasciare l'Arma. Rifiuta un primo tentativo di appeasement che lo vedrebbe alla guida di qualche importante comando provinciale. Piovono interrogazioni parlamentari, viene pubblicato qualche informato articolo. È una grana la cui soluzione Del Sette delega al suo allora sottocapo di Stato maggiore, Maruccia.
De Caprio è convinto che la sua destituzione sia, né più e né meno, che la vendetta della Politica su quei carabinieri e sul pm che l'hanno messa da anni in scacco. Con la complice arrendevolezza di un nuovo comandante generale. Ma Di Caprio si fida di Maruccia. A tal punto da ammetterlo, unico tra i papaveri di viale Romania, alle celebrazioni in memoria del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa che, ogni anno il 3 settembre, celebra nella Onlus Mystica, casa famiglia per ragazzi che ha fondato. Maruccia prova a ricondurlo a più miti consigli. Gli raccomanda prudenza. Lo prega di tenersi lontano dalle luci della ribalta mediatica. In cambio, gli chiede cosa voglia per chiudere quella storia con reciproca soddisfazione. È un tira e molla che va avanti qualche mese. Finché De Caprio non concorda il prezzo per un divorzio consensuale: il suo trasferimento ai Servizi Segreti.
La cosa appare a Del Sette la quadratura del cerchio. Può cancellare l'anomalia del Noe riconducendolo nella fisiologia del controllo della catena gerarchica, senza umiliarne il simbolo. Di più. Può farlo promettendo a De Caprio non solo che si spenderà per fargli ottenere quel nuovo impiego. Ma che è disposto a fare in modo che lo seguano anche i suoi "orfani" del Noe.
Il comandante generale dell'Arma, tuttavia, deve convincere il Governo. Incontra, tra la fine del 2015 e i primi mesi del 2016, l'allora sottosegretario con delega all'Intelligence (ora ministro dell'Interno) Marco Minniti. De Caprio ai Servizi risolve un problema a tutti - argomenta Del Sette - consente di non disperdere le sue straordinarie capacità investigative ma di imbracarle in una struttura che non sia tentata da fughe in avanti. Consente di "ripulire" il Noe da quel vincolo eccentrico di fratellanza, "ribellismo", mistica Apache (i nickname del gruppo sono Parsifal, Ombra, Arciere, Aspide, Veleno) consegnato all'epica da libri e serie televisive sulla stagione della caccia a Totò Riina, che rende quella struttura ingestibile. Minniti dà il suo nulla osta. Ma la collocazione di De Caprio è meno semplice di quello che appare.
Perché si fa presto a dire Servizi. Quali Servizi? Non certo il Dis, il Dipartimento per le Informazioni e la Sicurezza, organo di coordinamento dell'intelligence, dove Ultimo andrebbe a morire come impiegato o peggio analista. Ma neppure Aisi, il Servizio segreto interno, perché c'è un problema. Nessuno lo sa e nessuno lo saprà mai fuori dalla cerchia degli addetti ai lavori, ma la procura di Napoli ha considerato in passato l'arresto di De Caprio accusandolo di concussione.
Un imprenditore, ex ad di Selex (gruppo Finmeccanica) ha sostenuto infatti di essere stato costretto a garantire a Ultimo alcune richieste di utilità per ragioni private, per assicurarsi il nulla osta del Noe necessario al suo business. De Caprio non sarà mai arrestato e il gip di Napoli si dichiara incompetente e trasferisce l'incarto a Roma. Dove, dopo un interrogatorio con il procuratore Giuseppe Pignatone e l'allora pm (oggi aggiunto) Paolo Ielo, l'inchiesta viene archiviata per inconsistenza dell'accusa. Dunque, per De Caprio non resta che l'Aise, la nostra Agenzia di spionaggio, prevalentemente rivolta all'estero.
Il direttore dell'Aise, Alberto Manenti, coglie in De Caprio un'opportunità. Dal giorno in cui ha messo piede nella stanza di direttore dell'Aise a Forte Braschi, quartier generale dell'Agenzia, luogo tra i più protetti e impermeabili del Paese, è, infatti, assediato dai veleni della stagione del Sismi di Niccolò Pollari. E dal suo epigono, Marco Mancini. Ex carabiniere, benvoluto nei circoli di certa sinistra, è stato potentissimo capo divisione all'acme delle fortune pollariane, travolto con infamia dall'extraordinary rendition di Abu Omar e dalle vicende della centrale di spionaggio parallelo cresciuta all'ombra della Telecom di Tronchetti Provera. Marco Mancini è un sopravvissuto. Ha attraversato le tempeste giudiziarie protetto dal segreto di Stato, ma ne è uscito menomato nelle sue ambiziosissime aspettative di carriera. E' stato parcheggiato per un po' a Vienna. Poi è rientrato a Roma dove è stato messo dietro a una scrivania al Dis. Anche se non ha un incarico da niente. Perché controlla la contabilità, coperta da segreto.
Dunque, le spese delle agenzie operative. Mancini e i suoi (perché ne ha ancora qualcuno in Aise) sono per Manenti una minaccia in sé. Anche perché - Dio solo sa se a torto o a ragione - l'uomo sarebbe ancora depositario di inconfessabili segreti che riguardano la stagione dei pagamenti dei riscatti per gli italiani sequestrati in Iraq durante il conflitto e persino della morte di Nicola Calipari. Insomma, Manenti ha bisogno di stringere i bulloni dell'Aise e l'"orfano" arrabbiato Sergio De Caprio sembra un dono del cielo.
Non fosse altro per come si presenta il primo giorno a Forte Braschi. Lo fanno accomodare in un'anticamera e quindi, prima di portarlo a colloquio con il direttore, lo invitano a passare attraverso il metal detector. Ultimo è la prima cosa che farà notare. "Mi sarei potuto far saltare in aria mentre aspettavo". Dunque, è a bordo. Viene nominato capo della Divisione sicurezza interna. È un reparto che ha come compito la sorveglianza degli asset del Servizio. Dalle banche dati, alle infrastrutture, dalla fedeltà degli operativi, alle operazioni sotto copertura, al rapporto con gli informatori. E, non ultimo, la congruità nella rendicontazione delle spese di gestione.
Parliamo del denaro riconosciuto alle fonti confidenziali ma anche delle singolari spese di rappresentanza (decine di migliaia di euro) dei centri esteri per acqua minerale e succhi di frutta.
Il direttore dell'Aise, Alberto Manenti, ha insomma un nuovo pretoriano. Presto altri lo raggiungeranno. Dal Noe. Ricomponendo la "Squadra". Perché questo è negli accordi. Ultimo scrive la sua lettera di commiato agli uomini del Noe. Con il senno di poi, più che un addio appare il manifesto di quello che li aspetta e che lui ha in mente.
"Ho il dovere di ringraziarvi per come avete lottato contro una criminalità complessa, contro le lobby e i poteri forti che la sostengono, senza mai abbassare la testa, senza mai abbassare lo sguardo di fronte a loro e senza mai nulla chiedere per voi stessi. Da Ultimo, vi saluto nella certezza che senza mai abbassare la testa, senza mai abbassare lo sguardo e senza mai chiedere nulla per voi stessi, continuerete la lotta contro quella stessa criminalità, le lobby e i poteri forti che le sostengono e contro quei servi sciocchi che, abusando delle attribuzioni che gli sono state conferite, prevaricano e calpestano le persone che avrebbero il dovere di aiutare e sostenere. Onore a tutti i Carabinieri del Comando per la Tutela dell'Ambiente".
Siamo tra la primavera e l'estate del 2016. Nessuno immagina quale gioco di specchi stia per cominciare. De Caprio lascia il Noe con un'eredità: il "la" all'inchiesta sugli appalti Consip, la centrale unica degli acquisti di Stato. La prosecuzione naturale del lavoro cominciato con Cpl Concordia, un'altra puntata dell'inchiesta sul potere secondo il metodo Woodcock.
De Caprio non è più nell'Arma. Ma nell'Arma pesca. De Caprio non è più il vice comandante del Noe ma nel Noe si prepara a scegliere nei successivi dieci mesi 34 uomini che vuole lo seguano in Aise. Tra loro c'è anche un ambiziosissimo capitano napoletano. Gianpaolo Scafarto.
(1. continua)
Da leggere anche: Tutti i protagonisti dell'inchiestga Consip
Scritto il 26 settembre 2017 alle 18:15 nella Criminalità dei politici, Politica, Renzi | Permalink | Commenti (0)
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13 gennaio 2017
Cose miracolose accadono all'Unità, il tazebao del renzismo co-diretto da Sergio Staino (il ri-ripentito)
L'Unità della Resurrezione: 30 Giugno 2015
PREMESSA - L'Unità, fallita poco dopo l'alba del renzismo, era miracolosamente riapparsa in edicola il 30 Giugno del 2015, coi soldi dei costruttori Fratelli Pessina (acque minerali, linea "Norda" e altro). Masturbazione pubblica di Renzi: "l'Unità torna in edicola: un impegno mantenuto". Ma passano appena 18 mesi, e l'Unità è di nuovo in fallimento. Un nuovo fallimento, che il mondo osserva con stupore.
Il mondo. Noi no, perchè ne avevamo previsto la ri-fine ingloriosa per un futuro molto prossimo. Perchè?
- -1) Perchè i volantini puibblicitari della Expert o della Esselunga non li tolleriamo gratis nella cassetta delle lettere, figuriamoci se siamo disposti a pagare per averli.
- -2) Perchè nessun sano di mente sarebbe disposto a pagare per vedere un articolo al giorno di @frondolino contro Il Fatto (rubrica fissa tenuta dall'ex ghost-writer di D'Alema), o le incomprensibili vignette di Sergio Staino passato con nonchalance dai bolscevichi duri e puri di "Cuore" all'Unirenzità, o le idiotissime "scintille" ironiche nelle intenzioni, penose nei risultati.
- -3) Perchè ci siamo insospettiti vedendo che per la prima volta in decenni l'Unirenzità non comunicava più i dati di diffusione certificati dall'ADS. Cosa molto sospetta...
- -4) Perchè, incuriositi, ed avendo ancora stretti legami col mondo della comunicazione, abbiamo impiegato mezz'ora a stabilire che le stime correnti di vendita dell'Unirenzità erano di 5.000 copie al giorno con trend in discesa, contro una dichiarazione iniziale dello stesso giornale che fissava in almeno 20.000 copie al giorno il livello necessario al raggiungimento del "break-even point". Insomma... siamo tornati al glorioso ciclostile dei movimenti studenteschi, quanto a tiratura...
- -5) Infine, perchè lo stesso Renzi era incazzatissimo per il risultato della "campagna abbonamenti": aveva praticamente ordinato che ognuna delle superstiti 7.000 sezioni del PD (spesso dotate di ragnatele sulla porta d'ingresso) sottoscrivesse un abbonamento. Ci sarebbe stato uno zoccolo duro di 7.000 copie, e quindi raggiungere le 20.000 fra edicola e abbonamenti privati doveva essere uno scherzo. Invece... Totale: 5.000 copie in discesa, e premessa sufficiente per un nuovo, certo, rapido fallimento.
Chi volesse controllare che non stiamo lustrandoci la tastiera col senno di poi, può aprire QUESTO POST del Tafanus, del marzo 2016, ed accertarsi che parlavamo col "senno di prima".
Ma questo è il passato. Il presente è che Sergio Staino, condirettore insieme al vero Direttore Andrea Romano (ma Staino si definisce "Direttore"), tanto autorevole e considerato dal suo adorato Renzi da non essere neanche invitato alla Leopolda, e da non trovare il tempo in quasi un mese né di fissargli il richiesto incontro, né di rispondere alla email che gli manda. Finchè, finalmente un po' seccato, decide di pubblicare il testo della sua email senza risposta in una lettera aperta al suo padrone, riportata in sintesi da molti giornali
Il direttore del quotidiano fondato da Antonio Gramsci diffonde una lettera scritta venti giorni fa all'ex premier: "Mi costringi a renderla pubblica per vedere se riesci a degnarmi di una qualche risposta". Il comitato di redazione in una nota denuncia che il giornale "rischia la chiusura" e annuncia di aver fatto causa al sito unità.tv, di proprietà di Eyu (Fonte: Il Fatto)
“Dirti che sono profondamente deluso, e in prima fila deluso da te, è dir poco”. In una lettera inviata venti giorni fa, ma pubblicata solo dopo l’annuncio dello sciopero della redazione, il direttore de l’Unità Sergio Staino si rivolge direttamente al segretario del Pd, Matteo Renzi. “Altri venti giorni sono passati dall’invio di questa lettera, venti giorni di silenzio totale. Questo mi costringe a renderla pubblica per vedere se riesci a degnarmi di una qualche risposta”, spiega il vignettista, aggiungendo che se il quotidiano non fosse stato in sciopero l’avrebbe pubblicata come editoriale. Il Comitato di redazione denuncia che “l’Unità rischia la chiusura” e chiede “un incontro ufficiale con Renzi, che in questa vicenda non può restare ancora in silenzio“.
Già nell’editoriale di fine 2016 Staino aveva utilizzato parole durissime per raccontare la situazione del suo giornale: “L’Unità moricchia, ma io ho preso sul serio l’incarico di direttore. Nel Pd non vedo la stessa serietà“. La situazione però è peggiorata ancora dopo che, mercoledì 11 gennaio, il comitato di redazione del quotidiano fondato da Antonio Gramsci nel 1924 ha comunicato: “La situazione all’Unità precipita. Il motivo sono i licenziamenti collettivi senza ammortizzatori sociali” annunciati in modo assolutamente unilaterale dall’amministratore delegato, Guido Stefanelli (attraverso una delegata dell’azienda Pessina), anziché proseguire nella trattativa con il sindacato per la trasformazione di articolo 1 in articoli 2. Licenziamenti ai quali il direttore Sergio Staino ha detto di volersi opporre fermamente”.
Il giorno dopo Staino pubblica la lettera in cui ammoniva Renzi riguardo allo stato del quotidiano: “Pensavo che il giornale ti servisse per ravvivare quella base che nel territorio si sta disperdendo nell’astensionismo o, peggio ancora, nel grillismo. Pensavo ti servisse uno strumento per ricucire queste forze, per rimetterle in circolo, per far sì che dalla base ti arrivasse quell’ondata di rinnovamento che caratterizzò la tua prima uscita, quella del rottamatore, per questo ero pronto a fare molti sacrifici, ero pronto a fare un bellissimo giornale mantenendo il livello di spesa dell’attuale o addirittura riducendolo, riducendo il personale (che è un sacrificio politico terribile), riducendo il formato e puntando su un giornale piccolo, brutto e cattivo ma pieno di grande intelligenza e di cose che non si trovano negli altri giornali”.
E la necessità di un incontro per sapere dove andiamo a finire rinviata di settimana in settimana, sempre cose più importanti de l’Unità, sempre cose più urgenti. È naturale che mi venga una gran voglia di togliere il disturbo [...] Io ti ho sempre apprezzato per quel tuo continuo ripetere ‘ci metto la faccia’, è possibile che questo non valga per l’Unità?”.
A chiedere che Renzi “ci metta la faccia” è anche il Comitato di redazione, che in una nota denuncia che “il destino del quotidiano si giocherà nei prossimi quindici giorni in cui sarà decisa la ricapitalizzazione”. Per questo è stato annunciato un secondo giorno di sciopero contro “quello che riteniamo un ulteriore passo verso la dismissione del quotidiano”.
“Inaccettabili – scrive il cdr – le motivazioni addotte dal socio di minoranza Eyu, cioè il Partito Democratico, e il socio di maggioranza, la Piesse, circa la possibile messa in liquidazione della società editoriale”. La nota spiega come “entrambe le parti in causa sostengono l’intenzione di voler continuare a garantire la sopravvivenza del giornale”, ma in realtà fanno in modo di mettersi “l’uno contro l’altro” e “rendere di fatto impossibile trovare un accordo in grado di garantire il futuro de l’Unità e la tutela dei posti di lavoro”. “Il cdr non intende assecondare, e dunque condanna con fermezza, il braccio di ferro che rischia di portare alla chiusura del giornale”, prosegue la nota. Ieri fonti del Nazareno avevano parlato di “sconcerto“, ma il cdr precisa come “al netto delle dichiarazioni pubbliche di impegno, nel corso di questi 18 mesi nulla è stato fatto”.
Per questo, secondo il cdr “spetta anche al Pd e al suo segretario intervenire affinché l’assetto societario de l’Unità e il suo futuro trovino una definizione chiara e senza più rimpalli di responsabilità”. “È arrivato il momento di fare una scelta: l’Unità deve continuare ad esistere o deve morire? Pretendiamo di saperlo”, scrivono i redattori.
LE COMICHE FINALI - La nota denuncia anche la situazione poco chiara del sito web, unita.it, di proprietà dell’Unità srl, che ancora non è stato attivato: “Finora si è preferito mantenere l’ambiguità con il blog unita.tv, di proprietà di Eyu, che nulla ha a che vedere con il giornale cartaceo, né con la redazione de l’Unità, tantomeno con la direzione di Sergio Staino”. “Per risolvere questa situazione, da soli, i giornalisti de l’Unità” hanno deciso di fare causa al sito unita.tv, “a fronte di quello che riteniamo un grave danno al prodotto”.
Qui siamo ormai in pieno vaudeville (...Cielo, mio marito!...) Già! perchè qualsiasi normodotato è convinto, da un anno e mezzo, che il sito "unita.tv" non sia altro che la versione online del giornale cartaceo dell'Unità... Anche perchè (Staino, mi consenta...) se vedo da un anno e mezzo la sua vignetta quotidiana pubblicata sia sul cartaceo che sulla versione online, che cazzo devo pensare? E se vi ritrovo persino @frondolino, e le autoincensazioni di Renzi? Devo pensare all'improvviso che leggendo l'unità online stiamo leggendo un fake nemico del cartaceo?
Tutto è possibile, nel mondo fantastico del renzismo, ma noi - che siamo risaputamente stronzi - siamo andati a verificare chi siano i "registrants" dei due siti (unita.it e unita.tv), e abbiamo trovato questo:
Creato il 12/06/2015 Creato il 1°/01/2017
Toh! Le sorprese, in casa di Renzi, non finiscono MAI! Il dominio sulla sinistra (unita.tv) è quello che conosciamo e leggiamo dal 30 giugno 2015; è stato registrato pochi giorni prima del ritorno in edicola del cartaceo (il 12 giugno 2015), ed è registrato dalla EYU srl. E chi c'è dietro la EYU??? Un fake che vuole sfruttare l'enorme successo del cartaceo per farne un sito di successo? dei truffatori? NOOOOOOO!!!!!!!!!!!! Dietro la EYU c'è solo il PD renzino, ed EYU è l'acronimo del vecchio patrimonio di comunicazione di PD+Margherita: Europa Quotidiano + Youdem + Unità
Oddio! Ho mal di testa! Qualcuno mi porterebbe a casa una cassa di Optalidon?
Perchè proprio non ce la faccio a capire né come sia possibile che il Gruppo Pessina voglia querelare il Gruppo Pessina, né che senso abbia registrare un sito (unita.it) 12 giorni fa, in piena rotta di Caporetto. Per farne cosa? Forse per accampare che un sito targato PD sarebbe stato danneggiato commercialmente, per ben diciotto mesi prima di nascere, dal sito non-fake "unita.tv" che fino a stamattina anche i più informati consideravano la versione online del cartaceo?
AZIONARIATO - L'assetto proprietario del cartaceo è presto detto: il Partito Democratico risulta socio di minoranza al 20% di Unità srl attraverso la EYU (acronimo di Europa Quotidiano, Youdem, Unità), mentre Pessina Costruzioni risulta socio di maggioranza con l’80% del patrimonio azionario. La crisi economica del quotidiano rispetto a un anno e mezzo dal ritorno in edicola si è molto aggravata, con perdite intorno ai 400 mila euro al mese e con una raccolta pubblicitaria quasi inesistente.
L'11 gennaio 2017 alla vigilia dell'assemblea dei soci l'amministratore delegato (Guido Stefanelli) ha comunicato ai giornalisti del quotidiano cartaceo l’Unità che bisogna “Procedere immediatamente con una riduzione del personale senza percorrere la strada degli ammortizzatori sociali" (licenziamenti). Nel comunicato si fa anche riferimento a un aumento di capitale oppure ad aprire le procedure per il fallimento. I costi della ricapitalizzazione dovrebbero avvicinarsi ai 5 milioni di euro (1 milione a spese del PD e 4 milioni a spese del gruppo Pessina).
Ma "i furbetti del giornalino" non ci stanno. In primo luogo, perchè forse non hanno sottomano il milione di loro competenza; in secondo luogo perchè, da perfetti furbetti, pretenderebbero di mantenere il controllo del giocattolo, mentre i Pessina avrebbero l'onore e l'onere di essere soci all'80% nel capitale e nelle perdite, ma non conterebbero un cazzo nella gestione della editrice.
Ma, come dicono di solito nelle valli della bergamasca, "...accà nisciuno è fesso..."
Ma nell'azionariato ci sono altri personaggi strani, per usare un eufemismo...
Intanto il Costruttore Piacentini, molto attivo nel campo delle opere pubbliche. Dino Piacentini, il leader del gruppo, è presidente dell'Aniem, l'Associazione Nazionale delle Aziende Edili Manifatturiere. E nel CDA ha infilato la figliola 28enne... Come direbbe Fortebraccio, se fosse ancora vivo: "...quando uno è miliardario, ci manca sempre pochissimo che sia anche un genio...". Questo aforisma era stato costruito addosso ad Umberto Agnelli, ma potrebbe benissimo adattarsi alla signorina Piacentini...
Poi tale Ario De Carolis, noto per alcune peculiarità: Adrio è figlio di Massimo De Carolis, volto storico della Democrazia cristiana milanese, fondatore della “minoranza silenziosa” e vittima delle Brigate rosse negli Anni 70 (fu sequestrato e gambizzato dai terroristi), che a metà degli Anni 90 passò, cuore e voti, con Silvio Berlusconi in Forza Italia. Nel 1981 il suo nome sarà ritrovato negli elenchi degli affiliati alla loggia massonica coperta di Licio Gelli», si legge nel suo profilo su Wikipedia. Tessera P2 numero 1815.
Ma questi sono "fatti del padre". Ario, di stranezze sue, ci mette l'essere a capo della società di sondaggi SWG (alla quale il Tafanus ha dedicato in anni non sospetti una serie di articoli d'inchiesta, volti a documentarne le disinvolte metodologie "statistiche"). Chi avesse delle curiosità, può digitare su google "tafanus SWG" (senza apici), e... buona lettura. Ma oggi ci chiediamo se tale Berlinguer avrebbe mai accettato nella compagine azionaria della gloriosa Unità Vera un sondaggista, immediatamente sospettabile di essere La Voce del Padrone.
Altra consigliera "strana" è Antonella Trivisonno, ex collaboratrice del mitico Domenico Lusi, con cui ha lavorato dal 2006 nella tesoreria della Margherita. Già... chi non ricorda Domenico Lusi? l'ineffabile ex tesoriere della ex Margherita, che era riuscito a sfilare al "Cicoria" Rutelli una camionata di soldi, senza che Rutelli si accorgesse di nulla... Insomma, una bella Compagnia di Giro.
Domenico Lusi e "Cicoria" Rutelli
E la domanda allora sorge spontanea: che cazzo c'entrano costoro col "Giornale degli operai e dei contadini, fondato nel 1924 da Antonio Gramsci"?
P.S.: allego una fotina dell'insetto molesto fatta a Berlino nell'estate 1960, al "confine virtuale" (non c'era ancora il muro) fra Berlino Est e Berlino Ovest. Guardate cosa ha in mano l'insetto...
Tafanus
Scritto il 13 gennaio 2017 alle 16:57 nella Politica, Renzi | Permalink | Commenti (7)
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29 novembre 2014
L’effetto delle regionali? Una corsa ad ostacoli
L'astensione record cambia tutto. Partiti ingovernabili, parlamento balcanizzato. Così ora sono a rischio i piani del premier (di Marco Damilano - l'Espresso del 28/11/114)
Nel Palazzo circola già la data: martedì 10 febbraio 2015, santa Scolastica Vergine. Quel giorno il Parlamento in seduta comune allargata ai delegati delle regioni potrebbe essere convocato per eleggere il successore di Giorgio Napolitano. Il conclave repubblicano che designa l'inquilino del Quirinale per sette anni. In quali condizioni, però, nessuno è in grado di scommettere. Neppure un'ottimista come il ministro Maria Elena Boschi, che scivola nel corridoio fumatori della Camera a passi svelti, stravolta dalla stanchezza. Al termine delle quarantotto ore che vanno dall'apertura delle urne alle elezioni regionali in Emilia e in Calabria e si chiudono con la faticosa approvazione nell'aula della Camera della riforma del mercato del lavoro, il Jobs Act. I due giorni che hanno cambiato la legislatura e il futuro del governo di Matteo Renzi. «Ti ringrazio per aver espresso la tua posizione contraria ordinatamente», sospira il ministro del Lavoro Giuliano Poletti con il deputato del Pd Pippo Civati che ha appena votato in dissenso dal suo partito. «Gli altri sono stati più disordinati». Il voto più delicato per Renzi finisce con il sì al provvedimento del governo, ma con trenta deputati del Pd che si dichiarano assenti pur restando seduti in aula: Stefano Fassina, Gianni Cuperlo, Alfredo D'Attorre, Rosy Bindi, Francesco Boccia... Modello emiliano: o si vota per Renzi o non si vota. Nella regione rossa, simbolo per decenni dell'immutabilità del Partitone rosso nelle sue varie incarnazioni, dal Pci al Pds ai Ds al Pd, più di sei elettori su dieci hanno disertato le urne, un record negativo. Alla Camera, trenta deputati del Pd su 307 disobbediscono alle indicazioni del partito, quasi il dieci per cento. Per formare un gruppo autonomo ne basterebbero venti. Per tentare di condizionare le future mosse dell'inquilino di Palazzo Chigi sono più che sufficienti.
Fazioni, gruppuscoli, correnti e correntine. Partiti che si sfasciano in due o tre pezzi. Si divide il Pd che almeno è uscito vittorioso dal passaggio elettorale, si dissolve Forza Italia, sparita dai radar nei risultati elettorali, si dilania il Movimento 5 Stelle tra chi vuole tornare in piazza e chi vuole tornare in televisione.
Un Parlamento balcanizzato, in rivolta, fuori controllo. Alla vigilia dei due passaggi decisivi. La votazione sulla nuova legge elettorale Italicum, in discussione al Senato. E la scelta del nuovo presidente della Repubblica quando Napolitano lascerà il Quirinale, sempre più probabile che lo faccia all'inizio del nuovo anno. Sulla doppia partita si gioca il destino della legislatura, da come ne uscirà Renzi si vedrà se le Camere andranno avanti fino alla scadenza naturale, o se in primavera gli italiani torneranno a votare per nuove elezioni anticipate, dagli esiti imprevedibili per tutti. Chi vince assume il controllo della politica italiana per i prossimi dieci anni. I due fronti si preparano a combattere. Perché il formicaio impazzito di Montecitorio si ricompone quando entrano in campo i due super-partiti trasversali: i Renzi e i No-Renzi. In ripresa.
Renzi ha vinto, in Emilia, Calabria e alla Camera, ma ha visto il pericolo da molto vicino. Nella notte delle elezioni emiliane, in assenza di exit poll e di sondaggi, nello spoglio delle prime sezioni il candidato della destra, il leghista Alan Fabbri, risultava in testa sull'uomo del Pd Stefano Bonaccini. E alla Camera per un soffio non è mancato il numero legale al momento dell'approvazione del Jobs act, un incidente che avrebbe scatenato conseguenze a catena, con una probabile crisi di governo. Alla fine la legge-delega è passata con 316 voti, uno in più della maggioranza assoluta, e solo 327 presenti (su 630). Numeri che svelano un'improvvisa fragilità, inattesa per uno come Renzi abituato a vincere, anzi, a stravincere. Un Renzi per la prima volta sfiorato dalla palude. Costretto a rallentare la corsa. Non più così sicuro come prima che senza riforme è meglio tornare a votare e chiedere un plebiscito personale agli italiani.
Finora nei momenti di massimo scontro la minaccia di elezioni anticipate è bastata per tenere a bada i dissidenti del Pd e di Forza Italia. Ma ora il premier ammette di essere indeciso. Anche perché andare alle urne con la legge elettorale riscritta dalla Corte costituzionale un anno fa, il Consultellum, una legge proporzionale pura, potrebbe rivelarsi un azzardo troppo grande anche per lui.
Prima di tutto c'è l'ostacolo tecnico rappresentato dall'obbligo di ripristinare le preferenze, imposto dalla sentenza della Corte che ha dichiarato incostituzionali le liste bloccate del Porcellum. La Consulta non poteva spingersi a far risorgere la possibilità di scrivere i nomi dei candidati parlamentari sulle schede elettorali. Ha preferito suggerire l'introduzione della «preferenza unica», si legge nella sentenza, «in linea con quanto risultante dal referendum del 1991», da riportare in vita «mediante interventi normativi secondari», ovvero circolari o decreti ministeriali. Nonostante il consiglio della Corte, sarebbe molto difficile però per il governo Renzi ritoccare la legge elettorale con un atto amministrativo allo scopo di accelerare il ritorno alle urne. E poi, va bene la preferenza unica, ma con la possibilità di scriverne un'altra per tutelare l'altro genere? Domande lecite, ma seguire la strada dell'approvazione parlamentare, con una leggina o con un decreto, significherebbe per Renzi far trascorrere molte settimane tra la decisione di andare alla competizione e l'inizio della campagna vera e propria. Tempo perso.
La frenata di Renzi sulle elezioni anticipate però è politica. In caso di scioglimento delle Camere diventa probabile una scissione alla sinistra del Pd, cui basterebbe superare la soglia del quattro per cento per rientrare in Parlamento senza dover trattare i seggi con il segretario del partito, l'odiato Matteo. E si allontanerebbe il sogno del premier, conquistare un 44-45 per cento dei voti con la legge proporzionale per poi avvicinarsi alla maggioranza assoluta dei seggi. Con una formazione di sinistra in campo e la proporzionale stile Prima Repubblica il Pd di Renzi tornerebbe a ballare intorno al 40 per cento. Percentuale altissima, ma troppo poco per poter governare da solo.
L'incertezza di Renzi, rovesciare il tavolo o andare avanti, è reale e si incrocia con le paure e le aspettative dei peones di Montecitorio, dove per la prima volta SuperMatteo appare vulnerabile, o quasi. E alimenta l'ostilità verso la nuova legge elettorale Italicum. Meglio, molto meglio, immagina il Parlamento balcanizzato, tornare a votare con la proporzionale e il fai-da-te delle liste elettorali. La lista di Raffaele Fitto, nel centro-destra. La lista di Civati, Cuperlo e Fassina con Sel, a sinistra. Perfino una lista di Rifondazione grillina, guidata dal deputato friulano Walter Rizzetto, agguerrito leader del dissenso tra i parlamentari di M5S. Scissione mediatica prima ancora che politica. La prima mossa è stata andare in tv, a "Omnibus" su La7. Rizzetto e altri sette deputati si sono affidati a un'agenzia di comunicazione romana, la Eidos, per svincolarsi dalle cure dell'agenzia egemone del grillismo, la Casaleggio associati. E con Beppe Grillo, assente da più di un mese ai raduni politici, i gruppi parlamentari di 5 Stelle diventano terreno di faide o di scorribande avversarie.
In realtà, nessuno vuole tornare a votare. «Qui nessuno ci rielegge e lo sappiamo tutti», sbotta l'ex tesoriere del Pdl Maurizio Bianconi, il primo ad affrontare Berlusconi spiegandogli che per il bene di tutti è meglio se cambia partito. «Ma se si approva subito la legge elettorale la forza di inerzia ci porta subito alle urne. Meglio perdere tempo». E Renzi che da mesi promette una rapida approvazione dell'Italicum , almeno una seconda lettura prima di Natale? «Renzi», risponde Bianconi, «è come Berlusconi, a furia di promettere è durato venti anni».
A Montecitorio e a Palazzo Madama nessuno controlla più nessuno. Roba da tremare in vista delle votazioni per il Quirinale. Tutti si scavalcano a destra o a sinistra, mossi da un unico obiettivo: tirare a campare. Una situazione che presenta numerosi pericoli, ma anche qualche opportunità per Renzi. Con grandi masse di deputati e senatori in uscita dai gruppi di appartenenza si possono progettare allargamenti della maggioranza raccogliendo qua e là qualche pacchetto di parlamentari in pena, disposti a tutto per far proseguire la legislatura. Soprattutto se Forza Italia dovesse saltare in aria e Berlusconi non fosse più in grado di tenere fede al patto del Nazareno. «L'accordo reggerà», giura Berlusconi. E ammette per la prima volta quello che si è sempre sospettato e mai ammesso. «Nel Patto c'è anche la scelta del nuovo presidente della Repubblica e la mia agibilità politica». Ovvero una modifica della legge Severino che permetterebbe a Berlusconi di tornare a candidarsi. Mentre sul nuovo presidente l'identikit berlusconiano è ultra-generico: una figura «non ostile» a Pd, Forza Italia e 5 Stelle, «non un uomo di partito». Un profilo che potrebbe essere tagliato su misura per Giuliano Amato o Emma Bonino, entrambi sostenuti in passato da Berlusconi ma non simpatici al contraente maggiore del Patto, Renzi.
Il premier non ha perso la voglia di disegnare i pesi delle forze in campo. Per questo, subito dopo il voto emiliano, ha esultato per la vittoria in Emilia di Matteo Salvini «che ha asfaltato Forza Italia e Grillo». Un centrodestra guidato dalla Lega significherebbe per il Pd renziano un regalo di Natale e inamovibilità da Palazzo Chigi per molti anni. Incredibile che a dare ragione a Renzi sia Berlusconi: «Salvini è il goleador, potrebbe fare il candidato premier e io il capitano della squadra». Non si è mai visto un leader di un partito che candida a premier un alleato che lo ha appena umiliato in una regione importante. Ma candidare Salvini quando le elezioni sono lontane vuol dire depotenziarlo, nella logica di Berlusconi. E per Renzi Salvini è un avversario che spaventa i moderati e li allontana dal centro-destra. Machiavellismi. Per il premier scegliersi il nemico è il primo passo verso la vittoria: ieri Grillo, oggi la Cgil di Susanna Camusso, domani il leader della Lega. Anche se i due giorni che hanno cambiato la legislatura dicono che l'effetto Renzi non è più potente come tre mesi fa. Forse è solo un momento di difficoltà. Ma intanto il premier che ama andare all'attacco farà bene a imparare come si gioca in difesa.
Marco Damilano
2911/1700/1045
Scritto il 29 novembre 2014 alle 16:05 nella Politica, Renzi | Permalink | Commenti (5)
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25 luglio 2014
Quanto è timido Renzi, se si parla di economia...(di Alessandro De Nicola)
Determinato e decisionista quando si tratta di vincere le primarie o detronizzare Letta. Molto più incerto nell'azione a favore delle imprese. Eppure il governo ha già annunciato cosa vorrebbe fare per rilanciare la crescita (di Alessandro De Nicola - l'Espresso)
Uno dei filosofi contemporanei più apprezzati dei nostri tempi, Linus, così suggeriva ad un meditabondo Charlie Brown oppresso, come sempre, da mille preoccupazioni: «il miglior modo per risolvere un problema è evitarlo».
Preparatissimo su molteplici aspetti della cultura pop della nostra era, il premier Renzi, dà l'impressione di aver eletto tale massima filosofica a faro illuminante della sua azione in politica economica. Egli infatti dimostra risolutezza quando si tratta di vincere primarie, detronizzare Letta, sfidare Grillo, i sepolcri imbiancati del suo partito o la Cgil e financo nel far approvare riforme elettorali e costituzionali di dubbia efficacia. Poi, quando si devono prendere decisioni relative al nodo fondamentale della vita italiana, il prolungato declino economico, è vago o parla d'altro.
Prendiamo la bagarre sulla "flessibilità" inscenata in Europa. È stata una mossa sbagliata sia di principio sia tatticamente. L'Italia non ha alcun bisogno di interpretare in modo "flessibile" trattati e direttive europee. Già lo fa: non rispetta da anni gli obiettivi di deficit di bilancio che comunica alla Commissione; non riduce il debito pubblico e se ne fa un baffo della famosa lettera Trichet-Draghi che elencava minuziosamente le riforme necessarie. In realtà, l'unica regola cui faticosamente aderisce è quella del rapporto deficit-Pil del 3% imposto dal Trattato di Maastricht. Inoltre, le regole esistono per essere rispettate, non violate, soprattutto in Europa, ove a una moneta unica non corrisponde un solo governo, e quindi é necessario un minimo di convergenza tra le politiche economiche dei vari paesi.
Infine, la deroga alla rigidità può forse (molto forse) chiederla l'alunno che ha fatto i compiti a casa e chiede un giorno di vacanza in più, non quello con la pagella ancora insufficiente. Risultato? Un inevitabile cul-de-sac nel quale l'Italia è stata imbrigliata e frenata dall'abilissima Merkel e bersagliata dai commissari più rigoristi del Nord Europa.
Il bello è che l'esecutivo non è a corto di idee e soluzioni. La spending review dell'invisibile (e stoico, verrebbe da dire) Cottarelli, che poteva basarsi anche su quanto elaborato dai precedenti commissari Giarda e Bondi, è pronta. E comunque basterebbe aprire un po' di libri divulgativi, articoli di giornale e siti web di think-tank per trovare abbondanza di soluzioni.
L'Autorità Antitrust ha preparato una relazione con gli interventi necessari da inserire nella legge sulla concorrenza per liberalizzare e rendere più competitiva l'economia. Persino all'interno del governo c'é chi ha messo nero su bianco una lista di ragionevoli priorità. Lo ha fatto il vice-ministro Calenda il quale, prendendo spunto dall'immaginifico "Business Plan" lanciato da Renzi, ha elencato una serie di mosse concrete, a partire dal dimezzamento dell'Irap, l'agenda digitale, privatizzazioni e liberalizzazioni, tutte nel segno della crescita.
Perchè è proprio questo lo snodo vitale. Gli 80 euro che hanno contribuito alla vittoria elettorale del Pd sono stati una buona mossa per alleviare il disagio di ampie fasce della popolazione. Tuttavia, potrebbero rivelarsi inutili se la famiglia che li riceve perde il lavoro o non lo trova per i propri figli. In altre parole, la scelta che si impone al governo è questa: evitare di accontentare tutti o di ricercare la popolarità e concentrarsi sulla crescita economica. E per far ciò è necessario compiere scelte drastiche in favore dell'impresa che rischiano di essere impopolari: liberalizzazioni che scontentino corporazioni e potentati economici anche pubblici; taglio sostanzioso dell'Irap a fronte di una reale riduzione della spesa pubblica; flessibilità vera del mercato del lavoro sconfiggendo resistenze sindacali; corposa sburocratizzazione a costo di scontrarsi con ministeri, enti locali, tribunali amministrativi e ordinari.
Quando parla degli investimenti stranieri, Renzi dimostra di avere gli istinti giusti, non cedendo alla retorica patriottarda e protezionista di destra e sinistra, ed altrettanto si può dire quando sfida i burosauri della Pa. È ora che questi istinti si tramutino in azione di governo e il suo Business Plan diventi un Plan a favore del Business.
Alessandro De Nicola
2307/0630/1230
Scritto il 25 luglio 2014 alle 22:01 nella Economia, Politica, Renzi | Permalink | Commenti (2)
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10 luglio 2014
Legge elettorale: verso la palude. Duro colpo al senso di onnipotenza del Vanesio di Frignano sull'Arno

Anna Finocchiaro, una volta PD, col Padre del Porcellum
L’invasione degli ultranominati. Accanto all’Italicum che sarà basato di nuovo su listini bloccati e che al momento comporrebbe l’assemblea di Montecitorio senza preferenze, ecco anche il proporzionale per scegliere chi tra i consiglieri regionali sarà anche senatore. “Chi sceglie? Sceglie il capogruppo. Neanche in Russia succede così” dice Roberto Calderoli. Il vicepresidente del Senato e ex ministro per le Riforme è anche uno dei relatori e ha disconosciuto l’emendamento dell’altro relatore, la presidente della commissione affari costituzionali Anna Finocchiaro.
Questo ha fatto sì che il patto tra maggioranza, Forza Italia e Lega sulla trasformazione di Palazzo Madama in camera delle autonomie si sia sfaldato improvvisamente. Calderoli ha ritirato la firma da quell’emendamento che comunque sarà votato, come insiste la Boschi, e rischia di essere bocciato. “La mia perplessità nasce non per l’elezione – dice Calderoli – ma per la non elezione” dei senatori. “Si può scegliere l’elezione diretta o l’elezione indiretta, ma il punto è che non c’è più l’elezione indiretta. E ciò in democrazia è inaccettabile”.
Anche per il Nuovo Centrodestra è un “pasticcio”. In sostanza accade che i consigli regionali non voterebbero nome per nome, ma il numero dei seggi assegnati a ogni partito sarebbe già fissato in proporzione ai rapporti di forza nelle varie assemblee regionali. Dopo vari incontri tra governo, maggioranza e Forza Italia è stato trovato un accordo “temporaneo” (con un nuovo emendamento) per superare il voto in commissione, con l’impegno che la questione sarà ridiscussa in Aula.
Il risultato è che la discussione sul disegno di legge del ministro Maria Elena Boschi non inizierà prima di lunedì, quando finalmente dovrebbe cominciare la discussione in Aula. Solo lì si dovranno risolvere i contrasti tra il governo, la Lega e in parte Ncd. La causa dei ritardi dunque non è solo l’ostruzionismo in commissione al Senato di M5s e Sel (tra le forme di “protesta” dei grillini anche una sorta di reading di testi di Cirino Pomicino), ma la mossa di Calderoli. Linea sposata però anche dal Nuovo Centrodestra, che in questo modo fa mancare un rilevante pacchetto di voti.
Finocchiaro: “Disponibile a modificare il testo” - La Finocchiaro si è detta “disponibile” a recepire modifiche. Durante la pausa pranzo si è svolta una lunga riunione tra il ministro Boschi e i due relatori, Finocchiaro e Calderoli. Al termine la Finocchiaro ha risposto a una domanda dei giornalisti se è plausibile che la Commissione approvi comunque un testo anche se non è quello definitivo, lasciando la possibilità di un’ulteriore limatura in Aula: “Direi di sì, anche perché io sono disponibile a questa eventualità” (...poveri noi... e dire che a suo tempo avevo messo la Finocchiaro fra le mie candidature preferite alla Presidenza della Repubblica... E ora me la ritrovo a trattare per conto di Renzi, col padre della Porcata, una legge frutto di un accordo sotterraneo fra pregiudicati... Ma cosa ho fatto di male? NdR)
L’emendamento che elegge i senatori in proporzione ai consigli regionali - L’emendamento della Finocchiaro (la presidente della stessa commissione), prevede che per l’elezione si tenga conto non solo della proporzionalità (rispetto agli abitanti delle Regioni) per l’elezione, ma anche della composizione dei consigli regionali. Secondo Lega e Ncd si tratta di una “finta elezione” che favorirebbe nella sostanza solo partiti e movimenti più rappresentati. L’elezione di secondo grado dei futuri senatori, è il ragionamento, rischia di essere troppo vincolata alla reale composizione dei consigli che, in alcune Regioni, sono eletti con il premio di maggioranza. La proposta del governo sarebbe quella di affidare a una legge ordinaria ordinaria i criteri per definire il criterio della “composizione“. Il sottosegretario Luciano Pizzetti (Pd) promette che il testo sarà riformulato e “sarà pronto nelle prossime ore”. Si cerca di approvare tutto alle 17,30. Di conseguenza l’Aula slitterà a lunedì mattina. A quel punto sarà dato anche mandato ai relatori a sciogliere i nodi irrisolti in Aula.
Legge elettorale in Costituzione, contrari Ncd e Lega - Ma ci sono anche altri due nodi da sciogliere, come spiega l’agenzia politica Public Policy. Il primo è la norma, contenuta in un emendamento della Finocchiaro, che inserisce in Costituzione la legge elettorale, così come chiesto da Forza Italia. Sulla disposizione, però, non c’è il consenso di Ncd e Lega Nord. Per questo non ha firmato l’emendamento. Una soluzione sembrava essere stata trovata durante la seduta di questa mattina, quando la parte che inserisce la legge elettorale in Costituzione era stata ‘spacchettata’ dall’emendamento sulle modalità di elezione, che tanto oggi ha fatto discutere la maggioranza. Un accordo sulla questione – riferiscono fonti Ncd citate da Public - “non è stato ancora trovato”. Quindi al momento, con l’emendamento che rimane spacchettato, la legge elettorale per la scelta dei futuri senatori (un sistema proporzionale basato su listini) potrebbe essere inserita tra le norme transitorie del ddl. In altre parole: il sistema elettorale potrebbe valere solo per il periodo di transizione tra l’entrata in vigore della riforma costituzionale e la nuova legge ordinaria che dovrà essere fatta dalle Camere (...insomma, il potere legislativo verrebbe eletto attraverso una "legge transitoria", cioè una non-legge. Neanche Berlusconi era riuscito a fare peggio del PD di Renzi e della Boschi Tacco 12. NdR)
Forza Italia, in 22 chiedono il rinvio della discussione in Aula - Forza Italia, invece, a detta del capogruppo Paolo Romani, si dice soddisfatta. Ma i problemi per i berlusconiani – soprattutto sul Senato elettivo – sono tutt’altro che finiti. I senatori “dissidenti” di Forza Italia non mollano e in 22 chiedono di rinviare l’avvio della discussione in aula del disegno di legge sulle riforme a dopo la riunione dei gruppi di Forza Italia con Silvio Berlusconi. Tra i 23 ci sono Augusto Minzolini e Cinzia Bonfrisco. “Alla luce della riunione dei gruppi parlamentari prevista con Silvio Berlusconi nei prossimi giorni, i sottoscritti senatori chiedono il rinvio dell’incardinamento in Aula del testo di riforma del Parlamento allo scopo di ottenere il risultato unitario che vogliamo garantire al presidente Silvio Berlusconi e al processo di riforme urgenti che il Paese attende”. In tutto il gruppo di Forza Italia al Senato conta 59 parlamentari. ”Sul voto non ci sarà dissidenza, Fi non frena” sottolinea Denis Verdini al termine della riunione avvenuta tra i senatori una riunione dei senatori:più che dissidenza, ha spiegato, all’interno del gruppo siano presenti “opinioni diverse”. Verdini, uomo delle riforme di Berlusconi, ha anche incontrato la stessa Bonfrisco. Se rispetteremo il patto del Nazareno? “Assolutamente sì” (...insomma, siamo alla "opposizione parolaia su sacri principi. Ma qualunque cosa accada, alla fresa dei conti - il voto d'aula - i cagnolini da lecco rientreranno obbedienti nella comoda cuccia dell'assolutamente si. NdR)
Pressing del M5s sul Pd: “Con noi confusione e perdite di tempo” - Intanto continua il pressing del Movimento Cinque Stelle sul Pd per arrivare al tavolo sulla legge elettorale . “Il Pd di Renzi doveva essere il partito della velocità – scrive il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio – Con noi si sta rivelando quello della confusione e della perdita di tempo”. Di Maio si chiede che fine abbia “fatto la lettera che doveva mandarci il Pd. Qualcuno ha visto passare il piccione viaggiatore che la portava?”
0907/0630/1930
Scritto il 10 luglio 2014 alle 18:27 nella Politica, Renzi | Permalink | Commenti (5)
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02 luglio 2014
La "Rivoluzione" di Renzi: tanti annunci, zero decisioni (di Donatella Stasi)
Il governo dei tecnici doveva muoversi nel perimetro stretto delle "riforme possibili" ma garantendo interventi di "qualità". Così non è stato. Il governo delle larghe intese doveva ampliare quel perimetro e proseguire sulla strada avviata, integrando e correggendo. Così non è stato. Il governo Renzi, il più politico in assoluto, avrebbe dovuto avere la strada in discesa quanto a obiettivi e a misure per realizzarli con trasparenza e rapidità. Così non è stato.
Fin dal suo insediamento, è apparso defilato e confuso sulla giustizia, privo di una visione d'insieme e finanche della volontà di cambiare passo, salvo cavalcare (con indubbia destrezza mediatica) la cronaca che spietatamente gli ricordava emergenze croniche e priorità. Così ieri mattina – allo scadere dell'ultimo giorno dell'ultimo mese del cronoprogramma renziano, quello destinato alla riforma globale della giustizia - abbiamo appreso che il presidente del Consiglio e il ministro della Giustizia hanno avuto «un incontro molto importante per elaborare delle linee guida che non sono dei titoli ma argomenti importanti per rivoluzionare il sistema giustizia». E in serata Renzi ha snocciolato 12 punti – altrettanti titoli – assicurando che – salvo per le intercettazioni – i testi sono già tutti pronti ma il governo vuole aspettare due mesi per dare ai cittadini la possibilità di dire la loro. Insomma, parliamone. Parliamone ancora. Se la riforma annunciata subisce un altro rinvio è perché il governo vuole farne una «rivoluzione» all'insegna della «partecipazione».
In buona sostanza, dopo quattro mesi e a poche ore dall'atteso Consiglio dei ministri che – rinvio dopo rinvio – doveva finalmente dar corpo agli annunci con un pacchetto organico di misure - così organico da imporre alle Camere uno stop su corruzione, prescrizione, autoriciclaggio e falso in bilancio - il premier e il guardasigilli hanno «elaborato» le «linee guida» della «rivoluzione» di settembre sulla giustizia. I testi possono aspettare. Non c'è fretta, si dice, perché tanto il Parlamento è «ingolfato» da altre riforme. Non c'è fretta, si spiega, perché quel che conta è arrivare a progetti «concertati» e «ponderati». Non c'è fretta, si mormora, perché con Silvio Berlusconi alleato delle riforme istituzionali è opportuno aspettare tempi politicamente migliori. Ma è difficile sfuggire alla sensazione che la giustizia resti ancora un terreno troppo scivoloso per assumersi la responsabilità politica di scelte chiare e tempestive. Meglio continuare a «parlarne» e a far finta che quelle «linee guida» siano già la rivoluzione promessa (l'unica novità operativa è l'avvio da oggi del processo civile telematico, che però viene da lontano e non dal governo Renzi). E questo è un terreno su cui il premier ha gioco facile, visto che da mesi, ormai, non c'è giornale o tv che non parli dell'imminente «rivoluzione», «stretta», «svolta» del governo.
Certo, il metodo di lavoro è importante. E due mesi in più non spostano molto se il risultato finale è efficace (anche se è un po' buffo immaginare che sotto il sole di luglio e di agosto fiorisca un dibattito sulla giustizia e che il governo riscriva i suoi testi). Ma tutto si può dire salvo che sulla giustizia si sia all'anno zero quanto a dibattiti e proposte, parlamentari, ministeriali, scientifiche. Tutto si può dire salvo che temi come falso in bilancio, autoriciclaggio, prescrizione, concussione, efficienza del processo civile e penale non siano stati sviscerati in ogni sede, nazionale e internazionale. Tutto si può affermare, salvo che la corruzione sia un accidente che ci ha spiazzato o solo una questione di «ladri» e non anche di «regole» che ai ladri hanno consentito di cavarsela quasi sempre e quindi di dilagare. Se il governo ambiva a giocare un ruolo da protagonista, avrebbe dovuto mettersi subito al lavoro, non farsi prendere in contropiede dalle inchieste su Expo e Mose e, semmai, giocare d'anticipo. Avrebbe così imposto il suo passo al Parlamento e non una frenata.
Sul civile e sul penale, sono rimasti nel cassetto testi già pronti e «concertati». Tutto da rifare, sembrerebbe. In compenso sono riemersi, come temi centrali, la responsabilità civile dei magistrati e le intercettazioni: proprio come ai tempi di Monti, quando sul tavolo doveva esserci solo l'anticorruzione. Un déjà vu di cui avremmo fatto volentieri a meno, visti i risultati [...] Continua su [Donatella Stasio - IlSole24Ore]
P.S.: inutile sollolineare che Donatella Stasio non è una giornalista della "Pravda" o del "Manifesto", ma una apprezzatissima giornalista del Sole24Ore, giornale "filogovernativo per definizione", come diceva tale Gianni Agnelli... Eppure neanche lei, come noi (che, si sa, abbiamo l'alibi e l'aggravante della faziosità) riesce a far finta che Renzi sia davvero il nuovo "ometto del fare". Perchè il mondo - anche quello confindustriale - comincia a capire che un conto è fare rivoluzioni verbali (o verbose?), chiamando "cronoprogramma" un programma, che è per definizione un "cronoprogramma", altrimenti non è nulla. Altro conto è trasformare i titoletti e i buoni propositi in leggi approvate (possibilmente qualche volta anche senza il ricorso al voto di fiducia), controfirmate dal Presidente della Repubblica, pubblicate in Gazetta Ufficiale, e magari persino corredate dai relativi "regolamenti attuativi". O no?
Tafanus
0207/1000/1600
Scritto il 02 luglio 2014 alle 22:40 nella Politica, Renzi | Permalink | Commenti (2)
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20 maggio 2014
...e in rete impazzano i sondaggi camuffati per aggirare i divieti...
Non risultano trascorsi da fantino per Matteo Renzi. Né ha mai indossato la porpora cardinalizia Silvio Berlusconi, pur azzardando paralleli lunari con Papa Bergoglio. Eppure in questo si trasformano i leader – cavalieri o alti prelati – nei sondaggi “camuffati” che circolano alla vigilia delle Europee.
Da una settimana è vietato, vietatissimo pubblicare gli umori dell’elettorato. Nessuno, però, può proibire di giocare con i numeri.
Si diverte parecchio a far correre il Grand Prix d’Europa, ad esempio, il sito “Notapolitica.it” (clicca qui) . E non è difficile scorgere in Igor Brick la silhouette di Beppe Grillo, oppure quella del premier nel fantino fiorentino Fan Faròn, al galoppo con il puledro Schulz. I tempi ottenuti misurano naturalmente le rispettive percentuali. Non manca neanche FI – in arte Varenne – «sempre alle prese con la latitanza di Burlesque a Château de Boscòn». Ogni riferimento al Cavaliere e a Cesano Boscone sembra voluto. Corre pure la Lega del «nordico Groom de Bootz», il Ncd di «Ipson de Scipiòn» e il «meticcio allevato dalla scuderia Petit Jean-Ipson de la Boccòn», alias Mario Monti.
A chi non fossero gradite le corse dei cavalli, il sito Youtrend (clicca qui) regala invece un parallelo con il concistoro. C’è il «giovane e iperattivo cardinale di Firenze», il «riccioluto camerlengo di Genova» e il «prelato pelato di Monza e Brianza». E i dati da chi arrivano? «Dall’affascinante madre Gilda Sleri, studiosa fra le più apprezzate dall’anziano cardinale brianzolo».
(Fonte: giacomosalerno Politica, cultura )
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PRONTO, CHI URLA?
A sentire Grillo che urla a 90 decibel, fino a farsi rompere le vene del collo, a farsi schizzare gli occhi fuori dalle orbite, a sfrantumarci timpani e coglioni, siamo abituati da lustri. Ma guardare la pallida imitazione del Chierichetto di Ciriaco che tenta di entrare in competizione su questo terreno, è stato uno spettacolo patetico. Il boy-scout di Frignano sull'Arno non è adartto al ruolo. Se frigna può risultare persinoi convincente per la Casalinga di Voghera, ma se si mette a fare la guerra dei decibel col Buffone di Genova, allora la battaglia è persa in partenza.
Per piacere, renzino: sie il Premier (anche se a insaputa di molti). Quindi mettiti una cravatta, non urlare, e non fare il finto amicone ggiovane ggiovane con le comparse dei talk-shows. Dai loro del LEI, ed evita, per piacere, la pagliacciata del "datemi del tu". Devi rassegnarti. Non sei Fonzie, seil Il Presidente. Non te l'hanno detto????
Intanto prega ciò che resta del defunto Partito Democratico di chiudere il suo MinCulPop... Oggi, con la rete, nascondere la merda e i fischi sotto il tappetto è impresa velleitaria. Tu che sei il "Maghetto della Rete", quello che governa con Twitter e dattilografa alla velocità della Campionessa del mondo, dovresti saperlo, vero? Quindi, facci e fattri un piacere... Lascia perdere. Se il TUO PD (non il MIO), cerca di nascondere i fischi di Palermo, noi proviamo ad amplificarli, ed invitiamo i bloggers (tutti) a fare altrettanto.
#matteostaisereno
Tafanus
Palermo: i fischi al Chierichetto che il PD ha cercato di trasformare in adorazione
2005/2200/0800
Scritto il 20 maggio 2014 alle 15:44 nella Politica, Renzi | Permalink | Commenti (0)
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09 maggio 2014
Expò 2015: "Come prima, più di prima" (di Gian Antonio Stella, Giuseppina Piano, Vittorio Zucconi, Tafanus)
Per piacere: evitateci lo stupore scandalizzato, «chi se lo immaginava?», «non l’avrei mai detto...». Tutto sono, gli arresti di ieri per l’Expo 2015, tranne che una clamorosa sorpresa. Perché, ferma restando l’innocenza di tutti fino alle sentenze, le cose stavano procedendo esattamente come era andata troppe altre volte.
Il solito copione. Recitato per i Mondiali di nuoto, le Universiadi, la World Cup di calcio, l’Anno Santo... Anni perduti nei preliminari, discussioni infinite sui progetti, liti e ripicche sulla gestione e poi, di colpo, l’allarme: oddio, non ce la faremo mai! Ed ecco l’affannosa accelerazione, le deroghe, il commissariamento, le scorciatoie per aggirare lacci e lacciuoli, le commesse strapagate, i costosissimi cantieri notturni non stop.
Sono sei anni, dal 31 marzo 2008, che sappiamo di dovere organizzare l’Expo 2015. E anni che sappiamo, dopo i trionfi di Shanghai 2010 dove il nostro padiglione fece un figurone, che l’impresa è difficile se non temeraria. Eppure solo Napolitano, all’ultimo istante, si precipitò alla grandiosa esposizione cinese per ricevere il passaggio del testimone e mettere una toppa sulle vistose assenze del nostro governo. Dopo di allora, tanti proclami, annunci, rassicurazioni... Mentre cresceva, nonostante l’impegno generoso di tanti, la paura di non farcela.
È una maledizione, la fretta. E ci caschiamo sempre. O forse è peggio ancora: c’è anche chi scommette sui ritardi e sulla accelerazione febbrile col cuore in gola. Quando il rischio che salti tutto fa saltare le regole che erano state fissate e i prezzi schizzano sempre più su, più su, più su. Proprio come previde nel 2010 la presidente degli architetti milanesi denunciando «perplessità in merito al rispetto delle scadenze per il completamento dei lavori, alla trasparenza delle procedure e alle modalità che saranno utilizzate per affidare gli appalti». Già la prima di quelle gare, del resto, fu un’avvisaglia: vinse un’impresa con un ribasso enorme da 90 a 58 milioni ma l’anno dopo già batteva cassa per averne 88. Per non dire delle infiltrazioni nei subappalti di imprese in odore di mafia: il capo della polizia Pansa, mesi fa, comunicò che 23 aziende erano state escluse (...ma come... il Ministro degli Interni Maroni non aveva escluso, indignato, che in Lombardia non ci fossero infiltrazioni mafiode e 'nranghetiste? E quante volte il "Governatore per l'Eternità" ci aveva sfrantumato i coglioni parlando delle variegate "eccellenze lombarde"? NdR)
Lo stesso sindaco Pisapia, però, spiegò d’essere sulle spine: troppi, sei mesi di analisi burocratiche, per verificare la serietà di una ditta. Tanto più se la fretta si fa angosciosa.
L’unica sorpresa, nella retata di ieri che segue il fermo un mese fa del Direttore Generale di Infrastrutture Lombarde Giulio Rognoni, sono i nomi di alcuni degli arrestati. Già tirati in ballo vent’anni fa, nella stagione di Mani pulite, come se non fosse cambiato niente. Dal costruttore Enrico Maltauro all’ex pci Primo Greganti fino all’ex dicì Gianstefano Frigerio, poi candidato da Forza Italia (lifting anagrafico...) col nome d’arte di Carlo. Ma come, direte: ancora? Ancora, accusano i magistrati. E parlano d’«una cupola» che «condizionava gli appalti» in favore di «imprese riconducibili a tutti i partiti». Cosa significa «tutti»? Mancano solo un paio di settimane alle elezioni europee. E un anno all’apertura dell’Expo: i dubbi su quello che è oggi il più grande investimento nazionale e rischia di trasformarsi da vetrina della speranza e del rilancio in una vetrina infangata devono essere spazzati via in fretta.
Mi sorprende molto la meravilia dei meravigliati. Scripta manent. Della "Expò del Fagiolo Borlotto" abbiamo scritto, con toni preoccupati, tutto il male possibile, ed abbiamo espresso le nostre fondate preoccupazioni quando ancora i "vincitori" del Gran Premio Expò 2015" erano con la coppa di Champagne in mano, intenti ad autocongratularsi. Correva l'anno 2008, addì 31 Marzo, quando abbimo scritto il post il cui incipit trovare nell'immagine sottostante.
Noi ci eravamo presi la briga di commentare questo in toni non entusiastici questo articolo di Giuseppina Piano, per un mix di ricordi di avvenimenti passati, e per la nostra inguaribile tendenza ad usare la testa e la calcolatrice, nel tentativo - che a volte riesce - di separare "i fatti dalle pugnette". Per i più pigri: ecco cosa scrivevamo in calce all'articolo summenzionato:
[...] Prima di dedicarci a masturbazioni collettive, a orgasmi di gruppo, a seghe circolari, vorrei invitare ad un attimo di riflessione, e di ritorno alla memoria. Dunque, una mostra di durata infinita e su un tema limitato (l'alimentazione) attirerà per cinque mesi dalle 160.000 alle 250.000 persone al giorno a Milano. Tutti ad adorare salami e mozzarelle per 150 giorni?
Una città nella quale la popolazione aumenterà del 20% al giorno in media, vedrà il miracolo della riduzione delle emissioni di CO2 del 15%. Stiamo parlando di una riduzione di emissioni pro-capite che, miracolosamente, passano da 100 a 70. In quale film? Con quali strumenti? forse con le tre Panda elettriche messe in circolo dalla Regione Lombardia, o con la BMW personale a idrogeno di Formigoni?
Un milione di metri quadri solo per le strutture ricettive e di servizio. In pratica, per ognuno dei 200.000 pellegrini giornalieri, ben 5 metri quadri: pochissimi per ogni pellegrino; tantissimi, un milione, una volta finito questo fantasmagorico flusso di assaggiatori di mozzarella.
Ma leggete l'ultimo passaggio dell'articolo, che è addirittura terrorizzante:
"...Le aree date in prestito al Comune torneranno ai loro proprietari, privati, ovvero...la Fiera e il gruppo Cabassi. E là dove fino a oggi non si poteva costruire, in una zona vincolata dal piano regolatore per uso agricolo, potranno farci un nuovo quartiere residenziale..."
Per concludere con questo possibile film dell'orrore, vorrei ricordare, a chi è sufficientemente anziano per averne memoria, la storia allucinante di "Italia '90". All'inizio dei Mondiali, non c'era una sola struttura ricettiva, sovvenzionata dallo stato, che fosse arrivata a completamento. Il parcheggio coperto di Cascina Gobba venne ridicolmente inaugurato tre giorni prima dei mondiali (era al rustico), in pompa magna, per essere richiuso il giorno dopo la fine dei mondiali. Per CINQUE anni il parcheggio non è stato lavato, perchè non era stato appaltato il servizio di pulizia. Per CINQUE anni gli ascensori per i piani superiori non sono entrati in funzione. Quando sono entrati in funzione, avevano delle strane pulsantiere dove il tasto "2°" corrispondeva al 3° (scritto col pennarello); il tre all'uno, l'uno al Terra. Italia 2008: sono passati 18 anni. Nel parcheggio, dopo 18 anni, le toilette brillano per la loro assenza, e chi proprio non ce la fa ad affrontare la tangenziale, piscia dietro un pilastro.
Lo spettacolo calcistico, a stadi vuoti, è stato uno dei più deprimenti degli ultimi 50 anni. Quasi tutti i biglietti erano stati venduti agli sponsors, i quali li avevano regalati a clienti improbabili visitatori. Sicchè c'era lo spettacolo dei bagarini all'opera fuori dagli stadi, e contemporaneamente gli spalti desolatamente vuoti.
Quindi, per piacere, prima di "toccarci" e di commettere "atimpuri", aspettiamo un momento, tanto per capire cosa sia, quanto costi e a cosa serva una Expo Universale di cinque mesi sui fagioli borlotti. Tafanus
Interessante anche questa notizia del 2009 di Vittorio Zucconi:
...a famigghia padana: Renzo Bossi "consulente" per l'Expò 2015
Altra nota dolente: i denari. La crisi economica è seria, e la coperta è corta. Il budget della società di gestione, 4 milioni, è da completare. Tredici sono le opere 'essenziali' per 1,8 miliardi (l'area, i collegamenti, le vie d'acqua), e va bene. Ma ben 17 sono le opere 'connesse' (esterne all'area: come le autostrade Pedemontana e BreBeMi, i metrò M4 e M5) per 11,7 miliardi. Il 18 dicembre il Cipe non ha firmato le delibere di finanziamento. Il sottosegretario alle Infrastrutture Roberto Castelli ha dichiarato che di miliardi ne mancano solo 2 e si troveranno (ma non ha voluto approfondire con 'L'espresso'). Sul terzo elenco, le 35 opere definite 'necessarie', c'è il più vivo pessimismo: quegli altri 11,3 miliardi difficilmente salteranno fuori, non basta certo la legge obiettivo per il Nord. Al tutto si aggiunge la crisi di Malpensa e Linate. Sulfureo il commento dell'economista Marco Vitale a 'L'espresso': "Oggi l'Expo è il nulla. E lo sviluppo di Milano si basa su due falsità: che l'Expo sia un evento importante su cui proiettare le proprie aspirazioni, un'idea ottocentesca; e che per far crescere la città si auspichi il trasferimento coatto di 700 mila abitanti".
Intanto Milano freme: al suo sindaco chiede più trasporto pubblico, case a prezzi bassi, asili nido, lotta al traffico, all'inquinamento, alla sporcizia; e meno zingari, meno questuanti, meno violenza. È imminente un rimpasto di giunta, tre assessori da sostituire, e i partiti premono famelici. No, Letizia Moratti non può tirare il fiato, l'apnea è ancora lunga.
Ventinove milioni di visitatori. Per sei mesi, dal 1° maggio al 31 Ottobre 2015, oltre 160.000 persone al giorno, tutti i giorni, arriveranno a Milano, per poi trasferirsi a Rho-Pero per ammirare il culatello, il salame di Felino, e il biscotto Rovagnati. Se poi immaginiamo che, dopo un viaggio così impegnativo (magari dagli antipodi), uno voglia persino visitare Milano e restare tre giorni, per sei mesi, tutti i giorni, Milano avrà il 50% di popolazione in più, rispetto a quella che già ora non regge. Ma questa donna fa finta di essere scema, o è proprio così, in natura? Tafanus
Scritto il 09 maggio 2014 alle 14:30 nella Berlusconi, Criminalità dei politici, Politica | Permalink | Commenti (6)
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02 maggio 2014
No Euro: malafede e memoria corta (l'Espresso)
Oggi conviene criticare la moneta unica. Perché porta voti. Ma dalla Lega all'ex Cav tutti votarono i diktat della Ue (di Vittorio Malagutti - l'Espresso)
NON POSSIAMO NON DIRCI NO EURO . C' è da scommetterci: qualcuno, prima o poi, finirà per rispolverare perfino Benedetto Croce, riadattandolo al momento storico con la moneta unica al posto del cristianesimo. Il ritorno alla lira, descritta come la medicina magica per tutti i guai d'Italia, è uno zuccherino propagandistico che va per la maggiore in queste settimane di campagna elettorale.
Per alcuni leader a caccia di voti la battaglia contro il mostro dell'euro è una scorciatoia demagogica formidabile, un capro espiatorio pronto per l'uso a cui addossare tutta la colpa del grave impoverimento del Paese. Prendete per esempio Matteo Salvini, che l'anno scorso ha ereditato la guida di una Lega Nord ridotta ai minimi termini dopo gli scandali (diamanti, Trota, Belsito, Tanzania). Adesso il capo dei lumbard sta rimontando alla grande nei sondaggi sventolando la bandiera dei no-euro. Un discorso simile vale anche per Fratelli d'Italia. Basta aggiungere un po' di pepe antitedesco alla solita minestra della destra popolare. Ed ecco che il partito di Giorgia Meloni può perfino sperare di superare il quorum del 4 per cento necessario per essere rappresentati al parlamento Ue.
Questi sono i duri e puri, quelli senza se e senza ma a cui va riconosciuta una certa coerenza, quantomeno negli ultimi mesi. Se invece si va più indietro nel tempo si scopre che leghisti ed ex An, ora impegnati a sbraitare contro la schiavitù della moneta unica, negli anni dei governi berlusconiani approvarono senza fiatare tutti i provvedimenti europeisti che (dicono loro) ci hanno messo nei guai.
I voti no-euro, però, fanno gola anche ad altri partiti che ufficialmente dichiarano che sarebbe un disastro tornare alla lira. Quindi, appena possibile, conviene smarcarsi, fare dichiarazioni contraddittorie tra loro per far capire che - ma sì, dai - alla fine quando saremo a Bruxelles ci pensiamo noi a sabotare i perfidi piani dell'oligarchia bancaria. Questa, per dire, sembra la linea (una linea con molti avanti e indietro) scelta da Forza Italia, con Berlusconi che a giorni alterni recita la parte del valoroso combattente contro la dittatura dei burocrati Ue.
Anche Beppe Grillo, a proposito di moneta unica, ha fatto dichiarazioni poco coerenti tra loro. Si parte con «l'euro non è il problema» per poi lasciare aperta la porta a un eventuale referendum popolare sulla valuta europea. Per questo nella base Cinquestelle ha provocato un certo disorientamento l'intervento di Gianroberto Casaleggio che in una recente intervista ha tagliato corto: «Noi non diciamo: l'euro è sbagliato». Visti i precedenti, non è escluso che questa affermazione possa venire corretta o addolcita da qui al voto del 25 maggio.
In Italia e in altri Paesi Ue come Francia con il Front National, Olanda (Partito della libertà), Austria con l'Fpo, si sono molto rafforzati movimenti che offrono soluzioni facili a problemi complessi. Gridano «No Europa, No Euro» con una forza che azzera il dibattito perché riduce ogni argomentazione al grado zero del dualismo bianco/nero, amico/nemico. E a volte, in mancanza di argomenti, alcuni di questi capipopolo non si fanno problemi ad accompagnare gli slogan con una buona dose di violenza verbale. Sono palloni gonfiati a caccia di visibilità.
Intanto, milioni di persone che hanno visto crollare le certezze economiche del passato se la prendono, a ragione, con la gestione irresponsabile delle istituzioni finanziarie. Per loro è molto più semplice aggrapparsi a un'illusione piuttosto che provare a ragionare sui rischi colossali di un ipotetico ritorno al passato, alla lira. È una reazione giustificabile, certo. Ma non è detto che non ci porti al disastro. Anzi.
Vittorio Malagutti
Scritto il 02 maggio 2014 alle 12:57 nella Berlusconi, Economia, Politica, Tafanus | Permalink | Commenti (4)
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01 maggio 2014
Rivoluzioni finte e bischerate vere: "La Pubblica Amministrazione"? la riformeremo dopo le elezioni...
Decorative, devote, silenti: le Nuove "veline" del PD
Ieri, come strombazzato da giorni, Matteo Renzi da Frignano sull'Arno ha riformato, in mezza giornata, la Pubblica Amministrazione. Accompagnato dalla inutile ma decorativa ggiovane Marianna Madia, che per nostra fortuna non ha profferito motto.
Dunque, ci siamo. Matteo Renzi mantiene le promesse, e viaggia rapidissimo. Verso il vuoto spinto. Anche la Riforma della PA (così come il mitico "Jobs Act" - inglese da rivedere), è arrivato rapido come il fulmine. Anche la Riforma della PA, come il Jobs Act, è il NULLA impacchettato sotto vuoto spinto. Si apre il "Documento", e si sente il sibilo che si avverte quando si apre una busta di caffé Suerte. Un titolo, e quaranta sottotili.
Per il contenuto, bisognerà aspettare. Tutto rinviato al 13 Giugno. Secondo una sua avvocata d'ufficio, due settimane prima o dopo non cambiano il mondo. E' vero. Due settimane non cambiano il mondo, e quindi tanto varrebbe dare le date giuste. Ma dato che io sono pignolo, ho fatto i conticini: dal 30 Aprile al 13 Giugno intercorrono esattamente 44 giorni, che persino nei collegi dei preti fanno 6,29 settimane, e non due. Provare a dividere 44 per 7 per convincersene.
Con l'abituale modestia berlusconiana, Matteo ha creato un sobrio indirizzo di posta elettronica dove buttare, come in discarica, "eventuali suggerimenti non vincolanti":
In un primo momento ho pensato: scriviamo, scriviamo, scriviamo in massa alla email della "Rivoluzione". Poi mi sono messo alla tastiera, e non è venuto fuori niente. Perchè, esattamente come per il maccheronico "Jobs Act" ("Decreto Lavori", ma allora l'ortografia giusta sarebbe "Jobs' Act"), sotto la copertina in pelle, non c'è nulla. Quindi, prima di chiedere, insultare, suggerire, aspetterò il 13 Giugno, e commenterò i capitoli. Mi riesce difficilissimo commentare un indice.
E poi, come recitava il titolo di un provocatorio spettacolo teatrale che girava nei teatrini alternativi di Bologna negli anni '80, "...sta per scoppiare la rivoluzione e non so cosa mettermi..."
Tafanus
Scritto il 01 maggio 2014 alle 10:42 nella Politica, Renzi, Tafanus | Permalink | Commenti (7)
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29 aprile 2014
Se questo è uno statista (di Massimo Giannini)
Quello che segue è l'articolo di Massimo Giannini, vicedirettore di Repubblica, sui folli sproloqui dell'ormai irredimibile pregiudicato di Arcore, che si accinge a pagare il gravissimo reato di frode fiscale con una insopportabile pena di 7 lunghi giorni da trascorrere coi vecchietti. Non a cambiare il pannolone, ma a raccontare magari oscene barzellette su quelli che - poverini - hanno bisogno del pannolone e della ceratina...
Poi, però, dopo aver pubblicato integralmente l'articolo di Massimo Giannini (che ho sempre stimato, almeno fino a metà del 2013), avrei qualche domandina da fargli... Tafanus
Se questo è uno statista (di Massimo Giannini - Repubblica.it)
Se questo è un uomo di Stato. Ad ascoltare i deliri con i quali Silvio Berlusconi ha aperto la sua campagna elettorale, non si può trarre una conclusione diversa. Nessuno si faceva troppe illusioni: un Ventennio di autocrazia populista e di macelleria costituzionale parla per lui. Ma dopo l'assegnazione ai servizi sociali per la condanna al processo Mediaset ci si aspettava almeno una modica quantità di autocontrollo. Non un "ravvedimento", troppo generosamente auspicato dal tribunale di sorveglianza nelle motivazioni con le quali l'ex Cavaliere è stato "affidato" all'Istituto di Cesano Boscone. Ma almeno un po' di misura, nell'apprezzare l'insostenibile leggerezza della pena finale (7 giorni di "assistenza" spalmati sui prossimi 11 mesi), rispetto alla comprensibile pesantezza della pena iniziale (4 anni di carcere). Invece no. Il senso dello Stato, il rispetto delle istituzioni, il principio di legalità: nulla di tutto questo appartiene alla cultura politica di Berlusconi (...già... lo sospettiamo da circa 40 anni, caro Massimo... NdR)
L'accusa ai tedeschi, secondo i quali "i lager non sono mai esistiti", è un insulto alla Storia, prima ancora che alla Germania. La frase, falsa e sconclusionata, è molto più che l'ennesimo "infortunio" di un gaffeur planetario. È invece uno scandalo diplomatico, che fa un danno enorme all'immagine dell'Italia, e non solo al capo di Forza Italia. Le reazioni indignate, che uniscono la Merkel e i rappresentanti di Ppe e Pse, confermano la gravità dell'incidente. E solo la malafede manipolatoria può spingere Berlusconi a replicare che si tratta dell'ennesima "trappola" ordita delle sinistre, e a ribadire la sua "profonda amicizia con il popolo ebraico". Qui in gioco non c'è un presunto "antisemitismo" berlusconiano, che nessuno ha denunciato. C'è invece l'assoluto cinismo del leader di una destra irrecuperabile, che per lucrare una miserabile rendita elettorale in vista del voto del 25 maggio non esita a inventare il solito "nemico esterno", cioè la Germania. A evocare il "non evocabile", cioè i lager. Ad accostare l'inaccostabile, cioè il Fiscal Compact con la Shoah. C'è dunque lo stesso nichilismo morale dell'ex premier di un governo impresentabile, che per difendersi dalle critiche dei socialisti europei dà del "kapò" a Martin Schulz.
L'accusa al presidente della Repubblica e ai magistrati, colpevole il primo di avergli negato la grazia e i secondi di averlo infangato con una "sentenza mostruosa", è un'offesa alla legalità, prima ancora che alla verità. Sono tristemente note, le spallate continue che lo "statista" di Arcore ha tentato di assestare al sistema dal 1994 ad oggi, tra leggi ad personam e intimidazioni ai pm, alla Consulta, al Quirinale. Ma non erano altrettanto note le rivelazioni fatte dallo stesso ex Cavaliere, che a "Piazza pulita" afferma impunemente di aver detto al Capo dello Stato "tu hai il dovere morale di darmi la grazia motu proprio". In questo "atto sedizioso" si racchiude, tutto intero, il berlusconismo. L'idea malsana che l'unzione popolare purifica da tutti i reati e da tutti i peccati. Che le istituzioni ne debbano solo prendere atto, compiendo di propria iniziativa il passo che il pregiudicato non vuole richiedere, perché questo equivarrebbe a riconoscere la sua responsabilità penale. Che la Costituzione, formale e materiale, si debba snaturare per questo, introiettando l'anomalia cesarista di un cittadino che si pretende diverso da tutti gli altri, dentro e fuori dalle aule di giustizia, e che pertanto va considerato "legibus solutus" per il passato, il presente e il futuro. Se la rivelazione berlusconiana è vera (e non c'è ragione di credere che non lo sia) bisogna ringraziare una volta di più Giorgio Napolitano, per non aver ceduto di un millimetro e non essersi prestato a questo scempio etico, giuridico e politico.
Quanto alla "sentenza mostruosa", in un Paese che perde troppo facilmente la memoria non finiremo mai di ricordare che la condanna dell'ex Cavaliere nasce dalla gravità del reato commesso, accertato senza alcun ragionevole dubbio nei tre gradi di giudizio: una frode fiscale da 7 milioni di euro, parte di una provvista in nero da 370 milioni di dollari con i quali il condannato pagava mazzette a magistrati, funzionari pubblici e parlamentari. Cosa ci sia di "mostruoso", nell'espiare un delitto così grave assistendo gli anziani per un pomeriggio a settimana, lo vede chiunque. Berlusconi è l'opposto che un "perseguitato". Pur essendo riconosciuto come "persona ancora socialmente pericolosa", ha beneficiato di uno "statuto speciale" che non limita la sua "agibilità politica" né preclude la sua campagna elettorale (cominciata infatti proprio con le armi distruttive dell'anti-europeismo e dell'anti-Stato).
Resta da chiedersi perché Berlusconi continui imperterrito a sparare sul Colle e sulle toghe, dal momento che la Sorveglianza gli ha concesso i servizi sociali purché si attenga alle "regole della civile convivenza, del decoro e del rispetto delle istituzioni" ed eviti le frasi "offensive" e di "spregio nei confronti dell'ordine giudiziario". La risposta può essere una sola: l'ex Cavaliere provoca, e forse spera che la magistratura sia costretta suo malgrado a dovergli revocare l'affidamento alla Sacra Famiglia, e a disporre gli arresti domiciliari. Sarebbe il famoso "finale da Caimano". Il pretesto definitivo per lanciarsi da "martire della libertà" nel fuoco della battaglia elettorale. La scelta estrema per cercare di risalire l'abisso dei consensi in fuga, per sottrarsi all'"abbraccio mortale" con Renzi e per recuperare posizioni su Grillo che il 26 maggio rischia di diventare almeno il più grande partito italiano dopo il Pd, pronto per l'eventuale ballottaggio previsto dall'Italicum. È questo, dunque, il grumo di rabbia sociale e politica con il quale il governo e il Pd renziano devono fare i conti nelle prossime settimane e nei prossimi mesi. Un gioco al massacro tra il populismo berlusconiano e il populismo grillino. Il terreno peggiore, per costruire e tenere in piedi il cantiere delle riforme.
Massimo Giannini
bentornato fra di noi. Bentornato fra coloro che - forse - finalmente "si stanno accorgendo". Non che la cosa sia provata, ma... Ma andiamo con ordine.
Caro Giannini, io non ho niente contro di lei. Anzi. Ho sempre parlato bene di lei (almeno fino al 2013) e il numero di links ai suoi articoli che ho spesso postati, nonchè il numero di volte che ho ripreso parti di suoi articoli, sono li a testimoniare la mia (passata) stima nei suoi confronti. Ma c'è un ma.... Io appartengo a quella categoria di imbecilli che sono sempre pronti a cambiare idea, quando la forza dei fatti sovrasta l'eterea leggerezza delle pugnette.
E' esattamente quello che mi è successo con lei. Da quando ha preso vigore il fenomeno del renzismo, la corsa a salire sul carro del "vincitore del momento", Repubblica (che leggo dal primo numero, 14 gennaio 1976) sta diventando sempre meno il MIO giornale. Continuo a leggerlo, nonostante tutto, faute de mieux. Che non sarebbe, a ben guardare, una grande motivazione. Non è difficile fare meglio del Corrierone di Galli della Loggia e Panbianco, dell'Ambasciatore Romano e di Piero Ostellino; non è difficile far meglio del "Geniale" di rigor-mortis Sallusti" o di Libbbero di Littorio Feltri... Vogliamo dirla tutta? Continuo a leggere Repubblica grazie a pochi "superstiti" della quarantennale guerra di Repubblica: il "padre nobile" Eugenio Scalfari, Federico Fubini, Francesco Merlo, Sebastiano Messina, Federico Rampini, e pochi, pochissimi altri.
E, mi duole dirlo, da circa un anno fra "le residue ragioni" per leggere Repubblica non c'è lei. Niente di personale. Ma per lunghi mesi ho aspettato, ho sperato di leggere un suo scritto da "indignato speciale" sull'osceno patto fra Berlusconi (persino il suo articolo odierno dimostra come lei sia molto conscio di chi sia Berlusconi), e il Matteo Renzi da Frignano sull'Arno, questo ridicolo Mr. Bean che da mesi promette una grande riforma al mese ma, come sappiamo lei, io, il Sole24Ore, e chiunque legga qualcosa, fin qui ha solo parlato, parlato, parlato, e prodotto solo promesse, chiacchiere, tweet ed auto-incensazioni. Un redisuato da oratorio dell'Azione Cattolica, tutto "chiacchiere e distintivo".
Caro Giannini, la reputo troppo intelligente per non essersi accorto di chi sia Renzi. A me ricorda un perdibile film: "Sotto il vestito, niente". A lei cosa ricorda? Berlinguer? Moro? De Gasperi? Longo? A me ricorda il figlioccio di Forlani, l'esibizionista che da sindaco di Firenze passava più tempo in TV e ad inaugurare fontanelli, che non a Palazzo Vecchio. A me ricorda un sindaco che in un anno, secomdo l'annuale ricerca del Sole24Ore, è riuscito a passare da "Sindaco più amato dagli italiani" (fra i sindaci delle città-capoluogo, alla 57° posizione. IN UN ANNO.
A me sembra di non ricordare una sua sola articolessa che abbia condannato il ggiovane statista, per aver fortemente contribuito alla resurrezione politica del pregiudicato di Arcore. Dimenticanza? Oppure giudica normale che uno Statista della Statura di Renzi firmi patti di legislatura con un criminale? Oppure lo ha fatto, e a me è sfuggito? E in tal caso non mi manderebbe gentilmente un link, affinché io possa pubblicare la sua articolessa, e chiederle umilmente scusa? Mi farebbe un grande favore, perchè ad oggi non riesco a ricordare niente. Ogni volta che leggo un suo editoriale, spero di trovare finalmente un paio di righe che chiedano conto allo Statista di Frignano sull'Arno del fatto di essersi scelto un pregiudicato - uno che è esattamnente ciò che lei ha descritto nell'editoriale di oggi - come compagno in questa oscena avventura politica.
Niente da fare. Ogni volta che, da mesi, la leggo, sono assordato dal suo silenzio. Anche oggi, dopo aver descritto magnificamente chi sia Berlusconi, dimentica di fare il nome del suo compagno di strada e di inciuci.
Caro Giannini, mi creda: il suo silenzio continuo sui rapporti fra Renzi aspirante statista, e Berlusconi sedicente statista e pregiudicato certificato, è qualcosa di assordante. Rompa questo silenzio. Ci spieghi, una volta e per tutte, se non vede l'oscenità di questo rapporto preferenziale fra uno che si dichiara di sinistra, e questi imbarazzanti cascami dell'italo-forzutismo.
Tafanus
L'oscena accoppiata
Scritto il 29 aprile 2014 alle 17:33 nella Berlusconi, Criminalità dei politici, Media , Politica, Tafanus | Permalink | Commenti (4)
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25 aprile 2014
La lettera aperta di Eugenio Scalfari al Ministro Padoan sulla "marchetta" degli 80 euro
Non è strano? Mentre tutta o quasi la redazione di Repubblica è appiattita da mesi sugli ordini di scuderia (ELOGIARE RENZI), fanno rumore gli unici giornalisti che dovrebbero costituire la normalità, e quindi non far rumore: Eugenio Scalfari e Federico Fubini, che "non si adeguano". Il primo può farlo per i privilegi dell'età e del ruolo; il secondo per la consapevolezza delle proprie elevate competenze, che gli consentirebbero di essere cacciato da Repubblica, e di lavorare dal giorno dopo da qualche altra parte al doppio dello stipendio. Uomini liberi, che i venditori di pentole possono chiamarli venditori di pentole, a prescindere dagli interessi del momento dell'editore di Repubblica.
Stanno facendo qualcosa di eroico? No, stanno facendo semplicemente il loro lavoro di giornalisti. Osservando la marchetta degli 80 euro, così com'è capitato a noi modestissimi blogger, hanno visto a colpo d'occhio l'assenza di coperture strutturali della marchetta, le possibili violazioni costituzionali, le inguardabili ingiustizie etiche a svantaggio dei ceti più poveri dei "beneficiati" dalla ignobile marchetta elettorale. Stamattina il Prof. Pasquino - che non è certo uno con l'eschimo e il passamontagna, ha assimilato l'ignobile marchetta alla "scarpa destra e scarpa sinistra" che Achille Lauro, 'o Comandante, dava agli elettori napoletani. Una scarpa prima del voto, la seconda a vittoria ottenuta.
Guarda caso, la marchetta di Renzi passa come DL in tempo per poterla rivendicare prima delle europee, ma dev'essere convertita in legge subito DOPO. Se Renzi vede cammello, popolo becero vede 80 euro. Altrimenti, qualcuno provvederà a far decadere l'ignobile decreto-marchetta.
Scalfari nei giorni scorsi aveva scritto - in modo molto più autorevole, preciso e informato di noi - più o meno le stesse cose. Pier Carlo Padoan si era affrettato a replicare, chiarire, spiegare... Il fatto è che certe cose sono dure da chiarire. Quindi ieri, con mia grande sorpresa, fuori dall'abituale "posizionamento" domenicale dell'articolessa di Scalfari, abbiamo trovato questa sua risposta (educata nei toni, molto critica nel merito) al Ministro Padoan. Crediamo di far cosa gradita riproponendone i passi salienti ai nostri lettori. Ovviamente, dato che qui - come spero di aver chiarito una volta e per tutte - non c'è obbligo di "cantare in coro" col padrone di casa, chi vuole è autorizzato fin d'ora a postare in replica, nei commenti, anche interi articoli di Sergio Menichini Direttore di Europa, e persino i links ai video di intere trasmissioni di Myrta Merlino che elenca tutti i tweet mattutini di Matteo Renzi.
La lettera aperta di Eugenio Scalfari a Pier Carlo Padoan
Caro Padoan, facciamo gli scongiuri... Tutto riposa sulla presunzione che gli 80 euro in busta paga aumenteranno la domanda, cioè i consumi. Una presunzione non è però certezza (di Eugenio Scalfari)
Il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, mi ringrazia per averlo esortato a chiarire più diffusamente la politica economica da lui adottata per ridare speranza agli italiani modificando positivamente le loro aspettative ad un futuro meno buio del loro disagiato presente e per recuperare un'equità fin qui decisamente trascurata. A mia volta lo ringrazio per averci esposto la sostanza, il metodo e gli obiettivi che egli si propone di realizzare e che daranno frutti tra due o tre anni sostituendosi allo "spot" degli 80 euro nelle buste paga dei lavoratori dipendenti con redditi superiori agli 8 mila euro annui, fino ad un tetto di 24-26 mila euro.
Ciò premesso c'è un paio di questioni che desidero qui richiamare e che il ministro ha accennato sorvolandole un po' alla lontana. Mi sembra invece che occorra tenerle ben presenti e sottolinearle.
La prima riguarda appunto l'equità. Lo spot degli 80 euro ha trascurato i non capienti sotto gli 8 mila euro di reddito, i pensionati con modestissime pensioni, le partite Iva dei cosiddetti autonomi. C'è un buco non colmato che forse lo sarà nel 2015 senza però che ve ne sia certezza, così come non v'è certezza d'una riforma degli ammortizzatori sociali, cioè del nuovo welfare he dovrà sostituire l'antico spandendosi su una platea molto più vasta dell'attuale Cig. Padoan ammette che l'attuale taglio del cuneo fiscale è stato realizzato con coperture in larga misura posticce, che saranno trasformate in un vero e proprio programma che lui ha già in mente ma sul quale è stato giustamente sobrio di notizie. Siamo tutti speranzosi e fiduciosi che sarà un buon programma. Perciò crepi il lupo e grideremo evviva a lui e al premier Matteo Renzi.
Quanto alla maggior flessibilità dell'Europa verso una politica di crescita, Padoan ne è certo. L'Italia lo chiede fin d'ora e il ministro ci informa che i presupposti ci sono già per quanto riguarda gli investimenti motivati dal lungo ciclo di depressione economica che non dipende da noi ma dall'intero mondo occidentale. L'Italia può sforare il bilancio perché quegli investimenti sono da tempo autorizzati dal trattato in vigore e non intaccano il paletto del 3 % rispetto al quale resteremo al di sotto.
Questa affermazione non è del tutto esatta e lo conferma il fatto che, con apposito voto del nostro Parlamento, il governo è stato autorizzato ad informare la Commissione europea degli investimenti che si accinge ad effettuare per rilanciare nei limiti del possibile la crescita e l'occupazione giovanile. Saremo senz'altro autorizzati sempre che la Commissione ne approvi la quantità e le modalità nonché le riforme che aumentino la competitività e semplifichino opportunamente le istituzioni. Qualora però l'esistenza di queste condizioni non fosse ravveduta dalla Commissione non credo che il governo possa prenderle senza subirne alcune sanzioni. Se così non fosse non si vede il perché dell'informazione che l'Italia ha trasmesso alla Ue. Perciò aspetteremo e anche qui crepi il lupo poiché se non crepa lui qualcun altro creperebbe in sua vece e non sarebbe un bel vedere.
La seconda questione riguarda invece il pagamento di 20 miliardi dei debiti dello Stato, dei quali 8 alle aziende e gli altri ai Comuni e Regioni debitrici. È un flusso di liquidità preziosa per l'economia italiana, cui si aggiunge l'impegno che d'ora in avanti Stato ed Enti locali dovranno saldare i nuovi debiti a 60 giorni dalle relative fatture, non ricadendo nell'accumulo di altri pregressi. Benissimo, ma dove prenderanno i soldi i debitori per rispettare quel limite di tempo? Questo Padoan non lo dice e resta un sospetto tutt'altro che marginale.
Ma c'è un altro punto sul quale il sorvolo non mi sembra giusto: le banche sconteranno i debiti certificati pagando le aziende in soldi contanti. Benissimo. Ma a loro volta le banche vanteranno un credito nei confronti del Tesoro. È un debito fuori bilancio e non intacca il paletto del 3 per cento, questo lo sappiamo, ma è pur sempre un debito dello Stato e nasconderlo sotto il tappeto non serve a nulla, il debito c'è e prima o poi dovrà essere onorato, non è vero?
Infine: tutto riposa sulla presunzione che gli 80 euro in busta paga aumenteranno la domanda, cioè i consumi. Una presunzione non è pero una certezza. Molti beneficiari potrebbero invece di spendere risparmiarli quei soldi investendoli in impieghi monetari o tenendoli in contanti sotto il materasso per spese straordinarie che si presentassero in futuro. E se fossero molti di quei 10 milioni di beneficiati? Se fossero la maggioranza? I consumi aumenterebbero molto poco. Qui non si tratta di far crepare il lupo, se a settembre i consumi non avranno registrato aumenti sensibili il governo dovrà andarsene a casa e sarebbe un vero guaio per tutti. Speriamo fortemente di no. I sondaggi dicono positivo, ma i sondaggi non sono un fatto, sono la scommessa che un fatto avverrà.
Caro Padoan, facciamo i debiti scongiuri e intanto diciamo insieme evviva la Roma, che però sarà seconda. Noi speravamo di più ma non è accaduto.
Eugenio Scalfari
Scritto il 25 aprile 2014 alle 22:03 nella Economia, Politica, Renzi, Satira, Tafanus | Permalink | Commenti (11)
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22 aprile 2014
...i "renzini da lecco" sono anche sfortunati...
Capita. Non fanno in tempo ad accusarti, con un umorismo che sfugge ai più, di "giudicare di destra" la mancetta di 80 euro a chi guadagna meno di 25.000 euro all'anno (mancetta da consegnare improrogabilmente prima del voto per le europee), che ti vengono fuori quei rompicoglioni dell'ISTAT (organizzazione che - come è noto ai più - è finanziata dal "Tafanus"), con la bella notizia che 1.130.000 nuclei familiari, in Italia, non hanno alcuna fonte di reddito.
Capita anche che, un momento prima di ascoltare questa notizia, fossi quasi pentito dei toni - a volte eccessivi - usati verso questo nuovo tipo di cazzarismo, che non risponde nel merito alle osservazioni fatte, MAI, ma pensa di fare discussioni politiche con battutine, cercando penosamente di mettere in bocca ad altri frasi mai pronunciate, commenti mai espressi. E allora capita di pentirsi di aver avuto la tentazione di pentirsi.
Capita che il sottoscritto, esprimendosi in discreto italiano (coi congiuntivi e gli ausiliari al posto giusto) abbia osservato non già che dare 80 euro a chicchessia sia di destra, ma che sia da delinquenti politici - a fronte di risorse incerte (e comunque limitate) privilegiare chi guadagna 1500 euro al mese, anzichè dare priorità a chi di euro ne guadagna 667. E non c'è tentativo del tipo "voltarla in battuta" che tenga. Le cose penose restano penose, che a promunciarle sia il mio peggior nemico, o il mio miglior amico. Non faccio distinzioni.
Capita che anzichè riospondere nel merito di queste osservazioni, qualche brillante politologo 'de noantri pensi di capovolgere l'inerzia della discussione buttandola in vacca.
Poi, capita che mentre tutto questo capita, ti viene fuori l'ISTAT (noto organismo bolscevico), con la notiziola che non esistono solo milioni di incapienti che "guadagnano" 667 euri al mese o meno, ma anche 1.130.000 nuclei familiari costretti a vivere della carità di parenti e amici, in uno stato di assoluta mancanza di dignità umana. Unmilionecentotrentamila famiglie, pari, a spanne, a 3.500.000 di individui.
E allora capita che io mi incazzi ancora di più, e chieda ai renzini da lecco (sperando, questa volta, di avere una risposta nel merito e non una battutina minchiona) se - ammesso e non concesso di aver scovato in maniera strutturale e non episodica 10 miliardi all'anno - sia più decente, umano, di sinistra, NORMALE, dare la mancetta a 10 milioni di persone che bene o male possono mettere insieme due pasti caldi al giorno, o dare un sussidio di sopravvivenza, cogli stessi 10 miliardi e non un euro in più, di 737 euro al mese a questo milione e passa di famiglie di "paria" ridotte in condizione da paese del quarto mondo.
Tafanus:
P.S.: per fare i conticini, non sono ricorso all'aiuto di Tito Boeri, o di Padoan, o del Comitato Scientifico della Bocconi... ho chiesto alla mia colf albanese, che è riuscita - pensate un po'... ad impugnare una calcolatrice da due euro e fare in un attimo la complessa operazione: 10.000.000.000 / 1.130.000 / 12. Ma una volta fatta l'operazione, la colf mi ha spiegato che "dieci milioni di elettori <are meio che guan>".
Elementare, Mister Watson
Scritto il 22 aprile 2014 alle 22:48 nella Politica, Renzi | Permalink | Commenti (1)
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21 aprile 2014
Piano Renzi: i dubbi degli economisti e della UE, le certezze dei "filocazzari"
I dubbi di Bruxelles sul piano Renzi: "Debole su istituti bancari e debito" (Fonte: Federico Fubini - Repubblica)
I casi sono due, ci si è detti nei corridoi comunitari. O sarà impossibile attuare tutti quei propositi, anche con un mandato elettorale e una maggioranza in parlamento più chiari di quelli di Renzi. Oppure dietro al piano italiano non c'è convinzione, ma solo la fretta di sbrigare un'incombenza europea copiando e incollando vecchi testi.
Senza cambiare verso, senza dargliene uno. Senza riforme credibili, benché vengano accampate per rinviare la correzione dei conti pubblici. L'impressione a Bruxelles è stata spiazzante, e gli indizi del crescente sospetto con cui dal resto d'Europa si guarda all'Italia iniziano ad affiorare. Lo si è visto nei giorni scorsi, quando Pier Carlo Padoan ha scritto al vicepresidente della Commissione europea Siim Kallas. Quella del ministro dell'Economia era una lettera con una piccola dose di esplosivo, perché per la prima volta un Paese annuncia ufficialmente che non rispetterà i vincoli di bilancio del Fiscal Compact nuovi di zecca.
Il pareggio di bilancio "strutturale" (comunque un deficit reale) slitta già dal 2015 al 2016. Al ministro Padoan, rango politico nel governo, Kallas non ha neppure risposto da pari a pari: gli ha fatto scrivere da Marco Buti, funzionario a capo della direzione economico-finanziaria. E anche la lettera di Buti contiene un congegno detonatore, perché annuncia che la Commissione Ue risponderà alla richiesta dell'Italia "il due giugno". Subito dopo le elezioni europee, giusto per non turbare la campagna elettorale. Nel frattempo però la Commissione si è fatta dare i poteri di chiedere correzioni ai governi già in luglio, non appena sarà insediata la nuova squadra di Bruxelles.
Per il governo Renzi non sarà una passeggiata. Il premier si è convinto — lo dice in privato — che per l'Europa oggi "il problema è la Francia, non l'Italia". Eppure nel rapporto con Bruxelles e le capitali che contano qualcosa no funziona. È come se le comunicazioni fossero regredite a livello quasi solo formale. Il terreno per la lettera di Padoan, malgrado il suo forte impatto, è stata preparato solo da una chiaccherata dello stesso ministro a Washington durante gli incontri del Fondo Monetario. Non ci sono quasi altri canali di vero dialogo con l'Europa se non lui, che però è bloccato sui suoi compiti al Tesoro e comunque a Washington la scorsa settimana ha percepito il sospetto dei colleghi riguardo piani del governo. Né aiuta che Carlo Cottarelli, un'altra figura molto nota all'estero, abbia palesemente rapporti difficili con il premier.
In qualità di commissario alla spending review, Cottarelli avrebbe dovuto trasferirsi dal Tesoro a Palazzo Chigi già da settimane, a credere agli annunci. Poi però non l'ha mai fatto. Questi segnali in Europa non sfuggono. A Parigi, Berlino e Bruxelles è ormai unanime la convinzione che quella sul bonus da 80 euro sia poco più di uno zuccherino elettorale. Non parte di una strategia coerente per rimettere l'Italia in condizioni di crescere dopo un ventennio di stagnazione e crollo dell'economia.
Fra i funzionari della cancelleria tedesca il premier è stato soprannominato "Silvio Renzi", in Germania è una sorta di anatema. Ai vertici delle strutture francesi c'è chi si riferisce a lui come "un furbetto" e un "florentin", fiorentino, cioè un operatore machiavellico: così veniva definito anche il presidente François Mitterrand, ma senza il cliché di inaffidabilità italiana che Renzi chiaramente evoca.
Possibile che al premier non dispiaccia essere un po' in freddo con l'Europa: Mario Monti, François Hollande a Parigi o George Papandreou in Grecia hanno già dimostrato come buoni rapporti con Bruxelles possono costare voti a casa. Ma è una strategia con alcuni rischi concreti. Non c'è solo il calendario del Fiscal Compact, per quanto esso sia stringente: in estate l'Italia rischia una bocciatura sul piano di riforme e il rinvio del pareggio, che può obbligarla a rivedere la manovra; e in autunno rischia una procedura per debito o deficit eccessivo che, con il Fiscal Compact, diventa di fatto una messa sotto tutela.
Poi c'è una partita anche più seria. In settimana alla Banca centrale europea si sono definiti i criteri con cui le banche saranno sottoposte in estate agli stress test, le "prove di sforzo". Fra gli istituti 15 sono italiani. L'obiettivo di fondo è vedere quanto le banche possono resistere a un'altra crisi sui titoli di Stato, di cui le aziende di credito in Italia hanno pieni i bilanci. Se dopo gli "stress test" l'Europa chiederà di rafforzare il capitale delle banche oltre quanto può dare il mercato, il governo dovrà fornire le risorse. Chi ha tassato le banche per dare 80 euro ai cittadini, presto può dover tassare i cittadini per dare decine di miliardi alle banche. Non è un'ipotesi peregrina: più un Paese attrae sfiducia, più l'esame sulle sue banche sarà severo e il risultato negativo. Ascoltare un po' di più l'Europa può costerà anche dei voti, ma può anche far risparmiare parecchi soldi agli italiani.
Federico Fubini
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Le quattro domande degli economisti de lavoce.info sul DEF
Il Def ci fa fare piccoli passi in avanti nel capire quale sarà la politica economica del Governo Renzi. Per avere un’idea degli interventi immediati, c’è bisogno di chiarimenti. Poniamo alcune domande a crocette, che non dovrebbero portare via troppo tempo a un governo che va di corsa.
I titoli sono quelli giusti: detassare il lavoro e tagliare la spesa, partendo dal dare buone esempio con manager e dirigenti pubblici. Nulla da ridire anche sul fatto di tassare il regalo fatto sotto il governo Letta alle banche con l’operazione quote Banca d’Italia. Sotto, il dettaglio di quanto costerà alle singole banche.
Dietro a questi titoli ci sono molti dettagli importanti (spesso più dei titoli). Il tempo a disposizione per scrivere i provvedimenti, compresi i tagli di spesa che vanno sotto al nome di spending review si va esaurendo. Sugli sconti in busta paga non si può andare oltre il 18 aprile (ci siamo già andati. NdR)
Nel frattempo ci accontenteremmo dunque di guardare ai saldi contemplati dal Documento di Economia e Finanza. E’ un documento molto lungo, con molto testo, molti box con freccette stile articolo di giornale e pochi dati. Rassicurante notare che il lungo elenco di azioni del piano nazionale delle riforme è coerente con gli annunci fatti il 12 marzo. Solo le scadenze sono un po’ più generose e forse più realistiche (vedi sotto).
Data la vaghezza del Def avremmo tante domande da porre. Ci limiteremo a quattro quesiti. Nel porli spieghiamo anche perchè sono importanti e non pignolerie. E forniamo risposte a crocette così da portare via meno tempo possibile a chi vorrà gentilmente risponderci:
1. A quanto ammontano complessivamente i tagli di spesa contemplati nell’ambito della spending review per il 2014?
- 4,5 miliardi
- 6 miliardi
- 9 miliardi
Nel DEF si fa riferimento a 6 miliardi di tagli provenienti dalla spending review. Nella conferenza stampa di presentazione del DEF si è invece parlato di 4,5 miliardi che andrebbero a finanziare l’operazione sul cuneo. In attesa di sapere in che cosa consistano questi tagli, viene da chiedersi se questi 6 (o 4,5) miliardi comprendano i 3 miliardi già contemplati dal governo precedente, di cui all’audizione del Commissario Cottarelli alla Commissione Bilancio della Camera o siano aggiuntivi rispetto a questi. La domanda è importante per capirne la fattibilità dei tagli. Secondo il commissario negli otto (ormai 7) mesi residui, i tagli tecnicamente fattibili non supererebbero i 3 miliardi da aggiungersi ai 3 già preventivati, per un totale, dunque di 6 miliardi. E non ci risulta che i provvedimenti (i tagli si fanno per lo più per legge non per semplice atto amministrativo) siano stati scritti.
2. Quanto costa a regime il taglio del cuneo fiscale?
- 10 miliardi
- 14 miliardi
Il Presidente del Consiglio nella conferenza stampa si è impegnato ad assegnare gli 80 euro al mese in busta paga da maggio anche ai cosiddetti incapienti. Questo fa salire il costo dell’operazione di 4 miliardi (1000 euro per 4 milioni di incapienti) rispetto ai 10 preventivati. Eppure il Governo (e il DEF) continuano a fare riferimento a 6,6 miliardi da coprire nel 2014 (dovrebbero essere più di 9 applicando pro-quota agli ultimi 8 mesi il bonus di 80 euro per un costo annuale di 14 miliardi). O forse si pensa di dare agli incapienti meno di 80 euro a testa?
3. Quanto del taglio del cuneo fiscale verrà finanziato con misure strutturali nel 2014?
- al 100%
- per più del 75%
- per più del 50%
- per più del 25%
- per meno del 25%
Il governo si attende un forte stimolo alla crescita dal taglio del cuneo fiscale (più di mezzo di punto di pil a regime). Ma gli effetti espansivi di questa misura sono strettamente legati a come verrà attuata la riduzione del cuneo. In particolare conta se verrà percepita come permanente o temporanea (e il dubbio è legittimo dato che siamo in campagna elettorale) dalle famiglie. Il Governo si è a più riprese impegnato a trovare fin da subito coperture strutturali ma sin qui nelle conferenze stampa si è fatto riferimento soprattutto a provvedimenti che non sono strutturali, quali
- # la tassazione al 26% (anzichè al 12%) delle plusvalenze sull operazione quote bankitalia (un’operazione tra l’altro a rischio infrazione)
- # l’IVA sui pagamenti dei debiti della PA (che anticipa al 2014 entrate già previste nel 2015)
- # la regolarizzazione e rimpatrio dei capitali dall’estero.
4. È il decreto lavoro, che liberalizza i contratti a tempo determinato, la riforma strutturale del lavoro?
- SI
- NO
Le riforme strutturali sono fondamentali per rilanciare la crescita se non nell’immediato nel giro di qualche anno e per guadagnarsi margini di manovra a Bruxelles. Nella conferenza stampa di presentazione del DEF il Presidente del Consiglio ha sostenuto di aver rispettato l’impegno di riformare il mercato del lavoro a marzo e nel DEF in effetti si sostiene che la riforma volta a “rendere i contratti a termine più coerenti con le esigenze dell’attuale contesto occupazionale” è già stata fatta a marzo. Viene perciò da chiedersi se il jobs act consista unicamente nel decreto che liberalizza i contratti a tempo determinato. Un’altra possibilità è che lo scadenzario riguardi la data in cui i provvedimenti vengono approvati dal governo anzichè la data in cui entrano in vigore.
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Infine, una piccola parte delle considerazioni di Eugenio Scalfari di oggi:
[...] l'operazione di taglio del cuneo fiscale è preoccupante: appartiene a quel tipo d'intervento, specie per quanto riguarda le coperture, gran parte delle quali scricchiolano, cartoni appiccicati l'uno all'altro con le spille che spesso saltano via; sicché non è affatto sicuro che convinceranno le autorità europee a dare via libera e concedergli di rinviare a due anni il rientro nel limite del 3 per cento del rapporto tra il Pil e il deficit del debito pubblico.
E poi: la tassa sulle banche è retroattiva e comunque è una una tantum non ripetibile, i tagli della Difesa sono rinviati ma non aboliti; il maggior incasso dell'Iva è un anticipo d'un anno e ce lo troveremo sul gobbo nel 2015; il pagamento dei debiti alle aziende creditrici, che doveva essere almeno di 17 miliardi, è stato ridotto a 7. Infine gli incapienti con redditi inferiori agli 8 mila euro annui e quindi esentati dal pagamento dell'Irpef avrebbero dovuto precedere per evidenti ragioni di equità il bonus in busta paga che premia i redditi superiori. Senza dire dei contributi da parte dei Comuni il cui pagamento però può essere accompagnato dall'aumento delle imposte comunali che potrebbero vanificare o ridurre fortemente il bonus di 80 euro in chi in quei Comuni risiede [...]
Studiate, ragazzi, studiate... altrimenti correte il rischio di diventare, da grandi, come Silvio Renzi. O (Dio ci salvi!) come Beppe Grullo.
Tafanus
Scritto il 21 aprile 2014 alle 21:25 nella Economia, Politica, Renzi, Tafanus | Permalink | Commenti (4)
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20 aprile 2014
Evasione fiscale a 120 miliardi. Fra le tante riforme "una al mese", sapete dirmi in che mese c'è quella sull'evasione fiscale?
Evaso un euro ogni 4 pagati. Sottratti 120 miliardi all'anno - Stime dall'elaborazione dei dati Bankitalia e Istat. Peggio di noi solo la Grecia. Gdf: Iva perno degli illeciti, falso in bilancio torni reato (Fonte: Repubblica Affari & Finanza)

In tre decenni la sua forza di fuoco in termini finanziari è quasi triplicata. Oggi l'evasione vale circa l'8 per cento del Pil, rispetto a un livello inferiore al 4 per cento dei Paesi europei più efficienti e capaci di conciliare crescita, conti in ordine e equità.
Secondo la maggior parte delle stime, peggio dell'Italia fa solo la Grecia. Ma non c'è alcun dato certo perché nessun governo ha mai osato una stima pubblica e ufficiale della massa di risorse sottratte al fisco, o meglio delle tasse scaricate sui contribuenti onesti o incapaci di sottrarsi da quelli che invece sono capacissimi di farlo. Per quanto incredibile possa sembrare, questo Paese colpito e affondato dall'evasione non ha mai fatto lo sforzo di misurarla e poi informarne i cittadini.
"Non esistono stime ufficiali", ha spiegato di recente ai membri della Commissione Finanze del Senato il generale della Guardia di Finanza Saverio Capolupo, augurandosi che presto si arrivi a formularla. Non dev'essere impossibile, dato che per esempio ogni anno in Gran Bretagna il governo calcola con precisione (e pubblica) la sua stima. Qui, niente. In realtà la cosiddetta delega per la riforma fiscale appena approvata in parlamento prevederebbe che si cominci a farlo, ma per attuarla servirà almeno un anno. Per ora si sa solo che l'Agenzia delle entrate ha stimato un "tax gap" (mancato gettito da evasione) intorno agli 80 miliardi, tenendo conto di Irpef, Ires, Irap e Iva. Ma non dell'evasione contributiva e di quella relativa alle imposte locali.
Un'elaborazione sui dati forniti da Banca d'Italia e dall'Istat permette comunque di fissare fra i 100 e i 120 miliardi di euro il volume delle risorse sottratte grazie alle più svariate forme di evasione e elusione illegale. Per intendersi, è una somma superiore al costo degli interessi sul debito pubblico, al monte retribuzioni lorde dell'intero personale dello Stato centrale, e pari a tre volte il bilancio dell'istruzione in Italia.
Alla commissione Finanze del Senato, di recente Salvatore Chiri e Paolo Sestito della Banca d'Italia hanno ricordato che il gettito evaso dell'Irap, l'imposta regionale sulle imprese, è quasi un quinto di tutto ciò che dovrebbe essere pagato. Per l'Iva, il prelievo sui consumi, l'Agenzia delle Entrate stima l'evasione al 28%. E dell'Irpef, l'imposta sui redditi personali che nel 2013 da sola ha portato 157 miliardi all'erario, sparisce circa il 14%. Visto il gettito di queste voci, significa che ogni anno mancano all'appello (almeno) 5 miliardi di Irap, circa 40 miliardi di Iva e altri venti o 25 di Irpef. Fino a settanta miliardi di tasse evase su tre sole voci che pesano circa due terzi del totale delle entrate tributarie dello Stato. Nel complesso, è dunque molto probabile che l'evasione sottragga almeno cento miliardi l'anno.
Poiché le entrate fiscali nel 2013 sono state di 426 miliardi, di fatto ogni quattro euro regolarmente pagati in tasse dagli italiani uno è illegalmente sottratto.
La situazione è tale che anche la Guardia di Finanza chiede ormai al governo interventi precisi. Quello più delicato è la revoca delle scelte compiute da Silvio Berlusconi più di dieci anni fa: è ora di fare (di nuovo) del falso in bilancio un reato penale, qualcosa per cui si può andare in prigione, in modo da dissuadere un'infinità di piccole frodi sull'Iva. Ha ricordato il generale Capolupo nella sua audizione in Senato: "Se le misure cautelari amministrative si sono rivelate finora poco efficaci, gli strumenti offerti dalla legislazione penale invece ci hanno permesso di arrivare a risultati importanti". Le Fiamme Gialle chiedono poi al governo anche di scoraggiare ulteriormente l'uso del denaro contante, ben oltre il tetto a mille euro.
Resta da vedere se questa maggioranza sarà pronta a recepire il messaggio di chi combatte l'evasione in prima linea o prenderà una strada diversa. Nell'ultimo Documento di economia e finanza la lotta all'evasione fiscale compare, ma legata all'attuazione delle delega fiscale in tempi non immediati. Non c'è alcuna enfasi e l'intero tema dell'evasione fiscale appare scolorito nell'agenda della politica. L'approccio rispetto ai precedenti governi a maggioranza di centro sinistra è diverso, come spiega il sottosegretario all'Economia Enrico Zanetti: "Questo governo non intende usare la lotta all'evasione fiscale come scusa per evitare la spending review", dice il sottosegretario di Scelta Civica. "Pensiamo anche che i blitz anti-evasori, tipo quello di Cortina, possano essere utili purché scompaia quella deleteria spettacolarizzazione. È come se l'Agenzia delle Entrate pensasse ad operazioni di marketing anziché al risultato, come dovrebbe fare un'istituzione", è la sua accusa.
Non che l'Agenzia delle Entrate non abbia avuto dei successi negli ultimi anni. Gli incassi derivati da quella che definisce l'"attività di controllo" sono progressivamente saliti da 2,1 miliardi di euro del 2004 fino a 13,1 miliardi del 2013. Ma non tutti sono convinti che si stia facendo tutto il possibile. "La verità è che dopo l'ultimo governo Prodi non si è più seguita una linea di controllo dell'evasione", sostiene l'ex ministro delle Finanze, Vincenzo Visco, oggi tornato all'insegnamento universitario.
Con il suo centro di ricerca Nens, Visco sta preparando un rapporto analitico sull'evasione con alcune proposte per combatterla. Peraltro anche l'ex ministro è critico sui metodi seguiti di recente. "C'è stato un blocco della lotta contro l'evasione, compensato con i blitz modello Cortina, che non danno risultati. Invece, andrebbe ripresa con una strategia di medio-lungo periodo agendo su più leve: modifiche alle leggi, incrocio delle informazioni e delle banche dati, rapporto preventivo con i contribuenti".
Nel frattempo l'evasione fiscale continua ad agire sulla società come una sostanza tossica che ne erode i connotati. Basta dare un'occhiata al confronto europeo per capire fino a che punto l'evasione stia producendo disoccupati in questo Paese. L'Italia è ai vertici, seconda nell'Unione europea a 28 Paesi dopo il Belgio, per il peso del fisco sul costo del lavoro: oltre il 30. Dunque le imprese fanno meno assunzioni e quando si possono si liberano del personale. Per un motivo, fra gli altri, si cui sono responsabili esse stesse: evadono l'Iva, dunque lo Stato tiene alte altre imposte, soprattutto sul lavoro.
L'Italia è infatti fra le ultime (dopo Spagna e Irlanda) per gettito Iva nella Ue. E il perno dell'evasione è qui: circa 36 dei 100-120 miliardi di evasione. Questa è la tassa più evasa, anche per la diffusione del lavoro autonomo con oltre 5 milioni di partite Iva. "Sottrarsi a questa imposta consente di occultare base imponibile per il pagamento di altri tributi", sostiene la Banca d'Italia. Chi evade su determinate operazioni non si può che farlo, a cascata, sul reddito frutto di quelle operazioni. Nel 2013 la Guardia di Finanza ha accertato 4,9 miliardi di euro di Iva non pagata, di cui 2 miliardi riconducibili alle cosiddette "frodi carosello" basate su fittizie transazioni commerciali con l'estero.
Un caso scoperto a Taranto all'inizio di quest'anno dalle Fiamme Gialle: tre società servivano formalmente ad acquistare automobili e ad emettere fatture fittizie ai reali venditori. Questi hanno dedotto l'Iva sulle fatture emesse dalle società fittizie ottenendo un vantaggio che ha permesso di rivendere le vetture ad un prezzo impraticabile per i concessionari corretti. Era un giro di 16,5 milioni di fatture false per oltre tre milioni di Iva evasa. Un caso tipico di un popolo di santi, poeti e inventori delle più innovative tecniche di evasione con cui l'Italia finirà per affondarsi da sola.
(di Federico Fubini e Roberto Mania)
Scritto il 20 aprile 2014 alle 11:44 nella Berlusconi, Economia, Politica, Renzi | Permalink | Commenti (0)
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15 aprile 2014
Matteo Renzi, le nomine in stile Gattopardo, e la finta parità uomo/donna

Siamo donne o caporali? Il solito Renzi: sotto l'annuncio, niente. Parità uomo/donna sticazzi. Alle donne solo poltrone decorative da "Presidente". Potranno avere un bell'ufficio, la macchina blu, un lauto stipendio, e convocare le assemblee dei soci. Firmare i verbali delle decisioni prese da altri, ed avere un biglietto da visita molto affascinante per i gonzi.
Le poltrone da Amministratore Delegato, infatti, sono andate tutte ai maschietti. E fra questi, anche a quel Moretti che avrebbe dovuto - secondo l'opinione pubblica prevalente - essere cacciato a calci in culo dalla Direzione delle Ferrovie. Invece viene spostato dalle Ferrovie a Finmeccanica. Non prenderà, forse, i 2,2 milioni di euro all'anno del suo predecessore, ma certamente prenderà più degli 850.000 euro da AD delle Ferrovie, la cui riduzione, annunciata da Renzi, aveva fortemente contestato. Capovolgendo un vecchio adagio: Abmoveatur ut promoveatur. E tutti vissero felici e contenti. Ma tranquilli. Per incrementare il tasso di competenza tecnica nell'industria degli armamenti (esperienza di Moretti pari a ZERO), arriva Marta Dassù, un'altra donna per tutte le stagioni, con lo sterzo che tira a destra. Dopo una breve vicinanza a D'Alema, è stata con Monti, quindi con Letta, (viceministro agli Esteri). Editorialista di giornali progressisti come il Corsera (Rizzoli), La Stampa (Fiat), IlSole24Ore (Condindustria). Esperienza nell'undustria degli armamenti? ZERO. Ma Renzi non vuole scontentare nessuno, specie adesso che comincia a realizzare che a Palazzo Chigi non c'è il volante al quale aggrapparsi facendo brum brum con la bocca
Alla Presidenza dell'ENI va la Marcegaglia, ex falchetta di Condindustria e berlusconiana di ferro. Una scelta anche eticamente molto opportuna, visto che il fratello maggiore della Emma Minigonnata (Antonio) ha patteggiato una condanna evasione fiscale, riferita a quando dirigeva l'azienda di famiglia con Emma, che tuonava contro le mazzette e la corruzione. Un patteggiamento per 11 mesi di carcere, oltre alla restituzione allo Stato di sei milioni di euro. Una Marcegaglia la cui ultima prova di efficienza manageriale l'ha data rilevando praticamente a costo zero l'inutile (e mai utilizzata) mega-struttura turistica della Maddalena, costruita per ospitare un G8 mai fatto alla Maddalena. In quella fantastica struttura, abbandonata a se stessa, crescono le sterpaglie, e gli unici ospiti (non paganti) sono topi e gabbiani. Per rinfgrescarsi la memoria, rinvio ad un nostro post sull'argomento. Da un altro nostro post, pubblico le foto del "rendering" del MITA Resort della Maddalena che mostra come avrebbe dovuto essere, e la foto di come è ridotto:
LA MADDALENA - Esistono catastrofi che il silenzio in cui sono state sprofondate, se possibile, rende ancora più intollerabili. E il G8 sull'Isola della Maddalena è una di quelle. Quattrocento milioni di euro di denaro pubblico hanno consegnato 27mila metri quadrati di edifici, 90mila metri di aree a terra e 110mila di mare al nulla di un progetto privato di fatto mai partito (un polo di lusso per la vela gestito dalla Mita Resort dell'ex presidente di Confindustria Emma Marcegaglia). Ai veleni liberati dai fondali della darsena dell'ex Arsenale militare, mercurio e idrocarburi pesanti, la cui dispersione ha raggiunto, sedimentandosi in profondità, l'area limitrofa allo specchio di mare del Parco della Maddalena.
Chi volesse ricordare i particolari di quest'altro disastro ecologico, economico e industriale, può utilmente leggere un altro nostro post, scritto in tempi non sospetti.
Altra nomina "'de sinistra" è la Luisa Todini, creatura belloccia la cui "nascita mediatica" è dovuta al solito Floris, che è stato anche il "talent-scout" e queen-maker della Polverini. Italoforzuta fin dal '94, europarlamentare per conto "papi-Silvio", la Todini ha anche dimostrato le sue elevate qualità manageriali portando in prossimità del fallimento l'azienda avuta in regalo da papà (la Todini Costruzioni), salvata in extremis dal fallimento dal provvidenziale intervento della Impregilo (2009). La Todini è anche nel CdA della RAI, sempre in quota Forza Italia.
Amorosi sensi fra due 'de sinistra: Luisa Todini e Renata Polverini
Secondo Delrio (un uomo, un mito) fra la carica di consigliere RAI della Todini e quella di Presidente delle Poste non c'è alcuna incompatibilità. Già... se non fosse per quel piccolo particolare che spetta alle Poste lo spinoso problema dell'assegnazione delle frequente radiotelevisive... Esilarante, questo governo Renzi. Ma leggiamo sul "Fatto" altri particolari dimenticati sulla bella Todini in formato velina:
[...] per l’ex europarlamentare di Forza Italia la nomina pubblica è una piccola consolazione: l’imprenditrice è stata di recente è stata scaricata dall’amico Pietro Salini, che aveva salvato l’azienda della famiglia Todini nel 2009 inglobandola nel suo gruppo (oggi Salini-Impregilo) grazie al “grande supporto del sistema bancario, con particolare riferimento ai gruppi Intesa Sanpaolo e Bnl-Bnp Paribas, insieme a Unicredit e Mps”. Un anno dopo, nel 2010, l’allora premier Silvio Berlusconi l’avrebbe voluta per sostituire Claudio Scajola a capo del ministero dello Sviluppo economico oggi occupato da un’altra pupilla dell’ex Cavaliere, Federica Guidi. Per la Todini, poi, l’incarico ai vertici delle Poste è un impegno in più che si aggiunge al lavoro del Comitato Leonardo, associazione che si propone di promuovere l’immagine dell’Italia come sistema Paese. Una sorta di rete di imprenditori che evidentemente non dispiace al premier Renzi [...][...] l’elenco delle principali quote rosa si chiude poi con Maria Patrizia Grieco indicata dal governo per l’Enel. Di lei si può senz’altro dire che conosce bene i consigli di amministrazione. Anche quelli più insidiosi. Il suo nome figurava nella lista di Intesa San Paolo per il rinnovo del cda della Parmalat presentata a maggio 2011, poco prima del passaggio in mani francesi. Ed era due righe sotto a quello di Enrico Bondi [...]
P.S.: Il costo stimato per sole buonuscite, per la cacciata dei manager che dovranno far posto ai nuovi renzusconiani è di venti milioni di euro. TafanusScritto il 15 aprile 2014 alle 15:26 nella Berlusconi, Economia, Politica, Renzi, Tafanus | Permalink | Commenti (5)
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11 aprile 2014
Ultimi sondaggi di 5 istituti - Tsipras verso la soglia del 4%
Scritto il 11 aprile 2014 alle 23:16 nella Politica | Permalink | Commenti (25)
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30 marzo 2014
Matteo Renzi, tanto caro a conti, marchesi, stilisti, finanzieri "Cayman Style", doppi cognomi. Proletari: non pervenuti
Forse è utile, mentre oggi il Fatto cartaceo riporta una notizia di cui sul Fatto online c'è solo uno "strillo", ripercorrere le imbarazzanti amicizie del ggiovane Renzi - spesso legate, per puro caso, ad appalti di Comune e Provincia. E cominciamo dallo "strillo" del Fatto Quoridiano":
Già... di nuovo "affitti aggratis" o a prezzi introvabili per i comuni mortali, e di nuovo - e sempre per caso - coincidenze: sempre dello stesso tipo. Chi affitta al renzino aggratis o a prezzi stracciati, spesso, per combinazione, riceve appalti, finanziamenti, poltrone comunali o provinciali. (Vedi caso Carrai, di cui abbiamo parlato ampiamente). E noi tremiamo al pensiero di cosa potrà succedere adesso che "l'ambito" delle operazioni si è esteso dal livello locale a quello nazionale, con l'accessorio della segreteria del maggior partito italiano, una volta di sinistra.
Renzino non è nuovo alle maldicenze di noi komunistri trinariciuti. E non è nuovo agli "incidenti di percorso". A cominciare dalla condanna della Corte dei Conti, all'incidente dell'attico a due passi da Palazzo Vecchio, che Renzi abitava, al cui indirizzo Renzi aveva ufficialmente trasferito la residenza da quel di Pontassieve, ma che Renzi asserisce di aver usato saltuariamente come punto d'appoggio. Saltuariamente? E per qualche ospitata "saltuaria" non è alquanto demenziale trasferire la residenza?
Ma non tralasceremmo il fatto che da co.co.pro nell'azienda di famiglia, per caso, of course, due giorni dopo la vittoria delle primarie per la presidenza della provincia di Firenze, fu assunto come "dirigente", salvo essere "dirigente in aspettativa" per tutta la durata della presidenza della provincia, della sindacatura di Firenze, e - immaginiamo - della presidenza del Consiglio. Futura pensione da dirigente a beneficio di Renzi, oneri previdenziali a carico della collettività. Dicesi "il nuoco che avanza". O - a scelta - Il Rottamatore". Dei privilegi altrui.
Ma allora forse vale la pena di tornare indietro, e di dare uno sguardo retrospettivo alle fortunate amicizie di Renzi il Rottamatore. E chi se ne frega se le fonti sono di quelle che a noi normalmente non piacciono... Il problema non è "quale sia la fonte" delle notiziole, ma se le notiziole abbiano o meno riscontro nella realtà. E, ad oggi, non ci risulta che Fonzie abbia querelato "le fonti" per diffamazione.
...chi trova un amico, trova un tesoro. E più sono gli amici, più sono i tesori...
Un partito (i renziani) che si è sovrapposto al partito (il Pd), asfaltandolo. Un nuovo potere a Firenze, che in parte ha ereditato sponsor e appoggi dei salotti buoni (leggi: soldi) già contigui al Pd, ma in parte ha creato nuovi network di politica, affari, lobby.
Dietro Renzi e dietro le sue costose campagne di rottamazione ci sono - molti allo scoperto, molti nell'ombra - importanti imprenditori, famiglie storiche fiorentine, banchieri, finanzieri, mecenati democratici, simpatizzanti oltreoceano.
Stando alle cifre ufficiali, la kermesse alla Leopolda del 2011 è costata 110.000 €, le primarie del 2009 209.000 €, per «Adesso!», cioè la campagna per queste primarie, Renzi ha detto che spenderà non più di 250.000 €. Poi però ci sono anche le altre cifre: un milione e mezzo di euro per le primarie con cui divenne sindaco e oltre 2 milioni di euro per l'attuale corsa alle primarie, quella tra camper, palazzetti e, ogni tanto, un volo in jet privato, pagato dalla Fondazione Big Bang, guidata dall'avvocato di Renzi, Alberto Bianchi, altro buon raccoglitore di sponsor («È vero, come ci risulta, che Renzi ha comprato un pacchetto di dieci voli da 3mila euro l'uno, 30mila euro totali?», chiede il capogruppo Pdl in Comune, Marco Stella). La chiave di questa galassia renziana si chiama Marco Carrai, il motore del camper, il nodo della sua rete (e - aggiungiamo noi - recentemente scoperto come "affittacamere aggratis confesso" del ggiovane Renzi. NdR).
Coetaneo del sindaco, costruttore cattolico, ciellino (suo cugino Paolo è l'ex presidente della Compagnia delle opere in Toscana), Carrai è il trait d'union di Renzi col mondo degli affari, l'esperto di fund rasing, la raccolta fondi. La dote portata a Renzi da Carrai è notevole. L'arruolamento dell'economista bocconiano Zingales si deve a lui, ma anche il love affair del sindaco con certi ambienti Usa si deve (anche) a Carrai, ottimo amico di Micheal Ledeen, intellettuale conservatore membro della Foundation for Defense of Democracies di Washington.
Quando Renzi pranza con Tony Blair al luxury hotel St Regis di Londra, a tavola c'è anche «Marchino» Carrai, come sempre in questi casi. Il finanziere Davide Serra, il capo del fondo d'investimento Algebris, «l'italiano che dà del tu ai banchieri della City», è un link raggiunto all'inizio del 2012 con un cocktail di fund rasing a Milano, al Principe di Savoia, mille euro a ospite (70 commensali), idea sempre di Carrai.
Il prezioso aiuto è stato ben ricambiato da Renzi, che lo ha nominato presidente della municipalizzata Firenze Parcheggi (che poi sponsorizza il Maggio fiorentino e altre mille attività culturali care al sindaco), ma anche consigliere d'amministrazione del Gabinetto Vieusseux, ma anche consigliere della Cassa di Risparmio di Firenze, ente azionista di Banca Intesa San Paolo (l'estensore dell'articolo non poteva sapere - perchè ancora non avvenuta - della nomina di "Marchino" Carrai anche come amministratore della "Aeroporti di Firenze". NdR)
Sarà per questo che, si vocifera a Palazzo Vecchio, Renzi avrebbe ottenuto il sostegno dalla banca dell'allora ad, Corrado Passera? Possibile, anche se la stessa cosa si dice dell'Unicredit dell'amico Palenzona. Nel board della Cassa di Risparmio fiorentina ci sono altri due renziani docg: il presidente, marchese Jacopo Mazzei, di antica famiglia patrizia fiorentina, e Bruno Cavini, membro del comitato di indirizzo della fondazione.
Chi è Cavini? È il portavoce di Renzi, quello tirato in ballo dalle carte di Lusi, ex tesoriere della Margherita, come presunto riscossore di fondi per Renzi (ipotesi mai comprovata). Oltre ai Mazzei, altre casate fiorentine hanno ceduto al fascino del sindaco in maniche di camicia (sempre bianca, alla Obama) (...alla Omaba, o alla Bettino Craxi? NdR)
I Frescobaldi, i Fratini (immobiliaristi, centri commerciali), i Folonari (Giovanna Cordero Folonari fu chiamata a fare l'assessore dal precedente presidente della Provincia di Firenze, Matteo Renzi), i pratesi Pecci tramite il congiunto Niccolò Cangioli, manager della Elen spa, i Bini Smaghi, quelli del conte Lorenzo, ex consigliere della Bce nominato da Renzi presidente della Fondazione Strozzi. Bini Smaghi, tra l'altro, è figlio di una Mazzei e, dunque, cugino del Mazzei presidente della Cassa di Risparmio. Una rete di sostenitori influenti, il salotto buono fiorentino, più a loro agio con la sinistra all'americana del Renzi. Cui si sono aggiunti imprenditori e manager.
Come il gruppo Poli (imprenditori alberghieri e proprietari di tv locali), l'editore Mario Curia (Chiesa, Confindustria), Leonardo e Marco Bassilichi, della Bassilichi Spa, azienda che lavora per il Monte dei Paschi, il costruttore Andrea Bacci (già messo da Renzi a presiedere quella Florence Multimedia che gli ha procurato un'indagine della Corte dei Conti), Fabrizio Bartaloni, manager del Consorzio Etruria, una delle aziende impegnate nei grandi lavori fiorentini, Riccardo Maestrelli, imprenditore con l'azienda più importante di frutta e verdura alla Mercafir di Firenze, il mercato all'ingrosso (...conti, marchesi, banchieri, generone, doppi cognomi e tripli nomi... Insomma, tutta la paccottiglia che affascina i piccolo-borghesi parvenue della politica, senza grandi pedegrees, che non siano il papi sindachino di Frignano sull'Arno, coté Democrazia Cristiana. NdR)
Fuori da Firenze il sindaco gode delle simpatie di Oscar Farinetti patron di Eataly (che ha aperto uno store proprio a Firenze, negli spazi della libreria Martelli da poco chiusa), ovviamente Giorgio Gori fondatore dell'impero Magnolia, poi il presidente di De Agostini Pietro Boroli, il vicepresidente del gruppo Viacom International Media Network, Alessandro Campo Dall'Orto). O stilisti fiorentini come Ermanno Scervino, Ferruccio Ferragamo e Roberto Cavalli, amici di Renzi.
Qualcuno, come il tesoriere dei Ds Sposetti, uno che di soldi e partiti ne sa parecchio, ha evocato finanziatori americani e israeliani per Renzi. Dei rapporti di Carrai con l'intellighenzia politica a Washington si è detto. L'altro attivo, sulla sponda «dem», è Giuliano Da Empoli, già assessore di Renzi e inventore di parecchie idee renziane. Da Empoli ha rapporti con Matt Browne, già direttore del think tank politico di Tony Blair e oggi nel Center for American Progress del clintoniano John Podesta.
Giovanna Cordero Folonari, proletaria
Mentre per spiegare il favore della stampa Usa su Renzi (il Time lo dipinse addirittura come l'Obama italiano), si fa il nome, come tramite, della Baronessa Beatrice Monti della Corte Rezzori, presidente della Sant Maddalena Foundation di Firenze (finanziata prima dalla Provincia ora dal Comune, sempre con Renzi), che ogni anno organizza un premio letterario Von Retzori con giornalisti e scrittori americani. Sui finanziatori ebrei, siamo probabilmente nella fantascienza. Ma forse, al rottamatore più amato da nobili e finanzieri, non servono neppure.
...un giorno tutto questo sarà mio...
(Credits: abbiamo attinto a Bracalino, Dago, Archivi de l'Espresso, Repubblica, l'Unità, Corsera, Il Fatto, ANSA)
Scritto il 30 marzo 2014 alle 15:25 nella Economia, Politica, Renzi, Tafanus | Permalink | Commenti (17)
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28 marzo 2014
Qualcosa di sinistra: Alexis Tsipras, il Papa Straniero. Perchè no?
Ha riunito le anime frammentate deluse dal Pd. Che sognano una Ue diversa. E possono togliere voti a Grillo e Renzi (di Marco Damilano - l'Espresso)
C'è un pezzo di Italia che non teme, anzi, vorrebbe fare la fine della Grecia, intesa come sinistra, qui rimasta irrilevante a rimpiangere Enrico Berlinguer, lì, verso l'oriente del Mediterraneo, quotata dai sondaggi in zona trenta per cento, il primo partito. Al punto di meditare la conclusione della campagna per le elezioni europee in piazza San Giovanni, trent'anni dopo i funerali del segretario del Pci. Una parte di Italia che sogna di ballare con il suo leader Alexis Tsipras, e non il sirtaki: appuntamento il 30 marzo all'ostello della Ghiara a Reggio Emilia, gli organizzatori promettono una serata di tango «per l'altra Europa» e forse anche una milonga, verde come quella di Paolo Conte, del colore dei miraggi.
Un miraggio appare vincere la prova delle elezioni europee, superare l'ostacolo della raccolta delle firme, la soglia di sbarramento del quattro per cento, la concorrenza del Movimento 5 Stelle sull'elettorato anti-Europa di Bruxelles, e sconfiggere il nemico storico della sinistra italiana: la discordia interna. Mica facile: nelle cronache delle ultime settimane rimbombano le separazioni clamorose, gli addii sdegnati come quello di Paolo Flores d'Arcais e del papà di Montalbano Andrea Camilleri, subito dimissionari dal comitato dei garanti: «Siamo stati tagliati fuori da ogni discussione e decisione. Compresa quella rilevante che alla conferenza stampa non partecipassero più, come stabilito, tutti i garanti ma esclusivamente Barbara Spinelli»
(...beh... non tutte le defezioni vengono per nuocere... Per esempio Flores d'Arcais... Una delle ragioni di perplessità verso la lista Tsipras era per me la presenza di Flores d'Arcais, che negli vent'anni ha sponsorizzato tutti i cazzarismi: da Di Pietro al Popppolo Viola, da Ingroia a Grillo. La sua uscita è per me un incentivo a pensare seriamente di orientare uk mio voto verso la Lista Tsipras, se nascerà. Farei qualsiasi cosa, pur di togliere voti all'alleato di Angelino Alfano e della Signora Nunzia Di Girolamo... NdR)
Rumori di porte sbattute che oscurano la novità di una lista che per la prima volta cancella dai simboli sulla scheda elettorale la parola sinistra, ma si propone di rivitalizzarla, che si batte contro i vincoli europei, il Fiscal Compact, l'imposizione del pareggio di bilancio alle economie nazionali, ma si candida sotto la bandiera di un leader che arriva da un altro Paese. «È una fortuna che Tsipras non sia italiano, decide senza farsi condizionare dalle nostre divisioni», spiega Massimo Torelli, l'uomo-macchina dell'organizzazione. Il leader straniero è un vincolo esterno che prova a rendere virtuosa e unita la più litigiosa e frammentata sinistra europea. Per trasformarla in un fronte unitario serviva un ordine arrivato da fuori. Uno Tsipras compact.
Tutto comincia quando, in autunno, i promotori di Alba (acronimo che sta per Alleanza lavoro benicomuni ambiente), il movimento nato all'indomani del vittorioso referendum contro la privatizzazione dell'acqua nel giugno 2011, incontrano una delegazione di Syriza, sigla che sta per coalizione della sinistra radicale, il partito di Tsipras, e apprendono che il leader greco intende candidarsi in vista delle elezioni per il Parlamento di Strasburgo alla presidenza della Commissione europea, alla testa di un insieme di liste nazionali. Dopo due settimane il progetto decolla, con il primo appoggio decisivo, il sì al progetto di Barbara Spinelli, editorialista di "Repubblica", figlia di Altiero Spinelli che negli anni Quaranta dal confino fascista nell'isola di Ventotene aveva sognato l'Europa unita:
«Guardavo sparire l'isola nella quale avevo raggiunto il fondo della solitudine, avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili… Con me non avevo per ora, oltre che me stesso, che un Manifesto, alcune tesi e tre o quattro amici…».
Spinelli è uno dei miti di Tsipras, si parla di un suo pellegrinaggio a Ventotene (l'altro, manco a farlo apposta, è Berlinguer, c'è un suo manifesto nell'ufficio del leader greco). E Barbara è la compagna ideale di questo viaggio che fino a una settimana fa è somigliato a un'odissea nelle faide di quella che fu la sinistra radicale italiana. Gli orfani di Fausto Bertinotti contro i nipotini di Armando Cossutta. I rifondaroli di Paolo Ferrero e i superstiti del disastro Rivoluzione Civile, la lista dell'ex pm Antonio Ingroia che aveva fatto flop alle elezioni del 2013, un misero 2,2 per cento alla Camera. Gli uomini di partito e i professori. Tra gli intellettuali, l'immancabile catalogo di rivalità e di vanità personali, stuzzicate e offese. E poi apparatini, reduci da mille sconfitte, imbalsamati nelle ideologie negli anni Settanta.
Il primo miracolo del leader greco è stato di non spaventarsi di fronte a quel che resta delle leadership della sinistra italiana. E di aver imposto una regola capestro: nessun leader di partito nazionale o locale, nessun euro-parlamentare uscente candidato nella lista. Con un comitato di garanti a scegliere i nomi dei settanta in corsa tra circa duecento proposte arrivate dalle associazioni o da una raccolta di firme on line (ne servivano cinquanta): oltre alla Spinelli, il politologo Marco Revelli, il sociologo del lavoro Luciano Gallino, l'economista Guido Viale, il direttore di "Micromega" Flores d'Arcais e lo scrittore Camilleri. Più Tsipras, o meglio il suo rappresentante in Italia, il giornalista Argiris Panagopoulos che gli fa da interprete nei comizi come quello affollato del teatro Valle di Roma.
Nel comitato si litiga, ci si divide sui nomi, la candidatura del no global del G8 di Genova 2001 Luca Casarini è osteggiata da Flores, l'europarlamentare uscente Sonia Alfano è bloccata dal resto del comitato, l'ambientalista Antonia Battaglia che si batte a Taranto contro i veleni dell'Ilva lascia perché tra i candidati ci sono gli esponenti di Sel del governatore pugliese Nichi Vendola (di cui è stato chiesto il rinvio a giudizio per disastro ambientale), si ritira anche un'altra candidata, l'imprenditrice siciliana Valeria Grasso, alla fine mollano anche Flores e Camilleri. Il Pdci, il partitino dei comunisti italiani, si era sdegnosamente allontanato da tempo. E dentro Sel sulla lista Tsipras all'ultimo congresso c'è stato uno scontro tra l'anima più vicina al Pd di Gennaro Migliore e quella movimentista di Nicola Fratoianni. Ha prevalso quest'ultima, con la rinuncia dolorosa di Vendola a candidarsi.
Cosa resta? Un mix originale di vecchio e nuovo. «Si è creata un'inversione di tendenza: in altri Paesi europei come la Spagna o la Germania i movimenti chiedono ospitalità ai partiti della sinistra tradizionale, Izquierda Unida o Linke, qui da noi i partiti hanno ceduto il posto alle associazioni e ai movimenti», spiega Torelli che guida il comitato organizzatore nella sede di via San Martino della Battaglia in cui convivono l'ex braccio destro di Bertinotti Alfonso Gianni, uomini della Cgil come Corrado Oddi e i giovani cresciuti negli anni Duemila nei movimenti no global e della pace e nei comitati sui beni comuni. Nelle liste ci sono i no Tav come Nicoletta Dosio e l'attore Moni Ovadia, gli scrittori Ermanno Rea, Franco Arminio, Loredana Lipperini, Valeria Parrella, il giornalista di "Repubblica" Curzio Maltese e l'ex direttore del "Manifesto" Sandro Medici, la regista Lorella Zanardo e il portavoce dei movimenti studenteschi Claudio Riccio. Protestatari, intellettuali ad alto tasso radical chic, ma anche operai, sindacalisti Fiom, vecchia sinistra e neo-azionisti. Vecchio e nuovo, la novità è soprattutto lui, il leader venuto dal Mediterraneo, «Tsipras è giovane, bello, epico come i trecento alle Termopili, non scappa di fronte all'Europa, vuole rivoluzionarla», si scaldano i suoi seguaci, emozionati come se fossero renziani alla stazione Leopolda per il loro leader.
Per ora è un entusiasmo che coinvolge platee di iniziati, i primi sondaggi danno la lista in difficoltà, sotto il quattro per cento necessario per far scattare il seggio. Con più ottimismo si può puntare al cinque per cento, la somma dei voti di Sel e di Rifondazione, la quota minima per non gridare al fallimento. Ma che ci siano potenzialità di crescita lo conferma la prudenza con cui l'arrivo sul mercato elettorale della lista Tsipras è stato accolto dai concorrenti. Nel Pd di Matteo Renzi la parola d'ordine della campagna elettorale, almeno in apparenza, sarà la stessa: un'altra Europa. Ma non basta evocarla, una parte di elettorato del Pd potrebbe essere tentato di guardare a sinistra. Il senatore del Pd Mario Tronti scrive sull'"Unità" di aver firmato per consentire la presentazione della lista Tsipras alle elezioni europee: «Non solo io, tutto il Pd dovrebbe mobilitarsi perché la lista possa raggiungere le 150mila firme necessarie. Il nemico è comune: i populismi, i nazionalismi, i localismi». E tra i sostenitori di Pippo Civati, l'ala sinistra del Pd, è forte la tentazione di dare un segnale di dissenso al giovane neo-premier che annuncia sfracelli ma intanto governa con Angelino Alfano.
Ma la vera battaglia elettorale si svolgerà su un altro fronte. «A me piace Tsipras, ma non capisco gli intellettuali italiani che hanno bisogno di votare per lui, qui ci siamo già noi», ha finto di meravigliarsi Beppe Grillo intervistato da Enrico Mentana a "Bersaglio Mobile". Segno che il leader del Movimento 5 Stelle individua nella lista un rivale da non ignorare. E si capisce il motivo scorrendo il programma della lista Tsipras, la lotta all'austerity modello tedesco, l'altra faccia dei populismi stile Marine Le Pen che spaventano le cancellerie europee, la sospensione del fiscal compact, la richiesta di una conferenza europea sul debito, su modello di quella che nel 1953 consentì alla Germania di risollevarsi dal disastro del conflitto mondiale.
L'idea piace anche all'ex comico che la propaganda, tra i due movimenti ci sono somiglianze ma anche una profonda diversità: Tsipras si candida a guidare l'Europa, Grillo ad abbatterla, nella sua forma attuale, almeno. A sinistra c'è grande dibattito su come posizionarsi rispetto al movimento grillino. «È sbagliato paragonare 5 Stelle al Fronte nazionale di Le Pen, in Italia Grillo intercetta la rabbia sociale ma evita che finisca in un voto di estrema destra», spiega la Spinelli, ma non tutti nella sua formazione la pensano così. E tra i candidati spunta l'economista Mauro Gallegati (1), feroce critico delle politiche di austerità di Bruxelles e della Banca centrale europea: fino a qualche mese fa era uno dei beniamini tra i frequentatori del blog di Grillo, oggi corre con Tsipras in aperta contrapposizione con M5S, «sono sicuro di raccogliere i voti di Grillo e di Roberto Casaleggio, non saranno decisivi, ma ci conto molto».
Questione di identità. Cos'è la lista Tsipras, un'operazione nostaglia con un leader greco ma al fondo molto italiana, come sembrerebbe far immaginare il progetto di un comizio finale del leader greco in piazza San Giovanni, dove la sinistra festeggiava i suoi trionfi e che un anno fa fu occupata dal popolo di Grillo? Oppure è una formazione nuova che vuole cambiare l'Europa e sfida l'establishment come a destra Le Pen in Francia e in Italia M5S, basso contro alto prima che destra contro sinistra? Tocca al papa straniero salvare le ragioni di un elettorato oggi stretto tra il ciclone Renzi e l'onda Grillo. Fare come in Grecia, per non finire come in Italia, che paradosso per la nostra sinistra disorientata.
Marco Damilano
(1) Già... Mauro Gallegati. Quello che la "Signora del Web" aveva arruolato "a sua insaputa" fra gli economisti di fede grillina, fautori dell'uscita dall'euro... Qualcuno ricorderà le polemiche con la Signora, delle quali credo comunque che non freghi niente a nessuno. Ma se qualcuno fosse invece interessato dall'arruolamento "a sua insaputa" di Mauro Gallegati fra i "No Euro", può rinfrescarsi la memoria rileggendo questo post
Scritto il 28 marzo 2014 alle 19:23 nella Politica, Renzi, Tafanus | Permalink | Commenti (12)
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27 marzo 2014
Ormai dei "governatori" (in carica o ex) di centro-destra, ancora a piede libero, si occuperà il WWF
Firmò bilanci falsi da sindaco di Reggio, Scopelliti condannato a 6 anni. Pesante condanna per l'attuale governatore della Calabria. Ritenuto responsabile del dissesto del comune calabrese (Fonte: Repubblica.it)
Giuseppe Scopelliti
REGGIO CALABRIA - Il presidente della Regione Calabria Giuseppe Scopelliti è stato condannato, come ex sindaco di Reggio Calabria, a 6 anni di reclusione per abuso e falso e all'interdizione perpetua dai pubblici uffici per le vicende legate alle autoliquidazioni dell'ex dirigente comunale Orsola Fallara, suicidatasi nel 2010. Il pm aveva chiesto 5 anni.
Il governatore della Calabria è stato condannato anche all'interdizione perpetua dai pubblici uffici ed al pagamento di una provvisionale di 120 mila euro. I giudici del tribunale di Reggio Calabria hanno emesso la sentenza poco dopo le 20 dopo circa otto ore di camera di consiglio. Al momento della lettura del dispositivo, Scopelliti non era in aula. Il tribunale ha anche condannato per falso a tre anni e sei mesi di reclusione ciascuno gli ex revisori dei conti Carmelo Stracuzzi, Domenico D'Amico e Ruggero De Medici.
Nello specifico, la Procura della Repubblica ha contestato a Scoppelliti la falsificazione dei bilanci di previsione e il rendiconto di gestione gonfiando le entrate dell'amministrazione per poter spendere di più ai fini "del consenso". Per diversi anni le casse comunali sarebbero state gestite in maniera allegra, utilizzando, tra l'altro, per spese correnti, fondi vincolati. E non ripianando i debiti che man mano si andavano accumulando. Con l'effetto finale che oggi il comune più grande della Calabria è di fatto in dissesto. Il denaro finiva in spettacoli, in elargizioni ad associazioni di ogni genere, in manifestazioni pubbliche e in consulenze e incarichi. Il tutto mentre il buco di bilancio cresceva di pari passo con i creditori.
Altre storie di MalGovernatori
Abruzzo - Presidente Gianni Chiodi, PdL - Il 23 gennaio 2014 la Procura di Pescara rende noto che il Presidente della Regione Abruzzo Chiodi, il Presidente del Consiglio regionale dell'Abruzzo Nazario Pagano, il Vicepresidente della Regione Abruzzo Alfredo Castiglione, il Vicepresidente del Consiglio regionale dell'Abruzzo Giorgio De Matteis, 8 su 9 degli Assessori regionali della Giunta Chiodi e 20 su 27 consiglieri regionali di centrodestra per la maggioranza (12 di Forza Italia, 2 del Nuovo Centrodestra, 2 della lista "Rialzati Abruzzo", 1 di Fratelli d'Italia, 1 del MpA, 1 di Scelta Civica e 1 dell'UdC) e 3 su 18 consigliere regionali di centrosinistra per l'opposizione (2 ex IdV ora Movimento 139 tra cui Carlo Costantini, ex candidato presidente del centrosinistra contro Chiodi alle regionali del 2008 e 1 di Sel) per truffa aggravata ai danni della Regione, peculato e falso ideologico nell'inchiesta sulle " spese pazze" sui rimborsi ai gruppi regionali usati illecitamente per spese personali che vede l'Abruzzo come diciottesima Regioni di indagati su venti per queste ipotesi inquisitorie. Tuttavia il Presidente Chiodi ha parlato di spese regolari e rendicontate che saranno chiarite.
Il 4 febbraio 2014 viene resa nota che la Procura di Pescara ha aperto una nuova inchiesta costola nell'ambito della cosiddetta Rimborsopoli per le spese dei gruppi regionali usati per fini personali. Il fascicolo riguarda la nomina della Dott. ssa Letizia Marinelli a Consigliera di parità regionale. La Marinelli infatti dopo aver trascorso una notte nella stanza 114 del Albergo Del Sole a piazza del Pantheon in Roma (stanza per 2 da 340 euro che, secondo gli inquirenti, fu pagata con soldi pubblici regionali per cui Chiodi chiese un rimborso da 359 a carico della Regione) il 15 marzo 2011 in compagnia del Presidente Chiodi, due mesi dopo il 16 maggio 2011 ottiene la nomina a Consigliera dopo una complessa procedura di nomina che prevede il coinvolgimento di funzionari regionali, associazioni datoriali che garantiscono il rispetto dei requisiti stabiliti dalla legge. Il Governatore, in una intervista sul Corriere, ha pubblicamente ammesso la sua "debolezza". Inoltre emergerebbe che la sorella della Marinelli, Simonetta fu assunta con contratto a termine nella Direzione Risorse Umane su richiesta di Federica Carpineta Assessore regionale alle Risorse Umane e Politiche della Regione Abruzzo, unica donna in Giunta nonché "intima" del Chiodi il 29 marzo 2011 (due settimane dopo l'incontro tra Chiodi e la Marinelli).
Calabria - Presidente Giuseppe Scopelliti, PdL - Caso Italcitrus - Nel novembre 2009 è stato condannato dalla Corte dei conti a risarcire l'erario per 1.300.000 euro, in seguito all'acquisto di una ex fabbrica per la lavorazione degli agrumi, "Italcitrus", che il Comune di Reggio Calabria ha acquistato per 2.536.000 euro al fine di trasformarla in centro di produzione della Rai. La Corte ha accertato che il prezzo di acquisto era più che doppio rispetto ad una precedente valutazione realizzata dal Tribunale di Reggio in un altro procedimento.
Caso gazebo sul lungomare Falcomatà - Scopelliti risulta coinvolto in vicende riguardanti i suoi stretti rapporti con l’imprenditore Pasquale Rappoccio, considerato vicino alla cosca Libri di Cannavò, in un incontro a Milano con il boss Paolo Martino, in incontri con Nino Fiume e Giovambattista Fracapane (pentiti di ‘ndrangheta) anche loro come Martino organici alla cosca De Stefano di Reggio Calabria.
Caso della discarica di Longhi Bovetto - Nel settembre 2010 riceve un'altra condanna. La seconda sezione penale di Reggio Calabria, dopo circa due ore di camera di consiglio, lo reputa colpevole assieme ad Antonio Caridi (ex Assessore regionale alle Attività Produttive, pure lui del PdL) ed Igor Paonni (ex Assessore all'Ambiente del Comune di Reggio ed attuale Assessore regionale alle Attività Produttive), di omissione di atti d'ufficio per non aver vigilato durante la sua carica di Sindaco di Reggio sullo smaltimento del percolato della discarica di "Longhi Bovetto" (chiusa nel 1999 e mai messa in sicurezza) e lo condanna perciò a sei mesi di reclusione. Il 21 marzo 2013 viene confermata in appello la sentenza di condanna a sei mesi di reclusione per Scopelliti e Paonni, mentre viene assolto l'ex assessore comunale Caridi.
Caso Fallara e falso in atto pubblico - Nel marzo 2011 è indagato per abuso in atti d'ufficio nella qualità di ex sindaco di Reggio Calabria. L'indagine riguarda gli incarichi affidati alla dirigente comunale del settore Bilancio, Orsola Fallara, che si è tolta la vita nel dicembre 2010, e ai relativi compensi. Il 19 ottobre 2011 viene indagato per falso in atto pubblico dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria. I fatti si riferiscono a quando era in carica come sindaco di Reggio Calabria nell'ambito delle indagini sul "Caso Fallara", la dirigente comunale del settore bilancio, suicidatasi nei mesi precedenti. Una recente ispezione del ministero delle Finanze ha rilevato un buco da 170 milioni nelle casse del comune. Il 18 aprile 2012 la Procura della Repubblica di Reggio Calabria chiede il rinvio a giudizio di Scopelliti, unitamente a tre componenti del collegio dei revisori dei conti del Comune. L'accusa per Scopelliti è di falso ideologico in atto pubblico e abuso d'ufficio per le autoliquidazioni che avrebbe fatto la dirigente Orsola Fallara.
Il 13 febbraio 2014 il pm Sara Ombra chiede 5 anni di reclusione e l'interdizione dai pubblici uffici. Il 27 marzo 2014 Scopelliti viene condannato a 6 anni di reclusione per abuso e falso, all'interdizione perpetua dai pubblici uffici ed al pagamento di una provvisionale di 120 mila euro. Il tribunale ha anche condannato per falso a tre anni e sei mesi di reclusione ciascuno gli ex revisori dei conti Carmelo Stracuzzi, Domenico D'Amico e Ruggero De Medici.
Emilia-Romagna, Presidente, Vasco Errani, CSX - Nel 2012 la procura di Bologna indaga Giovanni Errani (fratello di Vasco) per truffa aggravata in relazione a un finanziamento di un milione di euro ottenuto dalla Regione Emilia-Romagna per la costruzione di uno stabilimento agricolo. Vasco Errani è indagato per falso ideologico: l'accusa è aver fornito informazioni fuorvianti al magistrato che indaga sui contributi "facili" concessi dalla regione alla cooperativa «Terremerse», presieduta in passato da suo fratello, Giovanni Errani, indagato a sua volta. La procura di Bologna chiede il rinvio a giudizio. Errani sceglie però il rito abbreviato. La procura chiede così 10 mesi e 20 giorni di reclusione. Ma l'8 novembre il GUP di Bologna Bruno Giangiacomo assolve Errani (e tutti gli imputati) perché il fatto non sussiste.
Liguria - Presidente, Claudio Burlando, CSX - Il 16 settembre 2007 Claudio Burlando ha imboccato contromano uno svincolo autostradale per prendere l'autostrada A10, rischiando lo scontro frontale con alcune autovetture che stavano procedendo nel corretto senso di marcia. In seguito a diverse chiamate di intervento da parte degli automobilisti è intervenuta una pattuglia della polizia a cui Burlando ha ammesso l'errore e, dichiarando di essere privo di patente e carta d'identità, ha esibito la vecchia tessera da Deputato, scaduta da alcuni anni, quale documento per attestare la propria identità.
Lombardia - Presidente, Roberto Maroni, Lega Nord - Nel 1994 si è distinto per la polemica in merito al decreto "salvaladri" Biondi sull'abolizione della custodia cautelare, che ha suscitato numerose polemiche perché è servita a far uscire di prigione i corrotti di Tangentopoli. Nelre 1998 Roberto Maroni fu condannato in primo grado a 8 mesi per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale. La Corte di appello di Milano il 19 dicembre 2001 ha confermato la decisione di primo grado riducendo la pena a 4 mesi e 20 giorni perché nel frattempo il reato di oltraggio era stato abrogato. La Cassazione nel 2004 ha poi confermato la condanna.
Per mobbing avvenuto al Ministero dell'Interno quando lui era ministro, il Ministero è stato condannato in primo grado a pagare € 91.000,00 di danni per aver danneggiato un lavoratore (sentenza 16654 del 16/10/2012). La procura di Monza, nel febbraio 2013, ha avviato un’inchiesta sulle firme a sostegno della lista di Roberto Maroni. Al riguardo è stato iscritto nel registro degli indagati un consigliere provinciale della Lega Nord, il quale è accusato di avere falsamente autenticato circa 900 firme. Nell'ottobre 2010 viene iscritto nel registro degli indagati dalla Procura di Roma minstro per finanziamento illecito per una consulenza da 60 mila euro versata ad una società denominata Mythos. L'indagine inizialmente avviata dalla Procura di Milano ipotizza che il danaro ricevuto da Maroni sarebbe stato fatturato negli anni 2007 e 2008 ma, sempre secondo la procura, la consulenza poi non sarebbe stata mai effettuata. Indagato anche Franco Boselli, manager della Mythos.
Piemonte - Presidente, Roberto Cota, Lega Nord - Il 22 maggio 2012 viene confermata in appello la condanna a Michele Giovine per aver falsificato le firme necessarie alla presentazione della lista "Pensionati per Cota", risultata determinante per l'elezione di Roberto Cota. Il 10 gennaio 2014 il TAR del Piemonte annulla le elezioni regionali del 2010 che avevano decretato Cota presidente della regione Piemonte. Il capogruppo di Forza Italia in consiglio regionale annuncia ricorso al Consiglio di Stato contro la decisione del TAR, così come ha intenzione di fare la Lega Nord. L'11 febbraio 2014 il Consiglio di Stato conferma la sentenza del Tar e annulla definitivamente le elezioni regionali piemontesi del 2010, sancendo così la fine anticipata della legislatura regionale piemontese. Ciononostante, contro la decisione del Consiglio di Stato la giunta regionale ha presentato ulteriore ricorso presso la Corte suprema di cassazione, lamentando un «eccesso di potere giurisdizionale» (ricorso che, comunque, non sospende l'esecutività della sentenza d'annullamento delle elezioni)[16]. Con decisione del 6 marzo 2014, il TAR ha intimato a Cota di indire le elezioni entro sette giorni e ha già nominato, nel caso non lo facesse, un commissario ad acta, il Prefetto di Torino, che dovrà provvedere. Il 12 marzo, Cota firma il decreto che fissa le elezioni regionali per il 25 maggio 2014 in concomitanza con le elezioni europee.
Puglia - Presidente, Nichi Vendola, SEL - L'11 aprile 2012 Vendola rende noto di essere indagato per concorso in abuso d'ufficio in merito alla nomina di un primario all'ospedale San Paolo di Bari. Tale accusa gli è rivolta dall'ex dirigente dell'Asl di Bari, Lea Cosentino, la quale fu sollevata dal suo incarico dal governatore pugliese. Il 25 ottobre 2012 i pubblici ministeri chiedono per Vendola il rinvio a giudizio e una condanna a 20 mesi di reclusione[96]. Il 31 ottobre 2012 Vendola, che aveva scelto il rito abbreviato per farsi giudicare in udienza preliminare, viene assolto dal Tribunale di Bari con formula piena, insieme all'altra imputata Lea Cosentino, perché il fatto non sussiste. Il 21 febbraio 2013 il settimanale Panorama asserisce che il giudice Susanna De Felice che assolse Vendola era un'amica della sorella; a carico del giudice viene aperta un'indagine interna alla magistratura.[99]. Pochi giorni dopo il procuratore capo di Lecce chiede l'archiviazione per il giudice, stabilendo che più che di conoscenza o amicizia si sarebbe dovuto parlare di una frequentazione occasionale tra il giudice e la sorella del governatore, ovvero non di un rapporto che avrebbe mai potuto compromettere la serenità di giudizio della De Felice.
Il 12 aprile 2012 Vendola riceve un nuovo avviso di garanzia, riguardante i reati di abuso d'ufficio, peculato e falso, per una transazione da 45 milioni di euro tra la Regione Puglia e l'ospedale ecclesiastico Miulli di Acquaviva delle Fonti. Secondo il delegato dell'ospedale, la transazione non è mai stata eseguita. Il 3 ottobre 2013 il procuratore aggiunto della Procura di Bari, Lino Giorgio Bruno, ha chiesto l'archiviazione per il governatore pugliese, Nichi Vendola, l’ex senatore del Pd, Alberto Tedesco, l’ex assessore regionale alla Sanità, Tommaso Fiore, e il vescovo monsignor Mario Paciello. Il 4 dicembre 2013 il gip del tribunale di Bari ha accolto la richiesta di archiviazione formulata dalla Procura della Repubblica, concludendo così il procedimento.
Il 30 ottobre 2013 riceve un altro avviso di garanzia dalla Procura di Taranto per il reato di concussione nell'ambito dell'indagine sull'Ilva. Secondo gli inquirenti avrebbe fatto pressioni sul direttore dell'Arpa per chiudere un occhio sui rilevamenti dei veleni di Taranto. Il 6 marzo 2014 i giudici di Taranto ravvisano l'esistenza di elementi per sostenere l'accusa in giudizio nei suoi confronti: è imputato di concussione aggravata nell'ambito dell'inchiesta sul disastro ambientale causato dall'Ilva.
N.B.: le fonti di questo articolo: Wikipedia, Archio Storico di Repubblica, Archivio Corsera, Archivio l'Unità, Archivio l'Espresso
Scritto il 27 marzo 2014 alle 22:46 nella Leggi e diritto, Politica | Permalink | Commenti (0)
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25 marzo 2014
Caso Ruby - La Cassazione assolve il pm Fiorillo e condanna il Csm: "La Fiorillo aveva il diritto di difendersi dalle dichiarazioni denigratorie e dalle diffamazioni del Ministro degli Interni Maroni
La Suprema Corte ha annullato con rinvio la sanzione inflitta dal Consiglio superiore della magistratura al pm del Tribunale per i minorenni che decise che la marocchina doveva andare in comunità. Secondo gli ermellini aveva il diritto-dovere di difendersi dalle "denigrazioni diffamatorie" dell'allora ministro dell'Interno Roberto Maroni. La Fiorillo aveva smentito, con interviste, la ricostruzione sull'affidamento della giovane marocchina a Nicole Minetti (Fonte: Il Fatto Quotidiano)
La Cassazione “assolve” un magistrato e punta il dito contro il Csm che l’aveva punito. Uno scontro tra palazzi che avviene su uno dei casi più bollenti degli ultimi anni: ovvero l’affaire Ruby. Protagonisti di un verdetto a sezione Unite il pm per i minori Annamaria Fiorillo, l’allora ministro Roberto Maroni, e il Consiglio superiore della magistratura che alla toga ribelle, che rilasciò interviste per difendersi dalle dichiarazioni del responsabile del Viminale, considerate diffamatorie, aveva inflitto una sanzione. Il magistrato ordinò che la giovane marocchina, all’epoca 17enne, venisse accompagnata in comunità. Invece fu affidata all’allora consigliera regionale del Pdl Nicole Minetti. Quando il ministro disse che la procedura era stata regolare Fiorillo rilasciò alcune interviste sostenendo che Maroni aveva mentito.
La Fiorillo fu quindi condannata per violazione del riserbo dal Consiglio Superiore della Magistratura, ma oggi la Cassazione dice che aveva diritto di difendersi da una diffamazione. Che riguardava lei come magistrato, ma anche la stesso organo: “La tutela dei magistrati contro denigrazioni diffamatorie è, oltre che compito del Consiglio Superiore, un diritto per ciascun magistrato ed un dovere istituzionale al quale non si può abdicare, poiché la credibilità dell’istituzione giudiziaria e la fiducia dei cittadini nella sua imparzialità sono una garanzia assoluta della vita democratica”. Insomma la Fiorillo con le sue dichiarazioni aveva difeso la sua toga e quella di tutti i suoi colleghi. Con la sua punizione in qualche modo si è mutilata quella difesa.
La Cassazione ha quindi annullato con rinvio quella decisione affinché il Csm quindi riesamini la vicenda. Il magistrato aveva smentito, con interviste, la ricostruzione sull’affidamento di Ruby a Nicole Minetti che, il 9 novembre 2010, l’allora ministro dell’Interno disse che avvenne su indicazioni della stessa Fiorillo. La Fiorillo, sentita come teste nel processo Ruby, aveva ribadito che l’allora responsabile del Viminale non disse il vero, perché lei non aveva mai autorizzato quell’affidamento anomalo di una minorenne, denunciata per furto e sospettata di essere una prostituta.
Scrivono gli ‘ermellini’ – nella sentenza 6827 delle Sezioni Unite, pubblicata oggi e relativa all’udienza dello scorso 28 gennaio – che “la pubblica notizia dell’affidamento di una minore ad una persona estranea alla famiglia, in una vicenda contraddistinta dall’intervento del Presidente del Consiglio dell’epoca (Silvio Berlusconi, condannato per concussione e prostituzione minorile in primo grado), era idonea a compromettere presso l’opinione pubblica non solo l’onore e la professionalità” della pm Fiorillo, “ma anche i valori dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura”.
“Compito di tutelare i magistrati è del Csm “. Sottolinea la Cassazione che in questo procedimento disciplinare, non si discute della reazione del pm a una critica, ma della sua reazione “all’attribuzione di un provvedimento non solo di contenuto diverso da quello effettivamente adottato, ma anche inconciliabile con i doveri del magistrato e con l’immagine che il magistrato deve dare di sé per la credibilità propria e della magistratura”. In proposito, accogliendo il ricorso del pm Fiorillo contro la sanzione inflittale da Palazzo dei Marescialli lo scorso giugno, la Cassazione, staffilando i togati del Csm, spiega che “la tutela dei magistrati contro denigrazioni diffamatorie è, oltre che compito del Consiglio Superiore, un diritto per ciascun magistrato ed un dovere istituzionale al quale non si può abdicare, poiché la credibilità dell’istituzione giudiziaria e la fiducia dei cittadini nella sua imparzialità sono una garanzia assoluta della vita democratica”. Il verdetto ricorda che Fiorillo ha difeso la sua “professionalità” e la sua “credibilità” di magistrato che sono un bene “coerente” con quello della imparzialità e indipendenza dei giudici.
La Cassazione: “La verità mediatica si fissa nella memoria collettiva.” Ora il Csm dovrà verificare se il pm anziché rilasciare interviste – a ‘In mezz’ora’ e a ‘Repubblica’ – avrebbe potuto difendersi con altri mezzi, senza violare il dovere del riserbo e la prerogativa del capo della Procura a parlare con i media. Ad esempio, come aveva sostenuto il Pg della Cassazione, chiedendo l’intervento a tutela del Csm, l’intervento a tutela del capo dell’ufficio, o presentando querele. Ma i supremi giudici, spezzando ancora una volta una lancia in favore di Fiorillo – e della scelta di esternare ai media la sua versione dei fatti, in assenza di immediati atti a tutela, pur da lei sollecitati – osservano che “non può tacersi che nell’attuale società mediatica l’opinione pubblica tende ad assumere come veri i fatti rappresentati dai media, se non immediatamente contestati: la verità mediatica, cioè quella raccontata dai media, si sovrappone, infatti, alla verità storica e si fissa nella memoria collettiva con un irrecuperabile danno all’onore”.
Scritto il 25 marzo 2014 alle 14:28 nella Berlusconi, Criminalità dei politici, Politica | Permalink | Commenti (0)
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21 marzo 2014
Signore, tu che tutto puoi, liberaci da tutti i mattei di questa terra!
Non si fa in tempo a metabolizzare il Vangelo secondo Matteo Renzi, che arriva un altro Matteo, se possibile ancor più "diversamente intelligente"... Ecco di cosa ci informa stamattina, per rovinarci la giornata, tale Matteo Ricci, Vicepresidente (nientemeno!) di ciò che resta del Partito Democratico:
Matteo Ricci: "Proporrò il nome del premier Matteo Renzi sul simbolo del Pd per le elezioni europee" (Fonte: Huffington Post)
Ma da dove salta fuori, costui? Abbiamo passato vent'anni a lottare contro i "partiti personalli", col santino del leader sul simbolo del partito, e adesso arriva questo Carneade, e vorrebbe ridurre il PD in queste condizioni... E senza capire che rischierebbe di perdere anche quelle frange di piddini non renziano, che a mettere una croce su "PD" ci riuscirebbero - forse - ancora. Turandosi il naso. Ma che a mettere una croce sulla faccetta da coniglietto dell'altro Matteo proprio non ce la farebbero, neanche sotto tortura...
Intanto consiglio ai renzini da riporto (quelli che "Renzi è l'unico capace di portare il PD alla vittoria") a dare uno sguardo all'ultimo sondaggio della iXé.
Sembrerebbe (dico senbrerebbe) che solo nell'ultima settimana il PD abbia perso 0,8 punti.
Sembrerebbe (dico sembrerebbe) che l'obiettivo "simbolico" che Renzi si poneva per le europee (30%) si allontani sempre più.
Sembrerebbe (dico sembrerebbe) che il PD di Renzi viaggi verso il 28,4%, dopo essere stato per mesi - prima dell'avvento dell'età dell'oro - oscillante fra il 30,5 e il 31,5%.
Sembrerebbe (dico sembrerebbe) che nel voto alle coalizioni il centro sinistra abbia ormai un vantaggio - inferiore al margine d'errore - di circa mezzo punto sul centrodestra, dopo aver fatto registrare per mesi un vantaggio di 4/5 punti.
PROVERBIO NON CINESE: "chi troppo in fretta sale, sovente cade, precipitevolissimevolmente". Specialmente quando trattasi di un ometto "tutto chiacchiere e distintivo"
Scritto il 21 marzo 2014 alle 12:30 nella Politica, Renzi, Tafanus | Permalink | Commenti (9)
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19 marzo 2014
L’imbroglio della spending review (Una cagata così potevo suggerirla anch'io, gratis. Ma forse mi avrebbe fermato la vergogna)

Cambiano i premier, dalla ben remunerata poltrona di tagliatore del walfare (altrui) scende Bondi e sale Cottarelli, ma la solfa non cambia. Se la politica si affida ai ragiunatt (sia pure di lusso, almeno quanto a retribuzione) non possono che venir fuori minchiate simili. No, non è colpa sua, Cottarelli. Non se la prenda. Quando in azienda affidavamo una ben remunerata consulenza ad un esterno, e la ciambella non riusciva "col buco", la colpa era del ragiunatt, esattamente nella stessa misura di era di chi "aveva fatto il briefing".
Io non so (non posso sapere) se Renzie le abbia dato un briefing, e quale. Se così non fosse, avreste sbagliato in due. Renzi a dare un incarico senza chiarire quale fosse l'obiettivo, e quali fossero i limiti entro i quali muoversi, e lei ad accettare un incarico indefinito in tutto (tranne, forse, che nella sua remunerazione).
Non penso che fra due c.d. "persone di vertice" possa essere accaduta una minchiata simile (altrimenti sareste da licenziare in tronco entrambi). Quindi restano in piedi due ipotesi:
-A) Renzi le ha dato l'incarico di tagliare, tagliare, tagliare, senza preoccuparsi di quali elementi avrebbe colpito. E così (se n'è accorta persino Repubblica!) ha trovato "facile e poco pericoloso colpire i soliti noti, già colpiti da anni. I pensionati (per i quali si vuole fermare quella farsa di "indicizzazione" che esisteva, e che Letta aveva deciso di ripristinare, seppur con mille limiti); poi una sforbiciata alle pensioni di quei crapuloni che prendono più di 2000 euri lordi al mese (più di 1400 netti!); e per i "super-crapuloni" come il sottoscritto blocco totale delle indicizzazioni (che peraltro è già in vigore da anni) e magari una "sforbiciatina" supplementare, chiamata "contributo di solidarietà" - che non si vede perchè dovrebbe essere pagato da una sola categoria di percettori di reddito. Poi un'altra bella sforbiciata a quelle riccastre di vedove (pensioni di reversibilità) che già adesso, alla morte del coniuge, si vedono decurtare la pensione del 40%.
Vede, ragiunatt, se lei avesse una minima idea di come siano ripartiti i costi fissi e quelli diretti in un ménage a due, capirebbe che la stragrande maggioranza delle spese sono fisse: affito o mutuo, spese condominiali, aiutini ai figli e ai nipoti... Insomma, quel viveur del defunto non consumava il 40% della pensioncina in pastine glutinate e cravette di Gucci... Ma tanto, cosa gliene frega, a lei a al Fonzie? I pensionati non possono scioperare, e non hanno la forza di sdraiarsi su un'autostrada o sui binari e inchiodare l'Italia. Sono un peso morto, e prima crepano, meglio è per i conti pubblici. Peggio per loro, e peggio per quel 44% di giovani disoccupati, che spesso sopravvivono solo grazie alle "frattaglie" delle pensioni dei genitori e dei nonni.
-B) Oppure Renzi le ha dato l'incarico di tagliare, tagliare, tagliare, ma a patto di non toccare i ceti di riferimento. Vogliamo dirla più chiaramente? Dove sono i limiti agli stipendi d'oro dei boiardi di stato? Per capirci: c'è qualche Rag. Cottarelli che ha proposto che i Ragionieri Cottarelli non possano guadagnare più di Barak Obama? No? Piccola dimenticanza???? E quella vergogna di qualche miliardata prevista per il "rientro dei capitali" cos'è, l'ennesima lurida marchetta agli evasori fiscali, agli esportatori di capitali, ai falsificatori di bilancio? Ci spiega di cosa si tratta? del solito "scudo fiscale" al quale lei e il renzino cambierete nome?
E veniamo al problema vero, e più vergognoso. Cani, porci, premier e ragiunatt sanno - o dovrebbero sapere - che il problema italiano è UNO SOLO: basso, reddito, e quindi bassi consumi, aziende in difficoltà, occupazione che cala da anni, nonostante tutti vedano le lucine.
E allora cosa immagina, il nostro ggeniale e ggiovane premier, supportato dal ggeniale ragiunatt? Ma certo! l'ennesimo mucchio di provvedimenti "ad cazzum", accomunati da due matrici comuni:
-a) La disumanità - Vietato toccare la casta. Al massimo, i ceti medi. Pensionati, vedove, via l'indennità di accompagnamento ai crapuloni da 25000 euro annuali all'anno con un malato non autofussiciente, 85.000 licenziamenti fra gli impiegati, i dirigenti non si toccano, i pletorici CdA neppure, e avanti tutta, verso il medioevo. Ma vi rendete conto delle cazzate che sparate? Ragioniere, le hanno spiegato cosa significhi 25.000 euro lordi all'anno? Gliedo dico io, ragioniere, perchè lei non l'ha detto: significa 1500 euro netti al mese per 12 mensilità. Insomma, un lauto introito che permette tranquillamente, ai disgraziati con un disabile in casa, di pagarsi una badante occupata h24, o una casa di degenza da 4000 euro al mese. E che ce vò???
-b) La scemenza - Perchè in un paese che ha bisogno di risollevare i consumi più di ogni altra cosa, si propone di tagliare, tagliare, tagliare, proprio in quei ceti medio-bassi che se hanno due lire in più non possono far altro che spenderle. E si propone - senza vergogna - di licenziare 85.000 persone.
Ragioniere, cosa pensate di farne, lei e Renzi, di questi nuovi 250.000 poveracci (i licenziati e i loro familiari)? di mandarli a vivere ai cartoni sotto un cavalcavia? Oppure di trovare il modo - a botte di eufemismi come pensionamenti anticipati, casse integrazioni, scivoli e quant'altro - di consentire loro di sopravvivere? E in tal caso, dove sarebbe il risparmio? Se 2000 euro si chiamano "stipendio sono un costo, e se si chiamano "scivolo" non lo sono? E per "eventuali 300/400 euro di differenza fra stipendio e pensione riununciamo alle prestazioni d'opera? Non sono utili nelle mansioni attuali? E spostarli a mansioni più utili, no? Sarebbe una cosa col peccato mortale dell'intelligenza? Ci faccia capire.
Infine: piantatela, per piacere, con scemenze demagogiche alla "venghino siori venghino" di renziana creazione (senza vergogna) per dare il grande annuncio della vendita all'asta di 100 (CENTO) auto blu usate, in un parco da oltre 60.000 auto. Queste cose hanno fatto ridere persino la mia colf albanese, che non ha completato le scuole dell'obbligo, ma che potrebbe dare lezioni di buonsenso sia ai premier che ai ragiunatt.
Caro ragiunatt, quando un giornale come l'Unità che è stato (non so se lo sia ancora) lo storico giornale della sinistra, arriva a mettere in pagina l'articolo che le posto in calce, credo che sia i ragiunatt che i "premier per caso", non eletti da nessuno, dovrebbero avere il buonsenso di fermarsi a riflettere. Trovo in questi proclami senza capo né copa tutta l'idiozia di twitter. Non si risolvono i problemi della gente con un tweet. E' ora che qualcuno ci dica dove prende i soli, a chi, per farne cosa. E non basta il rito del tweet delle 07:00 del mattino, che ha la stessa, identica valenza semantica della "luce accesa tutta la notte a Palazzo Venezia".
Siamo cresciuti, caro ragiunatt. Vediamo di crescere anche dalle parti di Palazzo Chigi. Tafanus
L'imbroglio della Spending review (Fomte: Claudio Visani - l'Unità)
La chiamano in inglese, spending review. In italiano, revisione della spesa, farebbe già un altro effetto, più preciso e vicino alla realtà. Gli ultimi governi – da Berlusconi a Monti, da Letta a Renzi – se ne riempiono la bocca. Il nuovo premier la chiama spending e basta. Forse perchè così dà l’idea della spesa e non della revisione.
Per i disastrati bilanci dello Stato e i disperati tentativi di acquisire risorse per tentare il rilancio della nostra asfittica economia, è diventata la panacea di tutti i mali, il jolly da giocarsi su tutti i tavoli della ripresa. Ma nella realtà è un grande inganno. Giacchè, in generale, non di sola razionalizzazione della spesa pubblica si tratta, che sarebbe cosa buona e giusta, bensì di tagli spesso selvaggi al welfare e di un ulteriore inaccettabile attacco ai redditi medio bassi, alle famiglie più disgraziate e alle pensioni. Perché i tagli dei costi della politica, la vendita delle auto blu, la lotta agli sprechi ministeriali sono sì sacrosanti e da perseguire, ma incidono pochissimo nel mare magnum del nostro deficit: sono “sbagiuzze”, come dicono a Bologna. Perché il gettito vero, la cassa, si fa pescando proprio lì, nei milioni di famiglie a medio e basso reddito, tra i pensionati, tra gli sfortunati che consumano più sanità e servizi sociali.
A leggere le anticipazioni e le proposte del piano Cottarelli che il governo Renzi si appresta a fare suo – e da quanto si può capire nella versione extra-large per trovare i soldi necessari a onorare la promessa dei mille euro l’anno in più in busta paga a chi ne guadagna meno di 25mila – c’è da trasecolare. Si va da un nuovo blocco del turn over e delle retribuzioni nel pubblico impiego (misure in vigore giá da 5 anni) con l’obiettivo di rottamare 85mila dipendenti, a un nuovo assalto alle pensioni (con il blocco delle indicizzazioni per quelle che superano i 1.400 euro al mese e un prelievo forzoso a quelle che superano i 2.000-2.500 euro al mese), fino ai vergognosi tentativi di colpire le reversibilità pensionistiche alle vedove e agli orfani e di togliere gli assegni di accompagnamento a chi ha la disgrazia di avere un disabile in famiglia.
Nel primo caso, si pensa, addirittura, di togliere la pensione alle vecchiette che hanno avuto un marito caduto o disperso nell’ultima guerra, oltre che di ridurre o annullare l’assegno che oggi spetta (dal 20 al 60% della pensione) a chi ha perso il coniuge, il padre o la madre, semmai morti dopo vite di lavoro e contributi versati senza potersi godere l’agognata pensione. Nel secondo si prospetta di cancellare l’indennità a chi deve assistere un genitore malato di alzheimer o un figlio in carrozzina ma ha un reddito personale superiore a 30mila euro o famigliare superiore a 45mila euro.
E questa sarebbe razionalizzazione della spesa? No. La chiamano spending rewiev, ma è l’ennesimo imbroglio ai danni dei poveretti. E sarebbe particolarmente odioso se a sostenere il piano, o a non correggerne almeno i tratti di palese ingiustizia sociale, fosse il governo presieduto dal segretario del Pd, ovvero di un partito che dovrebbe difendere in primis le categorie che la spending review vuole colpire, oltre che i valori della sinistra.
Data:2014-03-19
Tafanus
Scritto il 19 marzo 2014 alle 22:18 nella Economia, Lavoro, Leggi e diritto, Politica, Renzi, Tafanus | Permalink | Commenti (32)
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16 marzo 2014
La "Ministra Berlusconiana" Federica Guidi molto attiva nello sviluppo economico: della Croazia
Quando Renzi, su ordine di Berlusconi, ha nominato Ministro alla Sviluppo Economico Federica Guidi, AD della Ducati Energia ed azionista di riferimento della stessa, in pieno conflitto d'interessi (ma che fa? Berlusconi è abituato, e Renzi sta imparando in fretta di cosa non bisogna occuparsi), qualcuno (pochi in verità), ha provato a far osservare che non poteva occupare questo dicastero l'AD di un'azienda che ha nello stato uno dei maggiori clienti. La Guisi si ' "dimessa" da AD, ma non da azionista. Niente vendita dell'azienda, niente blind-trust. Abbiamo come un sospetto che la Guidi Ministro ma non più AD Ducati sappia benissimo cosa serva alla Ducati Energia.
Renzi aveva subito capito quale fosse il problema italiano: il lavoro che non c'è, la disoccupazione tornata al 13%. Quindi ha subito imbarcato una ministra, con forti simpatie berlusconiane, che conosce benissimo l'arte di creare posti di lavoro. In Croazia.
Complimenti, Renzie. A proposito, Presidente, che bella cravatta... c'est di Gucci?...
Tafanus
La Ducati Energia di Federica Guidi in Croazia
Sviluppo Economico, se il ministro delocalizza: tra Italia e Croazia, nelle fabbriche di Federica Guidi. Viaggio negli stabilimenti Ducati Energia del neo ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi: da Ludbreg, in Croazia, dove un operaio guadagna 500 euro al mese, a Borgo Panigale (Bologna), dove i dipendenti sono passati dai 600 del 1985 ai 220 di oggi
(Fonte: Francesco Gilioli e Antonio Nasso - Repubblica/TV)
Credits: Ringrazio Nonna Mana e Gatto Nero per la segnalazione
Scritto il 16 marzo 2014 alle 12:05 nella Berlusconi, Economia, Lavoro, Politica, Renzi | Permalink | Commenti (9)
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14 marzo 2014
Sfigato renzie... va a Berlino col piattino in mano, poche ore dopo il nuovo record del debito pubblico italiano
Scritto il 14 marzo 2014 alle 12:49 nella Economia, Politica, Renzi | Permalink | Commenti (10)
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12 marzo 2014
Esistono gli elettori forza-renziani?
Un'analisi delle oscillazioni elettorali (di Fabio Bordignon)
"Cari amici che l'altra volta avete votato Berlusconi, noi non abbiamo paura di venire a stanarvi dalle vostre delusioni [...] Ehi, diciamo a voi, vogliamo venire a prendervi". Nel lanciare la propria candidatura alle primarie del centro-sinistra, nel settembre 2012, Renzi chiariva (ancora una volta) la propria intenzione di lanciare il proprio appello, senza remore, agli elettori di centro-destra, ai delusi della "rivoluzione del '94".
In che misura l'operazione di drenaggio del bacino post-berlusconiano - condizione ritenuta necessaria, dal leader del Pd, per vincere le elezioni - è effettivamente possibile? Se consideriamo i dati dei sondaggi condotti da Demos negli ultimi due mesi, i flussi da coloro che avevano votato Pdl, nel 2013, in direzione del Pd, rimangono ancora piuttosto contenuti. Sappiamo, tuttavia, che, tra il 2008 e il 2013, il Pdl aveva già perso più di sei milioni di elettori, in parte transitati verso altre forze - in particolare verso il M5S - in parte rifugiatisi nel non-voto. Una porzione di quest'area fluttuante sembra avere contribuito alla recente crescita del Pd renziano.
Se analizziamo l'auto-collocazione degli elettori democratici sull'asse sinistra-destra, oggi e un anno fa, si osserva un certo scivolamento verso centro-destra: la componente che si considera "di centro" è salita dal 5 al 7%; quella di chi si descrive come elettore "di destra" o "centro-destra" è passata dal 4 al 10% (...azz... e questo è "l'unico che può farci vincere", secondo la vulgata in auge anche fra alcuni lettori di questo blog... NdR)
Sempre negli ultimi dodici mesi, è lievita dal 5 all'11% la frazione di elettorato Pd che rifiuta di prendere posizione rispetto al più tradizionale degli assi politici. Tale mutamento, peraltro, sembra riconducibile direttamente al ruolo del segretario. Infatti, tra coloro che si dichiarano "elettori di Renzi" ancor prima che "elettori del Pd", oltre il 40% sceglie una posizione alternativa rispetto a quella di sinistra o di centro-sinistra.
Allo stesso tempo, il Presidente del Consiglio può contare su un numero di estimatori molto elevato tra coloro che, ancora oggi, si dicono intenzionati a votare per il partito di Berlusconi. Tra gli attuali elettori di Forza Italia il 56% esprime un giudizio positivo sul governo e una quota ancora più elevata (64%) giudica positivamente il premier. Circa un terzo degli elettori forzisti, inoltre, si dice convinto che, in caso di elezioni, in questo momento il centro-sinistra sarebbe favorito, e il 10% arriva a dirsi molto o abbastanza vicino al Pd renziano. Si tratta di persone che, qualora l'attuale clima d'opinione dovesse confermarsi nel tempo, con l'avvicinarsi del voto potrebbero essere tentate di salire "sul carro del vincitore".
Negli anni Ottanta, al di là dell'Oceano, li chiamavano Reagan democrats: elettori del Partito democratico (statunitense) sedotti dalla retorica post-ideologica del grande comunicatore. In modo speculare, il leader Pd - ribattezzato da Vittorio Zucconi Matteo Ronald Reanzi - continua oggi a lanciare messaggi all'elettorato di centro-destra, rispolverando molti dei cavalli di battaglia della rivoluzione berlusconiana.
Ad esempio, la lotta contro la pressione fiscale: "Meno tasse per tutti. Loro lo hanno detto. Noi lo abbiamo fatto", affermava, già nel 2011, lo stesso Renzi, rivendicano i provvedimenti assunti, in materia, da Presidente della Provincia di Firenze.
I prossimi sondaggi e, soprattutto, i prossimi appuntamenti elettorali ci diranno se tale tentativo di attrazione, nell'orbita democratica, degli orfani del berlusconismo avrà successo. Ci diranno se esista veramente l'elettore renziano (post)forzista: l'elettore forza-renziano.
Fabio Bordignon
Scritto il 12 marzo 2014 alle 11:48 nella Politica, Renzi | Permalink | Commenti (8)
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11 marzo 2014
La carica dei 101 bastardi - Attento, Fonzie... il destino delle volpi è quello di finire in pellicceria...
Chiunque legga il Tafanus sa che io non sbavo per le quote 50/50, ma preferisco una suddivisione delle candidature che faccia riferimento ad una qualche misurazione dell'impegno complessivo dei due sessi nella politica di base. Quella che spesso si fa non per tornaconto, ma per passione e per spirito di servizio. Penso ad esempio ai tanti consiglieri comunali che prendono 18 euro lordi a seduta, e che spesso rinunciano ache a quei quattro soldi. Ma non è questo il tema di questo post. Il tema è che i soliti bastardi (la banda dei 101 in maschera) ha colpito ancora.
Ma il tema, ancora più importante, è che dobbiamo discutere serenamente, seriamente, dell'inadeguatezza etica e tecnica di chi ci governa. Costui, avendo "odorato" che l'emendamento 50/50 (come pure quello 40/60) rischiava di passare, e avrebbe creato problemi all'ammmore fra Renzi, Berlusconi e Verdini, si è "chiamato fuori", e ha fatto arrivare in aula gli emendamenti pericolosi senza il parere del governo. Se gli emendamenti scomodi per la banda di Arcore passano, è colpa del Parlamento (e con la complicità del voto segreto, nessuno potrà imputare la cosa a nessun altro); se passano, perfetta simmetria: nessuno può accusare nessuno.
Legge elettorale più sballata del porcellum, col "rinforzo" del rinvio della sua entrata in vigore a babbo morto (cioè a Senato riformato o abolito). Perfetto SuperAttak per incollare il culo di Renzi alla poltrona di premier per l'eternità, e dei peones alla "festa" da 14.500 euro al mese: dovranno tornare a fare i professori precari di scuola media, o i ragionieri al CAF delle ACLI. Potremmo dire "amen", se non fosse che per fortuna esistono anche donne coi coglioni, come l'odiata (da Arcore a Frignano sull'Arno) Rosy Bindi. Altra cosa, caro Fonzie, rispetto alle adoranti Boschi e Madia.
Credo che la popolarità di Renzi sia a rischio (?) di crollo verticale. In poche settimane, è riuscito a sbattere la faccia - agitandosi troppo con eccesso di tatticismo - contro Camusso ma anche contro Landini, contro l'Europa, contro le donne del PD ma anche contro molte donne di FI e di altre formazioni; contro Quinzi, ma anche contro l'associazionismo. Attento, fonzie... rischi che alla fine del tourbillon ti restino attaccate solo le bosche tacco 12, i giachetti ex-tutto, le madie senza tom-tom, le serracchiane e le mirte merline. Credi davvero di poter durare con questi fantastici "followers"? Forse su twitter si, ma la vita non è un social, è più complicata delle tue battute cazzare da 140 lettere.
Tafanus
Liste bloccate e quote rosa - La guerra di Rosy Bindi contro Renzi (Fonte: Repubblica)
Che ci fosse in atto "una guerra personale" tra Rosy Bindi e Matteo Renzi si era già capito da tempo. Almeno dai tempi delle primarie tra Renzi e Bersani del 2012, quando tra i due si consumò un'accanita battaglia sulle regole che vide l'allora presidente del partito vincere sul "ragazzino" che aveva osato sfidare l'establishment del partito. Stamattina all'assemblea del Pd a largo Nazareno, la pasionaria del Pd ha affilato le unghie dopo la «profonda ferita» che si è consumata dentro al partito a seguiro dell'affossamento delle quote rosa ieri sera alla Camera.
Con Renzi «ci siamo detti le cose come stanno», ha detto la Bindi utilizzando una uscita laterale per lasciare il Nazareno al termine della riunione tra le deputate e i deputati del Pd con il segretario e presidente del consiglio.
Chi era presente, ha parlato di toni sopra le righe, addirittura incandescenti. Durante il suo intervento, Renzi ha fatto riferimento all'intervista rilasciata dalla presidente della commissione Antimafia a Repubblica, in cui Bindi affermava che il Pd ha sacrificato la lealtà ai valori della Costituzione all'accordo con Berlusconi. Renzi ha sottolineato che l'Italicum non viola la costituzione. Bindi ha ribattutto, dal posto che occupava in fondo alla sala, che lei non ha detto questo. «Il Pd è stato ferito dai 100 voti che sono mancati per far passare la norma antidiscriminatoria», ha detto Bindi al premier che si è lamentato per i distinguo sulla parità di genere. «Noi abbiamo un'idea diversa della democrazia di un uomo solo che fa le cose buone. E se oggi abbiamo un segretario e un premier che crede alla parità, domani potrebbe non essere così».
E' stato a quel punto che il segretario avrebbe chiesto di lasciarlo terminare il discorso, assicurando che poi avrebbe restituito la parola per eventuali repliche.
Già ieri, la Bindi aveva protestato dopo il voto sulla parità di genere. La presidente della Commissione Antimafia, visibilmente turbata, lasciando l'aula, aveva applaudito ironicamente alla volta del ministro Boschi, sbattendole le mani praticamente in faccia. Poi aveva puntato il dito contro i colleghi uomini, richiamando alla memoria un'esperienza non certo edificante per il Partito democratico: «Siamo ancora ai 101? Siamo ancora a quella storia lì?», aveva chiesto Bindi ai colleghi riuniti in un capannello, con esplicito riferimento ai franchi tiratori che affossarono la candidatura di Romano Prodi al Quirinale.
Oggi, un nuovo strappo dopo la bocciatura delle preferenze alla Camera, "figlia" anche questa dell'accordo tra Renzi e Berlusconi. «Credo che le liste bloccate siano inaccettabili. Nella percezione dei cittadini, corrispondono al Porcellum». Poi, lancia la stoccata: «Questa della parità di genere è forse uno dei punti fondamentali. E Renzi non ha dato rassicurazioni neanche per rimediare al senato. Non si è assunto la responsabilità. Questo, in buona sostanza, è uno spagnolo con il doppio turno. Quello che ha chiesto Verdini».
Rosy Bindi, insomma, è furibonda, e non lo nasconde conversando con i giornalisti a Montecitorio. «L'ideale sarebbero i collegi uninominali con primarie obbligatorie per legge. Ma se non c'è questa possibilità non capisco perché, soprattutto dopo la bocciatura di ieri della norma anti discriminatoria, non si possa prendere in considerazione la doppia preferenza», aggiunge la presidente della Commissione antimafia che poi ricorda: «Noi avevamo ritirato emendamenti», come quello sulla rappresentanza di genere e sulle preferenze, «che poi abbiamo ritirato perchè c'erano degli impegni che, poi, non sono stati rispettati».
Quindi, infilza ancora una volta il segretario: «Noi apprezziamo tanto la velocità ma ci hanno anche insegnato che se per fare le cose importanti si cerca di fare anche bene, e di solito il bene in democrazia coincide con il rispetto del pluralismo delle idee, forse si rende al Paese un servizio migliore».
Scritto il 11 marzo 2014 alle 17:25 nella Berlusconi, Leggi e diritto, Politica, Renzi, Tafanus | Permalink | Commenti (3)
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Fare debiti per pagare i debiti: una politica che non funziona… (di Axel)
Nel 2012 i paesi dell’Unione Europea - esclusi Regno Unito e Repubblica Ceca - hanno firmato un patto di bilancio, noto come "fiscal compact", che prevede il divieto per il deficit strutturale di superare lo 0,5% del Pil nell’arco di un ciclo economico, e un percorso di diminuzione del debito pubblico in rapporto al Pil: che dovrà scendere ogni anno di 1/20 della distanza tra il suo livello effettivo e la soglia del 60%.
Per i meno abili in aritmetica significa che, se il PIL Italiano rimanesse fisso, il deficit complessivo dovrà ridursi del 5% annuale per i prossimi 20 anni: con un debito pari a 2.067.500 milioni di euro significherebbe abbattere il debito di circa 47 miliardi di euro l’anno, opzione sostanzialmente impossibile perlomeno in questa contingenza.
In realtà, se la si analizza matematicamente, questa regola sul debito è meno severa di quanto non appaia in prima istanza e certamente meno difficile da rispettare rispetto a quella relativa all’obbligo di pareggio di bilancio: se in effetti questo nodo venisse rispettato non si genererebbe nuovo debito, mentre ogni incremento di Pil nominale si tradurrebbe in una variazione del rapporto debito/Pil.
Vi risparmio i conti, ma per rispettare la regola della contrazione del debito in ragione di 1/20 ogni anno per 20 anni con un debito al 127% del Pil ed il pareggio di bilancio sarebbe sufficiente che il Pil nominale crescesse del 2,75%; con un debito al 100% del Pil basterebbe una crescita nominale del 2%; con un debito all’80% risulterebbe sufficiente l’1,25%.
In tempi appena normali questi valori di crescita del PIL sono valori medio-bassi, e basterebbe in realtà un po’ di inflazione per fare in modo di garantire questa crescita (si badi bene: più apparente che oggettiva, in quanto non basata su un incremento della produzione ma sul semplice depauperamento del valore del denaro).
Tanto per dare un’idea, nel 2000-2007, anni di crescita reale molto bassa, la crescita nominale del Pil in Italia è stata in media del 3,6% l’anno, per cui in effetti una condizione inflattiva relativamente bassa permette di mantenere i bilanci relativamente sotto controllo: anche per questo motivo tutti i governi temono la fase di deflazione perché in mancanza di perdita di valore del denaro il debito relativo cresce anziché diminuire.
Questo è esattamente ciò che accade quando c’è una fase di recessione: il Pil nominale può anche diminuire (in Italia è accaduto solo nel 2009) o crescere molto poco (dell’1,7% nel 2011 e, secondo le previsioni ufficiali di aprile 2012, dello 0,5% nel 2012 e auspicabilmente tra il 2,4 e il 3,2% nei tre anni successivi, ammesso che le stime dei governi Italiani non vadano considerate alla stregua di carta straccia).
Ovviamente la deflazione va considerata per quello che è, un adeguamento del mercato a condizioni esterne che ne perturbano le dinamiche: prosaicamente si tratta di valutare quale sia il punto di equilibrio fra prezzi ed offerta che permetta a chi vende di mantenere una marginalità sufficiente a rendere appetibile l’attività svolta.
Nell’istante in cui un qualunque attore finanziario (per esempio il pollivendolo sotto casa) si accorge che tenendo i prezzi troppo alti il suo negozio rimane vuoto, dovrà o rendere più appetibili i suoi polli oppure abbassare i prezzi, tenuto conto del fatto che sotto un determinato prezzo non vale la pena di continuare a tenere aperto il negozio a causa della tassazione e delle spese fisse.
Come ogni sistema, anche quelli economici sono generalmente autostabili (per fortuna): un effetto di deflazione permette in realtà ai salari di incrementare il loro potere di acquisto limitando a sua volta il valore della deflazione, e viceversa, mentre per chi governa ed ha tutto l’interesse ad aumentare l’inflazione per diminuire il valore complessivo del debito questa viene percepita come un disastro.
Basta fare un raffronto con gli altri Paesi europei per rendersi conto che il debito pubblico è il fulcro su cui si deve far leva: nel periodo 2007-2013, la Francia ha accumulato 699,8 miliardi di nuovo debito, la Germania 588,1 miliardi e l’Italia 435,4 miliardi. Nel complesso, la Francia è arrivata ad uno stock di debito pari a 1911,4 miliardi, la Germania a 2176,4 miliardi e l’Italia a 2.040,5.
Questi sono i dati che risultano dalle ultime previsioni del World Economic Outlook del Fmi. Il punto decisivo, per comprendere l’importanza dell’abbattimento del debito pubblico italiano, è rappresentato dalla spesa degli interessi sul debito pubblico: sempre nel periodo 2007-2013, la Francia ha pagato 331,8 miliardi di euro, mentre la Germania ha messo mano al portafogli dei propri cittadini per l’importo di 391,3 miliardi, il costo per i contribuenti italiani è stato assai più elevato: 522,6 miliardi di euro.
Visto che il nostro pil nominale nel 2013 è stato di 1557 miliardi ed il debito di circa 2040 miliardi, è come se in sette anni avessimo pagato per interessi una somma pari ad un terzo del pil e ad un quarto dell’intero debito… Furbo, vero ?
Come detto prima, se la logica di abbattimento del debito è quella basata sulla creazione di un avanzo primario annuale realizzato attraverso l’aumento delle entrate fiscali e la riduzione delle spese pubbliche in un contesto di recessione e di elevati tassi di interesse: dal 2007 al 2013, la Francia ha accumulato un risparmio primario negativo di 338 miliardi euro, mentre la Germania ha realizzato un saldo positivo di 194 miliardi. L’Italia ha registrato un saldo positivo di 161 miliardi di euro.
Ciononostante, il debito italiano è cresciuto in valori assoluti ed in rapporto al pil, che è diminuito. Solo Germania ed Italia, tra l’altro, in tutta Europa, hanno avuto saldi positivi, ma l’Italia è stata penalizzata dall’enorme debito pubblico di partenza: è la zavorra che ci manda a fondo appena un onda increspa il mare dei mercati.
Gran parte dei sacrifici dei contribuenti italiani sono serviti innanzitutto a remunerare il debito pubblico, che alla fine del terzo trimestre del 2013 era detenuto dall’estero solo per 746 miliardi, una somma pari al 36,6% dei titoli in circolazione, e spannometricamente, degli 80 miliardi di euro spesi nel 2013 per interessi sul debito pubblico, circa 29 miliardi sono andati agli investitori esteri mentre 51 miliardi a quelli italiani…
L’incapacità dei precedenti governi (e temo anche dell’attuale) si evidenzia proprio in queste logiche: mancando di qualsiasi vera politiche di sviluppo, è facile capire che qualunque dilettante allo sbaraglio (descrizione perfetta dei politicanti 'de noantri) pensi di portare sviluppo nel paese spendendo del denaro (in genere ad uso e consumo suo, della sua poltrona e della corte dei miracoli che lo attornia) in maniera tale da poter dichiarare di “favorire i consumi” senza rendersi conto di quanto queste logiche poi determinino un appesantimento dei conti pubblici.
Appare chiaro a questo punto che il rispetto della regola del pareggio di bilancio appare decisamente più critica ma anche più importante del cosiddetto fiscal compact, in quanto un effetto di aumento del PIL (e con una disponibilità economica derivante da una maggiore occupazione nel settore privato il PIL salirebbe infallibilmente) assicurerebbe un automatico decremento percentuale del fatidico rapporto debito/PIL.
In una condizione dove il PIL reale risulta essere sceso del 13% dal 2008 e del 9% dal 2009 (al lordo degli effetti inflattivi, per cui dovremmo aggiungere un 4-6% circa), un ritorno entro quattro anni riportando il livello di marginalità delle aziende al valore pre-2009 potrebbe suonare ragionevole, ovviamente al netto delle attività spostate all’estero, attirate da un livello fiscale e burocratico più vantaggioso.
Nel caso Italiano la regola della riduzione del debito si tradurrebbe (partendo dalle stime ufficiali al 2015 contenute nel "Documento di economia e finanza" di aprile 2012) in una discesa del rapporto debito/Pil a un ritmo decrescente: da una riduzione di 3,3 punti nel 2014 a 2,5 punti nel 2018 a 1,3 punti nel 2030: in altri termini, diversamente da quello che a volte si dice, la regola non richiede una riduzione del debito di 3 punti l’anno (un ventesimo della differenza tra 120 e 60) per vent’anni.
Man a mano che il debito/Pil scende, la differenza tra il suo valore e la soglia del 60% si riduce e, quindi, si riduce anche 1/20 di quella differenza: naturalmente ciò allunga il periodo necessario per avvicinarsi al fatidico 60%. Partendo dal livello attuale, la regola comporterebbe per l’Italia nel 2034 un rapporto ancora all’80%.
Quale saldo di bilancio sarà necessario in futuro per ottenere questi risultati? Naturalmente dipenderà dal tasso di crescita del Pil e dal tasso di interesse sul debito, per questo risulta così importante che i tassi di interesse sui prestiti vengano mantenuti bassi, fattore impossibile in una situazione ove si voglia incrementare il PIL tramite la creazione di debito: in questo caso immediatamente la spinta inflazionistica comporterebbe un rialzo dei tassi di interesse e quindi del costo degli interessi passivi da debito.
L’avanzo primario e il saldo totale (indebitamento netto) necessari per rispettare la regola sul debito, proiettando nel futuro le ipotesi ufficiali per il 2015 sono quelli di una crescita reale del Pil all’1,2%, crescita nominale al 3,2%, costo medio del debito al 5% (quest’ultimo maggiore di 0,8 punti rispetto al livello del 2011).
Sono ipotesi che non appaiono particolarmente ottimistiche in un’ottica di lungo periodo: sotto queste ipotesi, l’avanzo primario dal 5,7% previsto per il 2015 potrebbe scendere al 4,8% l’anno successivo, al 4% nel 2021 e così via. Ciò non richiederebbe il pareggio di bilancio, bensì sarebbe coerente con un disavanzo totale tra lo 0,8 e l’1,4% del Pil lungo il periodo considerato.
Il quadro ovviamente cambia se si adottano ipotesi più o meno favorevoli rispetto a quelle ufficiali: ipotesi più pessimistiche, con tassi di crescita nominali intorno al 2%, comporterebbero la necessità di avanzi primari più elevati e quindi richiederebbero, in questo caso sì, un pareggio e anzi un avanzo complessivo ben oltre il 2020.
Con ipotesi più favorevoli, quale sarebbe una crescita nominale del Pil in linea con quella registrata in media nel periodo 2000-2007 (un periodo certo non particolarmente felice per la nostra economia), il disavanzo complessivo potrebbe mantenersi su livelli vicini al 2% lungo tutto il periodo.
Insomma ipotesi anche di poco più ottimistiche sulla crescita del Pil e sul mantenimento dell’attuale livello dei tassi di interesse renderebbero il mantenimento del pareggio di bilancio una regola tutto sommato meno gravosa e renderebbero possibile finanziare le spese di investimento mantenendo gli obiettivi di riduzione del debito.
Ve lo vedete il buon Renzie fare questi ragionamenti? No, vero? E in effetti dichiarazioni del tipo “il ministro delle finanze deve essere un politico, non un tecnico” dichiarano già un indirizzo chiaro…”
(di Axel)
...renzie fare questi "raggionamendi"??? Renzi chi? quello che prima che noi approfondissimo la questione, scriveva sul suo curriculum dettato a Wikipedia di aver "fondato" a 19 anni un'azienda che con tre milioni di fatturato aveva tre sedi, quindici dipendenti e circa 2000 collaboratori esterni? Oppure quello che ancora l'altro giorno confondeva 10 miliardi con 10 punti di IRAP? O magari ti riferisci a quello che ha scritto un "libro dei sogni" che prevede risorse per 130 miliardi all'anno? O Forse a "trecartaro" che pensava di coprire il libro dei sogni coi fondi strutturali europei non spesi? No, no... forse ti riferivi a quello che pensava di farsi dare altri fondi strutturali non già per affrontare spese strutturali, ma per dare la marchetta di 78 euri all'anno a chi guadagna meno dei 15.000 euro all'anno...? Vedi, Axel, per essere certo che renzie possa capire questi discorsi, avresti dovuto fare uno di quei libretti divulgativi a fumetti, che usavano nelle vecchie classi differenziali.
Mi viene in mente anche Gianni Clerici (unico giornalista di tennis italiano conosciuto in tutto il mondo). Quando parlava delle tenniste russe capaci solo di "scoppiare la palla" a randellate, che ogni tanto tentavano qualche "finezza" come un drop-shot, o un lob, mandando la palla in tribuna, Gianni Clerici - che allora commentada con Rino Tommasi le partite su Sky, usava dire: "La pastora siberiana, chiamata a giocare di fino, dimostrò tutta l'umiltà delle sue origini". Ecco, renzie, chiamato a muoversi nei meandri della politica, sta dimostrando tutta la sua nullità. In poche settimane, colui che "abbiamo fatto in otto giorni ciò che gli altri non hanno fatto in otto anni", non ha ancora messo la sua firma non dico du qualcosa di pubblicato in G.G., ma neanche sul "Giobatta", né sulla "legge elettorale", e sta rapidamente affondando nelle sabbie mobili che pensava presuntuosamente di poter dominare. Oggi sta completando l'opera di uccidere il PD, senza che la resurrezione di Berlusconi possa portargli alcun beneficio. Pensava di ammazzare la Camusso lisciando il pendo a Landini, e oggi è stato scaricato dall'una e dall'altro. Ieri si è capito perfettamente a quale banda appartenessero i 101 che hanno affossato Prodi. Oggi Rosy Bindi gli ha dato il benservito. Domani al Senato, dove i numeri sono molto stretti, rischia grosso. Anzi, no. Perchè arriverà - in una squallida politica del "do ut des" - il "soccorso nero" di Forca Italia. Complimenti a renzie, e ai renzini da riporto (che da qualche giorno, pur non essendo "bannati" su questo blog, ci stanno assordando col loro rumoroso silenzio.
Tafanus
Scritto il 11 marzo 2014 alle 10:32 nella Axel, Economia, Politica, Renzi | Permalink | Commenti (52)
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07 marzo 2014
L'Angelino Custode del Fiò Renzino
Nei sondaggi pesa poco, eppure Alfano tiene in scacco il premier. Dalle riforme ai sottosegretari, all'Italicum. E si prepara a sfidare Berlusconi (di Marco Damilano - l'Espresso)
Il 16 novembre 2013, data di nascita del suo partito, convocò la stampa italiana e internazionale per la lieta novella: «Sono qui per annunciare la formazione di un nuovo, grande centrodestra, con un simbolo che presto entrerà nei cuori di tutti gli italiani». Quattro mesi dopo il Nuovo centrodestra di Angelino Alfano nei sondaggi balla pericolosamente attorno al quattro per cento, soglia di sbarramento per accedere alla distribuzione dei seggi nel Parlamento europeo alle elezioni del 25 maggio, alle ultime regionali in Sardegna non ha neppure presentato la lista.
L'obiettivo di raggiungere i cuori degli italiani appare lontano. In compenso, è ben collocato nel cuore del sistema politico, la posizione da cui si governa l'Italia, il centro del centro, collocazione che garantisce a chi la occupa una rendita fortunata: influenza, potere, poltrone di governo e di sottogoverno, in misura largamente superiore al consenso davvero raccolto tra gli elettori. In questi mesi Alfano si è sganciato dal nume tutelare Silvio Berlusconi, ha mollato il premier Enrico Letta di cui era vice e che lo aveva difeso a spada tratta nella vicenda della dissidente kazaka Alma Shalabayeva, professando - sia chiaro - grandi sentimenti di amicizia, si è attaccato alla nuova stella Matteo Renzi proponendosi come il suo principale alleato di qui alla fine della legislatura, che per il leader dell'Ncd deve arrivare il più tardi possibile. Missione compiuta con l'accordo sull'Italicum, il via libera a una legge elettorale valida solo per la Camera che di fatto rende impossibile un voto anticipato: o si elimina il Senato con una legge costituzionale che richiede tempi lunghi, oppure per Palazzo Madama si tornerà a votare con quel che resta del Porcellum fatto a pezzi dalla sentenza della Corte costituzionale, certezza di ingovernabilità assoluta. In entrambi i casi Alfano sente di avere in tasca la golden share, con Renzi costretto a rallentare e Berlusconi a fare marcia indietro pur di restare seduto al tavolo delle trattative.
Bastava vederlo l'Angelino felice prima di entrare nello studio di "Otto e mezzo", la sera di martedì 4 marzo, poche ore dopo la svolta decisiva: «Questa legislatura durerà, possiamo essere i fondatori della Terza Repubblica». Del governo di cui fa parte rivendica la paternità: «Quando ho sentito Renzi al Senato nel discorso della fiducia dire che il nostro programma è riforme, mercato del lavoro, fisco, burocrazia e giustizia gli ho chiesto il copyright: sono le cose che diciamo da sempre». Quasi un governo Alfano, insomma. E pazienza se Berlusconi ora preferisce parlare con il premier fiorentino piuttosto che con il suo ex segretario che un tempo trattava come un figlio: «Sopporto con cristiana pazienza la persecuzione del "Giornale" di cui Berlusconi è pienamente informato». Nulla, in realtà, rispetto a quanto subito da Gianfranco Fini, ma per Alfano è un altro tabù squarciato. E pazienza, anche, se in nome dell'asse con Matteo Angelino ha dovuto sacrificare il sottosegretario alle Infrastrutture Antonio Gentile, coinvolto in una faida familiar-affaristica, che pure aveva nominato di suo pugno tre giorni prima: ci sarà modo di rifarsi. L'importante è che nel governo Renzi, sempre di più, sia visibile il peso di Alfano e del suo Ncd. Partito virtuale, pensiero debole e potere solido, com'erano i dorotei di una volta, la corrente centrale della Dc: «Il doroteismo è la continuità nell'apparente evoluzione, l'immobilismo nell'apparente movimento», scriveva il politologo Ruggero Orfei. Con un solo terrore: restare fuori, andare all'opposizione. Il governo come destino, condizione esistenziale.
L'Ncd fino a qualche giorno fa non aveva neppure una sede nazionale, si riuniva negli uffici di Camera e Senato o nelle stanze governative, ne ha appena trovata una in via dell'Arcione, zona fontana di Trevi. E non aveva organi dirigenti: sul sito del partito i notabili si fanno chiamare "team", Alfano si autoproclama leader, almeno in questo è rimasto berlusconiano. Appena è arrivato il momento delle scelte sono cominciate le divisioni interne, le rivalità sotterranee, come quella che divide l'ex presidente del Senato Renato Schifani dall'ex ministro Gaetano Quagliariello. Quagliariello è la testa pensante della compagnia, studioso di fama e rapporti consolidati con il Quirinale, legato ai teocon Eugenia Roccella e Maurizio Sacconi che sognano di trasformare l'Ncd in un partito di crociati dei valori non negoziabili, proprio quelli sconfessati pure da papa Bergoglio. Schifani è l'ex fedelissimo berlusconiano che guida una invisibile ma solida rete negli apparati dello Stato, affidata al senatore Giuseppe Esposito, vice-presidente del Copasir, strategico comitato parlamentare di controllo dei servizi segreti.
Una settimana fa i giochi sembravano fatti: Quagliariello doveva essere nominato coordinatore nazionale dell'Ncd, una sorta di segretario. Ma Schifani si è messo di traverso e ha strappato a Quagliariello la delega più importante: sarà lui, Renatino, a fare le liste dei candidati Ncd alle elezioni europee e amministrative. E non solo: anche sulla lista dei sottosegretari Quagliariello è rimasto totalmente escluso, a compilarla sono stati Alfano e Schifani. Sono loro che hanno assegnato una poltrona delicata come quella di sottosegretario alle Infrastrutture a Tonino Gentile, signore delle preferenze calabrese. Il fratello Giuseppe, alle ultime regionali è stato il consigliere più votato con quasi 15mila voti personali ed è assessore alle Infrastrutture della giunta Scopelliti, il loro sarebbe stato un caso di ricongiungimento familiare. Accolto con esultanza dalla pattuglia dell'Ncd calabrese: «Il senatore Gentile potrà rafforzare la filiera degli investimenti con la Regione, saprà farsi portavoce della necessità di portare a rapido compimento i lavori sull'A3, di proseguire con l'Alta Velocità e con la realizzazione dei punti ferrati...», lo avevano festeggiato i senatori Piero Aiello, Antonio Caridi, Paolo Naccarato, Nico D'Ascola e Giovanni Bilardi, restituendo all'Ncd il tratto distintivo, la ragione sociale: le grandi opere, la gestione della spesa pubblica. Gentile è stato costretto a dimettersi, ma è solo un incidente di percorso, ha precisato Schifani, «la nomina è solo sospesa». E la partita è appena all'inizio: un derby tutto interno al centrodestra, contro gli ex fratelli di Forza Italia, palmo a palmo, consigliere per consigliere, voto su voto. Al Senato è arrivato l'ex sindaco di Milano Gabriele Albertini (che però aveva già lasciato il Pdl per candidarsi con Scelta Civica), dato in uscita per tornare a Arcore il deputato lombardo Maurizio Bernardo. In Veneto quattro assessori e due consiglieri regionali che erano passati con Alfano sono tornati da Berlusconi.
Una contesa che si farà drammatica con l'avvicinarsi delle elezioni europee, in cui si vota con le preferenze e si candideranno tutti i big, affiancati dai portatori di voti. Scarsi gli esterni, tipo il consigliere del Csm Nicolò Zanon («Siamo in diecimila alla convention, nessuno potrà negare che è nata una forza politica nuova», twitta felice). L'Ncd può contare sulla macchina elettorale di Comunione e Liberazione, rappresentata dal ministro Maurizio Lupi, dall'ex presidente della Compagnia delle Opere Raffaello Vignali, neo-tesoriere del partito, dall'eterno Roberto Formigoni appena rinviato a giudizio insieme ad alcuni nomi storici del movimento milanese (Antonio Simone, Nicola Senese, Alberto Perego), dal sottosegretario all'Istruzione Gabriele Toccafondi, fiorentino come Renzi. Ma i veri bacini elettorali sono da Roma in giù: in Puglia c'è il super-votato Massimo Cassano, 19mila preferenze alle ultime regionali, nemico del lealista berlusconiano Raffaele Fitto, nel Lazio la pattuglia degli ex An Vincenzo Piso, Andrea Augello e Barbara Saltamartini, oltre al ministro Beatrice Lorenzin e al potente Gianni Sammarco, cognato di Cesare Previti, in Campania, Calabria e Sicilia ci sono le roccaforti di Angelino che devono trascinare il partito a raggiungere il quorum.
Questione di vita o di morte. Non c'è golden share che possa reggere senza passare la prova elettorale, perfino in un sistema politico arretrato come quello italiano, dove i voti, come le azioni, si pesano e non si contano e in cui il virtuale Ncd di Alfano può atteggiarsi a partito-chiave del governo Renzi. Senza quorum l'Angelino esultante rischia di finire stritolato nella morsa di Renzi e Berlusconi. Troppo potere, senza consenso. (Marco Damilano - l'Espresso)
Scritto il 07 marzo 2014 alle 23:07 nella Politica | Permalink | Commenti (2)
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06 marzo 2014
Matteo Renzi e le "insegnanti di Siracusa": la più oscena "marchetta" del secolo
"Battiam battiam le mani, arriva il Direttor"
Grande Orchestra del Maestro Cinico Angelini
Cantano: Gino Latilla e Carla Boni
Il canto servile dei poveri figli di Siracusa (di Francesco Merlo)
La canzone era così stupidamente servile che avrebbe messo in imbarazzo persino i nordcoreani. Perciò il giovane Renzi, che ha fama di disobbediente (“sono un po’ bullo” diceva di sé, ricordate?), avrebbe dovuto fermare, liberare, fare discoli e mandar fuori a giocare al pallone quei poveri figli di Siracusa che gli cantavano “facciamo un salto / battiam le mani / muoviam la testa/ facciam la festa”.
Diciamolo più chiaro: se fosse stato ancora lo stesso che, appena eletto segretario, scelse come inno “Resta ribelle” dei Negrita, Renzi avrebbe certamente intonato “prendi una chitarra e qualche dose di follia / come una mitraglia sputa fuoco e poesia”. E, con l’incitamento a contestare e a irridere i maestri, avrebbe coperto quei miagolii che dai maestri erano stati imposti: “presidente Renzi, da oggi in poi / ovunque vai, non scordarti di noi”
Non l’ha fatto e l’Italia intera lo ha visto ubriaco di lusinghe. Ha cominciato ad abbracciare tutti e “facebook non vale un abbraccio” ha detto, e pensate quanto sarebbe stato renzianamente bello sentirgli invece dire: “disobbedite, se volete il mio abbraccio”. Anche quel vezzo stucchevole di farsi chiamare Matteo più che da sindaco d’Italia sta diventando un tic da televisivo, non statista in versione Vasco Rossi ma imbonitore in formato Antonella Clerici, quella di “Ti lascio una canzone” che è appunto la fiera del bambino da salotto, tutto moine e mossette, che nessuno, soprattutto a sinistra, vorrebbe avere per figlio.
C’era in più, in quella filastrocca cortigiana, anche il tentativo del glamour, con il clap and jump, e persino con il blues, la disposizione in semicerchio, il gioco perverso di regolare gli evviva e gli applausi, la fatica ruffiana di tradurre e adattare un testo inglese. Tutto questo per aggiungere charme al solito immaginario canoro degli italiani: una spruzzatina del Sanremo di Fabio Fazio sui bimbi-scimmiette del Mago Zurlì. Ecco il punto: Renzi ha tutto il diritto di girare le scuole d’Italia, se è questa la sua cifra di politica popolare, ma per cambiarle, come aveva promesso, e non per degradarle a serbatoi delle sue majorettes.
Capisco che qui è facile il paragone con l’uso dei bambini nei totalitarismi, sul quale infatti si è banalmente esibito Beppe Grillo: i figli della lupa, gli avanguardisti della ventisettesima legione che salutavano il duce intonando Giovinezza, oppure “i battaglioni della speranza”, ragazzini dai dodici a quattordici anni che cantavano nelle parate dell’Est europeo. La verità è che anche in democrazia troppo si abusa dei giovanissimi, perché fa un sacco bello lasciare che i bambini vengano a noi e, come ha scritto Milan Kundera, “nessuno lo sa meglio degli uomini politici: quando c’è in giro una macchina fotografica si precipitano verso il bambino più vicino per sollevarlo in aria e baciarlo sulla guancia”.
A Siracusa dunque non c’è stata la manipolazione sordida tipica dei regimi ma la paideia, il tentativo di ridurre i bambini a protesi ornamentale, di formarli alla piaggeria e all’adulazione: “non insegnate ai bambini la vostra morale /è così stanca e malata potrebbe far male” cantava il Gaber citato da Renzi persino nei libri. Gaber li vedeva cantare e battere le mani e pensava che facessero “finta di essere sani”, Renzi invece li ha passati in rassegna dando a tutti il cinque.
Ma ieri a Siracusa ho visto di peggio. Un retroscena rivela infatti che nell’esibizione di quella scuola di borgata, vicina alla chiesa di Lucia, santa e sempre più cieca, non c’è stato solo l’accanimento politico – e ridicolo – del sindaco Giancarlo Garozzo. Ecco il colpo di scena: la preside Cucinotta, che è la vera regista responsabile dello spettacolino, e la sua vice Katya De Marco sono accanite militanti di Forza Italia. E dunque io, che da quelle parti sono nato, ci ho visto soprattutto la tristezza infinita di un Meridione che è ancora e sempre lo scenario naturale dello zio d’America, e mi sono ricordato che Silvio Berlusconi a Lampedusa fu accolto come un messia, come un conquistador. Perché sempre così viene salutato l’uomo potente che viene da fuori, l’uomo del cargo che può essere un capopartito, un cantante, un calciatore, un presidente del consiglio o non importa chi, purché venga appunto da fuori.
Renzi si rilegga, per risarcire l’Italia, Carlo Levi che racconta di quel tal Vincent Impellitteri che – cito a memoria – tornato dall’America, entra in paese (era la provincia di Palermo e non di Siracusa) su una lussuosa macchina scoperta, ed è accolto dalla gente in festa che lo tratta come uno sciamano: “’Tuccamu a machina, così ce ne andiamo in America’ gridavano i ragazzi del luogo”. Ebbene, Impellitteri non solo non li abbraccia e non dà loro il cinque. Ma si addolora e si rattrista al punto che si mette a piangere.
Così recitava il testo della canzoncina Arriva il Direttore negli anni Cinquanta, portata al successo da Carla Boni e Gino Latilla, dal Quartetto Cetra e da Natalino Otto. (Fonte: The FrontPage)
Scritto il 06 marzo 2014 alle 14:08 nella Politica, Renzi, Satira | Permalink
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Facciamo un salto... battiam le mani...
Muoviam ta testa... facciamo festa...
A braccia aperte ti diciamo "Benvenuto al Raiti!"
I bambini... gli insegnanti... i bidelli...
E poi l'orchestra lascerem improvvisar così...
...piripippi ppi...
Siamo felici... e ti gridiamo...
Da oggi in poi... dovunque vai...
Tu non scordarti di noi
Dei nostri sogni... delle speranze...
Che ti affidiamo, con fiducia, oggi a ritmo di blues
Le ragazze... I ragazzi... Tutti insieme
Alle tue idee e al tuo lavoro affidiamo il futuro
...piripippi ppi..
E poi di nuovo... Ancora insieme...
Noi camminiamo... Ci avviciniamo...
E un girotondo noi formiamo
sempre a tempo di blues
la nostra maestrina
con la più gran disciplina
tutti faceva filar
lei ci metteva in riga
gridando “fate attenzion
adesso marcerete
cantando questa canzon”
Battiam battiam le mani
arriva il direttor
battiam battiam le mani
all’uomo di valor
gettiamo tulipani
e mazzolin di fior
cantiamo tutti in coro
evviva, evviva
ed una coppa d’oro
doniamo al direttor.
E finalmente a vent’anni
dicemmo è finita
ora ci porta la vita
giorni di felicità
ma presto tutti quanti
dovemmo constatar
che per andare avanti
sempre si deve cantar
Battiam battiam le mani
arriva il direttor…..”
03 marzo 2014
Italicum, è scontro tra Ncd e Fi - In gioco c’è la data delle urne
La legge domani in aula. Renzi sente sia Alfano che Verdini. L’incognita dell’emendamento Lauricella, chelega il testo alla riforma del Senato (di Claudia Fusani - l'Unità)
Intorno alla legge elettorale ruotano tre scenari.
Il primo: Renzi tiene fede al patto con Berlusconi, fa mandare avanti l’Italicum svincolato dalle altre riforme (Senato e Titolo V).
Il secondo: Renzi salva la faccia ma fa fare il lavoro sporco, chiamiamolo così, al Parlamento, che invece approverà, a scrutinio segreto, l’emendamento Lauricella (deputato della minoranza Pd) che vincola l’una all’altra le riforme, fissando un tempo di legislatura lungo, così come dice l’altro patto stretto però con il socio di maggioranza del Nuovo Centrodestra.
Il terzo: Renzi rompe il patto con Berlusconi perché l’Italicum non può funzionare per eleggere due Camere che hanno, tra l’altro, basi elettorali diverse.
E a quel punto, tutto può succedere. Ma anche nulla. Ieri il Mattinale di Forza Italia ha dato una linea chiara. «Se passa il tragico emendamento Lauricella cade tutto», ha scritto il capogruppo Brunetta. «Votarlo significa disinnescare l’Italicum e non riconoscere l’urgenza dell’approvazione della legge elettorale, una questione su cui pesa una sentenza della Corte Costituzionale, che forse molti hanno dimenticato, magari anche perché significherebbe riconoscere l’illegittimità di tantissimi parlamentari ». «Sostenere e votare l’emendamento Lauricella», prosegue la news letter «significa rischiare di andare al voto con il Consultellum». Ma, soprattutto, da parte di Renzi, significherebbe «non rispettare la parola data».
Alle giornate decisive siamo abituati ormai da qualche mese. Tante, troppe, ce ne sono state. Ma la settimana che si apre oggi lo sarà veramente per capire quanto può durare la legislatura, se e fino a che punto il premier Renzi crede nella scadenza naturale del 2018 così spesso tratteggiata, e quanto siano concreti i patti stretti in queste settimane con le forze di maggioranza e non. Domani la legge elettorale sarà in aula alla Camera. La promessa, l’impegno, è di approvarla entro la settimana (i tempi sono contingentati, 22 ore) e poi mandarla al Senato per il via libera definitivo che, nei piani del governo, deve arrivare entro marzo. Seppure, e qui è la variabile decisiva, il premier abbia detto, anche nel discorso programmatico della scorsa settimana alla Camera e al Senato, che «l’Italicum ha un nesso logico con la riforma del Senato». Una riforma costituzionale costituzionale che deve muovere i suoi passi a palazzo Madama, che ha bisogno di quattro letture e non può quindi essere approvata prima di un anno. Ad essere ottimisti.
Gli emendamenti per l’Italicum scadono oggi alle 12. Berlusconi e Renzi lo hanno blindato, due articoli, uno per la Camera e uno per il Senato, soglia di sbarramento per accedere al premio di maggioranza (37%), soglie di accesso per i partiti (entra in Parlamento chi ha ottenuto il 4,5%) più alcuni correttivi per Lega e Sel (salvataggio del miglior perdente di ogni coalizione). Le due settimane di crisi di governo hanno permesso di dare alla legge quella “benzina” che gli mancava e di cui gli estensori si erano dimenticati (gli algoritmi che permettono di tradurre i voti in seggi).
Mala differenza, in tutta questa storia, la fa l’emendamento Lauricella. E la minoranza Pd, che ha già rinunciato a decine e decine di correzioni, non ha alcuna intenzione di fare passi indietro. Ieri ha alzato la voce anche la presidente dell’Antimafia Rosy Bindi. «Le debolezze di questa legge elettorale sono tre» - ha detto - intervistata da Maria Latella su SkyTg24, annunciando battaglia in Parlamento. «Non può dare una maggioranza certa anche al Senato, e quindi è necessario vincolarla alla riforma della camera alta; non c’è la parità di genere; non è pensabile ripresentarsi agli italiani senza consentire loro di scegliere i propri parlamentari».
Ieri ci sono stati contatti, telefonate e sms, tra Alfano e Renzi. E anche tra il premier e Verdini, plenipotenziario di Berlusconi sulle questioni elettorali. Ognuno deve, a suo modo, salvare faccia e sostanza, le parole date e le promesse fatte. La soluzione individuata prevede che il governo non faccia proprio l’emendamento Lauricella, come invece è stato promesso ad Alfano, e dando invece soddisfazione alla parola data a Berlusconi che non vuole vincoli temporali per la legislatura. Al tempo stesso, però, il governo non può imporre alla sua maggioranza parlamentare di ritirare l’emendamento. Che a quel punto sarà votato con voto segreto e passerà a mani basse. Così si salvano le promesse a Berlusconi e ad Alfano. Che poi in fondo neppure il Cavaliere vuole andare a votare a breve (il 10 aprile iniziano i dieci mesi di detenzione). Soprattutto, il premier tutela se stesso. Almeno per un po’.
Claudia Fusani
Scritto il 03 marzo 2014 alle 15:33 nella Berlusconi, Politica, Renzi | Permalink | Commenti (1)
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02 marzo 2014
Il "Nuovo che Avanza": Antonio Gentile, l'impresentabile imposto a Renzi (che ha calato le braghe) da Angelino Alfano
Voci critiche nel Pd contro la nomina di Antonio Gentile a sottosegretario alle infrastrutture. Due deputati, D'Attorre e Ginefra, e il senatore Mineo chiedono a Renzi di annullare la nomina e mandarlo via. E intanto dal web spunta un'iniziativa del neo sottosegretario: nel 2002, in veste di senatore di Forza Italia, propose che Berlusconi fosse candidato al premio Nobel per la pace (Fonte: l'Unità)
Il deputato del Pd, Alfredo D'Attorre, a margine del congresso Pse commenta: «La vicenda di Gentile non mi sembra edificante e mi sembra inopportuna la sua permanenza al governo. Il quadro di pressioni che emerge sull'editore dell'Ora della Calabria è inquietante» (secondo il quotidiano il politico ha fatto pressioni, risultate vane, affinché non uscisse un articolo su suo figlio, e pochi giorni dopo le rotative del giornale si sono misteriosamente rotte). «Sono indotto a pensare che nè il presidente del consiglio nè i vertici Ncd erano a conoscenza pienamente della vicenda – sostiene D'Attorre - altrimenti avrebbero dovuto soprassedere da questa scelta. A me sembra inopportuna la permanenza di Gentile al governo, mi auguro sia indotto, dal residente del consiglio e dal suo partito a rassegnare le dimissioni».
«Ncd e il suo segretario Angelino Alfano liberino il Governo Renzi dall'imbarazzo determinato dal 'caso Gentile' ieri nominato sottosegretario alle Infrastrutture», dichiara in una nota il deputato del Pd Dario Ginefra. «Questo Governo, per poter portare a termine il suo complesso mandato, non può permettersi alcuna crepa nella sua credibilità pubblica. Si eviti di riproporre le esitazioni talvolta manifestate dal precedente Governo Letta».
E in un editoriale sul sito www.articolo21.org il senatore del Pd Corradino Mineo rincara: «Badiamo al sodo, d'accordo. Il lavoro, innanzitutto, e la legge elettorale e la rivoluzione che rimetterà in moto la macchina burocratica. Condivido. Ma perché, fra i tanti in fila per una casacca da sotto segretario, Renzi doveva proprio caricarsi questo Antonio Gentile da Cosenza, già scelto da Berlusconi per sostituire Cosentino dopo i noti guai giudiziari?».
Il caso di Gentile, in pressing su "L'Ora" (Di Claudia Fusani)
Certo, si occuperà di Infrastrutture nella squadra con il suo, del suo stesso partito, ministro Maurizio Lupi. Non avrà a che fare con editoria o cultura. Ma non è il dove che pesa. È il chi. Se è vero, come è vero, che Antonio Gentile, senatore calabrese del Nuovo Centrodestra e nominato ieri sottosegretario alle Infrastrutture, è il signore che una decina di giorni fa è stato al centro, sfiorato ma senza alcuna responsabilità diretta, di un giallo giornalistico-editoriale.
Succedeva infatti, una decina di giorni fa, che il quotidiano L’Ora di Calabria stesse per pubblicare un articolo in cui si parlava del figlio del senatore Gentile coinvolto in un’indagine della procura di Cosenza per falso ideologico e associazione a delinquere. Il quotidiano veniva messo sotto pressione per non pubblicare la notizia (che ovviamente veniva pubblicata). Solo che qualche giorno dopo L’Ora di Calabria è stata colpita da una delle peggiori sciagure che possano capitare a un quotidiano: lo stop delle rotative per un improvviso quanto inspiegabile guasto alle macchine.
Una faccenda stranissima di cui infatti si sta occupando la procura di Cosenza. Le coincidenze possono essere maledette e i retroscena sono un genere giornalistico assai diffuso. Ma è chiaro che la nomina di Gentile costringerà il premier Renzi ad assumere qualche informazione in più. Visto che il nome di Gentile è da giorni blindato nel toto-sottosegretari, non ne è mai uscito e ieri mattina è stato confermato nella squadra di governo. Di fronte a tanti altri nomi, come abbiamo visto, che sono invece spariti. Appena uscito il suo nome, Articolo 21 e Iniziativa dei Cittadini Europei per il pluralismo dei media, hanno provveduto a ricordare a Renzi rischi ed ombre di Gentile.
«La sua nomina dopo il caso Ora di Calabria è inopportuna» ha twittato Giuseppe Giulietti. «Solo dieci giorni fa, a Cosenza - si legge nella nota di Media Initiative - accadeva un episodio inverosimile ai danni della libertà di stampa: l’Ora della Calabria veniva messo sotto pressione per non pubblicare la notizia dell’indagine giudiziaria (falso ideologico, associazione a delinquere) che riguarda il figlio di Antonio Gentile». Media Initiative ricorda che alla direzione del giornale erano arrivate «pressioni minacciose dai toni così allarmanti da aver spinto la Procura ad intervenire proprio in questi giorni, per capire come mai, dopo aver toccato gli interessi della famiglia Gentile, il quotidiano di Cosenza abbia subìto un improvviso e inspiegabile guasto meccanico alla tipografia che ne ha impedito stampa e distribuzione».
Non la vede così il governatore della Calabria Giuseppe Scopelliti che tace i fatti de L’Ora di Calabria e guarda invece al nome di Gentile come «il giusto riconoscimento per tutti i calabresi che potranno avere un valido interlocutore in un ministero chiave come quello delle Infrastrutture». Sappiamo quanto i sei senatori calabresi siano stati decisivi per la nascita di Ncd. E come i 31 voti al Senato siano, almeno per ora e al netto di eventuali future maggioranze diverse, determinanti per il governo Renzi. La nomina di Gentile è solo un piccolo prezzo da pagare in nome della maggioranza.
...insomma, una "marchetta" di Renzi ad Alfano. Due politici senza pudore. Alfano che impone, Renzi che si cala le mutande e si lascia imporre questo impresentabile. Non perchè abbia un figlio inquisito per gravi reati, ma perchè - se ciò che emerso dalle pagine de "L'Ora" fosse vero - ci troveremmo di fronte ad un caso che non sarebbe improprio definire "di stampo mafioso": la politica (mi vergogno a definirla così) che cerca di imbavagliare la stampa, in un caso di presunta delinquenza in famiglia. Uno spirito libero, questo Gentile: è lui che nel 2002 aveva promosso la vergognosa candidatura di Silvio Berlusconi a Premio Nobel per la Pace (?).
Sfortunato, Gentile, perchè ha promosso - fra le risate generali - Silvio Berlusconi al Nobel, per trovarsi oggi di fronte alla triste realtà di aver candidato al Nobel colui che oggi, pregiudicato, non può candidarsi neanche a fare l'assessore al Comune di Roncofritto, insieme al Cangemi.
Nella criminalità politica che c'è in filo che tiene tutto insieme. Antonio Gentile è lo stesso che il pregiudicato Berlusconi aveva voluto al posto di Nicola Cosentino da Casal di Principe. Vergognosa la protervia di Angelino Alfano (quello del "Nuovo" Centro Destra) nel pretendere questa nomina, ma ancor più vergognosa la calata di braghe del bischero di frignano, cioè di colui che doveva "rottamare" la vecchia politica, e che invece sta rottamando se stesso, a velocità supersonica.
Aveva delle alternative, Alfano, di fronte al ricatto "o Gentile o crisi"? Si l'aveva. Dire ad Angeklino: "Gentile NO. C'è un limite a tutto. Vuoi fare la crisi, Falla pure, e poi vai davanti all'opinione pubblica a spiegare che il governo è caduto perchè non è stata accolta la vergognosa richiesta di portare al governo questo personaggio"
Tafanus
Scritto il 02 marzo 2014 alle 16:29 nella Berlusconi, Criminalità dei politici, Media , Politica, Renzi, Tafanus | Permalink | Commenti (5)
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01 marzo 2014
Caro Renzi, sia gentile, ci spieghi... (di Massimo Gramellini)
Come tutti coloro che da Renzi si aspettavano il governo dei fuoriclasse – se non Baricco Guerra e Farinetti, almeno Gratteri – ero rimasto un po’ deluso dalla lista dei ministri. Ma mi sbagliavo.
Quella lista aveva un suo fascino, se paragonata a quella dei sottosegretari. Dai, mi dicevo, vorrai mica che alla Giustizia rimettano un berlusconiano di ferro? Infatti ne hanno messo uno di Ferri. Cosimo Maria Ferri, affiancato da un’altra figura neutrale: il relatore del lodo Alfano.
Però il senatore Tonino Gentile, no. Si deve trattare di un refuso. Mai e poi mai il Renzi che conosco farebbe salire a bordo un signore accusato, non più tardi del 19 febbraio scorso, di avere impedito l’uscita di un giornale. Il direttore e l’editore dell’Ora della Calabria sostengono di avere ricevuto pressioni per interposta persona affinché fosse estirpata la notizia di un’indagine che riguardava il figlio del senatore. Il «mediatore» avrebbe spiegato ai giornalisti riottosi che «il cinghiale quando viene ferito, ammazza tutti». Un linguaggio che, più che i documentari di Quark, richiama i dialoghi del Padrino.
Il giornale non uscì, a causa di una misteriosa rottura della rotativa. Cose che capitano. Mentre non può capitare che, appena dieci giorni dopo, la persona su cui aleggia un sospetto simile venga nominata sottosegretario. E nemmeno all’Editoria, settore col quale parrebbe avere una certa dimestichezza.
Alle Infrastrutture, pozzo senza fondo di appalti pubblici. Dottor Renzi, sia gentile con Gentile e lo accompagni all’uscita. Ci ha promesso che con lei l’Italia cambierà verso. Non che ci andrà di traverso.
Massimo Gramellini
Scritto il 01 marzo 2014 alle 09:42 nella Criminalità dei politici, Politica, Renzi | Permalink | Commenti (4)
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Tutti gli "impresentabili" nel sottogoverno di Matteo Renzi: torna il (sotto)governo Berlusconi. Grazie, Renzi!
Ex berlusconiani di ferro, inquisiti, incompetenti. Fra i 44 sottosegretari e i 9 vice-ministri spunta di tutto. Col rischio che, per accontentare partiti e correnti, l’esecutivo si dimostri una truppa allo sbaraglio (di Paolo Fantauzzi e Michele Sasso - l'Espresso)
Il Nuovo che Avanza
QUANTO COSTA LA GIUSTIZIA - Argomento sensibile per eccellenza per il centrodestra, Angelino Alfano è riuscito a piazzare due fedelissimi alla Giustizia, dopo aver già ottenuto la nomina a Guardasigilli del “garantista” Andrea Orlando al posto del magistrato anti-‘ndrangheta Nicola Gratteri. Il primo è Enrico Costa, capogruppo in commissione Giustizia alla Camera nella scorsa legislatura, dove si distinse per la fedeltà al leader Berlusconi: relatore per il lodo Alfano (la sospensione del processo penale per le alte cariche dello Stato, poi dichiarato incostituzionale) e il legittimo impedimento, che prevedeva la sospensione dei processi giudiziari a carico del premier fino al mantenimento della carica elettiva.
A settembre 2011, mentre il Paese pativa gli effetti dello spread, lui con un’interrogazione parlamentare chiedeva al neo-Guardasigilli Francesco Nitto Palma l'invio di ispettori ministeriali alla Procura di Napoli. Motivo: l’indagine che vedeva Berlusconi vittima di un ricatto ma che, secondo Costa, rischiava di diventare l’accusato. «Si rende lecito il dubbio che in concreto le indagini siano orientate contro il presidente del Consiglio» affermò. A luglio 2012, quando il compagno di partito e governatore lombardo Roberto Formigoni era indagato per le presunte tangenti, si scagliò contro la carcerazione preventiva che teneva tra le sbarre il suo grande accusatore Antonio Simone: «Questa vicenda riapre un’urgente riflessione sul tema più ampio sull'effettivo utilizzo e sulla opportunità della detenzione preventiva ai fini dell’inchiesta giudiziaria». Per la cronaca: a dicembre scorso Costa ancora prendeva in giro Renzi, sostenendo che “da rottamatore rischia di trasformarsi in rianimatore”. Chissà se lo pensa ancora.
L’altro sottosegretario, Cosimo Ferri (confermato dal precedente governo), è un ex consigliere del Csm ed ex commissario Figc, finito in passato nelle intercettazioni dello scandalo Calciopoli. Gli veniva imputato di “non aver adempiuto all’obbligo di informare senza indugio i competenti organi federali di essere venuto a conoscenza che terzi avevano posto o stavano per porre in essere atti diretti ad alterare lo svolgimento e il risultato della gara Chievo Verona-Lazio del 20 febbraio 2005”. Secondo una informativa dei carabinieri l’allora vicepresidente della Fgci, Innocenzo Mazzini, cercava attraverso Ferri “un adeguato e riservato contatto con Lotito (presidente della Lazio, ndr) soprattutto per la questione di maggiore interesse ovvero quella del favore arbitrale”. Dimessosi da commissario, ha ottenuto la uscita definitiva dal processo per un difetto di giurisdizione.
Nel 2009, quando Silvio Berlusconi cercò di bloccare la trasmissione tv “Annozero” di Michele Santoro che stava preparando una puntata sul processo Mills, fu tirato in ballo al telefono dal commissario dell’Agcom, Giancarlo Innocenzi. Per calmare il premier, infatti, Innocenzi rassicurava Berlusconi di “aver già fatto una riunione” con Alessio Gorla, nel cda Rai ed ex manager Fininvest, Paolo Romani, vice-ministro alle Comunicazioni e appunto Ferri. Non si è mai capito se Innocenzi millantasse e l’attuale sottosegretario ha sempre negato di aver suggerito come togliere di mezzo “Annozero”. Anche il Csm non ravvisò alcun comportamento da censurare. E anche se ben 15 membri volevano aprire una pratica sui rapporti tra Ferri e Innocenzi, la richiesta fu “cestinata” dal Comitato. Nel 2010 il nome di Ferri (che non è mai stato indagato) è spuntato anche nelle intercettazioni della cosiddetta P3.
PRECARIE INFRASTRUTTURE - Nella squadra di Matteo Renzo non mancano gli inquisiti. Come la sottosegretaria alla Cultura Francesca Barracciu, indagata per peculato per l'utilizzo (ritenuto illecito dalla Procura di Cagliari) di 33 mila euro destinati al gruppo del Pd alla Regione Sardegna. Stessa accusa che interessa anche il sottosegretario alle Infrastrutture Umberto Del Basso De Caro (Pd), indagato in Campania nell’ambito della cosiddetta inchiesta su “Rimborsopoli”, risalente a quando era capogruppo alla Regione. L’accusa di peculato riguarda 11.300 euro. Il vice ministro, il socialista Riccardo Nencini, nei mesi scorsi è invece stato condannato a restituire 456 mila euro al Parlamento europeo per dei rimborsi spese irregolari. A chiudere la triade c’è il senatore cosentino Antonio Gentile, coordinatore del Nuovo centrodestra in Calabria, il cui sistema di potere è al centro di un ampio e approfondito servizio sul numero dell’Espresso in edicola.
Protagonista nei giorni scorsi di un caso di cronaca per il tentativo di evitare la pubblicazione di un articolo giornalistico relativo a una indagine nei confronti del figlio, Gentile era già stato sottosegretario all’Economia con Berlusconi. Adesso ha ottenuto le Infrastrutture, proprio come il fratello Giuseppe, assessore in Calabria della giunta guidata da Giuseppe Scopelliti e altro fedelissimo di Alfano.
AGRICOLTURA CON DANNO - Burrascosi trascorsi giudiziari ha anche il (riconfermato) sottosegretario all’Agricoltura Giuseppe Castiglione. Nel 1999 fu arrestato assieme al suocero (il senatore Pino Firrarello) nell’inchiesta sul nuovo ospedale Garibaldi di Catania. L’accusa: aver favorito imprese vicine a Cosa nostra. Condannato in primo grado per tentativo di turbativa d’asta a dieci mesi, Castiglione è stato assolto in Appello a fine 2004. Pochi mesi prima, nel frattempo, era stato eletto europarlamentare con Forza Italia. Secondo un’inchiesta della Dda di Caltanissetta, grazie anche all’appoggio della cosca Rinzivillo di Gela. «A Gela non sono andato nemmeno per far campagna elettorale, queste persone non le conosco» la replica dell’onorevole. Adesso la Corte dei conti gli contesta 44 mila euro di danno erariale per una nomina illegittima quando era presidente della Provincia di Catania. «La normativa è stata rispettata scrupolosamente» ha affermato lui.
L’IMPRENDITRICE D’ABBIGLIAMENTO ALL’ISTRUZIONE - Lenin voleva una cuoca al governo del Paese. Renzi ci è andato vicino, portando un’imprenditrice di abbigliamento all’Istruzione. Difficile, infatti, spiegare perché sia stata scelta Angela D’Onghia, senatrice dei Popolari per l’Italia, per la carica di sottosegretario al Miur. Nel 2008 fu nominata Cavaliere del lavoro da Giorgio Napolitano in quanto “attiva nell'abbigliamento maschile e nei tessuti per la casa” e perché “con il marchio Harry & Sons è presente in 60 punti vendita monomarca in Italia e in Europa con 50 i dipendenti diretti e 250 nell'indotto”. Alla parlamentare va comunque riconosciuto un primato: quello di essere stata una dei principali finanziatori della campagna elettorale di Scelta Civica con oltre 120 mila euro. Nemmeno l’altro sottosegretario Roberto Reggi, ex sindaco di Piacenza e coordinatore delle primarie perse da Renzi nel 2012, pare brillare per competenza: infatti è laureato in Ingegneria elettronica.
ALFANIANI FOREVER - Luigi Casero (Ncd) si conferma uomo per tutte le stagioni strappando il terzo incarico negli ultimi quattro governi. Passano i ministri, le legislature e le maggioranze, ma lui trova sempre spazio. Era sottosegretario all’Economia nel Berlusconi quater, ha saltato un turno con Monti, poi è rientrato con le larghe intese di Letta e ora che è diventato alfaniano è tornato a essere sottosegretario all’Economia. Altra riconfermata (allo Sviluppo economico) è Simona Vicari, ex sindaco di Cefalù e amica intima di Renato Schifani.

Scritto il 01 marzo 2014 alle 07:59 nella Berlusconi, Criminalità dei politici, Politica, Renzi | Permalink | Commenti (4)
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27 febbraio 2014
Matteo Renzi? alle 07:00 sta già lavorando per noi. E Mirta Merlino è eccitatissima all'idea
Da due mattine, una "arrapatissima" Mirta Merlino, su "La7", ci somministra ogni cagata di "tweet" postato da Matteo Renzi. I tweet che più la affascinano e la esaltano sono quelli che Renzi (o chi per lui) posta da diverse mattine alle 07:00 in punto, attraverso i quali Renzi informa urbi et orbi che "si comincia", iniziata la giornata di lavoro". Immagino da casa, dal poco confortevole appartamentino di Palazzo Chigi, senza il fastidio di guidare la macchina nel traffico, o prendere il trenino dei pendolari. Uno sforzo sovrumano.
Cara Mirta, soffro di insonnia. Mi capita spesso, verso le 5/6 di mattina, di accendere la TV in camera da letto, per vedere la rassegna stampa, e a volte mi becco "Onda Verde". Ed ogni volta resto affascinato nel vedere che già a quell'ora le tangenziali sono intasate da gente in macchina che si è alzata chissà a che ora, per andare a lavorare da chissà dove a chissà dove... I mitici "Ford Taunus" carichi di muratori bergamaschi che vanno nei cantieri di Milano; addetti al metrò che alle 06:00 fanno partire i treni, supplenti che partono da Voghera per fare due ore di supplenza a Milano, addetti alla pulizia delle strade, baristi, edicolanti...
Cara Mirta, il mondo reale è PIENO di gente che alle 07:00 non è davanti all'iPod a scrivere la prima banalità del giorno, ma è in piedi da ore a fare lavori scomodi, senza scorta e auto di servizio, e non la lussuosi appartamenti di servizio, ma da furgoni, edicole, panetterie, tram, camion della spazzatura. I veri eroi del nostro tempo.
Cara Mirta, la storia di questo disgraziato paese è piena di gente che anzichè dormire di notte, veglia e lavora per noi. Mussolini lasciava accesa la luce a Piazza Venezia, per far vedere che anche di notte "lavorava per noi". La luce accesa aveva la funzione dei tweet, che allora non c'erano. Berlusconi non perdeva occasione di informarci che "ho scritto il discorso alle tre di notte, perchè a me bastano due/tre ore di sonno a notte. Lui alle 06:30 riceveva già la mazzetta dei quotiani. Non a letto, ma nel suo studio, già incipriato, incatramato, e ingessato nel suo Caraceni doppio-petto sempre uguale.
Cara Mirta, se questi personaggi avessero dormito un po' di più, ed operato qualche ora in meno, oggi forse vivremmo in un paese migliore, o meno disastrato. Lorsignori si riposino, di tanto in tanto. Purtroppo non lo fanno. Dopo i superattivi Benito & Silvio, oggi il destino ci infligge il superattivo Matteo. Ne sentivamo il bisogno.
Cara Mirta, non le sembra abbastanza cretino che per caso uno inizi a "lavorare per noi" sempre alle 07:00? Che non gli capiti mai di iniziare alle 06:56, o alle 07:04? Ha mai sentito parlare dei programmi che postano ciò che vogliamo noi, all'ora decisa da noi? E se anche fosse tutto vero, e non favolistico, chi se ne frega se Renzi inizia a "curare i nostri destini" alle 07:00?
Cara Mirta, dobbiamo commuoverci per un Renzino che conduce una vita così disperata per poter essere a Treviso in una scuola media a darsi il cinque con dei ragazzetti per finire in tutti i telegiornali? E magari per recitare Rio Bo come Silvio? Dopo aver mobilitato scorte, un aereo di stato, centinaia di poliziotti, piloti, e quant'altro? Quanto è costata questa "TV Opportunity"? Qual'è il vantaggio per noi di questa storica giornata veneta? Domani qualche insegnante e qualche alunno di Treviso avranno una scuola più sicura? Insegnati migliori, pagati più dignitosamente? Gente che alla vigilia della pensione abbandonerà finalmente la condizione di precariato?
Cara Mirta... stamattina lei era arrapata anche per la "prodigiosa memoria" di SuperMatteo... Se così fosse, perchè Super Matteo ci ha detto il 12 di gennaio che il Giobatta sarebbe apparso in tutto il suo splendore il 16 di Gennaio? Per poi dirci il 18 "vedrete, in un paio di settimane"... Per dirci ieri che sarà pronto - puntuale come la cometa - il 17 Marzo?
Cara Mirta, non è che magari Matteo è dotato di una "memoria prodigiosa" (anche se nessuno se n'è accorto?) Per esempio, quando Renzi è approdato senza la "legittimazione del passaggio alle urne" a Palazzo Chigi, non avrà mica dimenticato ciò che aveva affermato per mesi con la consueta prosopopea? e cioè che MAI E POI MAI lui avrebbe fatto come D'Alema, o come Monti, o come Letta?
Cara Mirta, non è che lei, come molti che hanno frequentato la sua scuola di giornalismo, sia per caso dotata di memoria non "prodigiosa", ma "selettiva"? Ci faccia capire...
Tafanus
Scritto il 27 febbraio 2014 alle 13:08 nella Berlusconi, Media , Politica, Renzi, Tafanus | Permalink | Commenti (8)
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Matteo Renzi, e i costi della politica (di Axel)
E’ singolare leggere i commenti dei tafani che discutono con frasi davvero scoraggianti tipo “da qualche parte bisogna ben prendere i soldi” sulla tassazione di rendite finanziarie e/o di utili derivanti da posizioni consolidate. Come se i 2000 e passa miliardi di passivo accumulati dai geniali politicanti italiani avessero origine dall’evasione fiscale oppure dalle famose “rendite di posizione” di cui si favoleggia da anni: ebbene, per chiarire una volta per tutte quali siano le vere origini della drammatica situazione italiana sarebbero da considerare pochi elementi finanziari, quelle nozioni che se la celeberrima casalinga di Voghera mette in pratica da anni pare che i geni provenienti dalla Bocconi non abbiano ancora capito.
Il concetto, agilmente sviluppato dal mio professore di analisi al Politecnico ormai 30 anni fa, era che se si vuole riempire una vasca da bagno la soluzione non è quella di triplicare i rubinetti, ma quella di tappare i buchi.
Un esempio: cosa costa la politica in Italia ? sappiamo che la camera ha un bilancio di circa 1 miliardo e 150 milioni di euro, mentre il senato (bontà loro…) spende poco di meno, circa 1 miliardo e 80 milioni di euro. Aggiungiamo il Quirinale, che spende da solo approssimativamente 450 milioni di euro (come, sinceramente, è difficile capire, atteso che i bilanci non sono disponibili se non per sommi capi) mentre i costi diretti ed indiretti delle provincie sono pari a circa 14 miliardi di euro, concentrati per il 78% in affitti, stipendi e buonuscite dei politici, nonché nei “rimborsi spese” dei gruppi consiliari.
La stima di risparmio in caso di abolizione è di circa 11 miliardi di euro, mentre per quanto concerne le regioni il costo per assicurare lo stipendio all’esercito di consiglieri, presidenti e assessori di Regioni e province autonome pesa ogni anno sulle casse pubbliche circa 800 milioni di euro e rappresenta una delle voci più onerose per i bilanci delle Autonomie, terza dopo il costo del personale (2,9 miliardi) e le generali «spese per servizi» (1,3 miliardi), ed esclusi i trasferimenti.
Sommando i consigli regionali, provinciali e comunali, poi, la politica costa 1,4 miliardi (quasi metà dei fondi necessari per togliere l'Imu sulla prima casa), ovvero 35 euro l'anno per ogni contribuente, di cui 19 solo per le Regioni. Per fare un paragone, per le opere di sistemazione del suolo si spendono solo 25 euro per ognuno dei 41,3 milioni di contribuenti.
I dati delle uscite 2012 ribadiscono il triste primato dei costi della politica, che almeno fino all'anno scorso, sopravviveva a qualsiasi spending review: un primato in cui le Regioni surclassano gli enti locali.
Prendiamo per esempio le Province, da anni nel mirino proprio perché ritenute inutili e costose: l'affermazione è solo parzialmente smentita dai dati (almeno per quel che riguarda il costo pro capite di consiglieri e assessori provinciali) il loro costo pro capite è «solo» di 2,5 euro contro i 19 dei politici regionali e i 13 di quelli comunali.
Ovviamente se si approfondisce l’analisi il discorso cambia: analizzando il rapporto percentuale tra la spesa corrente e quella per organi istituzionali si evince che il peso economico dei rappresentanti delle Province è pari a 1,32 euro rispetto al totale della spesa corrente dello stesso ente, contro lo 0,55 dei politici regionali e l'1,07 di quelli comunali, mentre rimangono fissi i costi legati ad affitti e gestione degli immobili.
Lo Stato Italiano (dati 2010) spende per l’Amministrazione Centrale 182 miliardi di euro, per la Previdenza 298, per gli Interessi sul debito 72, per le Regioni 170 (di cui 114 Sanità, ove ci sarebbero possibilità enormi di razionalizzazione della spesa…), per i Comuni 73 ed infine per le Province 12 miliardi di euro (lievitati a 14,5 nel 2013) che corrispondono all’1,5% della spesa pubblica del nostro Paese.
Prima degli interventi operati dalle diverse manovre economiche, il costo dei 1774 amministratori provinciali (costo della politica) era di 113 milioni di euro (Fonte, Siope 2010). Rispetto alla spesa complessiva delle Province (12 miliardi di euro) i costi della politica ammontavano allo 0,9%. Dopo la manovra 2011, a regime, sulla base di quanto previsto dal decreto 78 del 2010 in materia di riduzione delle indennità degli amministratori provinciali, il costo complessivo dei 1.774 amministratori provinciali si ridurrà a circa 35 milioni di euro (Stima Upi su Fonte Siope, 2010).
I 12 miliardi di euro erano così ripartiti: 8.562.810.574 € per le spese correnti, 2.936.728.318 per quelle in conto capitale, 659.245.656 € per rimborso dei prestiti.
Il dato macroscopicamente abnorme però è quello del rapporto tra la spesa corrente e quella produttiva di sviluppo e crescita, ovvero la spesa in conto capitale: nelle regioni i costi sono pari a 145 miliardi in un anno per funzionare la macchina, contro i 17 miliardi spesi per investimenti su strade, ospedali ed espropri: in pratica, soltanto un euro ogni dieci usciti dalle casse regionali l'anno scorso è servito a finanziare un'infrastruttura mentre nove sono serviti per far funzionare la macchina. In altri termini, è come se, per realizzare un intervento nel nostro condominio, pagassimo mille euro all’impresa e 9.000 all’amministratore che la gestisce: chi di voi sarebbe d’accordo se in assemblea condominiale arrivasse una proposta simile ? Eppure, incredibilmente, la politica continua ad infischiarsene di quello che chiedono i cittadini e concede “rimborsi” ipertrofici ai propri componenti ed ai gruppi consiliari.
Certo, in molti casi le spese correnti nascondono voci difficilmente comprimibili (pensioni, ma anche contributi previdenziali per il personale, spesso però non pagati ad INPS…) ed i finanziamenti alla sanità (sono andati alle Asl circa 87 miliardi, la metà di tutta la spesa complessiva regionale), ma anche 800 milioni per organi istituzionali, oltre a 117 milioni spesi dai governatori per «studi, consulenze, indagini e gettoni di presenza».
Meno sbilanciato il rapporto per Comuni e Province, che destinano alla spesa produttiva circa il 21% degli investimenti: va detto però che per le Province il dubbio è quello della loro stessa funzione: senza la gestione degli appalti stradali (affidati per il 78,5% ad ANAS…), che da sola assorbe il 52% degli investimenti provinciali (1.526.720.000 euro), effettivamente la ragion d'essere delle 110 Province verrebbe sostanzialmente svuotata. In altri termini, se la manutenzione stradale passasse in maniera esclusiva ad ANAS e la gestione fallimentare degli stabili scolastici venisse attribuita a comuni o regioni le provincie non avrebbero in realtà sostanzialmente nulla da fare, quindi il risparmio certificato si aggirerebbe attorno agli otto miliardi e mezzo di euro.
Fate due conti semplici semplici: 8 miliardi e mezzo l’anno per le provincie, diciamo facilmente un miliardo e 250 milioni per senato, parlamento e presidenza della repubblica, e diciamo facilmente 17 miliardi di minori spese per le regioni sui 58 legati ai costi di funzionamento dell’apparato: a questo aggiungiamo circa 400 milioni di euro ai partiti ed un miliardo 350 milioni dall’otto per mille alle chiese varie.
Totale: 28 miliardi 500 milioni di minori spese, strutturali e quindi di effettivo risparmio, che garantirebbero circa il 50% dei costi sugli interessi passivi e che permetterebbero di abbattere il rapporto deficit-PIL all’1,5% anziché al limite del 3.
A qualcuno risulta che il genio del Giobatta abbia valutato questi risparmi ?
Come sempre a pensar male si fa peccato, ma quasi sempre ci si indovina…
Axel
Spesso si fa peccato non già a "pensar male", ma a non farlo. Renzi ha bisogno urgente che qualcuno gli regali non già l'ultimo modello di ipod, ma una calcolatrice a pile da due euro. All'epoca della prima leopolda aveva messo su wikipedia un curriculum talmente folle e pieno di baggianate che glielo ho demolito con un post UN POST, a ruota del quale, in pochi giorni, il suo curriculum/due è cambiato drasticamente... Divertente, il renzino... Padoan ha dovuto spiegargli, con cautela, che non poteva parlare di taglio di 10 punti di IRAP, ma caso mai di 10 miliardi. Renzi "suona ad orecchio". Sul resto, che dire? Vorrei solo ricordare che oltre ai 130 miliardi di costo stimato per il libro dei sogni renziano, dall'anno prossimo dobbiamo aggiungere (ogni anno per vent'anni) 50 miliardi di euro all'anno per il fiscal compact.
Intanto il Giobatta, presentato subito dopo l'elezione a segretario (1,5 pagine word) e demolito da molti, ad iniziare da noi... Promesso il "parto cesareo" del contenuto (lui pensava di averlo dato, il contenuto, in una pagina e mezza senza una sola cifra...) per il 16 Gennaio. Alla data fatidica, con nonchalance ha detto: vedrete, in un paio di settimane. Oggi ha detto: Il Giobatta sarà presentato il 17 marzo. Segnatevi questa "fatal data", perchè il Giobatta cambierà la nostra vita.
Internatelo, prima che faccia troppi danni
Tafanus
Scritto il 27 febbraio 2014 alle 07:59 nella Axel, Economia, Politica, Renzi, Tafanus | Permalink | Commenti (73)
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26 febbraio 2014
Primi successi di pubblico e di critica di Renzi, nel primo giorno di governo
...e mentre renzino - nel primo giorno di governo - è impegnato a cantare (e a recitare Rio Bo?) coi bambini di Treviso, succede che... anzichè il bagno di folla, trova il bagno di insulti, e il lancio di arance (spero marce... sprecare tanta buona frutta per uno così...)
...Già... cosa si aspettava, Presidente? di andare a Treviso e di trovare gli operai della Electrolux, che stanno per perdere il posto di lavoro, che "facevano ali e lanciavano baci", come narrava di se stesso il suo maestro, vent'anni fa? E come avrebbe mai potuto incontrare i vertici di Electrolux e chiedere di non "delocalizzare", lei che ha chiamato al governo la signora Guidi, figlia di Guidalberto, entrambi falchi di Confindustria, e maestri di delocalizzazioni?... Già, non si può. Perchè i vertici di Electrolux avrebbero anche potuto mandarla a cagare, le pare?
...il fiòrenzino accolto con grida di "massone", "vai a casa", e cori di "buffone, buffone!"
...e mentre il renzino è impegnato a dire sciocchezze ai bambini, in favore di telecamere, scopre già dal primo giorno che a Palazzo Chigi il premier non ha "il volante"...Mentre isso è impegnato nel "bagno di folla", a Sagunto Roma il suo governo branbd-new, tuttp ggiovani ed efficienza, è costretto a ritirare il "decreto Salvaroma"...
Scritto il 26 febbraio 2014 alle 16:12 nella Berlusconi, Economia, Politica, Renzi, Tafanus | Permalink | Commenti (9)
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